Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

lunedì 10 settembre 2018

Archeologia, le materie prime dell'antichità. Le schegge di ossidiana, i diamanti del Neolitico. Una roccia vulcanica che contribuì all'evoluzione umana avviando una fitta rete di scambi commerciali terrestri e marittimi, anche a lunga distanza. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia, le materie prime dell'antichità. 
Le schegge di ossidiana, i diamanti del Neolitico. Una roccia vulcanica che contribuì all'evoluzione umana avviando una fitta rete di scambi commerciali terrestri e marittimi, anche a lunga distanza.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano



L’ossidiana è una roccia vulcanica effusiva a raffreddamento rapidissimo. La composizione silicea e la mancata cristallizzazione causata dalla veloce solidificazione le danno una caratteristica lucentezza vitrea nerastra ma ci sono delle tipologie con riflessi di colore verde, grigio, blu e rossastro. La facilità di estrazione e di lavorazione per scheggiatura, contribuirono alla sua diffusione come materia prima per una grande quantità di armi e arnesi da lavoro, e grazie alla sua bellezza entrò a far parte delle pietre preziose utilizzate come doni cerimoniali. Affiancò la selce, utilizzata dall’alba dei tempi come roccia ideale per la realizzazione di utensili, e fu progressivamente sostituta dai metalli fino a perdere gran parte del suo valore con l’inizio della fusione del bronzo. Da quel momento fu relegata alla produzione di ornamenti, ma il fitto intreccio di scambi di cui era stata protagonista rimase in vita consentendo alle popolazioni che partecipavano ai traffici di consolidare alleanze e contribuire all’evoluzione umana. Gli studiosi utilizzano i concetti di commercio e scambio per spiegare la
presenza di materie prime e manufatti non locali nei siti archeologici. Attraverso l’analisi chimica, oggi possiamo definire un oggetto sia come importazione sia indicando lo specifico giacimento di provenienza. C’è anche da considerare che può esserci la partecipazione periferica di un gruppo umano a una rete di scambi, oppure attività stagionali o, ancora, la possibilità che alcuni meccanismi di scambio siano stati in uso contemporaneamente. I manufatti possono muoversi da soli per commercio o dono di scambio; possono circolare singolarmente tramite commercianti, artigiani e sposi, o con gruppi di persone coinvolti in migrazioni, colonizzazioni e guerre.
Nel Neolitico, le questioni legate all’ossidiana offrono numerosi dati sugli scambi commerciali a lunga distanza, soprattutto marittimi. La tipologia, le quantità e i luoghi nei quali l’ossidiana fu trovata nelle aree Mediterranee suggeriscono utilizzi su tre livelli: utilitaristici, di scambio e come dono di prestigio. Ciò portò a relazioni sociali ed economiche intrecciate a largo raggio, principalmente attraverso vie marittime costiere. Nel Neolitico, pecore, capre, bovini, e i loro prodotti secondari, erano oggetto di scambi, specialmente per la Sardegna e la Corsica, dove costituivano un complemento qualitativo alla dieta basata sui prodotti agricoli. Verosimilmente furono le questioni alimentari a far sviluppare le reti di scambio e, in assenza di metalli, il bestiame, l’ossidiana e le derrate agricole erano i tre prodotti chiave dei traffici commerciali. Il più antico sito conosciuto dove avvenivano questi scambi è certamente Çatal Hüyük in Turchia, e i legami familiari furono motivi significativi nella individuazione di partner preferenziali nello scambio sociale, infatti, non va sottovalutata l’importanza delle alleanze e dei comportamenti cerimoniali. La ceramica fine e gli oggetti di ornamento, ad esempio le conchiglie, sono spesso rinvenuti in ambienti rituali o cerimoniali, e questi rituali possono anche aver fornito una favorevole circostanza per lo scambio sociale di ossidiana e di altri manufatti pregiati, ad esempio le asce. L’estesa rete di scambi che si è formata nel Neolitico, mise in comunicazione, integrandole, le comunità sedentarie agricole, e ciò fu possibile grazie allo scambio cerimoniale di doni e le abitudini nel mangiare e nel bere a esse associati. Il cambiamento cronologico nei manufatti di prestigio avviene in tre fasi: inizialmente, la produzione ceramica cardiale fu una tecnologia innovativa, con botteghe diffuse soprattutto nelle zone costiere; successivamente, si aggiunge l’ossidiana, un materiale raro che presuppone scambi a largo raggio; infine, si inizia a notare la comparsa del metallo nelle isole e nel continente, in associazione con le prime tombe monumentali. Sebbene si debba essere cauti nell’estrarre informazioni sociali ed economiche dall’analisi dei modelli di distribuzione dei materiali in pietra, per far derivare una serie di modelli strutturati che integrano funzioni sociali e utilitaristiche entro specifici sistemi di scambio è necessaria per interpretare la questione dei traffici nelle antiche società. L’analisi di una corposa quantità di oggetti, consente un controllo cronologico dei giacimenti sfruttati e la comprensione dei cambiamenti dinamici avvenuti temporalmente e geograficamente.
Nell’area mediterranea, l’ossidiana è presente in buona quantità in quattro giacimenti di isole italiane: Lipari, Palmarola, Pantelleria e Sardegna, e per quest'ultima  c'è da osservare che possiede i giacimenti geologicamente più antichi del Mediterraneo. Si conoscono altri piccoli depositi nei Carpazi, nel Sud-Est della Slovacchia e nel Nord-Est dell’Ungheria, fornitori di alcuni manufatti ritrovati nel Nord dell’Italia. L’ossidiana di Melos è presente solo in un sito a Ovest della penisola Balcanica e alcuni pezzi di ossidiana anatolica sono stati trovati nell’Europa Orientale e in Grecia. Lipari, situata a 30 km a Nord della Sicilia orientale, è la più vasta delle Isole Eolie,e produce ossidiana nera e trasparente di eccellente qualità. Sebbene le più antiche colate di ossidiana delle isole Eolie siano presenti ad Acquacalda, Vallone Gabbellotto e Monte della Guardia, sappiamo che Gabellotto fu il principale giacimento utilizzato nell’antichità. Palmarola è la più occidentale fra le isole Pontine, localizzate a Ovest di Napoli nel Golfo di Gaeta, circa 35 km dalla terraferma. La presenza di ossidiana è confermata a Sud del Monte Tramontana lungo una linea montuosa che attraversa tutta l’isola, e nella costa orientale sino all’estremità sud-orientale di Punta Vardella dove si rinviene in blocchi neri, opachi, delle dimensioni di un pugno. Pantelleria, una piccola isola di 100 kmq nello Stretto di Sicilia, 90 km a Est di Capo Bon, in Tunisia, offre rocce peralcaline, e un’ossidiana verdastra facilmente riconoscibile, ricca di Sodio e Ferro chiamata Pantellerite. Sono presenti cinque gruppi di giacimenti: tre differenziati verticalmente, esposti a Balata dei Turchi; gli altri due a Gelkhamar e Lago di Venere. E’ rilevante notare che, come Palmarola, Pantelleria non fu abitata durante il Neolitico. La Sardegna, a differenza delle altre isole del Mediterraneo con giacimenti di ossidiana, è un territorio vasto con un’area di 24.000 kmq e insediamenti datati dal Paleolitico Superiore. L’ossidiana del complesso vulcanico di Monte Arci sono stati descritti dal La Marmora nel 1840 ma una dettagliata ricognizione fu condotta da Puxeddu solo nel 1958 per la sua Tesi archeologica presso l’Università di Cagliari. In un’area di 200 kmq che comprende 19 paesi, lo studioso indicò 246 siti con ossidiana, inclusi quattro che classificò come giacimenti. A seguito di ricognizioni geologiche dettagliate , furono caratterizzati chimicamente i vari affioramenti di ossidiana. E’ stato dimostrato che tutte le distinzioni archeologicamente significative fra i giacimenti di ossidiana del Mediterraneo possono essere fatte in base alla maggiore o minore composizione di elementi, permettendo analisi quantitative poco costose e minimamente distruttive, utilizzando una microsonda elettronica, ed è stato scoperto che la frequenza di ciascun giacimento di ossidiana può essere ragionevolmente valutata da un semplice esame visuale, salvaguardando l’integrità del pezzo.
Oggetti di ossidiana sono stati identificati in oltre 1000 siti archeologici mediterranei, con manufatti particolarmente abbondanti nelle isole che hanno i giacimenti. In netto contrasto con il Mediterraneo orientale, l’uso dell’ossidiana è strettamente associato con civiltà agro-pastorali che utilizzano la ceramica. I gruppi di manufatti provenienti da vecchie collezioni rappresentano scarsamente le piccole schegge ottenute dalla riduzione durante la lavorazione, mentre aumentano la probabilità che ogni manufatto raccolto rappresenti un differente momento di lavorazione. Inoltre, i manufatti conservati nelle vetrine dei musei, provengono da una selezione soggettiva fatta dagli archeologi e spesso non sono stati raccolti nello stesso sito, con conseguente compromissione di un’interpretazione corretta del sito di provenienza.  In Sardegna, possiamo distinguere tra la zona di Monte Arci e il resto dell’isola, dove l’ossidiana arrivava indirettamente, ossia con gli scambi. Puxeddu identificò sul Monte Arci 11 centri di raccolta e 74 siti di lavorazione, basandosi sulle forme rinvenute in ciascuno: nuclei, strumenti da taglio, schegge e lame. L’ossidiana continuò a essere importante materia durante il Rame e il Bronzo, ma non sappiamo se fosse prelevata direttamente dai giacimenti oppure riciclata dalle precedenti occupazioni del sito.  In Europa e nelle regioni del Mediterraneo, il numero dei siti con ossidiana analizzata è considerevole, includendo 37 in Francia e oltre 100 in Italia e Sicilia. I manufatti rinvenuti più regolarmente si trovano nei siti del Neolitico Medio Francese, Chasséen, in forma di lame, schegge e nuclei. Le determinazioni di provenienza di 143 manufatti di ossidiana dai siti francesi mostrano una prevalente origine dalla Sardegna. Soltanto 24 dei manufatti analizzati proviene da Lipari, e la maggior parte di essi appare in contesti del Neolitico più antico. L’ossidiana sarda potrebbe aver raggiunto il Sud della Francia per diverse vie: direttamente dal Monte Arci, per la Corsica, oppure per la Toscana e la Liguria, con le prime due possibilità che suggeriscono esperienza e capacità nelle traversate in mare aperto. Tuttavia, l’ossidiana potrebbe  anche essere pervenuta dalle regioni dell’Italia settentrionale, trasportata lungo vie dell’interno, della costa o fluviali insieme ad animali e prodotti vegetali. Giacché l’ossidiana di due o tre differenti giacimenti del Monte Arci viene comunemente trovata in siti del Nord Italia, Corsica e nell’area di Oristano, la concentrazione nel Sud della Francia può essere spiegata soltanto con una selezione consapevole nel corso dell’acquisizione dai vicini tramite procacciatori che frequentavano le zone di approvvigionamento.
Specifici tipi di roccia furono selezionati per utensili di pietra lavorata, con frequenze ampiamente differenti nelle aree confinanti della Francia, suggerendo che la disponibilità e la qualità delle materie prime non furono i soli fattori che influenzarono la selezione. Non è stata ancora identificata, in Francia, ossidiana di Palmarola, ma sono noti due eccezionali pezzi di ossidiana di Pantelleria dalla tomba dolmenica di San Sebastien, del Neolitico Finale, circa 850 km in linea d’aria dal loro giacimento. L’assenza di ossidiana di Palmarola offre un aiuto all’ipotesi di una selezione dell’ossidiana traslucida effettuata in Francia e a ripetuti approvvigionamenti dalla Sardegna passando dalla Corsica piuttosto che una “Via” che attraversava Toscana e Liguria. L’ossidiana di Palmarola è stata identificata in diversi siti nell’Italia centrale peninsulare, nell’area foggiana del Tavoliere e fino a Sud del Golfo di Taranto, nella Grotta Sant’Angelo di Cosenza. Anche l’ossidiana trovata a S. Domino nelle Isole Tremiti è stata attribuita a Palmarola. L’ossidiana sarda sembra non aver successo nelle coste orientali dell’Italia, benché annoveri tutti eccetto uno i 25 campioni analizzati della Regione dei Laghi a Nord del fiume Po. Nell’area di Trieste, nella parte superiore dell’Adriatico, la maggior parte dell’ossidiana proviene da Lipari, e solo pochi reperti provengono dai giacimenti di Palmarola e dei Carpazi. Un paio di pezzi di ossidiana anatolica sono stati segnalati in Grecia e nell’Est europeo, ma i giacimenti dei Carpazi sono probabilmente da tenere in maggior conto per la maggior parte dei rinvenimenti della Dalmazia. L’ossidiana è stata trovata più sporadicamente in Albania, e in questo caso l’origine può essere il giacimento di Melos. Nell’Italia meridionale, il giacimento di Lipari copre tutta l’ossidiana analizzata fino ad oggi, forse perché materiali litici alternativi non erano disponibili localmente. Anche se i siti possono essere a più di 100 km dal giacimento di Lipari, i nuclei venivano scartati ad uno stadio di lavorazione precedente rispetto al Nord Italia dove essi sarebbero stati, invece, molto più preziosi. Forti paralleli fra la ceramica del Neolitico di Calabria, Sicilia e Isole Eolie legano queste regioni in una singola unità culturale, distinta dalla Puglia e dalle altre aree dell’Italia meridionale. Fino ad oggi, non un singolo frammento di ossidiana del Mediterraneo centrale è stato identificato a Est del tacco della Penisola Italiana. Tutta l’ossidiana trovata a Malta proviene da Lipari e Pantelleria, non da Melos. In Sicilia, quasi tutta l’ossidiana proveniva da Lipari, ma solo pochi siti sono stati analizzati, e salta all’occhio il fatto che ben il 40% dei 152 manufatti di ossidiana dalla Grotta dell’Uzzo provengono, stranamente, da Pantelleria, un risultato sorprendente se l’ossidiana era la sola risorsa ottenuta dopo una così lunga traversata in mare aperto. L’ossidiana di Pantelleria è stata identificata anche in contesti del Bronzo a Monte Cofano (Trapani) e sull’isola di Ustica a Nord. Considerando anche gli sporadici rinvenimenti di Villa Badessa e San Sebastien, sembra che l’ossidiana di Pantelleria sia stata diffusa più ampiamente a Nord piuttosto che nel continente Nordafricano. In effetti, una rotta costiera Nordafricana potrebbe aver rifornito di animali domesticati e di vegetali la Sicilia e la Penisola Italiana, con una traversata in mare aperto di circa 150 km fra Capo Bon ed il Sud-Ovest della Sicilia. Tuttavia, se traversate regolari ebbero luogo, ci si aspetterebbe che anche Pantelleria sia stata visitata spesso, come risulta nella distribuzione di una significativa quantità del prezioso materiale. Pantelleria, a soli 90 km dalle coste della Tunisia, si presume che sia stata la fonte della maggior parte di ossidiana trovata in Nord Africa. Per quest’area, diversi campioni sono stati analizzati nel 1976 e indicano che Lipari era il deposito dell’ossidiana dei manufatti trovati in un sito dell’interno, mentre Pantelleria era il giacimento che riforniva la regione di Biserta. Naturalmente, la vicinanza di Pantelleria alle coste della Tunisia ne fa il più probabile giacimento di ossidiana, poiché Lipari è considerevolmente più lontana, oltre 400 km.

Immagini di Giovanni Boassa. Il foliato gigante su sfondo rosso è in selce.


Nessun commento:

Posta un commento