Studi di Angela Demontis
venerdì 2 dicembre 2016
Archeologia. Il popolo di bronzo: i sardi, 3000 anni fa, rappresentarono i loro guerrieri e i loro sacerdoti nei celebri bronzetti nuragici.
Archeologia. Il
popolo di bronzo: i sardi, 3000 anni fa, rappresentarono i loro guerrieri e i
loro sacerdoti nei celebri bronzetti nuragici.
Studi di Angela Demontis
Studi di Angela Demontis
Potrebbe
capitarvi, in giro per la Sardegna, di esservi imbattuti in una mostra
itinerante presso i musei nella quale un’artista sarda, Angela Demontis, ha ricostruito a dimensione reale armi, utensili e l’abbigliamento
dei bronzetti nuragici, dando ai modelli proporzioni umane, così da offrire ai
visitatori le meraviglie e i segreti rimasti per secoli nello scrigno delle
nostre nonne. Oggi questi personaggi sono visibili nella mostra permanente a
Cagliari, nel Palazzo Regio del quartiere storico Castello. Una mostra unica nel suo genere che ha attirato
l'attenzione dei visitatori e il riconoscimento del mondo accademico. Tutti
gli elementi esposti sono stati studiati e riprodotti riportando a proporzione umana
i particolari visibili sui bronzetti. Un connubio tra
archeologia sperimentale
e arte legati insieme da rigore scientifico e filologico. Si tratta di 10
personaggi e 16 pannelli esplicativi con testo in italiano, sardo e inglese.
I
personaggi prendono vita e nella ricomposizione della società antica, uomini e
donne di diverso ceto e mestiere, si offrono in visione, costituendo uno
spaccato di vita vissuta dell’età del Ferro, strizzando l’occhio ai leggendari
guerrieri dell’epoca del Bronzo, quando i temibili spadaccini shardana
costituivano la guardia reale del faraone Ramesse.
Lo
studio dell’esercito di bronzo ci mostra come dovevano essere abbigliate le
persone in epoca nuragica, come una sorta di scatti fotografici dell’epoca.
Attraverso l’analisi delle incantevoli statuette esposte nei musei si
acquisiscono informazioni sul gusto estetico e sull’articolazione della
società.
Il
costume doveva essere identificabile da lontano e caratterizzava un gruppo
etnico, lo stato sociale o il mestiere praticato. In alcuni casi è possibile
notare analogie in abiti, armi o accessori, che testimoniano uno scambio
culturale fra popoli diversi. Già Lilliu, nel 1966 nella sua opera “Sculture
della Sardegna Nuragica” evidenziava le diverse influenze culturali e le
specificità delle tribù.
Le
statuette femminili raffigurano donne coperte dalla testa ai piedi con lunghe
tuniche e mantelli, mentre gli uomini vestono abiti corti e indossano spesso
bandoliere che sostengono pugnaletti ad elsa gammata. Lo studio delle armi
acquisisce importanza per capire il ruolo dei personaggi. Allo stesso modo, il
cromatismo simbolico ancora persistente nelle produzioni artigianali della
tradizione sarda e gli affreschi che rappresentano personaggi dell’Etruria (in
particolare a Tarquinia) mostrano le strette relazioni fra antichi sardi ed
etruschi.
Altro
elemento caratteristico della mostra è costituito dai copricapo maschili e
femminili, di varie fogge e colori, nonché le acconciature che fuoriescono e
mostrano una cura nei dettagli che suggerisce una maestria tecnica
difficilmente raggiungibile anche ai nostri giorni.
Fra
le rappresentazioni a grandezza naturale confezionate dalla Demontis, sono
rimasto affascinato da tre personaggi: l’arciere che presenta l’arco di tipo
piatto come nelle statue in arenaria e la placca pettorale di protezione, il
“guerriero di Uta” e, pur non essendo rappresentato fra i modelli della mostra,
il “pugilatore di Dorgali” (visibile nell'immagine), ambedue rappresentati
anche nella grande statuaria in pietra di Monte Prama, pur se il primo è di
difficile interpretazione in quanto l’armatura è priva di spada (si notano solo
i decori incisi nel corpo a evidenziare le protezioni) ma gli elementi che sono
inequivocabilmente attribuibili all’oplita sono lo scudo piatto, come i 4 da
assemblare trovati a Monte Prama, e l’elmo con la cresta fornito di corna brevi
rivolte in avanti, anch’esso fra i reperti di Monte Prama.
Per
questo guerriero la Demontis riporta un passo descritto da Omero nell’Iliade
che parla dell’imbottitura dell’elmo di Ulisse: “Merione…in capo gli pose un
casco fatto di cuoio…di fuori denti bianchi di verro…lo coprivano…in mezzo era
aggiustato del feltro”. La lana di pecora compressa e infeltrita era dunque
d’uso in antichità per il rivestimento interno e, in alcuni casi, all’esterno
vi erano denti di cinghiale, come nella testina in avorio esposta al museo di
Cagliari.
Il
pugilatore-corridore, come si nota nell’immagine, era armato di maglio
metallico, un’arma micidiale sul campo di battaglia, particolarmente utile nel
corpo a corpo.
Fra
gli altri personaggi, spicca un guerriero che utilizza uno strano bastone
angolato, realizzato in legno di castagno. L’arma, chiamata amat, quando veniva
lanciata compiva una traiettoria parabolica, ma non tornava indietro come
invece fa il boomerang. Queste armi sono ritratte in affreschi tombali egizi
risalenti al 1930 a.C. (tomba di Amenemath della XII dinastia) e sono state
ritrovate nel corredo funerario di Tutankamon (XIII dinastia) datate al 1340
a.C. Data la sua angolatura, l’arma poteva essere utilizzata anche nel corpo a
corpo come mazza, per aggirare le protezioni dell’avversario oppure colpirlo
alle gambe per farlo cadere. Questa mazza è citata in alcuni testi antichi,
come la Metamorfosi di Ovidio: “Insegue il bersaglio in una corsa che non è
guidata dal caso, e a volte torna indietro, insanguinata, da sola”, e Virgilio
nell’Eneide ne attribuisce l’uso a popolazioni germaniche: “sono abituati a
lanciare la cateia, alla maniera dei Teutoni”.
La
concia e la lavorazione delle pelli era una delle attività principali delle
popolazioni nuragiche. Pelle, tendini, corna, zoccoli venivano trasformati in
manufatti di grande utilità. A queste lavorazioni era collegata la preparazione
di sostanze collanti, a partire dagli scarti di macellazione e di scuoiatura
dell’animale. C’erano anche collanti di origine vegetale, soprattutto le resine
delle conifere, usate pure miscelate alla cenere per diventare pece. I collanti
erano indispensabili per il fissaggio delle lame e per l’assemblaggio di
utensili.
La
filatura, la tessitura e la colorazione dei tessuti erano svolti dalle donne.
Per confezionare mantelli, gonne e corpetti si usavano tessuti di fibra
vegetale come il lino, l’ortica e la ginestra odorosa. Si maceravano le fibre
per eliminare le impurità, si lasciavano essiccare e poi si spazzolavano con un
cardo selvatico (cardatura) molto pungente per eliminare i grovigli. Pronte per
essere filate, le fibre venivano attorcigliate e, con l’ausilio del fuso,
trasformate in un filo ininterrotto che si usava direttamente per la tessitura
o veniva colorato con sostanze vegetali ricavate da corteccia, radici o foglie.
Il colore veniva fissato con mordenti, ossia urina, tannini, argilla o allume
di rocca (solfato di potassio e alluminio). Quindi veniva tinto macerandolo in
acqua calda o fredda insieme alla pianta sminuzzata. Dopo accurata asciugatura
il filato era pronto per essere lavorato al telaio.
Il
lavoro della Demontis è arricchito di un capitolo dedicato al legno, una delle
materie prime più utilizzate dai popoli della preistoria, per la facilità di
reperimento e la versatilità della sua lavorazione, che forniva manufatti per
ogni attività della vita quotidiana. Dalle navi alle coperture delle capanne
nuragiche, dai carri ai gioghi per buoi e ai traini, dalle armi (archi e
frecce) ai manici delle zappe, asce e contenitori di varia natura, dai mobili
alle cassapanche, dai telai agli oggetti di uso domestico, come mestoli, pale
da forno e taglieri. Allo stesso modo i manufatti ad intreccio mostrano
sapienza nella scelta delle fibre vegetali e maestria nella lavorazione.
Raccolte, scorticate, essiccate e tagliate a strisce, queste fibre venivano
intrecciate per fabbricare cordame e cesteria, una tecnica rimasta immutata nel
tempo e usata ancora oggi dai nostri artigiani.
Nell'immagine
un disegno dell'artista Angela Demontis: Il pugilatore
La
foto è al link: https://c1.staticflickr.com/5/4117/4885557754_574853e91a_b.jpg
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