domenica 1 giugno 2014
L'arco di Ulisse. Com'era fatto? Perché i Proci non riuscirono a tenderlo?
Com’era fatto l’arco di
Ulisse? Perché i proci non erano in grado di tenderlo?
di Alberto Majrani
Tutto il racconto dell’Odissea
diventa logico e realistico se si cambia la prospettiva della narrazione
Omerica. Ulisse non era... Ulisse, ma colui che Ulisse stesso presenta come il
migliore degli arcieri achei, cioè Filottete: un mercenario ingaggiato da
Telemaco per interpretare il Re di Itaca e liberarsi di tutti i Proci.
Esaminiamo ora in questa luce una delle scene più importanti dell’Odissea:
quella della sfida con l’arco. Come si ricorderà, i Proci hanno tentato
inutilmente di tendere l’arma ma ora il compito spetta ad Ulisse, o a chi per
esso.
Quindi Ulisse prende in mano
l’arco, cominciando a esaminarlo e a palparlo accuratamente, tanto che due
giovani commentano:
Certo costui era un
esperto, un uomo pratico d’archi.
E forse anche lui
possiede archi simili in casa (XXI, 397-398)
Chiaramente, nessuno a Itaca
aveva mai visto un arco di quel tipo: probabile quindi che Filottete se lo
fosse portato dietro da casa. Magari era stato nascosto tra i cosiddetti doni
che Menelao aveva fatto a Telemaco: in effetti, quando Penelope lo prende per
portarlo nella sala, lo estrae dalla sua custodia, che stava a sua volta in
mezzo alle arche contenenti le vesti. Quindi è plausibile che nessuno l’avesse
visto mentre veniva introdotto nella reggia. Ma è possibile che un gruppo di
baldi giovani in pieno vigore fosse così smidollato da non riuscire a tendere
la corda di un arco? Siamo alle prese con un altro intervento divino? Qui
probabilmente ci troviamo di fronte a un equivoco interpretativo di natura
tecnica, che può essere risolto solo conoscendo alcuni fondamentali particolari
costruttivi degli archi antichi. Chi non ha pratica della materia è portato a
pensare che un arco sia soltanto un pezzo di legno ricurvo con una corda tesa
alle estremità. In realtà, fin dalla remota antichità, esistevano degli archi
molto più complessi, costituiti di legno e corno animale, così come descritto
da Omero.
Non solo: la corda veniva
tesa tra le due estremità attraverso un movimento complicato, che consisteva
nel tendere con forza, aiutandosi col ginocchio per fare leva, l’arco stesso in
senso INVERSO rispetto alla sua curvatura naturale nella posizione di riposo. A
quel punto l’arciere infilava la corda, già preparata con due cappi alle
estremità, in due scanalature presenti alle estremità dell’arco stesso. Si
otteneva così un’arma dalla tensione e dalla portata notevole. Naturalmente una
simile operazione poteva essere espletata correttamente solo da un individuo
ben addestrato, e non da dei ragazzotti, è il caso di dirlo, “alle prime armi”.
Oltretutto tale tipo di arco non poteva essere tenuto perennemente in tensione,
dato che nel giro di pochi giorni avrebbe perso gran parte della sua elasticità
e potenza. Se poi davvero si fosse trattato dell’arco di Ulisse, rimasto lì ad
ammuffire per vent’anni, avrebbe potuto spezzarsi dopo pochi tiri: un rischio,
ovviamente, che non si poteva correre; Omero lo sa bene, e infatti racconta che
il suo protagonista osserva con cura l’arma, per controllare che non sia
intaccata dai tarli. Certo, se davvero fosse stata tarlata, tutta la terribile
“vendetta” di Ulisse sarebbe sprofondata nel ridicolo. Quindi bisogna pensare
che l’arco fosse un attrezzo in piena efficienza, e fosse stato introdotto di
soppiatto. Ecco dunque che anche questa scena, esaminata con la dovuta
attenzione, perde il suo carattere miracoloso per diventare realistica.
E ora Filottete tende la corda
dell’arco, prende la mira, scaglia la freccia e infila al primo colpo gli
anelli delle dodici scuri, tra lo stupore generale. E Telemaco gli si mette
accanto armato di tutto punto: è tempo di cambiare bersaglio.
Come si vede nella foto sopra, le
tacche dove andrebbe inserita la corda si trovano ora nel lato INTERNO
dell'arco in posizione di riposo, ma verrebbero a trovarsi correttamente
all'esterno una volta compiuta correttamente l'operazione di ribaltamento.
Questi nell’immagine sono al museo medioevale di Bologna, è roba turca del XVII
secolo, ma comunque la tecnologia è rimasta immutata da millenni.
Fonte: http://ilmulinodeltempo.blogspot.it/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Mi riprometto di spiegare la vicenda di Filottete in un prossimo intervento. Intanto potete andare a guardare il sito www.filottete.it
RispondiElimina