Archeologia, le materie prime dell'antichità.
Le schegge di ossidiana, i diamanti del Neolitico. Una roccia vulcanica che contribuì all'evoluzione umana avviando una fitta rete di scambi commerciali terrestri e marittimi, anche a lunga distanza.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
L’ossidiana è una
roccia vulcanica effusiva a raffreddamento rapidissimo. La composizione silicea
e la mancata cristallizzazione causata dalla veloce solidificazione le danno
una caratteristica lucentezza vitrea nerastra ma ci sono delle tipologie con
riflessi di colore verde, grigio, blu e rossastro. La facilità di estrazione e
di lavorazione per scheggiatura, contribuirono alla sua diffusione come materia
prima per una grande quantità di armi e arnesi da lavoro, e grazie alla sua
bellezza entrò a far parte delle pietre preziose utilizzate come doni
cerimoniali. Affiancò la selce, utilizzata dall’alba dei tempi come roccia
ideale per la realizzazione di utensili, e fu progressivamente sostituta dai
metalli fino a perdere gran parte del suo valore con l’inizio della fusione del
bronzo. Da quel momento fu relegata alla produzione di ornamenti, ma il fitto
intreccio di scambi di cui era stata protagonista rimase in vita consentendo
alle popolazioni che partecipavano ai traffici di consolidare alleanze e
contribuire all’evoluzione umana. Gli studiosi utilizzano i concetti di commercio e scambio per
spiegare la
presenza di materie prime e manufatti non locali nei siti
archeologici. Attraverso l’analisi chimica, oggi possiamo definire un oggetto sia
come importazione sia indicando lo specifico giacimento di provenienza. C’è
anche da considerare che può esserci la partecipazione periferica di un gruppo
umano a una rete di scambi, oppure attività stagionali o, ancora, la possibilità
che alcuni meccanismi di scambio siano stati in uso contemporaneamente. I
manufatti possono muoversi da soli per commercio o dono di scambio; possono
circolare singolarmente tramite commercianti, artigiani e sposi, o con gruppi
di persone coinvolti in migrazioni, colonizzazioni e guerre.
Nel
Neolitico, le questioni legate all’ossidiana offrono numerosi dati sugli scambi
commerciali a lunga distanza, soprattutto marittimi. La tipologia, le quantità
e i luoghi nei quali l’ossidiana fu trovata nelle aree Mediterranee
suggeriscono utilizzi su tre livelli: utilitaristici, di scambio e come dono di
prestigio. Ciò portò a relazioni sociali ed economiche intrecciate a largo
raggio, principalmente attraverso vie marittime costiere. Nel Neolitico,
pecore, capre, bovini, e i loro prodotti secondari, erano oggetto di scambi,
specialmente per la Sardegna e la Corsica, dove costituivano un complemento
qualitativo alla dieta basata sui prodotti agricoli. Verosimilmente furono le
questioni alimentari a far sviluppare le reti di scambio e, in assenza di
metalli, il bestiame, l’ossidiana e le derrate agricole erano i tre prodotti
chiave dei traffici commerciali. Il più antico sito conosciuto dove avvenivano
questi scambi è certamente Çatal Hüyük in Turchia, e i legami familiari furono
motivi significativi nella individuazione di partner preferenziali nello
scambio sociale, infatti, non va sottovalutata l’importanza delle alleanze e
dei comportamenti cerimoniali. La ceramica fine e gli oggetti di ornamento, ad
esempio le conchiglie, sono spesso rinvenuti in ambienti rituali o cerimoniali,
e questi rituali possono anche aver fornito una favorevole circostanza per lo
scambio sociale di ossidiana e di altri manufatti pregiati, ad esempio le asce.
L’estesa rete di scambi che si è formata nel Neolitico, mise in comunicazione,
integrandole, le comunità sedentarie agricole, e ciò fu possibile grazie allo
scambio cerimoniale di doni e le abitudini nel mangiare e nel bere a esse
associati. Il cambiamento cronologico nei manufatti di prestigio avviene in tre
fasi: inizialmente, la produzione ceramica cardiale fu una tecnologia
innovativa, con botteghe diffuse soprattutto nelle zone costiere;
successivamente, si aggiunge l’ossidiana, un materiale raro che presuppone
scambi a largo raggio; infine, si inizia a notare la comparsa del metallo nelle
isole e nel continente, in associazione con le prime tombe monumentali. Sebbene
si debba essere cauti nell’estrarre informazioni sociali ed economiche
dall’analisi dei modelli di distribuzione dei materiali in pietra, per far
derivare una serie di modelli strutturati che integrano funzioni sociali e
utilitaristiche entro specifici sistemi di scambio è necessaria per
interpretare la questione dei traffici nelle antiche società. L’analisi di una
corposa quantità di oggetti, consente un controllo cronologico dei giacimenti
sfruttati e la comprensione dei cambiamenti dinamici avvenuti temporalmente e
geograficamente.
Nell’area
mediterranea, l’ossidiana è presente in buona quantità in quattro giacimenti di
isole italiane: Lipari, Palmarola, Pantelleria e Sardegna, e per quest'ultima c'è da osservare che possiede i giacimenti geologicamente più antichi del Mediterraneo. Si conoscono altri
piccoli depositi nei Carpazi, nel Sud-Est della Slovacchia e nel Nord-Est
dell’Ungheria, fornitori di alcuni manufatti ritrovati nel Nord dell’Italia.
L’ossidiana di Melos è presente solo in un sito a Ovest della penisola
Balcanica e alcuni pezzi di ossidiana anatolica sono stati trovati nell’Europa
Orientale e in Grecia. Lipari, situata a 30 km a Nord della Sicilia orientale,
è la più vasta delle Isole Eolie,e produce ossidiana nera e trasparente di
eccellente qualità. Sebbene le più antiche colate di ossidiana delle isole Eolie siano presenti
ad Acquacalda, Vallone Gabbellotto e Monte della Guardia, sappiamo che Gabellotto
fu il principale giacimento utilizzato nell’antichità. Palmarola è la più
occidentale fra le isole Pontine, localizzate a Ovest di Napoli nel Golfo di
Gaeta, circa 35 km dalla terraferma. La presenza di ossidiana è confermata a
Sud del Monte Tramontana lungo una linea montuosa che attraversa tutta l’isola,
e nella costa orientale sino all’estremità sud-orientale di Punta Vardella dove
si rinviene in blocchi neri, opachi, delle dimensioni di un pugno. Pantelleria,
una piccola isola di 100 kmq nello Stretto di Sicilia, 90 km a Est di Capo Bon,
in Tunisia, offre rocce peralcaline, e un’ossidiana verdastra facilmente
riconoscibile, ricca di Sodio e Ferro chiamata Pantellerite. Sono presenti cinque
gruppi di giacimenti: tre differenziati verticalmente, esposti a Balata dei
Turchi; gli altri due a Gelkhamar e Lago di Venere. E’ rilevante notare che,
come Palmarola, Pantelleria non fu abitata durante il Neolitico. La Sardegna, a
differenza delle altre isole del Mediterraneo con giacimenti di ossidiana, è un
territorio vasto con un’area di 24.000 kmq e insediamenti datati dal
Paleolitico Superiore. L’ossidiana del complesso vulcanico di Monte Arci sono
stati descritti dal La Marmora nel 1840 ma una dettagliata ricognizione fu
condotta da Puxeddu solo nel 1958 per la sua Tesi archeologica presso
l’Università di Cagliari. In un’area di 200 kmq che comprende 19 paesi, lo
studioso indicò 246 siti con ossidiana, inclusi quattro che classificò come
giacimenti. A seguito di ricognizioni geologiche dettagliate , furono caratterizzati
chimicamente i vari affioramenti di ossidiana. E’ stato dimostrato che tutte le
distinzioni archeologicamente significative fra i giacimenti di ossidiana del Mediterraneo
possono essere fatte in base alla maggiore o minore composizione di elementi,
permettendo analisi quantitative poco costose e minimamente distruttive,
utilizzando una microsonda elettronica, ed è stato scoperto che la frequenza di
ciascun giacimento di ossidiana può essere ragionevolmente valutata da un
semplice esame visuale, salvaguardando l’integrità del pezzo.
Oggetti di ossidiana sono stati identificati in oltre 1000 siti archeologici mediterranei,
con manufatti particolarmente abbondanti nelle isole che hanno i giacimenti. In
netto contrasto con il Mediterraneo orientale, l’uso dell’ossidiana è
strettamente associato con civiltà agro-pastorali che utilizzano la ceramica. I
gruppi di manufatti provenienti da vecchie collezioni rappresentano scarsamente
le piccole schegge ottenute dalla riduzione durante la lavorazione, mentre
aumentano la probabilità che ogni manufatto raccolto rappresenti un differente
momento di lavorazione. Inoltre, i manufatti conservati nelle vetrine dei
musei, provengono da una selezione soggettiva fatta dagli archeologi e spesso
non sono stati raccolti nello stesso sito, con conseguente compromissione di
un’interpretazione corretta del sito di provenienza. In Sardegna, possiamo distinguere tra la zona
di Monte Arci e il resto dell’isola, dove l’ossidiana arrivava indirettamente,
ossia con gli scambi. Puxeddu identificò sul Monte Arci 11 centri di raccolta e
74 siti di lavorazione, basandosi sulle forme rinvenute in ciascuno: nuclei,
strumenti da taglio, schegge e lame. L’ossidiana continuò a essere importante
materia durante il Rame e il Bronzo, ma non sappiamo se fosse prelevata
direttamente dai giacimenti oppure riciclata dalle precedenti occupazioni del
sito. In Europa e nelle regioni del
Mediterraneo, il numero dei siti con ossidiana analizzata è considerevole,
includendo 37 in Francia e oltre 100 in Italia e Sicilia. I manufatti rinvenuti
più regolarmente si trovano nei siti del Neolitico Medio Francese, Chasséen, in
forma di lame, schegge e nuclei. Le determinazioni di provenienza di 143
manufatti di ossidiana dai siti francesi mostrano una prevalente origine dalla
Sardegna. Soltanto 24 dei manufatti analizzati proviene da Lipari, e la maggior
parte di essi appare in contesti del Neolitico più antico. L’ossidiana sarda
potrebbe aver raggiunto il Sud della Francia per diverse vie: direttamente dal
Monte Arci, per la Corsica, oppure per la Toscana e la Liguria, con le prime
due possibilità che suggeriscono esperienza e capacità nelle traversate in mare
aperto. Tuttavia, l’ossidiana potrebbe anche
essere pervenuta dalle regioni dell’Italia settentrionale, trasportata lungo
vie dell’interno, della costa o fluviali insieme ad animali e prodotti
vegetali. Giacché l’ossidiana di due o tre differenti giacimenti del Monte Arci
viene comunemente trovata in siti del Nord Italia, Corsica e nell’area di
Oristano, la concentrazione nel Sud della Francia può essere spiegata soltanto con
una selezione consapevole nel corso dell’acquisizione dai vicini tramite
procacciatori che frequentavano le zone di approvvigionamento.
Specifici tipi di roccia furono selezionati per utensili di pietra lavorata,
con frequenze ampiamente differenti nelle aree confinanti della Francia, suggerendo
che la disponibilità e la qualità delle materie prime non furono i soli fattori
che influenzarono la selezione. Non è stata ancora identificata, in Francia,
ossidiana di Palmarola, ma sono noti due eccezionali pezzi di ossidiana di
Pantelleria dalla tomba dolmenica di San Sebastien, del Neolitico Finale, circa
850 km in linea d’aria dal loro giacimento. L’assenza di ossidiana di Palmarola
offre un aiuto all’ipotesi di una selezione dell’ossidiana traslucida
effettuata in Francia e a ripetuti approvvigionamenti dalla Sardegna passando
dalla Corsica piuttosto che una “Via” che attraversava Toscana e Liguria. L’ossidiana
di Palmarola è stata identificata in diversi siti nell’Italia centrale
peninsulare, nell’area foggiana del Tavoliere e fino a Sud del Golfo di Taranto,
nella Grotta Sant’Angelo di Cosenza. Anche l’ossidiana trovata a S. Domino
nelle Isole Tremiti è stata attribuita a Palmarola. L’ossidiana sarda sembra
non aver successo nelle coste orientali dell’Italia, benché annoveri tutti
eccetto uno i 25 campioni analizzati della Regione dei Laghi a Nord del fiume
Po. Nell’area di Trieste, nella parte superiore dell’Adriatico, la maggior
parte dell’ossidiana proviene da Lipari, e solo pochi reperti provengono dai
giacimenti di Palmarola e dei Carpazi. Un paio di pezzi di ossidiana anatolica
sono stati segnalati in Grecia e nell’Est europeo, ma i giacimenti dei Carpazi
sono probabilmente da tenere in maggior conto per la maggior parte dei
rinvenimenti della Dalmazia. L’ossidiana è stata trovata più sporadicamente in
Albania, e in questo caso l’origine può essere il giacimento di Melos.
Nell’Italia meridionale, il giacimento di Lipari copre tutta l’ossidiana
analizzata fino ad oggi, forse perché materiali litici alternativi non erano
disponibili localmente. Anche se i siti possono essere a più di 100 km dal
giacimento di Lipari, i nuclei venivano scartati ad uno stadio di lavorazione precedente
rispetto al Nord Italia dove essi sarebbero stati, invece, molto più preziosi.
Forti paralleli fra la ceramica del Neolitico di Calabria, Sicilia e Isole
Eolie legano queste regioni in una singola unità culturale, distinta dalla
Puglia e dalle altre aree dell’Italia meridionale. Fino ad oggi, non un singolo
frammento di ossidiana del Mediterraneo centrale è stato identificato a Est del
tacco della Penisola Italiana. Tutta l’ossidiana trovata a Malta proviene da
Lipari e Pantelleria, non da Melos. In Sicilia, quasi tutta l’ossidiana proveniva
da Lipari, ma solo pochi siti sono stati analizzati, e salta all’occhio il
fatto che ben il 40% dei 152 manufatti di ossidiana dalla Grotta dell’Uzzo
provengono, stranamente, da Pantelleria, un risultato sorprendente se
l’ossidiana era la sola risorsa ottenuta dopo una così lunga traversata in mare
aperto. L’ossidiana di Pantelleria è stata identificata anche in contesti del
Bronzo a Monte Cofano (Trapani) e sull’isola di Ustica a Nord. Considerando
anche gli sporadici rinvenimenti di Villa Badessa e San Sebastien, sembra che
l’ossidiana di Pantelleria sia stata diffusa più ampiamente a Nord piuttosto
che nel continente Nordafricano. In effetti, una rotta costiera Nordafricana
potrebbe aver rifornito di animali domesticati e di vegetali la Sicilia e la
Penisola Italiana, con una traversata in mare aperto di circa 150 km fra Capo
Bon ed il Sud-Ovest della Sicilia. Tuttavia, se traversate regolari ebbero
luogo, ci si aspetterebbe che anche Pantelleria sia stata visitata spesso, come
risulta nella distribuzione di una significativa quantità del prezioso
materiale. Pantelleria, a soli 90 km dalle coste della Tunisia, si presume che
sia stata la fonte della maggior parte di ossidiana trovata in Nord Africa. Per
quest’area, diversi campioni sono stati analizzati nel 1976 e indicano che
Lipari era il deposito dell’ossidiana dei manufatti trovati in un sito
dell’interno, mentre Pantelleria era il giacimento che riforniva la regione di
Biserta. Naturalmente, la vicinanza di Pantelleria alle coste della Tunisia ne
fa il più probabile giacimento di ossidiana, poiché Lipari è considerevolmente
più lontana, oltre 400 km.
Immagini di Giovanni Boassa. Il foliato gigante su sfondo rosso è in selce.
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