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giovedì 4 febbraio 2016

Archeologia. Economia di Rodi Ellenistica: le anfore, i commerci e gli scambi con l’Occidente, di Francesca Tomei

Archeologia. Economia di Rodi Ellenistica: le anfore, i commerci e gli scambi con l’Occidente.
di Francesca Tomei   (Tratto dalla tesi di laurea magistrale in archeologia. Università di Pisa)

Le anfore da trasporto rodie costituiscono la principale fonte di informazione sulla produzione di vino; nonostante non sia provato che contenessero tale prodotto, il grappolo d'uva come attributo di molti bolli fa propendere per la veridicità di tale ipotesi, almeno per la maggior parte di esse. Nel 1986 Empereur e Picon riportano i risultati di prospezioni fatte nell'isola di Rodi, che hanno consentito di identificare una ventina di ateliers di produzione di anfore rodie: essi sono generalmente di dimensioni modeste, sparsi nella chora, più frequentemente lungo la costa nei punti di imbarco, oppure nelle zone di accesso al mare delle vigne che si sviluppavano sulle colline. Un'ulteriore ricognizione greco- danese effettuata sull'isola nel 1994 ha consentito la localizzazione, sempre vicino al mare, di un sito con scarti di fornace per anfore nell'area di Kattavia, nella parte meridionale di Rodi, la cui attività si pone principalmente tra I secolo a.C. e I secolo d.C. Gli scarti dei vari ateliers mostrano quasi sempre una continuità di produzione dall'età ellenistica al II secolo d.C. Anche nella Peraia sono attive già dalla fine del IV secolo a.C. officine di produzione di anfore rodie, in particolare nella penisola di Loryma, collegate ai terreni sfruttati già all'inizio del III secolo a.C. dallo Stato rodio per la coltivazione della vite, per poter aumentare la produzione del
vino destinato all'esportazione . Presso l'attuale centro di Hisarönü, luogo in cui Fraser e Bean identificano l'antica Eriné, parte della Peraia integrata, sono stati scoperti i resti di una fornace installata molto vicino al mare in cui si producevano, in base ai frammenti raccolti in superficie, anfore rodie morfologicamente databili dalla metà del III secolo a.C. (orlo a cuscinetto, anse a gomito, bolli di JIerotelhv") al I secolo a.C. (anse a "corno", puntale conico) . Altre fornaci sono state messe in luce a Gelibolu, presso l'antica Callipolis, in cui la stratigrafia mostra un'attività iniziata alla fine del IV secolo a.C. per continuare fino al I secolo d.C. con anfore con anse "a corno", e a Turgut-Bayir dove sono state prodotte nell'arco di una generazione anfore di tipo proto-rodio, ascrivibili al IV secolo a.C. Officine di produzione di anfore rodie sono state localizzate anche nelle isole sotto il controllo di Rodi, quali Carpathos dove sono segnalati due ateliers in funzione dall'epoca ellenistica a quella imperiale, Nisyros e Symi. Tutti i siti di produzione di anfore sono localizzati in punti di facile accesso al mare, dove venivano caricate nelle navi e spedite nei luoghi in cui il vino rodio era richiesto: un esempio della rete che collegava fattorie-officine anforiche ai punti di imbarco per l’esportazione dei prodotti è dato dall’area di Patronas, a nord della località di Makkiou dove sono segnalati i resti di presse per olio e vino. Nella stessa zona sono noti numerosi ateliers che producevano contenitori per vino, olio ed altri prodotti agricoli; inoltre vicino al mare, all’imboccatura di una gola, sono state osservate tracce di un edificio rettangolare (9x13 m) suddiviso in numerosi ambienti, probabilmente usati per l’immagazzinamento dei beni. Inoltre la baia di Kerami offriva un ottimo punto di approdo per piccole imbarcazioni. Durante il periodo Ia, tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. quando Rodi inizia ad intensificare la produzione del vino, adotta per i suoi contenitori una forma molto simile a quella delle anfore di Chio, uno dei più importanti produttori di vino nell'Egeo in quel periodo. Come nel modello chiota, infatti, il collo è largo e alto, la spalla marcata e la pancia ha un profilo conico affilato, terminante in un puntale; le anse hanno sezione circolare, profilo arrotondato e sono attaccate al di sotto dell'orlo, caratterizzato dal tipico profilo en champignon, ed a metà della spalla . Già nel periodo Ib (270-250 a.C.) la forma si evolve, distaccandosi sempre di più dal modello chiota: diminuisce il volume e la pancia assume un profilo più arrotondato. Le anse rimangono spesse, con profilo arrotondato e l'orlo mantiene il profilo en champignon, adottato anche in numerosi altri centri dell'Egeo sud-orientale, tanto che Empereur e Picon hanno parlato di una sorta di koinè di questo tipo di orlo. Le anfore assumono una forma strettamente identificabile con quella di Rodi a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. fino alla prima metà del I secolo a.C., quando si fa un uso intensivo dei bolli con il nome dell'eponimo, identificato con il sacerdote di Helios, il mese ed il fabbricante, a cui si associano i caratteri tipici, quali le anse rilevate a gomito ad angolo retto, il collo lungo e stretto, l'orlo a cuscinetto, le spalle marcate e la pancia affusolata, terminante in un puntale cilindrico pieno. Questi contenitori sono infatti definiti da Lawall come il miglior esempio di cityspecific amphoras e rappresentano uno dei più alti gradi di standardizzazione raggiunti in epoca ellenistica: la loro forma ed i bolli fornivano infatti ai mercanti informazioni utili ed affidabili sulla qualità e l'autenticità del prodotto in spedizioni di massa, secondo le linee dello standardized good market, in cui la maggior sicurezza sulla qualità del prodotto è fornita dall'imballaggio. Finkielsztejn ha costruito nel 2001 una serie di diagrammi di distribuzione delle anfore rodie basandosi sul conteggio dei bolli di un determinato eponimo in un dato sito e quindi seguendo la successione cronologica nota dei sacerdoti di Helios, per poter così mostrare l’entità delle importazioni/esportazioni per anno in un dato periodo. In modo simile Lund, basandosi sull'assunto (non del tutto certo) che le anfore con i bolli dell'eponimo erano prodotte e riempite di vino nello stesso anno, ha cercato di stimare il volume annuo della produzione vinicola basandosi sulle occorrenze dei nomi degli stessi eponimi . Per quanto riguarda quindi la circolazione interna a Rodi e nella sua Perea, sia per il consumo interno sia per lo spostamento dagli ateliers di produzione ai punti di imbarco, si può vedere che dal 268 al 235 a.C. le percentuali di produzione e di distribuzione risultano basse perché il sistema dei bolli non era ancora ampiamente diffuso . I picchi più alti invece si registrano tra 190-160 a.C., 160-146 a.C., 145-130 a.C. e di nuovo alla fine del II secolo a.C.; in particolare la media molto alta di ricorrenze di bolli con lo stesso eponimo nel periodo IV (160-146 a.C.) si può spiegare con lo sforzo di incrementare la produzione destinando nuove aree alla coltivazione della vite, sia sull’isola, sia sulla Perea. Le fluttuazioni nella produzione del vino, come di ogni altro prodotto agricolo nell'antichità, erano fortemente influenzate dai fattori climatici, in particolare per la Grecia egea la scarsa piovosità, causa spesso di periodi di siccità e quindi di raccolto scarso, vanno aggiunti i frequenti terremoti che qui come in tutta l'area egea, hanno influenzato moltissimo la vita economica delle città . Rodi in particolare fu colpita da due terremoti molto disastrosi nel 229 e nel 226 a.C., ricordati dalle fonti per gli aiuti ricevuti dall'isola da parte delle maggiori potenze economiche e politiche dell'epoca (Egitto tolemaico, Siracusa), che certamente arrecarono danni anche economici, provocando una riduzione nella produzione del vino e delle anfore a causa del crollo di numerosi ateliers. È ovvio che tali fluttuazioni avessero un impatto importante sul commercio del grano che i Rodii ricevevano da Alessandria d'Egitto in cambio del vino, anche se è probabile che una certa quantità, frutto delle annate più abbondanti, venisse immagazzinata per poter essere esportata nei periodi di crisi della produzione, in modo da non interrompere l'approvvigionamento di grano così importante per l'isola . Secondo Horden e Purcell infatti l'incertezza climatica del Mediterraneo, con le sue differenze a livello locale e micro-locale, ha fatto sì che nell'antichità, quando una regione si trovava in deficit di determinate risorse, queste dovessero essere ricercate all'esterno, portando quindi i vari stati a comunicare tra loro per necessità più che per scelta.
L’esportazione del vino rodio: vino in cambio di grano
Il commercio era la maggiore fonte di ricchezza per Rodi, che divenne uno degli Stati più ricchi dell’Oriente ellenistico: a dimostrazione di ciò, è il passo di Polibio relativo al discorso tenuto dall’ambasceria rodia al Senato di Roma nel 165-164 a.C. in cui si parla dell’ammontare delle rendite derivate dai due porti di Rodi prima della creazione del porto franco di Delo. Il principale prodotto esportato era il vino e l’entità della sua diffusione è evidente dai ritrovamenti di anse bollate di anfore rodie in tutto il Mediterraneo. Il conteggio dei bolli eponimi ha consentito a Finkielsztejn e a Lund di quantificare le esportazioni in particolare nell’area del Mediterraneo orientale e nel Mar Nero tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. e di costruire dei grafici che consentono di capirne l’andamento nel corso degli anni: 
• Atene: dai dati desunti dalle pubblicazioni della Grace sull’Agorà, si può vedere come le importazioni risultano considerevoli soprattutto tra 225 e 135 a.C., mentre diventano insignificanti nella seconda metà del II secolo a.C.
• Delo: le importazioni, intense tra 235 e 125 a.C., registrano un picco tra 155-150 a.C., quindi dopo la creazione del porto franco (166 a.C.) .
• Mar Nero: le importazioni diventano significative a partire dal 215 a.C. circa con un massimo intorno al 195 e si mantengono costanti per quasi mezzo secolo, per poi subire una lenta diminuzione durante il resto del II secolo a.C.  
• Alessandria: il flusso delle importazioni risulta regolare dal 268 a.C. circa, con un picco tra 150 e 120 a.C. ; bisogna però tenere conto del fatto che i bolli rinvenuti negli scavi di Alessandria, che era uno dei maggiori centri importatori di vino rodio, sono stati adeguatamente pubblicati solo in parte. In ogni caso è la seconda metà del II secolo a.C. quella meglio rappresentata.  
• Samaria e Marissa: in entrambi i siti si registra un’intensa attività di importazione tra 200-195 a.C. e tra 165-130 a.C.
• Gerusalemme ed Acco-Tolemaide: a Gerusalemme le importazioni diventano significative a partire da 210 a.C. ed aumenta dal 180 a.C. con un picco intorno al 165, ma calano bruscamente fino a sparire dopo il 145. Ad Acco dopo un buon inizio intorno al 245 a.C., si registra un calo considerevole del volume tra 230 e 220, per poi riprendersi e rimanere costante fino al 120 a.C. circa. Nel Mediterraneo occidentale anse bollate sono state ritrovate soprattutto a Cartagine, che costituisce uno dei depositi più importanti per la cronologia degli eponimi, in Italia, in particolare in Sicilia, in Gallia ed in Spagna, sia in siti costieri e dell’entroterra, sia nei relitti . Come tendenza generale si può dire che le esportazioni (almeno quelle di anfore in cui si è adottato il sistema dei bolli con il nome dell’eponimo) iniziano in modo considerevole verso la metà del III secolo a.C. (registrando una diminuzione della produzione corrispondente al terremoto del 227 a.C.), con un leggero declino tra 180 e 170 a.C., quindi prima della fondazione del porto franco di Delo avvenuta nel 166 a.C., seguito da una crescita considerevole tra 160-150 che continua fino a dopo il 120 a.C. L’ascesa delle esportazioni nel corso della prima metà del II secolo a.C., che si manterrà costante fino alla fine del secolo, coincide con il momento di massima potenza economica di Rodi dovuta alle concessioni fatte da Roma dopo la disfatta di Antioco III, dimostrando il particolare legame tra economia e politica nella Rodi ellenistica. La principale merce di scambio con il vino di Rodi era il grano, di cui l’isola e la sua Peraia erano carenti ed è evidente che le percentuali di anfore rodie sono maggiori in quelle aree che rifornivano l'isola di cereali. In generale in Grecia e nelle isole dell’Egeo erano frequenti i periodi di sitodeia (scarsità di grano) dovuta a fattori climatici (siccità), come registrato in un’iscrizione in marmo (SEG IX 2) rinvenuta nelle terme bizantine di Cirene in cui è riportata una lista di poleis della Grecia che hanno usufruito del grano della città libica intorno al 330-320 a.C., tra cui figura anche Rodi che ne ricevette 30.000 medimnoi. In cambio, il porto orientale di Apollonia in Cirenaica presenta uno strato di frammenti di anfore databili tra 180 e 150 a.C. provenienti da Rodi, Chio, Cos e Cnido, dove probabilmente il grano veniva redistribuito tramite Rodi. Il commercio era quindi l’unico mezzo che poteva assicurare il rifornimento di grano all’isola, in quanto anche l’acquisizione di parte della Caria intorno 241 a.C. non servì evidentemente a tale scopo, poiché si trattava di territori montagnosi che producevano principalmente olio e frutta e che furono sfruttati per la produzione del vino . Il maggiore fornitore di frumento per Rodi era però l’Egitto tolemaico a cui l'isola risulta legata da un’alleanza politica fin dal IV secolo a.C. . Il particolare legame tra i due Stati è sottolineato dalla donazione da parte di Tolomeo II Evergete di un milione di artarbae di grano in occasione del terremoto del 227 a.C., insieme a trecento talenti d’argento, legname per la costruzione di nuove navi per la flotta militare e tremila talenti di bronzo per il restauro del Colosso (Pol. V, 89) . Un'idea del flusso di navi cariche di merci che andavano e venivano tra Rodi ed Alessandria si può avere da un passo del De officiis di Cicerone, da cui si può evincere anche l'importanza della circolazione delle informazioni nella determinazione del prezzo di vendita di un prodotto di vitale importanza come il grano. Altre donazioni di grano da parte dei sovrani ellenistici, probabilmente occasionali, ma che riflettono l’importanza di Rodi negli equilibri politici ed economici del mondo ellenistico, arrivarono alla metà del II secolo a.C. da Seleuco I, che donò ai Rodii 200mila medimnoi di grano e 100mila medimnoi d’orzo, e da Eumene II che tra 161 e 160 a.C. concesse 280 mila medimnoi di grano per finanziare una scuola . In Oriente un altro granaio importante è la regione del Mar Nero, non solo per Rodi ma anche per Atene, che già dal IV secolo riceve circa 400mila medimnoi annui di grano. Rodi era legata da interessi politici e commerciali anche alla Sicilia, come dimostra la partecipazione di Ierone II alla ricostruzione delle mura della città di Rodi dopo il terremoto del 228 a.C. donando sei talenti d’argento e concedendo l’esenzione dalle tasse portuali alle navi rodie che lasciavano Siracusa cariche di grano. L’esenzione dal pagamento delle tasse portuali permise di incrementare la frequentazione delle navi rodie nel porto siracusano, con un boom nelle importazioni di vino rodio che si registra tra la seconda metà del III e la metà del II secolo a.C., per continuare anche dopo la creazione del porto franco di Delo, che diversamente da quanto sostenuto da Manganaro , diventò il principale centro di smistamento di beni di lusso e di schiavi nel Mediterraneo orientale, mentre Rodi mantenne il ruolo di maggiore mercato del grano . Anche dopo che la Sicilia diventò provincia romana, Rodi continuò a godere delle importazioni di grano dall’isola, come dimostra l’episodio dell’ambasceria dei Rodii a Roma nel 169 a.C. durante la terza guerra macedonica tra Roma e Perseo, con cui gli ambasciatori Agesilaco, Nicasagora e Nicandro chiedono al senato di rinnovare la philia ed il permesso di esportare (ejxavgein) diecimila medimni di grano. La richiesta venne fatta in un momento particolarmente sfavorevole della storia commerciale e politica dell’isola: la guerra macedonica infatti stava arrecando danni al commercio di Rodi e lo scoppio della Sesta guerra siriaca nell’inverno 170/169 a.C. aveva frenato le esportazioni dall’Egitto ; inoltre nel II secolo sono attestati problemi riguardanti la produzione granaria nei paesi pontici, aggravati dalle operazioni belliche, mentre il commercio con la Cisalpina era reso difficile dalla pirateria illirica che infestava l'Adriatico. Lo Stato rodio era inoltre afflitto dalle continue rivolte in Licia ed in Caria negli anni intorno al 170 a.C. e dai contrasti tra la fazione pro-Perseo e quella filoromana. L'ambasceria dei Rodii a Roma aveva quindi motivazioni prevalentemente politiche, ovvero difendersi dalle accuse di collaborazione con Perseo, e la richiesta di grano siciliano aveva lo scopo principale di dimostrare la volontà di mantenere buoni rapporti e rafforzare il "partito" filoromano a Rodi, mostrando l'utilità dell'amicizia con Roma anche sul piano degli approvvigionamenti alimentari durante i periodi di crisi. La comunicazione marittima tra Alessandria, Rodi e la Sicilia era inoltre particolarmente agevole, soprattutto se la navigazione avveniva lungo le coste e lungo la catena di isole che costellano il Mediterraneo orientale: i naviganti infatti potevano usufruire delle correnti favorevoli e del ciclo giornaliero delle brezze costiere che rendevano il viaggio più facile e veloce. La rotta più seguita partiva da Alessandria e si dirigeva verso Tiro, dove divergeva o verso le coste della Licia o verso Cipro, per poi convergere di nuovo a Rodi, che rappresentava quindi un punto nodale per la redistribuzione del grano nell'Egeo, in Asia Minore e ad Atene, grazie alla sua posizione geografica a metà tra l'Egeo ed i porti della Siria, di Cipro e dell'Egitto. Da qui le navi si dirigevano via Carpathos verso Creta da cui raggiungevano il Mar Ionio, dopo una tappa all'isola di Cefalonia; poi passavano lo Stretto di Otranto e si dirigevano verso la costa orientale della Sicilia, per poi navigare verso le coste dell'Italia tirrenica verso la Francia meridionale e le Baleari, oppure potevano procedere verso ovest attraverso il Canale di Sicilia, costeggiando la parte occidentale dell'isola, dove il maggiore porto in epoca ellenistica era quello di Lilibeo, e da qui puntare verso la Sardegna. Per il ritorno invece le correnti rendevano più favorevole una rotta più meridionale lungo le coste nord africane. Oltre al vino Rodi produceva ed esportava altri prodotti agricoli noti soprattutto dalle fonti letterarie, in quanto non hanno lasciato traccia materiale, essendo probabilmente trasportati in contenitori deperibili . Il miele di Rodi era considerato uno dei migliori della Grecia insieme a quello dell’Attica e di Theangela in Caria. Era rinomato inoltre anche l'olio di zafferano utilizzato per produrre profumi (Plin. NH, XIII, 5: Crocinum Solis Ciliciae diu maxime laudatum est, mox Rhodi) ed una qualità di pesce che Archestrato di Gela chiama "squalo-volpe" (Arch. fr.XXXI). In alta considerazione dovevano essere tenuti anche i fichi, che secondo Ateneo "causano bei sogni" , esportati anche nel Mediterraneo occidentale all'interno di 70 anfore: nel relitto del Dramont D (I secolo d.C.) infatti le anfore rodie contenevano fichi.
Il vino di Rodi nelle fonti letterarie
Il vino di Rodi faceva parte di quei vini di “classe media” che in età ellenistica erano largamente esportati insieme a quelli considerati di lusso, come i vini di Lesbo, Chio e Cos che ancora nel II secolo a.C. raggiungevano l’Italia ormai romanizzata, come testimoniano i ritrovamenti, seppure sporadici, nelle maggiori città e nei relitti di navi provenienti dall’Egeo. In cambio venivano portati verso Est i nuovi vini italici, in particolare quelli adriatici, contenuti nelle anfore Lamboglia 2 rinvenute ad Atene, Delo ed Alessandria. Mentre i vini di qualità superiore, venduti a prezzi molto elevati, erano destinati ad una clientela privilegiata che poteva permettersi il consumo di vini esotici provenienti dall’Oriente greco, quelli di qualità media erano destinati ad una clientela più larga, anche se pur sempre selezionata, ed ai mercenari. Il vino di Rodi è nominato da Plinio (NH XIV, 78) per la particolarità della sua preparazione: esso infatti faceva parte dei vini detti teqalasswvmenoi o vina salsa, in quanto veniva aggiunta al mosto una certa quantità d’acqua di mare, come per il vino di Cos, come indicato anche da Ateneo. L’aggiunta dell’acqua di mare aveva lo scopo di favorire la conservazione del vino in quanto il cloruro di sodio, grazie alle sue proprietà antisettiche, bloccava l’azione degli acidi acetici e la conseguente trasformazione in aceto ; inoltre aiutava a impedire la formazione della muffa, tanto che Columella ne consigliava l’uso in tutte le regioni e per qualunque tipo di vendemmia (Col. XII, 23,3) e se usato con moderazione contribuiva a ravvivare il gusto del vino. I vini teqalassomevnoi erano particolarmente apprezzati per le loro qualità medicinali: secondo Orazio avevano infatti proprietà lassative ed aiutavano nella cura delle febbri (Hor., Sat., II, 4, 29. La fama dei vini “salati” era tale che i viticoltori italici vollero imitarli, come già in Catone (De agr. XXIV), evidenziando in questo modo la fama di cui i vini di Rodi e di Cos godevano nell’Italia del II secolo a.C. e I secolo d.C. come attesta Columella (XII, 37). Ancora in epoca augustea il vino di Rodi è ricordato da Virgilio (Georg. II, 101-102) e più tardi da Aulo Gellio che lo definisce firmum e iucundum, ma non dolce quanto il lesbio (Noc. Act., XIII.5.8-9). Nonostante non fosse di prima qualità, il vino di Rodi godeva di una certa fama sia nella prima età ellenistica quando inizia ad essere esportato anche in Occidente sia in età imperiale. In Italia era apprezzato soprattutto perché si trattava di un prodotto “esotico”, proveniente dall’Oriente greco, cosa che gli conferiva una sorta di marchio di qualità e di garanzia che spingeva i membri della classe media italica a procurarselo come elemento di status symbol. Lo dimostrano la presenza in alcune necropoli dell’Etruria di II secolo a.C. di anfore rodie utilizzate sia come elementi del corredo sia come urne cinerarie. Come altre ceramiche di importazione orientale, esse conferivano al loro possessore uno status particolare, in quanto testimoniavano contatti con l’Oriente oppure la possibilità di poter acquistare e consumare un prodotto straniero di una certa qualità. Ateneo menziona anche un vino dolce di qualità più elevata prodotto a Rodi in minor quantità rispetto a quello "salato" e che è noto archeologicamente da un'iscrizione (passum Rhodium) apposta su un'anfora rodia tarda rinvenuta a Pompei.
Mobilità di uomini tra Rodi e l'Italia
Durante l’epoca ellenistica, con la formazione dei nuovi regni ellenistici nel Mediterraneo orientale e quindi la creazione di nuove entità culturali e politiche, lo spostamento di persone assunse un carattere nuovo in quanto questi stati, che facevano parte dei territori conquistati da Alessandro Magno ed erano governati dai suoi successori, condividevano un livello culturale piuttosto omogeneo. Siriani, Egiziani, Fenici, Rodii, Greci, Macedoni si muovevano quindi reciprocamente all’interno dell’Egeo temporaneamente o in maniera definitiva; ad essi con l'affacciarsi di Roma nel Mediterraneo orientale si aggiunsero anche i Romani e gli Italici. La mobilità diventò un importante fattore socio economico per gli Stati ellenistici e la capacità di una comunità di attrarre stranieri diventò un elemento altamente positivo, da incoraggiare e da enfatizzare . A Rodi già dal IV secolo a.C. gli stranieri assunsero un peso considerevole nello sviluppo economico e culturale e, come già ad Atene, venivano messi nelle migliori condizioni possibili per svolgere le loro attività, determinando un maggior benessere anche per la polis stessa. Gli stranieri si suddividono essenzialmente in tre gruppi: coloro che svolgevano una professione particolare, quali attori, medici, atleti, artisti ed ambasciatori, destinatari di numerosi decreti onorifici; i mercanti ed i mercenari che erano oggetto di specifiche disposizioni giuridiche; infine gli stranieri indesiderati, che comprendevano i nomadi, i pirati, i prigionieri di guerra ed i rifugiati politici. Nei loro confronti c'era un atteggiamento di accoglienza, basato sulla morale dell’ospitalità oltre che sull’interesse economico, ma anche di diffidenza da parte dei cittadini intenzionati a preservare i propri privilegi. Gli stranieri a Rodi erano suddivisi in quattro categorie di carattere giuridico:
1) Gli ejpidameu'nte", cioè coloro che possedevano l’ ejpidamiva, uno status giuridico attestato solo a Rodi che consisteva in una sorta di diritto di residenza con alcuni privilegi. Si può escludere che fosse una fase preliminare all’ottenimento della cittadinanza rodia, in quanto nelle iscrizioni la formula ejpidamiva devdotai è accompagnata dall’etnico dello straniero a cui ci si riferisce.
2) I mevtoikoi che costituivano il maggior numero di stranieri residenti a Rodi e godevano della libertà di associazione e di culto, avevano diritto di e[gkthsi", cioè di acquisto di fondi, e, grazie al possesso di capitali ingenti, partecipavano frequentemente a sottoscrizioni pubbliche e private e alle spese per le coregie. Nelle questioni giudiziarie erano rappresentati da un prostavth" rodio.
3) I pavroikoi, una categoria di non cittadini distinti dagli xevnoi a cui lo Stato concedeva la possibilità di partecipare alla difesa di Rodi, come durante l’assedio del 304 a.C. (Diod., XX, 84, 2).
4) I kavtoikoi, cioè gruppi di xevnoi inseriti a vario titolo nella comunità rodia. Rispetto ai meteci, essi non avevano un prostates e non potevano aspirare all’ ejpidamiva. I katoikeu'nte" kai; gewrgeu'nte" ricordati in un'iscrizione di Lindos erano stranieri organizzati in un koinon che abitavano nella chora e si dedicavano ad attività agricole, i cui prodotti erano destinati al commercio.
L’importanza assunta dagli stranieri all’interno dello Stato rodio è ulteriormente confermata dall’attestazione della carica degli ejpimelhtai; tw'n xevnwn, sulla cui funzione si è discusso molto: secondo la Criscuolo si trattava di una curatela assegnata ad ex stranieri con cui essi sceglievano i personaggi ritenuti meritevoli di essere inseriti nella società rodia e di cui ne curavano il conferimento dell’onore. Secondo un’interpretazione recente questa ipotesi non è del tutto esaustiva in quanto gli ejpimelhtaiv non compaiono nelle epigrafi in questa veste, ma in quella relativa al conferimento cariche militari preposte al controllo della Perea rodia. Il maggior numero di stranieri proveniva dall’Asia Minore, in particolare dai territori sotto il dominio di Rodi, dalle isole dell’Egeo, dalla Siria, dall’Egitto e dalla Palestina , affluiti nell’isola in particolare tra III e II secolo a.C. La maggior concentrazione di stranieri si aveva nella città di Rodi, sulla costa nord-occidentale dell'isola, dotata di due porti e nota per le sue bellezze architettoniche. All’interno dello stato rodio essi potevano riunirsi in koinav, con cui avevano la possibilità di interagire con i cittadini rodii, che non venivano intaccati nei loro privilegi, ma potevano anzi usufruire della potenza economica degli stranieri. Le associazioni infatti, che sono note attraverso fonti epigrafiche quali dediche onorifiche a membri meritevoli, epitaffi e liste di contribuzioni, consentivano agli xevnoi di raggiungere un certo grado di integrazione sociale , di esercitare liberamente le loro attività economiche, di permettersi l’acquisto di terreno per le proprie sepolture e di possedere beni fondiari. Un esempio dell'influenza che stranieri, riuniti in koinà, potevano avere sull'economia dello Stato rodio risale alla prima metà del II secolo a.C. e riguarda Dionysodoros di Alessandria, noto da due iscrizioni dove si menzionano gli onori ricevuti da vari koinà per i molti benefici fatti sia come membro sia come archeranistas del koinon dei Paniastai: oltre a ciò, Dionysodoros ebbe un particolare ruolo nell'incentivare lo scambio di vino e grano tra Rodi e l'Egitto, in quanto con la complicità di Cleomene, a[rxanto" in Egitto, speculò sul prezzo del grano utilizzando Rodi come centro di comunicazione . Sono noti dalle epigrafi un certo numero di Italici e di Romani, sebbene in misura minore rispetto a Delo, in particolare dopo il 166 a.C. Le prime attestazioni di Italici a Rodi risalgono alla fine del III secolo a.C e la documentazione rimane scarsa almeno fino alla metà del II secolo a.C., quando iniziano a comparire nomi di Italici indicati con il loro etnico, per lo più in dediche e liste relative a koinav . Si tratta per lo più di negotiatores/pragmateuovmenoi che commerciavano nell’Egeo ed in Asia Minore attratti a Rodi sia dalla sua posizione strategica, sia dalla sua importanza commerciale che dal benessere economico per il quale l’isola era divenuta un polo economico e politico per tutto il Mediterraneo orientale. Il documento più antico ad oggi noto relativo ad un Italico a Rodi è una dedica bilingue ad Athana/Minerva Lindia, incisa su una base marmorea rinvenuta sull’Acropoli di Lindos e datata tra 300 e 250 a.C. in base a criteri paleografici. Il dedicante Lucius Folius apparterrebbe alla gens dei Folii diffusa nell’Italia centro-meridionale, in particolare tra Lazio e Campania, zone facilmente connesse dal punto di vista commerciale con il mondo egeo. A prescindere dal nome e dal popolo italico di origine, l’iscrizione comunque attesta l’interesse degli Italici per il commercio rodio e l’uso della lingua latina nel Mediterraneo orientale già alla fine del IV secolo a.C. Il flusso di navi commerciali dall’Italia già alla metà del III secolo è confermato da un episodio narrato da Plutarco , in cui un certo Arato, mentre si recava dal Peloponneso all’Egitto, fu costretto da una tempesta a rifugiarsi sull’isola di Andro, che lasciò imbarcandosi su una rJwmaikh; nau'" diretta in Siria e comandata da un nauvklero", termine che nelle iscrizioni delie indica i comandanti di navi mercantili greche ed italiche. Le iscrizioni di II secolo a.C. nominano Italici provenienti dalla Magna Grecia e dalla Sicilia, come indicato dagli etnici che accompagnano i loro nomi e confermano una datazione anteriore all’88 a.C. quando la cittadinanza romana è estesa a tutta l’Italia. Si tratta della prima attestazione a Rodi del culto privato del dio frigio Sabazio e in base alla paleografia si può datare alla fine del II o all’inizio del I secolo a.C. Le quattro donne siracusane, come forse quella originaria della Messapia di IG XII 1, 517, erano molto probabilmente andate spose a cittadini rodii in virtù anche dei legami politici che univano Rodi e Siracusa. I figli nati da un cittadino rodio e da una madre straniera erano detti matrovxenoi , uno statuto giuridico ancora non del tutto chiaro per Rodi in quanto mancano documenti ufficiali di carattere giuridico e legislativo illuminanti sulla questione. Nelle iscrizioni essi sono indicati con il nome, il patronimico e la formula matro;" de; xevna", come in SEG 41, 657 , a cui può essere aggiunto anche il demotico come in NSER 19, I, 3 (200 a.C.). Si ipotizza che essi possedessero uno status di cittadinanza di grado inferiore probabilmente con limitazioni di carattere sacrale e non sembrerebbe un caso che in Lindos II 88, linee 285-290 (265-260 a.C. circa), i matroxenoi che hanno partecipato ad una vittoriosa battaglia navale contro i pirati Tirreni siano indicati dopo i cittadini rodii e prima dello straniero di Alicarnasso. A Rodi la comunità dei JRwmaivoi era poco numerosa, rispetto a quella presente a Delo in particolare dopo il 166 a.C.; si tratta per lo più di c(ives) R(omani) qui in Asia negotiantur come vengono definiti in CIL III 12266 (iscrizione di età repubblicana rinvenuta a Rodi), cioè di negotiatores che operavano nel Mediterraneo orientale e si servivano dell’isola come base operativa. La documentazione, come quella degli Italici, è di natura epigrafica e comprende ancora una volta liste di membri di koinà, dediche ed iscrizioni funerarie. Una delle più antiche è una dedica sulla base di statua in marmo bianco rinvenuta a Rodi, in cui sono nominati una serie di stranieri membri di un’associazione,indicati con il loro etnico, per lo più di città dell’Asia Minore meridionale ed orientale ; la grafia è tardo ellenistica e consente di datare l’epigrafe alla fine del II o agli inizi del I secolo a.C. La presenza del solo praenomen Nemevrio", riferibile all’osco Numerios, con l’etnico JRwmai'o" conferma la cronologia tra II e I secolo a.C. . L’indicazione dell’etnico insieme alla formula onomastica romana scompare nelle dopo l'inizio del processo di provincializzazione di Rodi nel 44 d.C., quando sempre più Rodii assumono la formula romana per assimilarsi ai cives Romani , anche se già alla metà del I secolo a.C. iniziano a comparire dediche con i tria nomina. In base all’esame dei documenti si è potuto vedere come la maggior parte dei Romani che frequentano l’isola e l’Egeo in generale durante l’età repubblicana appartengono al ceto medio dedito al commercio, tranne i casi in cui alcuni membri dell’élite soggiornano a Rodi per motivi di studio, grazie alla fervida attività culturale dell’isola già dal III secolo a.C. . Si tratta in ogni caso di soggiorni prolungati ma non definitivi, tra cui anche alcune ambascerie (IG XII 1, 48, 82-74 a.C.). In Italia l'unica attestazione epigrafica riguardante un personaggio rodio, riferibile all'età ellenistica, proviene dalla Sicilia, per la precisione da Lipari nelle isole Eolie, dove la tradizione attribuisce a Rodii e Cnidii la fondazione di una colonia nel VI secolo a.C. (Thuc. 3.88.1-4; Diod. 5.9.1-5; Paus. 10.11.3). Si tratta di un'iscrizione funeraria con il solo nome del defunto accompagnato dall'etnico e databile tra III e II secolo a.C. per l'utilizzo del sigma lunato: DIONUCOU RODIOU. Nonostante il legame storico che univa l'isola di Rodi con la Sicilia dove, secondo la tradizione storiografica, una spedizione rodio-cretese fondò nel VII secolo a.C. la colonia di Gela , sono scarse e sporadiche anche le attestazioni di monete d'argento e di bronzo di Rodi, che probabilmente sono state portate dai mercanti sicelioti che operavano nell'Egeo più che da Rodii che accompagnavano i carichi di anfore vinarie destinate alla Sicilia. I ritrovamenti di monete di bronzo di altri centri orientali quali Taso, Side di Panfilia e Magnesia sul Meandro indicano che il grano di Sicilia e l'allume delle Eolie erano esportati in tutto il Mediterraneo orientale e particolarmente significative sono le monete di Tolemeo I e Tolemeo II Filadelfo, rinvenute in associazione con monete di Ierone II e dei Mamertini in numerosi ripostigli in Sicilia. È infatti possibile che in particolare a partire dal II secolo a.C. esistesse una rotta commerciale che, passando per Alessandria, portava le merci smistate nei porti di Delo (schiavi e beni di lusso) e Rodi verso Siracusa e da qui si dirigeva a Pozzuoli, dove il grano siciliano ed egiziano e le merci orientali venivano redistribuite a Roma e verso i centri della costa tirrenica settentrionale , in particolare Populonia.


Fonte: academia.edu  file:///C:/Users/oem/Downloads/Economia_di_Rodi_ellenistica_le_anfore_i.pdf
Immagine di www.paesionline.it

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