martedì 9 febbraio 2016
Archeologia. Navi, navigazione e commercio nel Mondo Antico, di Roberto Petriaggi
Archeologia. Navi, navigazione e commercio nel Mondo Antico
di Roberto Petriaggi
In attesa della conferenza di Carlo Tronchetti sulla Sardegna nelle antiche rotte del Mediterraneo, che si svolgerà Venerdì 12 Febbraio, a Cagliari/Pirri, nella sala conferenze Honebu in Via Fratelli Bandiera 100 alle 19, ho pensato di fare cosa gradita pubblicando un interessante articolo sul tema.
La diffusione delle culture
materiali del Paleolitico Superiore costituisce la prima testimonianza
archeologica della capacità dell’uomo di realizzare natanti in grado di
permettere l’attraversamento del mare già intorno al X-IX millennio a. C. A
partire dal Mesolitico, poi, assistiamo alla diffusione dell’ossidiana
dell’isola di Milos sia in ambito egeo che peloponnesiaco. Il Neolitico testimonia
un notevole progresso tecnologico che permette la realizzazione di grandi
imbarcazioni monossili. Il perfezionamento degli utensili litici consentì,
probabilmente, la costruzione di battelli particolarmente accurati la cui
tipologia resta in gran parte sconosciuta. Tra le testimonianze archeologiche
più sensazionali di questi natanti ricordiamo la piroga monossile in legno di
quercia lunga circa m.10,50 rinvenuta negli anni ’90 dello scorso secolo a
Bracciano e datata intorno al 6000 a. C., ora in mostra presso il Museo
Pigorini a Roma. Tra i minerali più ricercati e diffusi del periodo Neolitico
si segnala ancora l’ossidiana di Lipari, di Palmarola e della Sardegna, dalla
quale si ricavavano strumenti e coltelli dal taglio affilato, che è stata
ritrovata esportata in diversi siti della
costa tirrenica. I trasporti dovevano
avvenire su imbarcazioni mosse da pagaie, poiché sembra che la vela sia stata
introdotta solo alla fine del neolitico, intorno al IV millennio a.C. Le più
antiche notizie storiche riguardanti la navigazione commerciale, però,
risalgono al 2650 a.C. Si tratta di testi egiziani risalenti alla IV dinastia.
Uno di essi parla di quaranta navi che erano state inviate in Libano per
approvvigionarsi del legno di cedro, molto ricercato anche per le costruzioni
navali. Un fortissimo impulso allo sviluppo delle rotte commerciali venne,
dunque, dall’esigenza di attingere alle fonti di approvvigionamento delle
materie prime richieste dal progresso industriale e tecnologico. Questo spiega
come già nel terzo millennio a.C. fossero aperte le rotte verso l’Occidente e
la Spagna, terra ricca di miniere, dove la tradizione collocava il mitico regno
di Tartessos, la “terra dei metalli”, rotte lungo le quali si distribuiranno i
centri delle fiorenti colonie fenicie e greche. Ovviamente, molto di più di
quanto accade oggi, la navigazione antica dipendeva dall’andamento delle
stagioni e dal regime dei venti e delle correnti. Inoltre, la durata del
viaggio non era prevedibile, poiché le antiche navi, capaci di risalire il
vento in modo limitato, navigavano preferibilmente con il vento in poppa ed
erano spesso costrette a cambiamenti di direzione o a lunghe soste.
A complicare la situazione si
aggiungeva la difficoltà di orientamento che si basava, principalmente, sui
movimenti del sole e delle costellazioni. Come si sa, il sorgere ed il
tramontare del sole avvengono in punti diversi, a seconda delle stagioni e la
scoperta dell’utilità della Stella Polare, come riferimento per la direzione
Nord, sarebbe avvenuta solo più tardi, probabilmente dopo la fine dell’Evo
Antico.
Le nostre principali fonti di
documentazione sulle antiche imbarcazioni sono i monumenti figurati, le notizie
degli storici e degli scrittori antichi, quelle dei documenti epigrafici e,
negli anni più recenti, i ritrovamenti archeologici subacquei. Le notizie sulle
tecniche di costruzione, desunte per lo più da opere letterarie, sono,
tuttavia, scarse; infatti i primi trattati di costruzione, sebbene di difficile
interpretazione, compaiono solo in età moderna, per quello che oggi sappiamo,
intorno al XV secolo, epoca alla quale risalgono alcuni piani di costruzione
navale veneziani.
Le imbarcazioni primitive
Conosciamo la forma dei primi
natanti dallo studio delle fonti iconografiche e dai ritrovamenti archeologici,
soprattutto per quanto riguarda le piroghe. Erano diffuse, poi, barche formate
da un’armatura in legno sulla quale erano tese delle pelli cucite tra loro,
zattere costituite da una piattaforma di legno tenuta a galla, normalmente, da
otri di pelle animale gonfi d’aria (antenate dei nostri gommoni), barche di
canne o di papiro, come è attestato in Egitto dal
periodo Preistorico-Pre Dinastico (5000-3000 a.C.) dove, a partire dal Regno
Antico (I-VIII Dinastia 2920-2150 a.C.), si iniziarono a costruire anche navi
di legno, delle quali è giunto a noi un noto esemplare integro, la nave del
faraone Cheope o Khufu (2551-2528 a. C. circa), sepolta lungo il lato sud della
omonima piramide e riscoperta nel 1954. Lo studio delle navi Egiziane ha
evidenziato il metodo di costruzione per mezzo di legature con fibre vegetali
(navi “cucite”): lo scafo era a fasciame autoportante. In altre parole, le
tavole potevano essere montate preventivamente anche senza il supporto dello
scheletro interno (tecnica detta “shell first,” o “prima il fasciame”), grazie
anche alla presenza di incastri (le mortase) realizzati nei giunti tra l’una e
l’altra tavola (i comenti), nei quali venivano inserite delle linguette di
legno (i tenoni).
Le navi commerciali dall’età del Bronzo all’età
greco-romana
Le scoperte dell’archeologia
subacquea hanno evidenziato che la tecnica a fasciame portante era in uso anche
nel XIV sec a.C. La Nave di Ulu Burun, Turchia, del tardo XIV sec. a.C.,
dimostra come fosse possibile realizzare questo schema di costruzione anche
senza le legature, semplicemente vincolando i tenoni, inseriti all’interno
delle mortase del fasciame, con spinotti di legno. Lo sviluppo delle ricerche
subacquee ha permesso l’esame diretto di diversi relitti costruiti con questa
tecnica, databili a partire dall’Età del Bronzo fino almeno al VI sec. d.C.. Dall’età
del Bronzo al periodo geometrico le navi non erano differenziate in relazione
alla finalità d’uso; lo stesso tipo di nave era usato indifferentemente per il
commercio o la guerra. Un esempio può essere costituito dalle navi lunghe con
passeggeri nelle pitture di Santorini, anteriori al 1500 a.C.. A partire dalla
fine dell’VIII secolo a.C. le navi da trasporto assumono una forma tondeggiante
e utilizzano essenzialmente la vela quadra per la navigazione; quelle da guerra
mantengono una forma allungata, con la prua munita di rostro e si muovono sia a
remi che a vela. Le navi da trasporto vengono denominate in greco olkàdes e in
latino onerariae; le navi da guerra, per la loro forma, vengono genericamente
chiamate naves longae. Logicamente una nomenclatura più articolata designava i
diversi tipi, come attestano le fonti scritte e iconografiche, anche in
relazione al carico trasportato e, per le navi da guerra, al numero dei
rematori ( cfr. il mosaico di Althiburo in Tunisia III sec. d. C.). La maggior
parte delle navi onerarie trasportava merci di
varia natura. I generi alimentari, soprattutto i liquidi come vino, olio,
o semiliquidi come le conserve di
pesce, di frutta ecc… erano contenuti in anfore impilate nelle stive
a formare diversi piani. Il vasellame da cucina e da mensa costituiva spesso il
carico supplementare di queste spedizioni, di cui spesso facevano parte anche
suppellettili pregiate ed opere d’arte. Le opere d’arte, come le statue e la
suppellettile di lusso, erano trasportate probabilmente entro imballaggi di
paglia e avvolti da tessuti pesanti per attutire i colpi ed evitare
danneggiamenti nel corso della navigazione. Dei contenitori utilizzati
nell’Antichità per il trasporto marittimo, solo le anfore, i dolia, di cui
parleremo, e i recipienti in terracotta sono giunti in gran numero fino ai
giorni nostri. Sacchi, botti e, in genere, tutti i contenitori costituiti da
materiale deperibile sono andati perduti. Alcune eccezioni sono rappresentate
dal ritrovamento di resti di cesti di vimini. Il commercio marittimo greco –
romano conobbe anche navi specializzate per particolari merci quali le naves
lapidariae in greco lithegòi, per i marmi lavorati e semilavorati, le
frumentariae come quelle della flotta granaria che riforniva periodicamente
Roma di grano egiziano. C’erano poi speciali navi cisterna (vinariae) per il
trasporto delvino dentro
grandi vasi di terracotta detti dolia, capaci di contenere fino a 2550 – 3000
litri di vino ciascuno. Le bestiariae o cercuri (dal greco Kérkuroi), erano le
navi che provvedevano al trasporto degli animali per i giochi del circo, come
si vede nei mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina. Da ricordare le
navi per i trasporti eccezionali, come quelle che trasportarono a Roma gli
obelischi. E’ interessante osservare che, fra tutte le specializzazioni, non è
dato di conoscere navi esclusivamente dedicate al trasporto passeggeri, come si
intendono oggi. Le cronache e la letteratura antica sono ricche di episodi di
traversate marine di vari personaggi, imbarcati alla meglio su navi commerciali
o da guerra. Valga per tutti il racconto del viaggio di San Paolo da Cesarea a
Roma, compiutosi in gran parte, fino al naufragio, su una nave frumentaria,
come narrato nel capitolo 27 degli Atti degli Apostoli.
Lungo il corso dei fiumi e
presso i porti di imbarco e sbarco delle merci esistevano navi a fondo piatto
che praticavano le rotte interne e la piccola navigazione costiera
(cabotaggio). Sul Tevere, tra Roma e il mare, erano impiegate a questo scopo
imbarcazioni denominate naves codicariae. Tre delle navi conservate nel museo
di Fiumicino appartengono con ogni probabilità a questa tipologia.
Capacità di carico dei mercantili antichi
La stazza dei mercantili
antichi poteva raggiungere livelli notevoli: la capacità di trasporto era
calcolata in anfore (45-50 chilogrammi) o modii (circa 6.6 chilogrammi). Dalle
fonti sappiamo dell’esistenza di navi dalle stive capaci di contenere oltre
10.000 anfore, myrioforoi, intorno alle 450/500 tonnellate, ovvero fino a oltre
180.000 moggi di grano, pari a circa 1200 tonnellate, come l’Isis, nave della
flotta granaria di Alessandria, descritta da Luciano (Navigium, 5), lunga 53
metri, larga 14 e alta circa 13 metri dalla chiglia al ponte. Una capacità di
carico pari a circa 330 tonnellate (50.000 moggi) era il requisito minimo
richiesto dallo Stato romano per il conferimento di speciali condizioni a chi
volesse offrire a nolo la propria nave per i trasporti dell’Annona. Del resto è
stato calcolato che se sotto Augusto, a Roma, circa 750.000 persone potevano
contare sul frumento distribuito gratuitamente dalle Autorità, aggiungendo
quello consumato dal ceto più elevato, dovevano annualmente raggiungere la
Capitale circa 270.000 tonnellate di grano, pari a circa 40.000.000 di modii. Tra
i relitti noti, è stato stimato che la Madrague de Giens, nave in origine lunga
circa 40 metri, trasportasse un carico di circa 300/400 tonnellate di anfore,
disposte su tre o quattro strati, mentre la nave di Albenga ne trasportava
500/600 tonnellate disposte su almeno cinque strati.
Un tipo di merce
particolarmente richiesta dall’aristocrazia romana erano le spezie provenienti
dall’Oriente. Se, infatti, il condimento più utilizzato nel mondo romano, il
garum, confezionato all’interno di speciali anfore, era largamente
commercializzato nel Mediterraneo, dalla Siria e dall’Arabia, attraverso i
traffici con l’India giungevano le spezie e l’incenso. Per la stabilità della
nave era importante la presenza della zavorra (da saborra, sabbia) che era
onnipresente nelle stive. Oltre alla sabbia, anche pietrame di varia pezzatura
era utilizzato per questa funzione e, in qualche caso, anche i legumi, come le
800 tonnellate di lenticchie che furono utilizzate come zavorra per la nave che
trasportò l’obelisco per il Circo di Caligola (Plinio, N.H. 16, 201). In ogni
caso si cercava di non ritornare dal viaggio con la nave priva di un certo
quantitativo di carico: se questo fosse stato di peso inferiore a quello del
viaggio di andata, la differenza era rimpiazzata dalla zavorra.
Fonte: http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/minisiti/alimentazione/sezioni/etastorica/roma/articoli/navi.html
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Se Tartesso e Tarsis sono la stessa cosa, la stele di Nora sembrerebbe fornire una degna soluzione al problema. Quanto a concrete evidenze archeologiche riferibili a una grande civiltà "occidentale" in età precedente l'età del ferro, mi pare che la Sardegna si lasci preferire. E non solo rispetto all'Andalusia.
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