sabato 30 aprile 2016
Archeologia. Il Toro, un simbolo divino in Sardegna e nelle civiltà a base agricola
Archeologia. Il Toro, un simbolo divino in Sardegna e nelle civiltà
a base agricola
di Enio Pecchioni e
Giovanni Spini
Prima di parlare della
Sardegna, ci sembra doveroso un rapido excursus per
mettere in evidenza l’importanza del toro nelle antiche culture mediterranee e
indoeuropee.
Nel 1851, Auguste Mariette
cominciò a scavare a Saqqara presso la piramide a gradoni eretta dal faraone
Zoser attorno al 2750 a.C., facendo una delle più straordinarie scoperte di
tutta la storia dell’archeologia: il cimitero sotterraneo dei tori Api.
Il toro rappresentava la forza
creatrice della natura, in particolare del Sole. Infatti, nelle raffigurazioni
in cui ci sono state tramandate le loro immagini, i tori portano il disco
solare tra le corna. Il toro Api si confonde anche con Osiride, il dio della
resurrezione dell’anima; questo animale aveva, perciò, molta importanza
nell’antico Egitto. Nel recinto sacro, a Saqqara, si teneva racchiuso, protetto
e adorato fino alla morte, un magnifico esemplare di toro che secondo la
leggenda dimagriva e ingrassava a seconda delle fasi lunari e aveva una
macchia bianca sulla fronte a forma di mezzaluna; al momento del trapasso,
veniva mummificato e sepolto con una solenne cerimonia alla quale partecipava
tutto il popolo. Ma subito, un nuovo toro lo sostituiva, a significare la
continuità della vita sulla terra. Il toro era venerato anche a
Cipro, in diverse località della Grecia continentale e nell’altopiano
anatolico. In tutti i paesi celtici l’animale rappresentava uno dei simboli
della regalità. Mitra, divinità di origine persiana, uccide il toro primordiale
affinché dallo spargimento del suo
venerdì 29 aprile 2016
Archeologia. Trovato un raro scarabeo egizio a Tel Dor, in Israele
Archeologia. Trovato un raro scarabeo egizio a Tel Dor, in Israele
di Grazia Terenzi
I ricercatori
dell'Università israeliana di Haifa hanno annunciato di aver trovato un raro
sigillo a forma di scarabeo, risalente a 3700 anni fa, a Tel Dor, un
antico porto molto importante sulla costa sud di Haifa.Si pensa che il sigillo appartenesse a un funzionario egiziano della XIII
Dinastia, vissuto nel XVIII a.C.
Il nome del
funzionario, presente sull'amuleto, non è ancora stato decifrato. In compenso è
stata decifrata la sua carica che suona come "che è sopra il tesoro".
Lo scarabeo apparteneva certamente a una persona di alto rango, probabilmente un vicerè del tesoro reale. Il ruolo del proprietario del sigillo era simile a quello rivestito dal biblico Giuseppe nel suo soggiorno egiziano. Tel Dor era una città portuale molto importante che rimase tale per migliaia di anni, fino a che i Romani costruirono Cesarea.
Tra le teorie su come lo scarabeo si a giunto a Tel Dor, vi sono quella che vuole che il proprietario fosse in visita alle autorità del posto oppure che l'oggetto sia arrivato in un secondo momento, più avanti nel tempo, quando, durante il periodo romano, gli antiquari dell'epoca venivano subissati dalle richieste di oggetti dell'antico Egitto.
Lo scarabeo è stato trovato fuori contesto e, probabilmente, non si verrà mai a sapere quanto e come sia arrivato a Tel Dor.
Lo scarabeo apparteneva certamente a una persona di alto rango, probabilmente un vicerè del tesoro reale. Il ruolo del proprietario del sigillo era simile a quello rivestito dal biblico Giuseppe nel suo soggiorno egiziano. Tel Dor era una città portuale molto importante che rimase tale per migliaia di anni, fino a che i Romani costruirono Cesarea.
Tra le teorie su come lo scarabeo si a giunto a Tel Dor, vi sono quella che vuole che il proprietario fosse in visita alle autorità del posto oppure che l'oggetto sia arrivato in un secondo momento, più avanti nel tempo, quando, durante il periodo romano, gli antiquari dell'epoca venivano subissati dalle richieste di oggetti dell'antico Egitto.
Lo scarabeo è stato trovato fuori contesto e, probabilmente, non si verrà mai a sapere quanto e come sia arrivato a Tel Dor.
Fonte: Le Nebbie del Tempo
giovedì 28 aprile 2016
Honebu. Archeologia in Villa a Cagliari.
Honebu. Archeologia in Villa a Cagliari.
La splendida location di Villa Vivaldi Pasqua, nel cuore di Cagliari, tra la Via Bacaredda e la Via San Giovanni, di fronte al Conservatorio e al mercato di San Benedetto, ospiterà la presentazione del nuovo libro di Pierluigi Montalbano dedicato alla storia dei Fenici.
L'organizzazione dell'evento è stata curata dall'Associazione Culturale Honebu.
L'appuntamento, con ingresso libero, è per domani, Venerdì 29 Aprile alle ore 18.30, quando saranno aperti i cancelli della villa per una visita negli splendidi giardini.
Alle ore 19 inizierà il racconto dell'autore sul tema: "Porti e Approdi nel Mediterraneo antico", con proiezione di immagini e illustrazione delle tracce lasciate da questi intrepidi naviganti circa 3000 anni fa. Si potrà ammirare il primo libro dell'antichità, trovato in un relitto del 1350 a.C., una serie di amuleti, di gioielli e di ceramiche di epoca fenicia, sarà raccontata la nascita di città come Tiro, Sidone, Biblos, Cartagine, Cadice e saranno mostrati i riti funerari utilizzati dalle genti dell'età del Ferro.
Il sito per vedere le foto di Villa Vivaldi Pasqua è : http://www.villavivaldi.it
La Villa situata nel quartiere storico di Villanova appartenne ai Vivaldi marchesi di Trivigno e Pasqua già nella seconda metà del Settecento. I Vivaldi appartenevano a una nobile casata ligure che si trasferì in Sardegna nel Seicento per gestire le tonnare e le peschiere isolane di loro proprietà. Nel 1802, per volontà del figlio Pietro Vivaldi, il piccolo nucleo iniziale fu abbellito, ingrandito e trasformato in una lussuosa Villa degna di un Marchese.
Cinque grandi arcate in pietra a tutto sesto delimitano il giardino pensile che si estende su un terrapieno chiuso da scenografiche quinte in muratura; in fondo al giardino sorge la Villa il cui ingresso è sovrastato da una finestra con balcone a ringhiera in ferro battuto, ornata da stucchi con lo stemma della casata, lo scudo con l'aquila coronata. Sulla porta d'ingresso è scolpito un bassorilievo raffigurante un moro incatenato che si dibatte fra le onde del mare, ricordo delle lotte con i pirati arabi che infestavano le coste della Sardegna, ed in particolare Portoscuso, dove i Vivaldi avevano una delle loro tonnare. All'interno è presente un pregevole esempio di pittura murale del periodo: policroma finemente decorata e adornata da motivi fitomorfi. Una scalinata a doppia rampa collega il giardino con gli Orti, ora ampi prati con grandi gazebo, e la Scuderia, altro pregevole esempio di architettura del periodo, costituita da cinque campate con volte a vela ottenute con mattoni pieni a vista finemente restaurati, sostenute da pilastri con capitelli in tufo. Le aperture anticamente adibite al passaggio delle carrozze e dei cavalli sono state chiuse nel tempo poiché altre costruzioni sono state affiancate e oggi sono trasformate in nicchie con vetrine incorniciate dal tufo originale ripristinato.
Cinque grandi arcate in pietra a tutto sesto delimitano il giardino pensile che si estende su un terrapieno chiuso da scenografiche quinte in muratura; in fondo al giardino sorge la Villa il cui ingresso è sovrastato da una finestra con balcone a ringhiera in ferro battuto, ornata da stucchi con lo stemma della casata, lo scudo con l'aquila coronata. Sulla porta d'ingresso è scolpito un bassorilievo raffigurante un moro incatenato che si dibatte fra le onde del mare, ricordo delle lotte con i pirati arabi che infestavano le coste della Sardegna, ed in particolare Portoscuso, dove i Vivaldi avevano una delle loro tonnare. All'interno è presente un pregevole esempio di pittura murale del periodo: policroma finemente decorata e adornata da motivi fitomorfi. Una scalinata a doppia rampa collega il giardino con gli Orti, ora ampi prati con grandi gazebo, e la Scuderia, altro pregevole esempio di architettura del periodo, costituita da cinque campate con volte a vela ottenute con mattoni pieni a vista finemente restaurati, sostenute da pilastri con capitelli in tufo. Le aperture anticamente adibite al passaggio delle carrozze e dei cavalli sono state chiuse nel tempo poiché altre costruzioni sono state affiancate e oggi sono trasformate in nicchie con vetrine incorniciate dal tufo originale ripristinato.
mercoledì 27 aprile 2016
Archeologia nella preistoria. Dolmen e Menhir, le pietre sacre del Salento
Archeologia nella preistoria. Dolmen e Menhir, le pietre
sacre del Salento
di Lory Larva
Dolmen e Menhir, epicentri
arcani di aree sacre primordiali, dove venivano officiati riti alle divinità
del cielo e della terra, si nascondono all’ombra di ulivi millenari. Scenari
rievocanti l’anima oscura del mondo si spalancano alla vista di dolmen, menhir
e menanthol, che imperturbabili aspettano di risvegliarsi da un letargo
atavico, dopo essere stati colpiti dal sortilegio del tempo che divora tutte le
cose che crea.
Percorrendo il Salento in
lungo e in largo si fanno incontri ravvicinati con questi giganti di pietra,
depositari di antichi segreti, che si perdono nella notte dei tempi,
allorquando risuonavano nel ventre della terra sonorità ancestrali riprodotte
da inquietanti sciamani, che, oltre a praticare riti di guarigione,
sovrintendevano a quelli di iniziazione segnati
dall’impressione delle mani sulle volte delle grotte-santuario come quella dei
Cervi di Porto Badisco considerata per il suo repertorio pittorico come la
cappella Sistina della Preistoria. Imponenti e maestosi con il loro fardello
pesante come un macigno, dolmen e menhir ti aspettano al varco, immobili e
silenziosi, incutendo un certo timore reverenziale, non solo per le loro forme
stupefacenti e le loro dimensioni mastodontiche, ma
martedì 26 aprile 2016
Archeologia e natura. Gairo Taquisara, il paradiso terrestre è quì.
Archeologia e natura. Gairo
Taquisara, il paradiso terrestre è quì.
Nel piccolo centro montano di Gairo Taquisara, in località Is Tostoinus, a circa 1.000 metri s.l.m., oltre alla presenza
di vecchi Cuiles, particolari
edifici rurali in pietra e legno che furono per secoli le abitazioni dei
pastori sardi, è presente un complesso sistema di edifici pubblici,
strutture funerarie, una fonte, canalizzazioni per l’acqua e capanne di epoca
nuragica (XV-IX a.C.).
Attraversando il tacco calcareo coperto da un bosco
di leccio si giunge in cima dove è ubicata l’area
sacra Perdu Isu, con ripostiglio a cisterna e una serie di
strutture funzionali alla conservazione di offerte votive e derrate alimentari
destinate, secondo gli studiosi, a un santuario dedicato alle divinità del
cielo. La roccia a strapiombo domina la vallata scistosa del Riu
Pardu ed è costellata da immensi menhir
naturali. L’itinerario inizia lungo il sentiero di Perdu
Isu, in prossimità della diga artificiale che genera
il laghetto Genna Orruali. Dopo 1 km si
trova il capanno Is Tostoinus, realizzato su
una
lunedì 25 aprile 2016
Archeologia. Le straordinarie competenze dei sardi nuragici nell’ingegneria idraulica.
Archeologia. Le straordinarie
competenze dei sardi nuragici nell’ingegneria idraulica.
Franco Campus è un archeologo
impegnato anche nella divulgazione, è stato tra gli ideatori della mostra di
successo “La Sardegna nuragica. Miti e simboli di una civiltà mediterranea”. «Sopra
il pozzo doveva esserci una struttura. Pertanto è pacifico che nessun raggio di
sole nè bagliore di luna poteva specchiarsi all'interno – dice Campus–. Il foro
superiore, come nel caso di Santa Cristina era, in altre parole, sovrastato da
muratura che era poi la parte architettonica isodoma e sicuramente decorata.
Tutto ciò ovviamente vale anche per i nuraghi che avevano terrazzo e
ballatoio». Per l’archeologo uno dei tratti salienti e distintivi della civiltà
nuragica è costituito proprio dalle architetture riservate al culto e la
ritualità dell’acqua.
«Tra gli edifici che spiccano per raffinatezza
costruttiva, si segnalano i pozzi e le fonti sacre – precisa Franco Campus– .
Si tratta di strutture costruite spesso con le facce ben lavorate che si differenziano
sostanzialmente per la scala, esclusiva dei pozzi e assente nelle fonti, dove
la vena sorgiva era più
domenica 24 aprile 2016
Sa die de Sa Sardigna, il giorno dedicato al popolo sardo.
Sa die de Sa Sardigna, il giorno dedicato al popolo sardo.
Sa die de sa Sardigna è la
festa del popolo sardo che ricorda i cosiddetti "Vespri Sardi", cioè
l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794 con il quale si allontanarono da
Cagliari i Piemontesi e il viceré Balbiano in seguito al rifiuto del governo
torinese di soddisfare le richieste dell'isola titolare del Regno di Sardegna.
I Sardi chiedevano che venisse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale. Il governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la borghesia cittadina con l'aiuto del resto della popolazione scatenò il moto insurrezionale.
Il movimento di ribellione era iniziato già negli anni Ottanta del Settecento ed era proseguito negli anni Novanta toccando tutta l'isola. Le ragioni erano di ordine politico ed economico insieme.
Il motivo del malcontento popolare era dovuto anche al fatto che la Sardegna era stata coinvolta nella guerra della Francia rivoluzionaria contro gli stati europei e dunque contro il Piemonte. Nel 1793 una flotta francese aveva tentato di impadronirsi dell'isola, sbarcando a Carloforte e insistendo successivamente anche a Cagliari. I Sardi però opposero resistenza con ogni mezzo, in difesa della loro terra e dei Piemontesi che dominavano allora in Sardegna. Questa resistenza ai Francesi aveva entusiasmato gli animi, perciò ci si aspettava un riconoscimento ed una ricompensa dal governo sabaudo per la fedeltà dimostrata alla Corona.
La scintilla che fece esplodere la contestazione fu l'arresto ordinato dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Siamo appunto al 28 aprile del 1794: la popolazione inferocita decise di allontanare dalla città il viceré Balbiano e tutti i Piemontesi, che nel mese di maggio di quell'anno furono imbarcati con la forza e rispediti nella loro regione. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto.
I Sardi chiedevano che venisse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale. Il governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la borghesia cittadina con l'aiuto del resto della popolazione scatenò il moto insurrezionale.
Il movimento di ribellione era iniziato già negli anni Ottanta del Settecento ed era proseguito negli anni Novanta toccando tutta l'isola. Le ragioni erano di ordine politico ed economico insieme.
Il motivo del malcontento popolare era dovuto anche al fatto che la Sardegna era stata coinvolta nella guerra della Francia rivoluzionaria contro gli stati europei e dunque contro il Piemonte. Nel 1793 una flotta francese aveva tentato di impadronirsi dell'isola, sbarcando a Carloforte e insistendo successivamente anche a Cagliari. I Sardi però opposero resistenza con ogni mezzo, in difesa della loro terra e dei Piemontesi che dominavano allora in Sardegna. Questa resistenza ai Francesi aveva entusiasmato gli animi, perciò ci si aspettava un riconoscimento ed una ricompensa dal governo sabaudo per la fedeltà dimostrata alla Corona.
La scintilla che fece esplodere la contestazione fu l'arresto ordinato dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Siamo appunto al 28 aprile del 1794: la popolazione inferocita decise di allontanare dalla città il viceré Balbiano e tutti i Piemontesi, che nel mese di maggio di quell'anno furono imbarcati con la forza e rispediti nella loro regione. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto.
Fonte: www.sardegnacultura.it
sabato 23 aprile 2016
Archeologia. I Fenici, gli intrepidi mercanti del'antico Mare Mediterraneo.
Archeologia. I Fenici, gli intrepidi mercanti dell'antico Mare Mediterraneo.
di Pierluigi Montalbano
In attesa della conferenza di Venerdì 29 Aprile, nella magica cornice di Villa Vivaldi Pasqua a Cagliari, ho pensato di offrire qualche spunto sul tema che sarà trattato: la navigazione commerciale. Naturalmente tutti i lettori sono invitati a partecipare. Ingresso gratuito.
Verso la fine del II millennio a.C. in tutto il Mare Mediterraneo aumentò notevolmente la richiesta di metalli, soprattutto rame e stagno per ottenere il bronzo, e la difficoltà di reperimento spinse i commercianti oltre i confini naturali segnati dallo Stretto di Gibilterra. Lo stagno era raro e
proveniva prevalentemente dalle mitiche Isole Cassiteriti, lungo le rotte marittime che attraversavano le coste atlantiche e giungevano in Cornovaglia e Bretagna. Per quanto riguarda il rame, le miniere più importanti si trovano a Cipro e in Sardegna, ed è ipotizzabile che le flotte mercantili fossero
specializzate nel trasporto, in sicurezza, di lingotti e panelle in rame. Questi traffici contribuirono al
mescolamento di uomini e idee, e favorirono il progresso, arricchendo soprattutto gli intermediari e le
popolazioni costiere. Le autostrade del mare erano sicure ma qualche atto di pirateria accadeva
certamente, pertanto è verosimile che ci fossero genti specializzate nella difesa delle navi da carico e
flotte militari assoldate dai commercianti per evitare il rischio di essere derubati. In Sardegna, il
giacimento in rame di Funtana Raminosa forniva notevoli quantità di rame di ottima qualità ma non era sufficiente per fondere tutto il bronzo necessario per il consumo interno, pertanto i Sardi, proprietari delle miniere d’argento, scambiavano questo prezioso metallo per approvvigionarsi di rame cipriota, meno pregiato di quello sardo ma altrettanto valido per la miscelazione con lo stagno. Oggi, in tutto il mondo, è l’oro il metallo di riferimento ma anticamente l’argento e il rame erano i
di Pierluigi Montalbano
In attesa della conferenza di Venerdì 29 Aprile, nella magica cornice di Villa Vivaldi Pasqua a Cagliari, ho pensato di offrire qualche spunto sul tema che sarà trattato: la navigazione commerciale. Naturalmente tutti i lettori sono invitati a partecipare. Ingresso gratuito.
Verso la fine del II millennio a.C. in tutto il Mare Mediterraneo aumentò notevolmente la richiesta di metalli, soprattutto rame e stagno per ottenere il bronzo, e la difficoltà di reperimento spinse i commercianti oltre i confini naturali segnati dallo Stretto di Gibilterra. Lo stagno era raro e
proveniva prevalentemente dalle mitiche Isole Cassiteriti, lungo le rotte marittime che attraversavano le coste atlantiche e giungevano in Cornovaglia e Bretagna. Per quanto riguarda il rame, le miniere più importanti si trovano a Cipro e in Sardegna, ed è ipotizzabile che le flotte mercantili fossero
specializzate nel trasporto, in sicurezza, di lingotti e panelle in rame. Questi traffici contribuirono al
mescolamento di uomini e idee, e favorirono il progresso, arricchendo soprattutto gli intermediari e le
popolazioni costiere. Le autostrade del mare erano sicure ma qualche atto di pirateria accadeva
certamente, pertanto è verosimile che ci fossero genti specializzate nella difesa delle navi da carico e
flotte militari assoldate dai commercianti per evitare il rischio di essere derubati. In Sardegna, il
giacimento in rame di Funtana Raminosa forniva notevoli quantità di rame di ottima qualità ma non era sufficiente per fondere tutto il bronzo necessario per il consumo interno, pertanto i Sardi, proprietari delle miniere d’argento, scambiavano questo prezioso metallo per approvvigionarsi di rame cipriota, meno pregiato di quello sardo ma altrettanto valido per la miscelazione con lo stagno. Oggi, in tutto il mondo, è l’oro il metallo di riferimento ma anticamente l’argento e il rame erano i
venerdì 22 aprile 2016
Archeologia e leggende. Atlantide, nobile menzogna della rivoluzionaria mitologia di Platone, di Paolo Bernardini
Archeologia e leggende. Atlantide, nobile menzogna della rivoluzionaria mitologia di Platone.
di Paolo Bernardini
Il problema della localizzazione della terra di Atlantide ha trovato la sua morte definitiva, per manifesta indegnità di accesso nel campo delle riflessioni di storia e di archeologia, nel lontano 1841 attraverso le parole, chiarissime, di Thomas-Henry Martin contenute nella sua Dissertazione sull’Atlantide, parole che oggi voglio ricordarvi: “L’Atlantide non appartiene alla storia degli eventi né alla geografia positiva… essa appartiene a un altro mondo, che non è nell’ambito dello spazio, ma in quello del pensiero”. Per l’esattezza, del pensiero platonico, poiché l’Atlantide è creazione potente del filosofo greco, mito funzionale alla sua concezione filosofica e alle sua utopia politica.
Poiché l’Atlantide è anti-storia, essa non può essere richiamata, neppure attraverso una severa confutazione delle assurdità che in sua difesa sono state scritte e ancora si scrivono, in un discorso in cui si parla di storia e di archeologia; essa non vi appartiene, non vi è mai appartenuta; potrà, se mai, essere studiata e valutata, come è stato fatto ripetutamente e con risultati egregi, nell’ambito di una
di Paolo Bernardini
Il problema della localizzazione della terra di Atlantide ha trovato la sua morte definitiva, per manifesta indegnità di accesso nel campo delle riflessioni di storia e di archeologia, nel lontano 1841 attraverso le parole, chiarissime, di Thomas-Henry Martin contenute nella sua Dissertazione sull’Atlantide, parole che oggi voglio ricordarvi: “L’Atlantide non appartiene alla storia degli eventi né alla geografia positiva… essa appartiene a un altro mondo, che non è nell’ambito dello spazio, ma in quello del pensiero”. Per l’esattezza, del pensiero platonico, poiché l’Atlantide è creazione potente del filosofo greco, mito funzionale alla sua concezione filosofica e alle sua utopia politica.
Poiché l’Atlantide è anti-storia, essa non può essere richiamata, neppure attraverso una severa confutazione delle assurdità che in sua difesa sono state scritte e ancora si scrivono, in un discorso in cui si parla di storia e di archeologia; essa non vi appartiene, non vi è mai appartenuta; potrà, se mai, essere studiata e valutata, come è stato fatto ripetutamente e con risultati egregi, nell’ambito di una
giovedì 21 aprile 2016
Archeologia. Civiltà Nuragica: Grano, granai, pane e...nuraghi, di Mauro Perra
Archeologia. Civiltà Nuragica: Grano, granai, pane e...nuraghi.
di Mauro Perra
Gli archeologi stanno scoprendo gli alimenti consumati dai nuragici grazie alle nuove ricerche archeologiche, che si avvalgono di nuove tecniche di analisi chimica e fisica. Dal VI Millennio in poi, in Sardegna, l’uomo da predatore diventa produttore e, passando ad un’economia di produzione, deve adottare strutture economiche.
La produzione umana dei beni di sussistenza, così come avviene nei nostri tempi, si impatta sull’ambiente. Le attività dell’uomo lasciano tracce, a volte pesanti, sull’ambiente circostante e, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cominciato a pensare al nuraghe non più procedendo alla descrizione di ogni singola pietra e di ogni ceramica trovata dentro l’edificio. È cambiato il paradigma dell’archeologia e si è capito che gli archeologi non erano più quelli che, armati di piccozza, dovevano recuperare i manufatti, ma dovevano raccogliere anche più dati possibile, con nuove tecnologie. Ricordiamo che lo scavo è distruttivo, e una volta distrutto non lo si può recuperare. Bisogna quindi documentarlo nel migliore dei modi, con fotografie, disegni e analisi, altrimenti dopo non rimane più niente. Già dagli anni Settanta, in varie zone d’Europa, venivano applicate nuove tecniche che affiancavano il lavoro degli archeologi, perché si capì la connessione fra
di Mauro Perra
Gli archeologi stanno scoprendo gli alimenti consumati dai nuragici grazie alle nuove ricerche archeologiche, che si avvalgono di nuove tecniche di analisi chimica e fisica. Dal VI Millennio in poi, in Sardegna, l’uomo da predatore diventa produttore e, passando ad un’economia di produzione, deve adottare strutture economiche.
La produzione umana dei beni di sussistenza, così come avviene nei nostri tempi, si impatta sull’ambiente. Le attività dell’uomo lasciano tracce, a volte pesanti, sull’ambiente circostante e, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cominciato a pensare al nuraghe non più procedendo alla descrizione di ogni singola pietra e di ogni ceramica trovata dentro l’edificio. È cambiato il paradigma dell’archeologia e si è capito che gli archeologi non erano più quelli che, armati di piccozza, dovevano recuperare i manufatti, ma dovevano raccogliere anche più dati possibile, con nuove tecnologie. Ricordiamo che lo scavo è distruttivo, e una volta distrutto non lo si può recuperare. Bisogna quindi documentarlo nel migliore dei modi, con fotografie, disegni e analisi, altrimenti dopo non rimane più niente. Già dagli anni Settanta, in varie zone d’Europa, venivano applicate nuove tecniche che affiancavano il lavoro degli archeologi, perché si capì la connessione fra
mercoledì 20 aprile 2016
Le fortificazioni di Cagliari, conferenza di Massimo Rassu. Venerdì 22 Aprile da Honebu.
Le fortificazioni di Cagliari, conferenza di Massimo Rassu. Venerdì 22 Aprile da Honebu.
Si svolgerà venerdì 22 Aprile l'incontro con l'ingegnere Massimo Rassu sul tema: "Le fortificazioni di Cagliari". L'appuntamento è fissato per le 19, nella sala conferenze di Via Fratelli Bandiera 100 a Cagliari/Pirri, con ingresso libero.
Un aspetto importante della storia urbana del capoluogo dell'isola è certamente l'imponenza delle sue fortificazioni per il ruolo che quei "baluardi di pietra" ebbero nella formazione e nell'evoluzione della città. La conferenza di Massimo Rassu offre una chiave di lettura sul tema. La Cagliari fortificata sul colle segue la città di pianura dei fenici, dei romani e dei bizantini. Siamo attorno al 1216, allorché "Benedetta di Massa cedette al console pisano Lamberto Visconti il colle davanti al porto di Bagnaria". Le vicende seguenti, con la presa di comando da parte dei pisani nei confronti del vecchio Giudicato indigeno, avrebbero portato Cagliari (Castellum Castri de Kallari) a divenire "il centro del potere politico ed economico di tutta la Sardegna meridionale" sotto il controllo di Pisa. Da allora iniziarono le opere di fortificazione, secondo un disegno ben preciso e in modo da ottenere la sua inespugnabilità da parte dei tanti corsari che allora infestavano le acque del Tirreno e del Mediterraneo occidentale. Il sistema delle mura che cingevano il Castello aveva un perimetro di 1640 metri, cingendo un'area di circa 12 ettari "dalla caratteristica forma a fuso delle città toscane, sviluppata in lunghezza con strette strade parallele, dette "rugae" che l'attraversavano da una porta all'altra Le vie longitudinali erano collegate tra loro da vicoli detti "traversae", che prendevano nome dai cittadini che vi abitavano. Infine vi erano delle piazze o slarghi: la più importante era senz'altro la piazza Comunale (Platea Communis), nata contemporaneamente alla città, dove si affaccia la cattedrale con l'episcopio e vi si teneva il mercato dei cereali. Il perimetro delle mura del Castello è interrotto da una quindicina di torri che, partendo dall'attuale detta "di San Pancrazio" e in senso orario avevano i nomi di Santa Lucia, La Pahona,della Fontana Bona, della Manayra, del Leone, Falcona, del Conte, dell'Elefante, della Fontana, den Fores, Pilastris, Tedeschina, Passarina, ecc. Nella ricostruzione attenta del sistema difensivo, un'analisi attenta viene riservata ai mutamenti avvenuti sulla nazionalità dei possessori e nell’evoluzione delle armi d'attacco. L'introduzione delle armi da fuoco (seconda metà del XV secolo) portò alla modifica delle cortine difensive per “renderle
Un aspetto importante della storia urbana del capoluogo dell'isola è certamente l'imponenza delle sue fortificazioni per il ruolo che quei "baluardi di pietra" ebbero nella formazione e nell'evoluzione della città. La conferenza di Massimo Rassu offre una chiave di lettura sul tema. La Cagliari fortificata sul colle segue la città di pianura dei fenici, dei romani e dei bizantini. Siamo attorno al 1216, allorché "Benedetta di Massa cedette al console pisano Lamberto Visconti il colle davanti al porto di Bagnaria". Le vicende seguenti, con la presa di comando da parte dei pisani nei confronti del vecchio Giudicato indigeno, avrebbero portato Cagliari (Castellum Castri de Kallari) a divenire "il centro del potere politico ed economico di tutta la Sardegna meridionale" sotto il controllo di Pisa. Da allora iniziarono le opere di fortificazione, secondo un disegno ben preciso e in modo da ottenere la sua inespugnabilità da parte dei tanti corsari che allora infestavano le acque del Tirreno e del Mediterraneo occidentale. Il sistema delle mura che cingevano il Castello aveva un perimetro di 1640 metri, cingendo un'area di circa 12 ettari "dalla caratteristica forma a fuso delle città toscane, sviluppata in lunghezza con strette strade parallele, dette "rugae" che l'attraversavano da una porta all'altra Le vie longitudinali erano collegate tra loro da vicoli detti "traversae", che prendevano nome dai cittadini che vi abitavano. Infine vi erano delle piazze o slarghi: la più importante era senz'altro la piazza Comunale (Platea Communis), nata contemporaneamente alla città, dove si affaccia la cattedrale con l'episcopio e vi si teneva il mercato dei cereali. Il perimetro delle mura del Castello è interrotto da una quindicina di torri che, partendo dall'attuale detta "di San Pancrazio" e in senso orario avevano i nomi di Santa Lucia, La Pahona,della Fontana Bona, della Manayra, del Leone, Falcona, del Conte, dell'Elefante, della Fontana, den Fores, Pilastris, Tedeschina, Passarina, ecc. Nella ricostruzione attenta del sistema difensivo, un'analisi attenta viene riservata ai mutamenti avvenuti sulla nazionalità dei possessori e nell’evoluzione delle armi d'attacco. L'introduzione delle armi da fuoco (seconda metà del XV secolo) portò alla modifica delle cortine difensive per “renderle
martedì 19 aprile 2016
Eventi al Parco "Gli Scolopi". Importante mostra pittorica e conferenza di presentazione, Sabato 23 Aprile, ore 18.30. Ingresso libero.
Eventi al Parco "Gli Scolopi". Importante mostra pittorica e conferenza di presentazione, Sabato 23 Aprile, ore 18.30. Ingresso libero.
"RETABLO - Luce e Rinascita" Mostra Personale
Pittorica di Mariarosaria Spina a cura di Rossana Corti con il corredo
fotografico di Vincenzo Mascia, andrà in scena a Sanluri (VS) all'interno
dell'Atrio del Polo Culturale per l'Alta Formazione sito nel parco "Gli
Scolopi", dal 23 aprile 2016 al 25 maggio 2016, per la durata di un mese
intero.
La mostra è patrocinata dal Comune di Sanluri (VS), La conferenza stampa, aperta al pubblico, si terrà prima dell'inaugurazione della mostra, il 23 aprile 2016 alle ore 18:30, all'interno della struttura del Polo Culturale, al 3° Piano nella stanza n. 24-26, con relatori : Alberto Severino ( "Morsi d'Arte Or" ), Pierluigi Montalbano e Marcello Polastri ( Sardegna Sotterranea ).
Durante la conferenza stampa sarà presentato anche il catalogo cartaceo della mostra - dedicato alla memoria del padre, recentemente scomparso, dell'artista Mariarosaria Spina -, ideato-realizzato-scritto- preparato per la stampa dalla curatrice della
mostra Rossana Corti, dotato del corredo fotografico firmato da Vincenzo Mascia
e stampato dalle Grafiche Sant'Ignazio di Sanluri (VS). Si tratta di un suggestivo percorso iniziatico, fatti di splendidi
dipinti proiettati verso la luce, quasi un viaggio affascinante narrato da
tutti gli elementi pittorici plasmati colore mescolato al colore da
Mariarosaria Spina. Artista sanlurese atibia siam nelle ricerche di
carattere storico-archeologico, sensibile alle tematiche culturali e
antropologiche, e che dà vita – nei suoi dipinti – al flusso energetico
sprigionato dalle radici della terra. Quel flusso che si fa pigmento a
olio per formare dietro linee sottili, misteriose figure, o paesaggi;
colore che “fotografa” esperienze attuali e oniriche al tempo stesso. Attinge
dalla memoria degli antichi, Mariarosaria, in una complessa tessitura
sincretica tra il megalitismo sardo e la via salvifica del Cristianesimo, con
enfatizzazione della cultura dell’antico popolo Sardo e del culto della Dea
Madre strettamente connessi a quello delle Acque e dei luoghi ctonii.
La mostra è patrocinata dal Comune di Sanluri (VS), La conferenza stampa, aperta al pubblico, si terrà prima dell'inaugurazione della mostra, il 23 aprile 2016 alle ore 18:30, all'interno della struttura del Polo Culturale, al 3° Piano nella stanza n. 24-26, con relatori : Alberto Severino ( "Morsi d'Arte Or" ), Pierluigi Montalbano e Marcello Polastri ( Sardegna Sotterranea ).
Durante la conferenza stampa sarà presentato anche il catalogo cartaceo della mostra - dedicato alla memoria del padre, recentemente scomparso, dell'artista Mariarosaria Spina -, ideato-realizzato-scritto-
L’evento è su Facebook al
link: https://www.facebook.com/events/1101734403223124/
Testo critico di Rossana Corti: Solo in assenza di
luce le tenebre vincono.
“RETABLO – Luce e Rinascita”
di Mariarosaria Spina è un percorso iniziatico verso la Luce, narrato da tutti
gli elementi pittorici della sua mostra, in cui il pigmento a olio si presta a
dare forma al flusso energetico che proviene dalle radici della terra e dalla
memoria degli antichi, in una complessa tessitura sincretica tra il megalitismo
sardo – con enfatizzazione della cultura del popolo Shardana e del culto della
Dea Madre strettamente connesso a quello delle Acque e dei luoghi ctonii – e la
via salvifica del Cristianesimo.”
La mostra e il catalogo sono
sponsorizzati da Cinque Aziende che hanno avuto origine e sono radicate nel
territorio di Sanluri (VS): la "Crocchias Patatine", la
"Pasticceria Artigianale Contis", il "Centro Marmi SRL", la
"Pasta Di Sardegna F.lli Cellino" e le "Grafiche Sant'Ignazio
SRL".
lunedì 18 aprile 2016
Archeologia. Preistoria e storia di Cagliari.
Archeologia. Preistoria e storia di Cagliari.
Dalla Grotta di Sant'Elia
provengono i più antichi indizi di vita preistorica cagliaritana (6000 a.C.),
costituiti da ceramica cardiale e fondi di capanne dove sono state recuperate
punte di freccia e altri oggetti in ossidiana. Del 4000 a.C. è la grotticella
del Bagno Penale, a Capo Sant'Elia, che ha restituito ossidiana e un bel vaso
decorato. Altre abitazioni di quest'epoca sono nella zona di Calamosca e presso
la laguna di Santa Gilla. Il
Neolitico Recente (3400-3200 a.C.) vede ritrovamenti in grotte (Grotta di San
Bartolomeo, Grotta dei Colombi) e in villaggi all'aperto. Gli archeologi hanno
individuato anche delle domus de janas (San Bartolomeo) e, ai piedi del Monte
Sant'Elia, resti di capanne con tracce di focolai, avanzi di pasto, oggetti in
ossidiana e ceramiche. Anche in viale Trieste e in via Is Maglias sono emerse tracce di
abitazioni preistoriche. Cagliari e le zone circostanti sono state abitate
anche durante l'Età del Rame (2800-1800 a.C.), con rinvenimenti sulla
collinetta di Monte Claro, a Sa Duchessa, in via Basilicata, in via Trentino e
nel rione La Vega (cultura di Monte Claro). L'Età del Rame è ben rappresentata anche dai reperti
di Capo Sant'Elia, con i vasi e con i
domenica 17 aprile 2016
Archeologia. Studiosi a convegno sulla Sardegna nuragica: «Nessuna Atlantide e nessuno tsunami»
Archeologia. Studiosi a convegno sulla Sardegna nuragica: «Nessuna Atlantide e nessuno tsunami»
La Sardegna può essere identificata con la mitica Atlantide di Platone?
E la fine della civiltà nuragica può addebitarsi a un catastrofico maremoto che avrebbe invaso le pianure del Campidano e della Marmilla?
Entrambi i quesiti sono fermamente respinti con argomentazioni e ricerche scientifiche da archeologi, geologi e antropologi. E quanto emerge dal convegno “Atlantide e i nuraghi” svoltosi nella sala convegni al Parco di Monte Claro, organizzato dalla Biblioteca Provinciale di Cagliari e curato da Pierluigi Montalbano.
Un tema che suscita dibattiti e ricerche e divide gli esperti. Alcuni favorevoli, altri, come quelli riuniti a Cagliari, assolutamente contrari.
Il geologo Antonio Ulzega esordisce: «La Marmilla è composta di sedimenti marini a strati risalenti a centinaia di migliaia di anni fa, per questo si trovano ancora resti di
La Sardegna può essere identificata con la mitica Atlantide di Platone?
E la fine della civiltà nuragica può addebitarsi a un catastrofico maremoto che avrebbe invaso le pianure del Campidano e della Marmilla?
Entrambi i quesiti sono fermamente respinti con argomentazioni e ricerche scientifiche da archeologi, geologi e antropologi. E quanto emerge dal convegno “Atlantide e i nuraghi” svoltosi nella sala convegni al Parco di Monte Claro, organizzato dalla Biblioteca Provinciale di Cagliari e curato da Pierluigi Montalbano.
Un tema che suscita dibattiti e ricerche e divide gli esperti. Alcuni favorevoli, altri, come quelli riuniti a Cagliari, assolutamente contrari.
Il geologo Antonio Ulzega esordisce: «La Marmilla è composta di sedimenti marini a strati risalenti a centinaia di migliaia di anni fa, per questo si trovano ancora resti di
sabato 16 aprile 2016
Archeologia. I manufatti ceramici dalla preistoria ai nuragici
Archeologia. I manufatti ceramici dalla preistoria ai nuragici
di Pierluigi Montalbano
La Sardegna protostorica è caratterizzata da un’età aurea in cui caccia, pesca e agricoltura contribuivano al raggiungimento del benessere di quel pacifico popolo di laboriosi artigiani che producevano ceramiche riccamente decorate. Erano plasmate sapientemente e commerciate in ogni angolo dell’isola. Le tracce di quelle antiche culture si trovano anche in Francia, Spagna, nord-Africa e coste tirreniche.
In quell’epoca i sardi non avevano bisogno di torri e mura, vivevano in villaggi corredati di luoghi per il culto e zone funerarie. Il Neolitico sardo dal 6.000 al 3.000 a.C. fu un’epoca di fioritura artistica e le ceramiche che ho riassunto nell’immagine sono lo specchio della cronologia sarda fino all’avvento della civiltà mediterranea (l’età cosiddetta fenicia) che creò un nuovo gusto e quello stile inconfondibile che dal X a.C. si diffuse rapidamente lungo tutte le coste.
Il fermento culturale di questo lunghissimo periodo aiuta la comprensione dello stile di vita dei sardi e la povertà delle ceramiche nuragiche si scontra con le maestose architetture che svettano sul
di Pierluigi Montalbano
La Sardegna protostorica è caratterizzata da un’età aurea in cui caccia, pesca e agricoltura contribuivano al raggiungimento del benessere di quel pacifico popolo di laboriosi artigiani che producevano ceramiche riccamente decorate. Erano plasmate sapientemente e commerciate in ogni angolo dell’isola. Le tracce di quelle antiche culture si trovano anche in Francia, Spagna, nord-Africa e coste tirreniche.
In quell’epoca i sardi non avevano bisogno di torri e mura, vivevano in villaggi corredati di luoghi per il culto e zone funerarie. Il Neolitico sardo dal 6.000 al 3.000 a.C. fu un’epoca di fioritura artistica e le ceramiche che ho riassunto nell’immagine sono lo specchio della cronologia sarda fino all’avvento della civiltà mediterranea (l’età cosiddetta fenicia) che creò un nuovo gusto e quello stile inconfondibile che dal X a.C. si diffuse rapidamente lungo tutte le coste.
Il fermento culturale di questo lunghissimo periodo aiuta la comprensione dello stile di vita dei sardi e la povertà delle ceramiche nuragiche si scontra con le maestose architetture che svettano sul
venerdì 15 aprile 2016
Archeologia della Sardegna. La storia del colle di Monte Claro, a Cagliari.
Archeologia della Sardegna. La storia del colle di Monte Claro, a Cagliari.
di Pierluigi Montalbano.
Fino alla seconda metà del XIX secolo, i maniaci di tutta l'Isola venivano abbandonati a se stessi o internati a Cagliari, in due locali ricavati nei sotterranei dell'Ospedale civico "S. Antonio Abate". Nel 1859, nel nuovo ospedale civile "S. Giovanni di Dio" fu aperta, tra le altre, la clinica psichiatrica, che migliorò di molto le sorti dei malati di mente e segnò una svolta nel loro trattamento e quindi anche nella storia della psichiatria isolana.
Le testimonianze più remote del sito comparvero durante i lavori di fondazione dell’ospedale psichiatrico provinciale, quando i ritrovamenti archeologici portarono alla luce le tracce di quella che gli studiosi hanno significativamente chiamato la Cultura di Monte Claro, e che si qualifica tra le più importanti della preistoria in area mediterranea. Il sito presenta continuità di frequentazione, con iscrizioni e frammenti di colonne riportati dal Canonico Giovanni Spano, che testimoniano l’epoca romana, sino alle testimonianze medievali quando la zona, di vocazione agricola, fu sede privilegiata per insediamenti monastici che favorirono il culto e la devozione per Santa Maria Chiara, con conseguente produzione di opere d’arte alcune delle quali tuttora conservate. Quando la Provincia di
di Pierluigi Montalbano.
Fino alla seconda metà del XIX secolo, i maniaci di tutta l'Isola venivano abbandonati a se stessi o internati a Cagliari, in due locali ricavati nei sotterranei dell'Ospedale civico "S. Antonio Abate". Nel 1859, nel nuovo ospedale civile "S. Giovanni di Dio" fu aperta, tra le altre, la clinica psichiatrica, che migliorò di molto le sorti dei malati di mente e segnò una svolta nel loro trattamento e quindi anche nella storia della psichiatria isolana.
Le testimonianze più remote del sito comparvero durante i lavori di fondazione dell’ospedale psichiatrico provinciale, quando i ritrovamenti archeologici portarono alla luce le tracce di quella che gli studiosi hanno significativamente chiamato la Cultura di Monte Claro, e che si qualifica tra le più importanti della preistoria in area mediterranea. Il sito presenta continuità di frequentazione, con iscrizioni e frammenti di colonne riportati dal Canonico Giovanni Spano, che testimoniano l’epoca romana, sino alle testimonianze medievali quando la zona, di vocazione agricola, fu sede privilegiata per insediamenti monastici che favorirono il culto e la devozione per Santa Maria Chiara, con conseguente produzione di opere d’arte alcune delle quali tuttora conservate. Quando la Provincia di
giovedì 14 aprile 2016
La Fauna nella Sardegna Nuragica, conferenza dell'archeologo Nicola Dessì da Honebu.
La Fauna nella Sardegna Nuragica, conferenza dell'archeologo Nicola Dessì da Honebu.
Si svolgerà domani 15 Aprile, alle 19, nella sala conferenze Honebu in Via Fratelli Bandiera 100 Cagliari/Pirri, un incontro dedicato alla Civiltà Nuragica. Con l'ausilio di immagini proiettate, l'archeologo Nicola Dessì farà viaggiare nella storia i partecipanti, illustrando gli animali presenti in Sardegna dall'età del Rame all'età del Ferro, passando per l'età del Bronzo, periodo in cui nell'isola furono costruiti circa 8000 nuraghi. Si parlerà di caccia, alimentazione, ceramiche da cucina e riti in cui gli animali erano oggetto di sacrifici. Un appuntamento dedicato a studiosi e appassionati che segue quello, sempre a cura di Nicola Dessì, organizzato il mese scorso da Honebu sulla fauna nella preistoria sarda.
Ingresso libero fino a esaurimento dei 90 posti disponibili.
Si svolgerà domani 15 Aprile, alle 19, nella sala conferenze Honebu in Via Fratelli Bandiera 100 Cagliari/Pirri, un incontro dedicato alla Civiltà Nuragica. Con l'ausilio di immagini proiettate, l'archeologo Nicola Dessì farà viaggiare nella storia i partecipanti, illustrando gli animali presenti in Sardegna dall'età del Rame all'età del Ferro, passando per l'età del Bronzo, periodo in cui nell'isola furono costruiti circa 8000 nuraghi. Si parlerà di caccia, alimentazione, ceramiche da cucina e riti in cui gli animali erano oggetto di sacrifici. Un appuntamento dedicato a studiosi e appassionati che segue quello, sempre a cura di Nicola Dessì, organizzato il mese scorso da Honebu sulla fauna nella preistoria sarda.
Ingresso libero fino a esaurimento dei 90 posti disponibili.
mercoledì 13 aprile 2016
Giove e la geometria astronomica dei Babilonesi. Una scoperta che rivoluziona i libri di testo: per calcolare la posizione di Giove gli studiosi dell'antica Babilonia usavano una tecnica matematica che si riteneva sviluppata a Oxford solo nel XIV secolo
Giove e la geometria
astronomica dei Babilonesi. Una scoperta che rivoluziona i libri di testo: per
calcolare la posizione di Giove gli studiosi dell'antica Babilonia usavano una
tecnica matematica che si riteneva sviluppata a Oxford solo nel XIV secolo
di Michael Greshko
La scoperta, pubblicata sulla
rivista Science, rivela che i babilonesi erano in grado di prevedere la
posizione in cielo del pianeta utilizzando figure geometriche come i trapezi.
Le tavolette infatti contengono istruzioni attraverso le quali, calcolando
delle aree di una specifica figura trapezoidale, si potevano determinare le
posizioni di Giove lungo l’eclittica per i successivi 60 e 120 giorni, a
partire da un determinato giorno in cui il pianeta faceva la sua comparsa
appena prima dell’alba, come stella del mattino. Una scoperta stupefacente, che
ci obbliga a riscrivere i libri di storia: finora infatti si riteneva che
questa tecnica fosse stata inventata a Oxford, in Inghilterra, oltre un
millennio dopo.
I ricercatori sanno da tempo che gli antichi Babilonesi, che abitavano l'attuale Iraq, possedevano notevoli conoscenze matematiche: erano in grado ad esempio di calcolare con un buon livello di
I ricercatori sanno da tempo che gli antichi Babilonesi, che abitavano l'attuale Iraq, possedevano notevoli conoscenze matematiche: erano in grado ad esempio di calcolare con un buon livello di
martedì 12 aprile 2016
Archeologia. Antenati e defunti illustri in Sardegna: ideologie funerarie di età fenicio punica. Baal, Sid Babbai, Sardus Pater e altri.
Archeologia. Antenati e defunti illustri in Sardegna: ideologie funerarie di età fenicio punica. Baal, Sid Babbai, Sardus Pater e altri.
di Giuseppe Garbati
La ricostruzione delle ideologie funerarie e dell’immaginario oltremondano nel mondo fenicio e punico costituisce uno dei campi di studio più stimolanti e problematici al tempo stesso. Sebbene rimangano moltissime zone d’ombra sulla conoscenza di questa specifico ambito sociale e religioso, dovute alla ben nota quanto sconfortante scarsezza delle testimonianze dirette, letterarie ed epigrafiche nello specifico, la ricerca ha potuto giovarsi, negli ultimi anni, dei risultati di numerose indagini archeologiche; condotte in diversi contesti necropolari della madrepatria e delle colonie, esse hanno consentito la raccolta di nuovi dati, ampliando la quantità e la qualità delle informazioni e contribuendo, pertanto, a disegnare un panorama assai più completo (e complesso) rispetto agli anni passati. Una delle regioni in cui l’apporto dell’archeologia si è dimostrato particolarmente ricco di nuove suggestioni è senza dubbio la Sardegna, sia in relazione ai contesti e ai corredi funerari appartenenti alle fasi arcaiche della presenza fenicia, sia in riferimento alle molteplici testimonianze inquadrabili nell’età della conquista punica. In merito a questa seconda epoca, cui sono rivolte le nostre riflessioni, alcuni elementi interessanti, indagabili sotto varie prospettive, sono stati restituiti solo di recente dagli importanti rinvenimenti che hanno interessato la necropoli punica di Sulcis. In particolare, le indagini condotte in loco da P. Bernardini hanno portato alla scoperta di una nuova tomba, pubblicata nella sua interezza nel 2005. La ricchezza del sepolcro, nonché la possibilità di
di Giuseppe Garbati
La ricostruzione delle ideologie funerarie e dell’immaginario oltremondano nel mondo fenicio e punico costituisce uno dei campi di studio più stimolanti e problematici al tempo stesso. Sebbene rimangano moltissime zone d’ombra sulla conoscenza di questa specifico ambito sociale e religioso, dovute alla ben nota quanto sconfortante scarsezza delle testimonianze dirette, letterarie ed epigrafiche nello specifico, la ricerca ha potuto giovarsi, negli ultimi anni, dei risultati di numerose indagini archeologiche; condotte in diversi contesti necropolari della madrepatria e delle colonie, esse hanno consentito la raccolta di nuovi dati, ampliando la quantità e la qualità delle informazioni e contribuendo, pertanto, a disegnare un panorama assai più completo (e complesso) rispetto agli anni passati. Una delle regioni in cui l’apporto dell’archeologia si è dimostrato particolarmente ricco di nuove suggestioni è senza dubbio la Sardegna, sia in relazione ai contesti e ai corredi funerari appartenenti alle fasi arcaiche della presenza fenicia, sia in riferimento alle molteplici testimonianze inquadrabili nell’età della conquista punica. In merito a questa seconda epoca, cui sono rivolte le nostre riflessioni, alcuni elementi interessanti, indagabili sotto varie prospettive, sono stati restituiti solo di recente dagli importanti rinvenimenti che hanno interessato la necropoli punica di Sulcis. In particolare, le indagini condotte in loco da P. Bernardini hanno portato alla scoperta di una nuova tomba, pubblicata nella sua interezza nel 2005. La ricchezza del sepolcro, nonché la possibilità di
lunedì 11 aprile 2016
Archeologia in Sardegna. Le ricche genti della cultura del Vaso Campaniforme giungono in Sardegna 5000 anni fa.
Archeologia in Sardegna. Le ricche genti della cultura del Vaso Campaniforme giungono in Sardegna 5000 anni fa.
di Pierluigi Montalbano
Il più interessante fenomeno culturale che offre l’Europa preistorica è costituito da un apporto iberico giunto miscelando le culture megalitiche pirenaiche e nord europee. Il nome viene dalla forma di un bicchiere (beaker) a forma di campana con profilo a volte dolce (suave degli spagnoli) e altre angoloso sopra la base, convessa nel primo tipo e piatta nel secondo, come rilevato anche nei vasi coevi.
I prototipi di queste forme appaiono in Egitto nel 5000 a.C. (cultura tasiense) ma nel Vicino Oriente sono testimoniati esempi del XIX a.C. a Biblos e Gaza (Palestina) nella corte di Amènemhat III e IV, foggiati nelle due versioni suave e spigolosa. Anche in alcuni dipinti persiani (Tépé Giyan, Tépé Djamshidi, Tépé Bad-Hora) di inzio II Millennio a.C. sono rappresentati vasi tripodi decorati a fasce sovrapposte, ornati in maniera identica a quelli occidentali iberici. Probabilmente la forma del beaker si irradia dall’Andalusia orientale (Carmona) e giunge rapidamente in tutta la Spagna e il Portogallo, per poi spingersi per mare e per terra dall’Atlantico alla Russia (Kiev), dalla Sicilia alla Finlandia. Questo fenomeno globale di diffusione è secondo, in tempi antichi, solo alla ceramica che prende il nome di terra sigillata romana.
Un indizio dell’origine delle prime genti del campaniforme è fornito dall’aspetto morfologico, decisamente brachicefalo, differente dalla tipologia mediterranea coeva che mostra la prevalenza netta di dolicocefali. E’ interessante notare che sulle sponde del Mar Nero e del Mar Caspio è presente un ceppo brachicefalo armenoide, e la presenza di beaker nei livelli archeologici persiani suggerisce un’irradiazione antichissima da quelle zone.
I defunti sepolti in Europa centrale sono caratterizzati da grande taglia, testa rotonda e occipite appiattito, ma in Sardegna abbiamo una decisa prevalenza di dolicomorfi, pertanto nell’isola è arduo riconoscere una tipologia etnologica del gruppo beker che si sovrappone ai locali.
Le genti campaniformi collocano i loro morti in tombe già esistenti, forse barattandole dai locali, salvo le deposizioni in grotte naturali, sempre disponibili.
Non manca nell’isola un ceppo umano di tipo brachicefalo armenoide, ad esempio nella necropoli ipogeica Anghelo Ruju, abbiamo una minoranza di queste sepolture (20%), rispetto ai dolicocefali mediterranei (80%). Il rituale funerario sembra essere in prevalenza quello della sepoltura singola primaria, con defunto disteso e supino, per se a Padru Jossu si assiste a un seppellimento collettivo. A volte, gli elementi del contesto vascolare campaniforme compaiono in associazione con suppellettile indigena, ad esempio nella grotta Filiestru e in una capanna di Monte Olladiri abbiamo cuencos suavi insieme a beaker decorati finemente con linee e angoli punteggiati (stile marittimo, il più antico).
Questi esempi suggeriscono
di Pierluigi Montalbano
Il più interessante fenomeno culturale che offre l’Europa preistorica è costituito da un apporto iberico giunto miscelando le culture megalitiche pirenaiche e nord europee. Il nome viene dalla forma di un bicchiere (beaker) a forma di campana con profilo a volte dolce (suave degli spagnoli) e altre angoloso sopra la base, convessa nel primo tipo e piatta nel secondo, come rilevato anche nei vasi coevi.
I prototipi di queste forme appaiono in Egitto nel 5000 a.C. (cultura tasiense) ma nel Vicino Oriente sono testimoniati esempi del XIX a.C. a Biblos e Gaza (Palestina) nella corte di Amènemhat III e IV, foggiati nelle due versioni suave e spigolosa. Anche in alcuni dipinti persiani (Tépé Giyan, Tépé Djamshidi, Tépé Bad-Hora) di inzio II Millennio a.C. sono rappresentati vasi tripodi decorati a fasce sovrapposte, ornati in maniera identica a quelli occidentali iberici. Probabilmente la forma del beaker si irradia dall’Andalusia orientale (Carmona) e giunge rapidamente in tutta la Spagna e il Portogallo, per poi spingersi per mare e per terra dall’Atlantico alla Russia (Kiev), dalla Sicilia alla Finlandia. Questo fenomeno globale di diffusione è secondo, in tempi antichi, solo alla ceramica che prende il nome di terra sigillata romana.
Un indizio dell’origine delle prime genti del campaniforme è fornito dall’aspetto morfologico, decisamente brachicefalo, differente dalla tipologia mediterranea coeva che mostra la prevalenza netta di dolicocefali. E’ interessante notare che sulle sponde del Mar Nero e del Mar Caspio è presente un ceppo brachicefalo armenoide, e la presenza di beaker nei livelli archeologici persiani suggerisce un’irradiazione antichissima da quelle zone.
I defunti sepolti in Europa centrale sono caratterizzati da grande taglia, testa rotonda e occipite appiattito, ma in Sardegna abbiamo una decisa prevalenza di dolicomorfi, pertanto nell’isola è arduo riconoscere una tipologia etnologica del gruppo beker che si sovrappone ai locali.
Le genti campaniformi collocano i loro morti in tombe già esistenti, forse barattandole dai locali, salvo le deposizioni in grotte naturali, sempre disponibili.
Non manca nell’isola un ceppo umano di tipo brachicefalo armenoide, ad esempio nella necropoli ipogeica Anghelo Ruju, abbiamo una minoranza di queste sepolture (20%), rispetto ai dolicocefali mediterranei (80%). Il rituale funerario sembra essere in prevalenza quello della sepoltura singola primaria, con defunto disteso e supino, per se a Padru Jossu si assiste a un seppellimento collettivo. A volte, gli elementi del contesto vascolare campaniforme compaiono in associazione con suppellettile indigena, ad esempio nella grotta Filiestru e in una capanna di Monte Olladiri abbiamo cuencos suavi insieme a beaker decorati finemente con linee e angoli punteggiati (stile marittimo, il più antico).
Questi esempi suggeriscono
domenica 10 aprile 2016
Perché lo Stretto di Gibilterra è stato definito Colonne d' Ercole?
Perché
lo Stretto di Gibilterra è stato definito Colonne d' Ercole?
Nella letteratura classica indicano il limite estremo del
mondo conosciuto. Oltre che un concetto geografico, esprimono anche il concetto
di "limite della conoscenza".
Attualmente si considera lo stretto di Gibilterra essere il confine nec plus ultra (lett. "non più avanti") scelto da Eracle. Secondo la mitologia l'eroe, in una delle sue dodici fatiche, giunse sui monti Calpe ed Abila creduti i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali. Separò il monte ivi presente in due parti (le due colonne d'Ercole) e incise la scritta nec plus ultra.
Cosa troviamo dopo le colonne? Oltre le Colonne, oltre il mondo conosciuto, c'è sempre la speranza di trovare terre migliori, più ricche.
Platone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice 9mila anni prima il tempo di Solone, che dopo avere fallito l'invasione di Atene, sprofondò in un giorno e una notte.
Cristoforo Colombo cerca oltre le Colonne la rotta per le Indie. Dante invece pone a cinque mesi di navigazione oltre le Colonne il monte del Purgatorio, che Ulisse riesce a vedere prima di esser travolto da un'onda.
Sulla base della congettura del Divin Poeta, alcuni, come lo scrittore Paolo Granzotto, hanno ipotizzato che Ulisse abbia navigato effettivamente oltre Gibilterra e abbia raggiunto le isole britanniche, terre effettivamente ricche di metalli preziosi agli occhi dei greci di Omero.
Altri, invece, come il giornalista Sergio Frau, ridimensionando le potenzialità della tecnica navale greca, riconoscono le Colonne nello stretto di Sicilia, e Atlantide e Tartesso in Sardegna, anch'essa terra abbastanza rifornita. Tra l'altro a Nora (Pula - Cagliari) è stata ritrovata una stele che riporta la più antica epigrafe che citi Tartesso, proprio nella prima riga. Senza dimenticare che la stessa stele, contiene la parola Sardegna e, per ben due volte, la parola NGR, che secondo alcuni studiosi potrebbe essere la radice di Nora stessa e di Nuoro, oltre a un forte riferimento ai nuraghi.
Attualmente si considera lo stretto di Gibilterra essere il confine nec plus ultra (lett. "non più avanti") scelto da Eracle. Secondo la mitologia l'eroe, in una delle sue dodici fatiche, giunse sui monti Calpe ed Abila creduti i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali. Separò il monte ivi presente in due parti (le due colonne d'Ercole) e incise la scritta nec plus ultra.
Cosa troviamo dopo le colonne? Oltre le Colonne, oltre il mondo conosciuto, c'è sempre la speranza di trovare terre migliori, più ricche.
Platone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice 9mila anni prima il tempo di Solone, che dopo avere fallito l'invasione di Atene, sprofondò in un giorno e una notte.
Cristoforo Colombo cerca oltre le Colonne la rotta per le Indie. Dante invece pone a cinque mesi di navigazione oltre le Colonne il monte del Purgatorio, che Ulisse riesce a vedere prima di esser travolto da un'onda.
Sulla base della congettura del Divin Poeta, alcuni, come lo scrittore Paolo Granzotto, hanno ipotizzato che Ulisse abbia navigato effettivamente oltre Gibilterra e abbia raggiunto le isole britanniche, terre effettivamente ricche di metalli preziosi agli occhi dei greci di Omero.
Altri, invece, come il giornalista Sergio Frau, ridimensionando le potenzialità della tecnica navale greca, riconoscono le Colonne nello stretto di Sicilia, e Atlantide e Tartesso in Sardegna, anch'essa terra abbastanza rifornita. Tra l'altro a Nora (Pula - Cagliari) è stata ritrovata una stele che riporta la più antica epigrafe che citi Tartesso, proprio nella prima riga. Senza dimenticare che la stessa stele, contiene la parola Sardegna e, per ben due volte, la parola NGR, che secondo alcuni studiosi potrebbe essere la radice di Nora stessa e di Nuoro, oltre a un forte riferimento ai nuraghi.
Immagine di National Geographic
sabato 9 aprile 2016
Atlantide, approfondimenti e ipotesi. Conferme e smentite. Forse Manetone aveva ragione.
Atlantide, approfondimenti e ipotesi. Conferme e smentite. Forse Manetone aveva ragione.
Estratto dal saggio: Hassaleh, l'occhio di Horus.
di Antonio Crasto
La più importante testimonianza scritta ci è pervenuta non dall’Egitto, ma dal mondo classico greco. Sono i famosissimi dialoghi di Platone (427-347 a.C.), il Timeo, ovvero Della natura, e il Crizia, che quasi sicuramente furono le prime due parti di una trilogia forse rimasta incompiuta.
L’opera scritta sotto forma di dialogo fra alcuni illustri personaggi, Socrate, Timeo, Crizia ed Ermocrate, è una trattazione filosofica sull’origine del mondo e la natura dell’uomo, ma per quanto ci riguarda in questo momento, essa si sofferma in particolare su una storia che Crizia avrebbe appreso dal bisnonno Dropide, parente e grande amico dello statista ateniese Solone (639-559 a.C.), al quale sarebbe stata riferita dai sacerdoti della città di Sais durante un suo viaggio in Egitto, effettuato intorno al 580 a.C.
Si racconta come il saggio Solone, volendo provocare e stimolare a parlare i sacerdoti egizi, abbia incominciato a narrare dei personaggi mitologici che sarebbero vissuti in Grecia al tempo del Grande Diluvio di Deucalione e Pirra e di come questi, sopravvissuti alla catastrofe, avessero miracolosamente dato origine a una nuova generazione umana. I sacerdoti dell’antica capitale, interrotto il grande statista, gli avrebbero detto, quasi indispettiti, che lui e tutti i suoi conterranei erano in pratica come dei fanciulli, senza più memoria dei veri fatti accaduti ai loro antichi antenati, i quali avrebbero subito l’effetto devastante di varie immani catastrofi, dovute sia alla deviazione di
Estratto dal saggio: Hassaleh, l'occhio di Horus.
di Antonio Crasto
La più importante testimonianza scritta ci è pervenuta non dall’Egitto, ma dal mondo classico greco. Sono i famosissimi dialoghi di Platone (427-347 a.C.), il Timeo, ovvero Della natura, e il Crizia, che quasi sicuramente furono le prime due parti di una trilogia forse rimasta incompiuta.
L’opera scritta sotto forma di dialogo fra alcuni illustri personaggi, Socrate, Timeo, Crizia ed Ermocrate, è una trattazione filosofica sull’origine del mondo e la natura dell’uomo, ma per quanto ci riguarda in questo momento, essa si sofferma in particolare su una storia che Crizia avrebbe appreso dal bisnonno Dropide, parente e grande amico dello statista ateniese Solone (639-559 a.C.), al quale sarebbe stata riferita dai sacerdoti della città di Sais durante un suo viaggio in Egitto, effettuato intorno al 580 a.C.
Si racconta come il saggio Solone, volendo provocare e stimolare a parlare i sacerdoti egizi, abbia incominciato a narrare dei personaggi mitologici che sarebbero vissuti in Grecia al tempo del Grande Diluvio di Deucalione e Pirra e di come questi, sopravvissuti alla catastrofe, avessero miracolosamente dato origine a una nuova generazione umana. I sacerdoti dell’antica capitale, interrotto il grande statista, gli avrebbero detto, quasi indispettiti, che lui e tutti i suoi conterranei erano in pratica come dei fanciulli, senza più memoria dei veri fatti accaduti ai loro antichi antenati, i quali avrebbero subito l’effetto devastante di varie immani catastrofi, dovute sia alla deviazione di
venerdì 8 aprile 2016
Archeologia della Sardegna. Un'isola meticcia: Geografia di una frontiera, di Alfonso Stiglitz
Archeologia della Sardegna. Un'isola meticcia: Geografia di una frontiera
di Alfonso Stiglitz
D(is) m(anibus)/ Urseti Nispeni/ni coniugi / b(ene) m(e)r(enti) / f(ecit) (fig. 1). In un qualche anno del I d.C. nella piana del Tirso tra Borore e Macomer (Sardegna centro-occidentale) sullo sfondo dei contrafforti dell’altopiano degli Iliensi, Urseti affidò l’amata coniuge, Nispeni, agli Dei Mani.
Su indicazione di Alfonso Stiglitz riporto una errata corrige:
"come è evidente dal testo dell'iscrizione funeraria della fig. 1 la defunta è Nispeni e il dedicante è il marito Urseti. Quindi nel testo qui sopra i ruoli vanno invertiti"
L’epitaffio, per la sua collocazione geografica e per l’onomastica, ci mostra le tante sfaccettature che i termini “confini” e “frontiera” possono assumere, se li si usa in un’accezione che non si limiti, come troppo spesso avviene, all’ambito fisico ma si estenda al complesso dei significati, comprendendo quello che, superando la visione etnica, possiamo indicare come incontro tra culture. Una testimonianza, quella del cippo in questione, che vuole segnare la presa di distanza netta dalla visione marcatamente dualista di una Sardegna divisa tra una Romània civilizzata, alfabetizzata, planiziale e una Barbària analfabeta, resistente e montanara, l’un contro l’altra armate, fino alla presa di potere della superiore civiltà romana, come gli antichi autori coloniali ci hanno tramandato. Uno scontro di civiltà nel quale a soccombere furono quei “Sardi”, ovviamente pelliti, barbari (anzi barbaricini), che abitavano in caverne, non seminavano le terre seminabili e depredavano gli altri (Strabone V, 2, 7), vivendo “senza pensieri e travagli, contenti dei cibi semplici” (Diod. Sic., V, 15, 5), secondo lo strumentario del bravo etnologo colonialista che isola alcuni caratteri stereotipati. Una visione nella
di Alfonso Stiglitz
D(is) m(anibus)/ Urseti Nispeni/ni coniugi / b(ene) m(e)r(enti) / f(ecit) (fig. 1). In un qualche anno del I d.C. nella piana del Tirso tra Borore e Macomer (Sardegna centro-occidentale) sullo sfondo dei contrafforti dell’altopiano degli Iliensi, Urseti affidò l’amata coniuge, Nispeni, agli Dei Mani.
Su indicazione di Alfonso Stiglitz riporto una errata corrige:
"come è evidente dal testo dell'iscrizione funeraria della fig. 1 la defunta è Nispeni e il dedicante è il marito Urseti. Quindi nel testo qui sopra i ruoli vanno invertiti"
L’epitaffio, per la sua collocazione geografica e per l’onomastica, ci mostra le tante sfaccettature che i termini “confini” e “frontiera” possono assumere, se li si usa in un’accezione che non si limiti, come troppo spesso avviene, all’ambito fisico ma si estenda al complesso dei significati, comprendendo quello che, superando la visione etnica, possiamo indicare come incontro tra culture. Una testimonianza, quella del cippo in questione, che vuole segnare la presa di distanza netta dalla visione marcatamente dualista di una Sardegna divisa tra una Romània civilizzata, alfabetizzata, planiziale e una Barbària analfabeta, resistente e montanara, l’un contro l’altra armate, fino alla presa di potere della superiore civiltà romana, come gli antichi autori coloniali ci hanno tramandato. Uno scontro di civiltà nel quale a soccombere furono quei “Sardi”, ovviamente pelliti, barbari (anzi barbaricini), che abitavano in caverne, non seminavano le terre seminabili e depredavano gli altri (Strabone V, 2, 7), vivendo “senza pensieri e travagli, contenti dei cibi semplici” (Diod. Sic., V, 15, 5), secondo lo strumentario del bravo etnologo colonialista che isola alcuni caratteri stereotipati. Una visione nella
giovedì 7 aprile 2016
Archeologia. India e musulmani: il Tāj Mahal, un edifico che affascina il mondo
India e musulmani: il Tāj Mahal
di Samantha Lombardi
Il Tāj Mahal, capolavoro dell’arte musulmana in India, è uno dei monumenti più conosciuti del mondo e costituisce l’apice dell’architettura sepolcrale islamica. Fu voluto da Shāh Jahān, imperatore dal 1628 al 1658, appartenente alla stirpe islamica dei Moghul e discendente delle tribù mongole comandate da Attila e Gengis Khan.
Nel 1526, il condottiero Moghul, Bāber arrivò in India dall’Asia Centrale e dopo aver rimosso la dinastia musulmana, che da più di trecento anni vi regnava, fondò il suo impero stabilendo la sua capitale ad Agra, a sud di Delhi, non lontana dal deserto del Rajasthan. In quella città, che era appena stata sottratta al Clan guerriero indiano dei Rajputi, Bāber intraprese dei lavori per creare un parco che chiamò Rambagh, fece, inoltre, scavare un pozzo e deviare le acque del fiume Jumna per alimentare canali, terme e fontane. Con i suoi giochi d’acqua, i sentieri simmetrici e le innumerevoli distese di fiori, il Rambagh divenne il modello di tutti i giardini moghul compreso quello del Tāj Mahal . Tutti gli imperatori che succedettero a Bāber continuarono la sua opera. Non fu però unicamente il rispetto della tradizione a far nascere il Tāj Mahal , un’opera alla cui origine sta il grande amore che un uomo nutriva per la sua donna, in realtà, Shāh Jahān fece edificare questo capolavoro senza eguali come mausoleo per la moglie Arjumand Banu, più nota con l’appellativo (da cui l’edificio prende il nome) di Mumtāz Mahal, morta dopo aver dato alla luce una bambina, il suo
di Samantha Lombardi
Il Tāj Mahal, capolavoro dell’arte musulmana in India, è uno dei monumenti più conosciuti del mondo e costituisce l’apice dell’architettura sepolcrale islamica. Fu voluto da Shāh Jahān, imperatore dal 1628 al 1658, appartenente alla stirpe islamica dei Moghul e discendente delle tribù mongole comandate da Attila e Gengis Khan.
Nel 1526, il condottiero Moghul, Bāber arrivò in India dall’Asia Centrale e dopo aver rimosso la dinastia musulmana, che da più di trecento anni vi regnava, fondò il suo impero stabilendo la sua capitale ad Agra, a sud di Delhi, non lontana dal deserto del Rajasthan. In quella città, che era appena stata sottratta al Clan guerriero indiano dei Rajputi, Bāber intraprese dei lavori per creare un parco che chiamò Rambagh, fece, inoltre, scavare un pozzo e deviare le acque del fiume Jumna per alimentare canali, terme e fontane. Con i suoi giochi d’acqua, i sentieri simmetrici e le innumerevoli distese di fiori, il Rambagh divenne il modello di tutti i giardini moghul compreso quello del Tāj Mahal . Tutti gli imperatori che succedettero a Bāber continuarono la sua opera. Non fu però unicamente il rispetto della tradizione a far nascere il Tāj Mahal , un’opera alla cui origine sta il grande amore che un uomo nutriva per la sua donna, in realtà, Shāh Jahān fece edificare questo capolavoro senza eguali come mausoleo per la moglie Arjumand Banu, più nota con l’appellativo (da cui l’edificio prende il nome) di Mumtāz Mahal, morta dopo aver dato alla luce una bambina, il suo
mercoledì 6 aprile 2016
La Sardegna e le fortificazioni di Cagliari nella prima metà del ‘700
La
Sardegna e le fortificazioni di Cagliari nella prima metà del ‘700
di Fabrizio e Giovanna
Il primo periodo di amministrazione sabauda fu caratterizzato
soprattutto dalla precarietà del rapporto con la realtà isolana.
Inizialmente i Savoia cercarono di conservare l’autonomia degli
ordinamenti isolani, ma nel contempo fecero del loro meglio per mantenere le
prerogative della sovranità. Questo atteggiamento fu determinato da una
prudente valutazione politica nella quale influiva, da un lato, la
preoccupazione di abituare soprattutto i ceti privilegiati alla nuova
dominazione, da un altro lato, influivano invece considerazioni di politica
internazionale.
Coerentemente a questo proposito, il 31 dicembre del 1721, fu istituito
a Torino il Supremo Consiglio di Sardegna, un organo consultivo del governo che
ereditò le attribuzioni del Supremo Consiglio d’Aragona, mentre la Reale
Udienza, l’organo collegiale creato in epoca spagnola al fine di
martedì 5 aprile 2016
Archeologia, storia e geografia di Bosa, l'unica città sarda con un fiume navigabile: il Temo.
Archeologia, storia e geografia di Bosa, l'unica città sarda con un fiume navigabile: il Temo.
di Pierluigi Montalbano
Bosa ha 8000 abitanti. Fa parte dell'Unione di Comuni della Planargia e del Montiferru Occidentale. Si inserisce nel territorio del Logudoro, condividendo l'utilizzo del sardo logudorese. Durante il dominio aragonese, ottenne il rango di città regia del quale attualmente permane, con l'abolizione dei privilegi feudali, il titolo onorifico di città. Insieme ad Alghero è sede vescovile della diocesi di Alghero-Bosa. È attraversata dal corso del Temo, l'unico fiume navigabile della Sardegna (per circa 6 km), nella cui piana alluvionale si trova il centro abitato che da un nucleo medievale posizionato sulle pendici del colle di Serravalle si è esteso dall'Ottocento verso valle e, dal Novecento, sino alla foce e in direzione della costa, dove si è sviluppata una stazione balneare, Bosa Marina. Sulla costa, frastagliata e lunga 33 km, si distinguono i tufi trachitici a sud del promontorio di punta Argentina dalle più antiche andesiti inferiori di capo Marrargiu, dove si aprono grotte naturali e miniere sfruttate fino ai primi del Novecento. Nella costa fra Bosa e Alghero, è presente l'unica colonia sarda di grifoni, specie protetta perché a rischio di estinzione. Nel 2015 si contavano, nel territorio, trentacinque coppie riproduttive. Bosa fu abitata già in epoca preistorica come dimostrano le 36 domus de janas con dromos che testimoniano una frequentazione dall’età del rame. Di rilievo la
lunedì 4 aprile 2016
Nuraghi di avvistamento: architetture preistoriche costiere
Nuraghi di avvistamento: architetture preistoriche costiere
di Pierluigi Montalbano
Il dibattito sulla questione che riguarda la funzione dei nuraghi, le antiche strutture realizzate dai sardi nuragici nel Bronzo Medio, è sempre acceso e attuale, e voglio proporre qualche riflessione in merito per offrire una serie di indizi che possono aiutare a decifrare la loro destinazione d'uso. Anzitutto il loro numero, un migliaio, e la loro posizione in luoghi strategici fanno capire l'importanza per le comunità costiere di tenere sotto controllo la porzione di mare in prossimità di baie idonee all'approdo di navigli. A questo punto occorre analizzare altri indizi, ad esempio la presenza di sorgenti d'acqua dolce e la facilità di esplorazione del territorio. Un problema da superare per i marinai che approdavano in luoghi nuovi era quello di capire se la popolazione locale era ostile. Lo stesso dubbio avevano i residenti, e poteva essere sciolto già dalla semplice osservazione delle barche che si avvicinavano alla costa. Tenere sotto controllo una baia è impresa non difficile, con la possibilità di conoscere in anticipo la migliore sistemazione del naviglio e la conseguente preparazione delle infrastrutture adatte al ricevimento, pacifico o ostile secondo necessità. In questa fase diventa decisivo poter disporre di luoghi di vedetta in grado di comunicare, più rapidamente ed efficacemente possibile, con il sistema di reazione al nuovo arrivato. Accoglienza generosa verso l'amico o attacco a sorpresa verso il nemico. Vista la situazione presente in Sardegna, capillarmente controllato da nuraghi e organizzato in villaggi prevalentemente in contatto visivo fra loro, sono convinto che nessuna flotta nemica poteva sbarcare in armi e imporsi con le cattive. C'è anche da dire che i marinai preferiscono sempre essere accolti benevolmente, favoriti come sono dalla possibilità di offrire prodotti provenienti da altri lidi, e quindi appetibili per i locali. A questo punto ci sono da capire le modalità di approccio fra locali e nuovi arrivati. Non credo alla proposta di alcuni studiosi che, romanticamente legati alla visione di Cristoforo Colombo in America, ipotizzano uno scambio cerimoniale sulle spiagge con doni di vario genere o merci che vengono lasciate sulla riva in attesa di una controproposta dei residenti. Le merci viaggiavano fin dal Neolitico, e la rete commerciale nel Bronzo Medio era consolidata. Le coste ben conosciute e la condizione sociale e organizzativa dei locali non poteva essere ignota a chi sbarcava nell'isola. I nuraghi costieri, dunque, quale funzione avevano? Potevano segnalare la direzione di arrivo alle navi amiche, avvisare le comunità locali dell'imminente sbarco di qualcuno, presidiare il territorio e offrire, al contempo, un riparo temporaneo per chi voleva raggiungere luoghi impervi, forse lungo vie di pellegrinaggio verso i templi in vetta o nelle vie di transumanza.
di Pierluigi Montalbano
Il dibattito sulla questione che riguarda la funzione dei nuraghi, le antiche strutture realizzate dai sardi nuragici nel Bronzo Medio, è sempre acceso e attuale, e voglio proporre qualche riflessione in merito per offrire una serie di indizi che possono aiutare a decifrare la loro destinazione d'uso. Anzitutto il loro numero, un migliaio, e la loro posizione in luoghi strategici fanno capire l'importanza per le comunità costiere di tenere sotto controllo la porzione di mare in prossimità di baie idonee all'approdo di navigli. A questo punto occorre analizzare altri indizi, ad esempio la presenza di sorgenti d'acqua dolce e la facilità di esplorazione del territorio. Un problema da superare per i marinai che approdavano in luoghi nuovi era quello di capire se la popolazione locale era ostile. Lo stesso dubbio avevano i residenti, e poteva essere sciolto già dalla semplice osservazione delle barche che si avvicinavano alla costa. Tenere sotto controllo una baia è impresa non difficile, con la possibilità di conoscere in anticipo la migliore sistemazione del naviglio e la conseguente preparazione delle infrastrutture adatte al ricevimento, pacifico o ostile secondo necessità. In questa fase diventa decisivo poter disporre di luoghi di vedetta in grado di comunicare, più rapidamente ed efficacemente possibile, con il sistema di reazione al nuovo arrivato. Accoglienza generosa verso l'amico o attacco a sorpresa verso il nemico. Vista la situazione presente in Sardegna, capillarmente controllato da nuraghi e organizzato in villaggi prevalentemente in contatto visivo fra loro, sono convinto che nessuna flotta nemica poteva sbarcare in armi e imporsi con le cattive. C'è anche da dire che i marinai preferiscono sempre essere accolti benevolmente, favoriti come sono dalla possibilità di offrire prodotti provenienti da altri lidi, e quindi appetibili per i locali. A questo punto ci sono da capire le modalità di approccio fra locali e nuovi arrivati. Non credo alla proposta di alcuni studiosi che, romanticamente legati alla visione di Cristoforo Colombo in America, ipotizzano uno scambio cerimoniale sulle spiagge con doni di vario genere o merci che vengono lasciate sulla riva in attesa di una controproposta dei residenti. Le merci viaggiavano fin dal Neolitico, e la rete commerciale nel Bronzo Medio era consolidata. Le coste ben conosciute e la condizione sociale e organizzativa dei locali non poteva essere ignota a chi sbarcava nell'isola. I nuraghi costieri, dunque, quale funzione avevano? Potevano segnalare la direzione di arrivo alle navi amiche, avvisare le comunità locali dell'imminente sbarco di qualcuno, presidiare il territorio e offrire, al contempo, un riparo temporaneo per chi voleva raggiungere luoghi impervi, forse lungo vie di pellegrinaggio verso i templi in vetta o nelle vie di transumanza.
sabato 2 aprile 2016
Architetture in pietra. Cascine, bagli e masserie, i nuraghi contemporanei.
Architetture in pietra. Cascine, bagli e masserie, i nuraghi contemporanei.
di Pierluigi Montalbano
Lo sguardo sul paesaggio consente di scorgere sulle
creste delle colline, spesso in posizione dominante, imponenti edifici rurali
che prendono il nome di masserie, bagli e cascine. Questi edifici furono
costruiti al servizio di grandi aziende specializzate nella trasformazione
dell’uva e delle olive in vino e olio, o al servizio di aziende
cerealico-zootecniche. La costruzione rispondeva a diverse esigenze dei grandi
proprietari, tra cui quella della sicurezza, infatti nelle campagne è da sempre
presente il pericolo dovuto alla presenza di briganti. Ciò spiega come questi
edifici abbiano a volte l’aspetto di una fortezza con il muro alto e di grosso
spessore, nel quale si apre un solo portone d’ingresso assai robusto e spesso
rinforzato mediante l’applicazione di lastre metalliche chiodate per difenderlo
da eventuali tentativi di darlo alle fiamme. Altra caratteristica di fortezza è
data dalla presenza di poche e piccole finestre munite di grate di ferro molto
elevate; e da feritoie nascoste (saettiere) dalle quali poter dare fuoco con le
armi. Queste strutture servivano anche a ricevere, conservare e trasformare i
prodotti agricoli dell’azienda in attesa di portarli al più vicino mercato per
venerdì 1 aprile 2016
Una immensa grotta fotografata da 15 speleologi. E' la più grande del pianeta.
Cina. Una immensa grotta fotografata da 15 speleologi. E' la più grande del pianeta.
Stalattiti e
stalagmiti alte come palazzi, spazi così immensi da poter contenere le nuvole, un sistema meteorologico
assolutamente indipendente da quello che regola il resto del pianeta. Siamo
nella grotta più grande mai scoperta sulla Terra: Er Wang Dong. Questo
incredibile mondo sotterraneo si trova in Cina, precisamente nella provincia di
Chongquing. Per la prima volta è stato esplorato e fotografato da un gruppo di
15 speleologi americani e inglesi capeggiati da Robbie Stone, dell’Università
di Manchester. Le immagini, scattate nelle viscere del pianeta, sono così belle
da lasciare senza fiato. La grotta è talmente immensa da aver sviluppato un
proprio meteo: all’interno ci sono nuvole, pioggia e banchi di nebbia. C’è
voluto circa un mese di spedizione per portare alla luce questo mondo sommerso
e straordinario. «Alcune delle grotte che fanno parte di questo sistema erano
state precedentemente utilizzate dai minatori di nitrato, ma solo nelle aree
più vicine all’ingresso. Mai prima di oggi questo angolo di mondo era stato
esplorato nel suo insieme», ha spiegato Stone.«Tutti i
Iscriviti a:
Post (Atom)