domenica 14 febbraio 2016
Ritrovate dagli archeologi una decina di macine in pietra di peperino.
Ritrovate dagli archeologi una decina di macine in pietra di peperino.
di Fiora Bonelli
Decine di macine di pietra trachitica sono state scoperte da tre appassionati di archeologia e di ambiente, nella parte alta della montagna amiatina sul confine fra versante senese e grossetano.
Una scoperta non da poco per gli appassionati di storia e di cultura amiatina. Forse è un primo rudimentale laboratorio di macine, realizzate con la pietra di peperino dell’Amiata e poi portate a valle da animali con attrezzature apposite.
Di sicuro si tratta di una novità assoluta per la zona: una scoperta che alla resa dei conti giustificherebbe anche il toponimo “Macinaie” per il quale ancora nessuna spiegazione scientifica era stata data e documentata con certezza.
Macine di pietra di dimensione piccola, che potrebbero essere anche di età
medievale, vista la presenza in tutti i paesi della montagna, fin dal VI d.C. di mulini a palmenti, spinti dalla forza delle abbondanti acque presenti in tutta l’Amiata.
La scoperta è stata fatta domenica scorsa da Gianni Cannavale (fra l’altro esperto speleologo e scopritore del cunicolo che corre sotto il piazzale della Pieve di Lamula di Montelaterone, con cui si è avviata la stagione di ricerca dei segni templari nella chiesa dedicata alla Madonna), Giorgio Bonelli e Marco Mearini. Del posto esatto del ritrovamento, per ora, non è stata resa nota l’ubicazione, anche per paura che qualcuno porti via questi antichi manufatti di pietra, così preziosi e mai rinvenuti fino a domenica scorsa.
«Nel luogo che abbiamo rintracciato - spiega Gianni Cannavale - vi sono diverse macine già finite e realizzate rigorosamente a mano. Insieme a quelle finite, ve ne sono altre abbozzate, altre rotte e altre pietre forse solo iniziate. La sensazione che si ha è quella di trovarsi di fronte ad una cava, o comunque a un luogo ove era attiva una lavorazione di una certa importanza».
Il luogo, infatti, è pieno di rocce trachitiche e non si esclude che sotto l imponente strato di foglie si nascondano altre sorprese. Le macine sono ricoperte da muschio e licheni, elemento, questo, che ne attesta l’antichità.
«Sarà difficile stabilirne la datazione, ma non sembrano assolutamente recenti. Le dimensioni sono di circa 70/80 cm di diametro e alcune di esse recano un foro circolare al centro - spiegano i ritrovatori - Il motivo per il quale quelle macine sono state abbandonate resta un mistero.
Forse non avevano le giuste caratteristiche per essere utilizzate, magari avevano delle imperfezioni o lesioni di una certa rilevanza. In pochi minuti ne abbiamo scoperte diverse, avverte Cannavale, ma forse altre sono nascoste dalla vegetazione».
La zona si trova a circa tre chilometri dalla località Macinaie e la presenza di queste macine è forse da mettere in relazione con tale toponimo. «È possibile - commenta lo speleologo - anche perché non sono mai stati trovati riscontri dell’ origine di quel toponimo. La stranezza di quelle macine è che non hanno una grandezza esagerata, come quelle, per intenderci, che si usano per frangere le olive. Sono più piccole».
Insomma, forse erano destinate alla macinazione del grano, dei cereali, delle castagne secche. «Non è chiaro, ma il mistero resta».
Fonte: Archeorivista
di Fiora Bonelli
Decine di macine di pietra trachitica sono state scoperte da tre appassionati di archeologia e di ambiente, nella parte alta della montagna amiatina sul confine fra versante senese e grossetano.
Una scoperta non da poco per gli appassionati di storia e di cultura amiatina. Forse è un primo rudimentale laboratorio di macine, realizzate con la pietra di peperino dell’Amiata e poi portate a valle da animali con attrezzature apposite.
Di sicuro si tratta di una novità assoluta per la zona: una scoperta che alla resa dei conti giustificherebbe anche il toponimo “Macinaie” per il quale ancora nessuna spiegazione scientifica era stata data e documentata con certezza.
Macine di pietra di dimensione piccola, che potrebbero essere anche di età
medievale, vista la presenza in tutti i paesi della montagna, fin dal VI d.C. di mulini a palmenti, spinti dalla forza delle abbondanti acque presenti in tutta l’Amiata.
La scoperta è stata fatta domenica scorsa da Gianni Cannavale (fra l’altro esperto speleologo e scopritore del cunicolo che corre sotto il piazzale della Pieve di Lamula di Montelaterone, con cui si è avviata la stagione di ricerca dei segni templari nella chiesa dedicata alla Madonna), Giorgio Bonelli e Marco Mearini. Del posto esatto del ritrovamento, per ora, non è stata resa nota l’ubicazione, anche per paura che qualcuno porti via questi antichi manufatti di pietra, così preziosi e mai rinvenuti fino a domenica scorsa.
«Nel luogo che abbiamo rintracciato - spiega Gianni Cannavale - vi sono diverse macine già finite e realizzate rigorosamente a mano. Insieme a quelle finite, ve ne sono altre abbozzate, altre rotte e altre pietre forse solo iniziate. La sensazione che si ha è quella di trovarsi di fronte ad una cava, o comunque a un luogo ove era attiva una lavorazione di una certa importanza».
Il luogo, infatti, è pieno di rocce trachitiche e non si esclude che sotto l imponente strato di foglie si nascondano altre sorprese. Le macine sono ricoperte da muschio e licheni, elemento, questo, che ne attesta l’antichità.
«Sarà difficile stabilirne la datazione, ma non sembrano assolutamente recenti. Le dimensioni sono di circa 70/80 cm di diametro e alcune di esse recano un foro circolare al centro - spiegano i ritrovatori - Il motivo per il quale quelle macine sono state abbandonate resta un mistero.
Forse non avevano le giuste caratteristiche per essere utilizzate, magari avevano delle imperfezioni o lesioni di una certa rilevanza. In pochi minuti ne abbiamo scoperte diverse, avverte Cannavale, ma forse altre sono nascoste dalla vegetazione».
La zona si trova a circa tre chilometri dalla località Macinaie e la presenza di queste macine è forse da mettere in relazione con tale toponimo. «È possibile - commenta lo speleologo - anche perché non sono mai stati trovati riscontri dell’ origine di quel toponimo. La stranezza di quelle macine è che non hanno una grandezza esagerata, come quelle, per intenderci, che si usano per frangere le olive. Sono più piccole».
Insomma, forse erano destinate alla macinazione del grano, dei cereali, delle castagne secche. «Non è chiaro, ma il mistero resta».
Fonte: Archeorivista
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