Il ballo tradizionale in Sardegna
di Cristiano Cani
Il ballo
è forse uno degli elementi che accomunano le culture di tutto il mondo. Ancora
oggi possiamo vedere, nelle tribù amazzoniche, africane o della Nuova Guinea,
danze scandire i momenti più importanti della vita. La nascita, il passaggio dall’adolescenza
alla vita adulta, le unioni matrimoniali, la morte e tutti gli eventi religiosi
e propiziatori sono regolati dal ballo.
La Sardegna si inserisce di diritto in questo contesto, potendo reclamare
ancora oggi un posto predominante nelle tradizioni popolari mondiali: il canto
a tenore è già parte del patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO, così
come potrebbero entrare a breve le launeddas, uno degli strumenti musicali più
antichi documentati (ricordiamo il bronzetto nuragico itifallico di
Ittiri). Abbiamo parlato di canto e di
strumenti musicali, non possiamo quindi escludere il ballo, che con essi crea
un legame indissolubile.
Le fonti storiche
Il primo documento si trova a
Sassari, nel Museo Sanna, nella sala dedicata all’altare di Monte
d’Accoddi. In una vetrina riguardante i
villaggi presenti nell’area del santuario nel periodo della cultura di Ozieri
(3200 – 2700 a.C.), è esposto una scodella carenata frammentata, decorata con una scena di danza, dove delle figure stilizzate
a clessidra (se ne individuano 4) si tengono per le mani (a formare una sorta
di cerchio).
Abbiamo
già parlato del bronzetto del Suonatore itifallico di Ittiri, che testimonia,
assieme ad altri bronzetti nuragici, come il suonatore di corno proveniente da
Genoni , la presenza della musica e quindi, facendo un logico collegamento, al
ballo.
Da
Tharros, invece, proviene una colonnina rappresentante una scena di danza con persone, una delle quali con la testa di
bovino (probabilmente una maschera, o raffigurazione di qualche entità
divina), da notare come la figura del
toro ha segnato costantemente la cultura sarda, come le sue raffigurazioni
all’interno delle domus de janas, nella forma delle tombe dei giganti (a
protome bovina), nei bronzetti nuragici, fino ad arrivare a noi attraverso le
maschere di Carnevale di Ottana (i Boes, assieme ai Merdules) e di molti centri
isolani. Ancora oggi i bovini sono utilizzati nelle feste religiose, in
particolar modo nelle processioni, dove vengono utilizzati per trainare il
carro del santo, determinando ancora oggi un elemento fondamentale della vita
religiosa isolana.
Una
lapide bizantina del X secolo d.C., trovata nell’entroterra di Sant’Antioco,
raffigura un suonatore con uno strumento a fiato (probabilmente un bicorno, o Is
benas)
Saltiamo
qualche secolo e arriviamo a Zuri, attuale frazione di Ghilarza, dove esiste
uno dei tanti gioielli dell’architettura romanica della Sardegna, la Chiesa di
San Pietro, salvata dalle acque del lago Omodeo durante la costruzione della
diga sul Tirso, smontata e rimontata pietra per pietra su
un’altura attraverso un pregevole
processo di anastilosi. Questo edificio (datato 1293 ad opera del Maestro Anselmo
da Como, suo architetto, attraverso una lapide presente in facciata), All’esterno presenta una mensola sul lato
destro, vicino alla zona absidale,
decorata con una scena di ballo, con persone che danzano tenute per
mano, quello che tutti definiscono come “la prima testimonianza del ballu
tundu”.
La chiesa parrocchiale di Santa
Chiara, a Cossoine, edificata nel XVI secolo e poi ampliata nel XVIII, presenta
al suo interno un capitello decorato con un suonatore di uno strumento a corde
(probabilmente una mandola o un liuto) affiancato ai lati da due danzatori.
La
chiesa di San Bachisio a Bolotana, di origine medioevale ma rimaneggiata in
epoca aragonese nel 1598, presenta delle formelle decorate con suonatori
(tamburi e strumenti a fiato) e danzatori.
Un testo
di Antonio Lo Frasso (Alghero 1520 - Cagliari nel 1595) presenta un disegno
raffigurante dei danzatori che ballano in cerchio attorno ad un albero, sopra
il quale stanno 2 suonatori.
Dal 1700
in poi vi sono numerosissime testimonianze, dovute prevalentemente a documenti
di cause giudiziarie, dove si descrive il “ballo tondo”, al quale si affiancano
le descrizioni dei tanti viaggiatori stranieri che intraprendono quello che era
il famoso “Grand Tour” dell’epoca romantica, trasposto però nell’Isola. Fra i
diversi viaggiatori, Joseph Fuos è il primo a dare origine, con la sua opera
''Nachrichten aus Sardinien'' (pubblicata in tedesco nel 1780), al mito
dell'isola di Sardegna, seguito poi dal più famoso Alberto della Marmora
(''Voyage en Sardaigne'', del 1826), dal francese Pasquine Antoine-Claude, alias Valery (''Voyage en
Corse, à l'Ile d'Elbe et in Sardaigne'', del 1835), dall'inglese John Warre
Tyndale ("The Island of Sardinia'', del 1849), da Antonio Bresciani (''Dei
costumi dell'isola di Sardegna", del 1850).
Come
esempio di queste descrizioni, prendiamo quello del Valery, che scrive sui
balli di Pirri e Macomer:
“ Pirri, un bel villaggio ben
costruito, con 1.259 abitanti, è citato per il suo vino e i bei costumi delle
contadine. Ci sono andato per vedere danzare il famoso ballo tondo, il ballo
nazionale, voluttuoso per il modo di unirsi e soprattutto di stringersi la
mano, poiché la dama posa il braccio sul braccio destro del cavaliere,
tenendosi a lui. Questo forte, questo caloroso modo di prendersi per mano non
assomiglia minimamente a quello fatuo dei nostri balli; qui, l’indiscreto che
osasse inserirsi e interrompere la stretta, farebbe al Sardo un affronto punito
con la morte. A questi meandri numerosi, serrati, lascivi, si unisce spesso un
suonatore di launeddas, orchestra ambulante, che molto spesso è cieco. Questa danza
non è riservata solo ai giovani, perché anche a un vecchio pastore può capitare
di rinunciare a mangiare e a dormire per saltare nel ballo tondo. La musica
cadenzata, i suoni vibranti della launedda, aumentano l’eccitazione dei sensi e
producono un effetto veramente magico su chi danza. Ho visto un austero e dotto
personaggio fare dei balzi quasi, ai preludi di quest’aria travolgente.
Il ballo tondo ha anche le
sue difficoltà, insormontabili per gli stranieri; mi han raccontato di bravi
ballerini del continente che non sono mai riusciti a impararlo .Al brillante
ballo tondo di Pirri partecipavano danzatori di tutte le età, compresi i
bambini. Andavano perfettamente al passo, ma, forse, con troppa applicazione e
serietà. I cavalieri, gran pezzi d’uomini dai capelli neri a treccia, o tenuti
in una retina come dalle donne, dimostravano una meravigliosa agilità. Anche
loro, come le dame, portavano delle ricche collane. Negli intervalli del ballo
un gruppo di contadine allattava imprudentemente (sic) i figli, mentre lì
vicino i borsacchini, boxeurs a calci, si dedicavano ai loro stupidi giochi.
Gli occhi delle donne, neri, vellutati, erano superbi; i piccoli piedi delle
ragazze, che per tutta la settimana camminano scalze, mantengono la
loro forma naturale e sono graziosissimi. Una donna di grande talento,
autrice dei romanzi pubblicati con lo pseudonimo di George Sand, scrive da
qualche parte: «i piedi piccoli così rari in Italia». Io ho avuto tante di
quelle cose da vedere in Italia che il particolare dei piedi
piccoli mi è sfuggito un po’, e non oso contrastare l’opinione di questa
signora; è un’opinione che ho udito vivacemente contraddire in Toscana e del
resto io posso assicurare che essi sono numerosissimi in Sardegna, anche tra le
contadine che, quasi dappertutto altrove, li hanno orribili.
Ho assistito a
molti altri balli tondi, ma ce n’è uno che quello più classico di Pirri non mi
ha fatto dimenticare; è quello di Macomer, la domenica, danzato con
accompagnamento di voci, e più allegro, più animato. Gli uomini e soprattutto
le donne che ballavano non erano così ben vestiti, ma è impossibile agitarsi di
più ed essere più di buon umore di questa povera gente. Il ballo e il canto
sembrano i principali bisogni del popolo sardo sempre in festa. Il ballo tondo,
dove cominciano e qualche volta finiscono i progetti di matrimonio, è allo
stesso tempo un esercizio molto salutare, approvato dai medici e del tutto
adatto al clima.”
Gli Strumenti del
Ballo: Il Canto e la Musica
Abbiamo
già trattato, nelle fonti, di alcuni strumenti (corno, Launeddas, Benas,
tamburi, strumenti a corda). Sicuramente le Launeddas erano, fino alla fine del
1800, lo strumento principe e più diffuso nell’Isola. Ancora oggi le troviamo
in tutto il Campidano, nel Sulcis-Iglesiente, nel Sarrabus e nella bassa
Ogliastra, oltre ad alcune enclavi, come ad Ovodda, dove vengono chiamate
“Bidulas”, e con e varie tipologie e tonalita (decine e decine di varianti)
determinano i vari tipi di suonata, citiamo ad esempio: Punt’e Organo, Fiuda,
Fiorassiu, Mediana, Mediana pipia ecc ecc…
L’unione di due o più launeddas determinano “Su Cunzertu”. Altri strumenti,
usati meno frequentemente (se non in casi particolari e in determinati paesi),
sono: serraggia, sulittu, pipaiolu, tumbarinu, trunfa, canna isperrada,
triangulu, tamburellu, tumbarineddu, trimpanu, flautu ‘e canna, sonette a
bucca, ghitarra….
Per il
canto invece, la fa da padrone il “Tenore”, composto da quattro voci (Voche,
Mesu Voche, Contra e Bassu) che scandiscono i balli (a sa seria, a sa lestra, a
boch’e ballu) in particolar modo nella zona centrale dell’Isola. Altra forma di
canto è quella con la voce solista (A boche sola).
A queste
due tipologie prevalenti di accompagnamento al ballo si affiancano, alla fine
del 1800, l’organetto diatonico e la fisarmonica cromatica.
L'organetto
nasce nella prima metà dell'Ottocento attraverso vari esperimenti di Buschmann
a Berlino, Demian a Vienna e Wheatstone a Londra. In Italia viene prodotto a
livello industriale dal 1863 da Paolo Soprani
(nel 1876 da Mariano Dallapè) e negli anni successivi arriva in
Sardegna. Nel trentennio 1870-1900 si diffonde in tutte le zone dell'isola,
entra velocemente nella musica sarda diventandone uno dei protagonisti, creando
una rivoluzione nel repertorio e nel modo di fare musica (una prima
attestazione dello stumento si riscontra a Padria nel 1893).
Poco più
avanti è il turno della Fisarmonica cromatica, che si afferma nel 1920 - 40
sull’organetto nelle zone di influenza
delle Launeddas (specie nel Sud Sardegna), perché rispetto al primo riesce
meglio a sostituire musicalmente l’antico strumento a fiato.
Prima
dell’arrivo di questi due strumenti, ormai diventati sardi d’adozione, il ballo
era sicuramente scandito da musiche
molto simili tra loro, se non per 3-4 varianti o poco più. Con la loro
diffusione arriva anche la personalizzazione della musica, che si manifesta,
oggi, in una moltitudine di musiche differenti tra loro (seppur riconoscibili
nella loro origine), che a loro volta hanno determinato un’altrettanta moltitudine
di balli, che vengono eseguiti prevalentemente dalle associazioni folk presenti
in gran numero. L’appropriazione dello
strumento da parte dei suonatori isolani fa si che si possa parlare a buon
diritto di “organetto sardo”, in quanto gli stili ed il repertorio, quasi
esclusivo della danza, sono fondamentali per la sua identità e contrassegnano
le tecniche esecutive al punto da
rendere riconoscibile un organettista
della Sardegna anche da un film muto che ne mostrasse soltanto i movimenti.
Alcune
curiosità: Soprattutto in Campidano, quando mancava il suonatore per poter
effettuare “Su Ballu ‘e Missa” (il ballo dopo la funzione religiosa, la
domenica), si usava ballare a suon di musica delle campane della chiesa, al
ritmo de “S’Arrepiccu” (Lo scampanìo ritmato). In altre località del Centro
Sardegna, come ad Ottana e Ghilarza, si usa ancora oggi ballare al ritmo de
“S’affuente” (piatto concavo in rame od ottone usato per le offerte o per
raccogliere i chiodi della crocifissione durante il rito de “Su Scravamentu”
della Settimana Santa), raschiato ritmicamente con una chiave in ferro.
Il Ballo
Il ballo
in Sardegna è una delle espressioni più importanti e ricche di significato
della tradizione popolare: era legato
alle “occasioni” che, anticamente, non erano considerate esclusivamente un
momento di espressione ludica e divertimento, ma ricopriva un’importante
funzione sociale di aggregazione. Era uno dei pochi momenti in cui un uomo
poteva incontrare una donna e familiarizzare. Attraverso esso si scandivano i
momenti di vita della comunità: nascite, matrimoni, il Santo Patrono, le feste
campestri, il carnevale, si ballava alla fine della messa, dopo un buon
raccolto, la macellazione di un animale o una fruttuosa annata.
In molte
parti della Sardegna, soprattutto nel Sud, vigeva “Sa Tzerachia”, in pratica si
pagava un suonatore per un determinato arco temporale (solitamente un anno) e
costui doveva suonare per tutte le occasioni particolari e per le feste
comandate in esclusiva per il gruppo che lo “assoldava”.
Scrive
il Lamarmora, riferendosi al ballo campidanese: “Niente eguaglia la gravità con cui i sardi meridionali fanno questo
ballo, si direbbe spesso che non ci prendono gusto alcuno, invece è il
contrario perché in tutti i villaggi del campidano di Cagliari i giovani si
quotavano per pagare un suonatore della domenica”.
Il ballo
apparteneva alla collettività e veniva permesso l’accesso a tutti, non esisteva
un pubblico che osservava un artista da scena come accade oggi nei gruppi folk,
ma erano tutti partecipi e tutti protagonisti, a prescindere dalla qualità
tecnica dell’esecuzione coreutica. Esisteva un legame tra suonatore e
ballerini: quando questi dimostravano di gradire la suonata lo facevano
attraverso la danza, che il suonatore percepiva, e a sua volta si impegnava
maggiormente nell’esecuzione musicale. Anche qui la situazione è cambiata: i
gruppi folk decidono quanto e come ballare indicando al suonatore quando deve
“fiorire” la musica, secondo le esclusive esigenze dei ballerini, relegando il
suonatore ad un lato del palco, mentre in passato era al centro della piazza,
dentro il cerchio del ballo. Viene così a mancare quel feeling che si creava
durante le manifestazioni in piazza. Fortunatamente esistono ancora molti paesi
in cui si pratica il ballo tradizionale in piazza, e ultimamente molti centri
che avevano perso da decenni questa usanza si stanno impegnando per riproporla,
in alcuni casi attraverso le amministrazioni comunali, in altri grazie alle
associazioni folkloriche “consapevoli” del loro ruolo sociale, e in altri
ancora grazie alla buona volontà di gruppi spontanei o singoli appassionati.
Nel
ballo non vi erano delle regole nel posizionarsi a ballare, una di questa era
l'accoppiamento uomo - donna /uomo - donna (come vediamo oggi nei gruppi
folcloristici) , ma era una libera scelta di ballare o di accoppiarsi uomini
insieme o donne insieme, anche in gruppi. Esistevano però delle regole “non
scritte”:
Scrive
il Lamarmora: “La maniera di tenersi per
mano, uomini e donne, era di un importanza tale che una semplice trasgressione
delle regole stabilite e stata spesso di cause delle contese rissose. Una di
queste regole era in una persona sposata o fidanzata potevano mettere le mani
palma contro palma ed intrecciare le dita; ma guai che cosi facesse se con una
ragazza che non fosse disposto a sposare o colla donna d’un altro”.
In un
manoscritto anonimo del ‘700 si legge: “ogni uomo conduce per mano a questo ballo
la donna che invita. La destra della donna benchè stretta dalla sinistra di un
altro uomo trovasi sempre in libertà: la
privilegiata è la sinistra, ed è quindi legata per tutta l’ora del ballo alla
destra dell’uomo che l’ha condotta. E’ legge dunque di questo ballo, che
chiunque voglia entrare in esso, dopo essere stato ordinato e messo in moto,
abbia a dirigersi verso la destra d’una donna, non vada mai ad afferrar la
sinistra, slacciandola dalla destra dell’uomo, che le sta al fianco, ed è
quello che invitolla per primo”
Questo
valeva nella maggior parte dei paesi, ma anche qui esistono molte differenze in
merito. Nel cerchio si poteva entrare solo in determinati modi, così una donna
o un uomo non poteva mai dividere una coppia, se l’uomo doveva entrare durante
il ballo già iniziato doveva andare a posizionarsi sempre a destra della donna,
al contrario la donna alla sinistra dell’uomo. Altro elemento caratterizzante
del ballo tradizionale sardo è la compostezza del corpo, solo le gambe e i
piedi si muovono, più o meno a seconda del tipo di musica, ma sempre eleganti,
mai scomposti. Il passo veniva elaborato dagli uomini, che interpretavano la
suonata dando una personalizzazione che permetteva agli “osservatori” di
apprezzarne le gesta. La donna invece rimaneva nella sua compostezza, senza
fare grandi elaborazioni, vuoi perché “sconvenienti”, vuoi perché la lunga
gonna impediva di vederle.
Un esempio particolare è quello
della “Sciampitta” del ballo campidanese, derivante probabilmente dalla “Lotta
coi piedi”; così scrive in una nota alla Carta de Logu, nel 1805, Giovanni
Maria Mameli: “Un altro esercizio degno
di nota e senza dubbio originale è la lotta con i piedi. E’ in uso fra i
contadini della Sardegna meridionale, in particolare nei paesi di Quartu e
Selargius. Calzati dei loro burzighinos di cuoio [ma spesso hanno solo sa carza
di orbace], i due lottatori si appoggiano colle braccia sugli omeri di due
altri giovani per ciascuno, i quali fan da padrini, [non sempre si appoggiano
sulle spalle dei loro padrini, ma a volte questi ultimi sostengono i lottatori
intrecciando le braccia e le dita con loro…], ed elevando uno dei piedi
incominciano a vibrar de’ colpi all’aria, e quindi si battono… finchè o per
stanchezza o per dolore di qualche colpo ricevuto, uno di loro si da per vinto…
“
Quando
si parla di balli popolari, in Sardegna come altrove, sorgono spesso problemi
di nomenclatura. Non sempre infatti i diversi balli, o le diverse tipologie,
vengono chiamati allo stesso modo, con lo stesso nome si possono chiamare,
naturalmente in paesi o zone diverse, tipi di ballo diversissimi. Ad esempio
nel Goceano, a Burgos, chiamano “Passu torrau” un ballo uguale a “Su Ballittu”,
o più noto in Barbagia come “Ballu Tundu” o “Ballu Lestru”, lo stesso ballo nel
Meilogu viene chiamato ”Ballu a Passu” o “Su Passu”, mentre in Campidano “Ballu
Gabillu”.
Altro esempio è il ballo che ad Irgoli viene chiamato “Ballu Brincu”, mentre a
Galtellì la stessa tipologia di ballo si chiama “Ballu a Tres Passos”, che a
sua volta a Dorgali è un’altra tipologia, più similare al precedente
“Ballittu”. Nei balli campidanesi “Passu Torrau” viene chiamato anche per una
variante del passo (sa torrada de su passu) in una specifica nodas musicale. In
effetti il ballo campidanese è una tipologia a sé stante, molto particolare,
visto che la suonata comporta diverse variazioni del passo all’interno del
medesimo ballo: oltre al “Passu Torrau” abbiamo “S’Appuntau”, “Su Passu e
Tresi”, “Su Passu a Dusu”, “ Is Furias” determinati dai passaggi (pikkiadas)
delle Launeddas. Per queste ragione bisogna sempre stare attenti al luogo di
provenienza del ballo.
Schematizzando,
i tratti distintivi del ballo sardo sono:
• impianto
coreografico basilare: predominio del ballo tondo (oggi un po’ in declino
dovuto alla “spettacolarizzazione” sul palco dei gruppi folk);
• vettore
direzionale spaziale: rotazione in senso solare del cerchio;
• prossemica:
connessione obbligatoria con con presa per mano (ed eventuale intreccio di
braccia) tra i balladores;
• postura
dominante: corpo eretto con scarsa mobilità della parte superiore ed estrema
vivacità degli arti inferiori;
• rapporto
musica-danza: stretta corrispondenza fra metrica coreutica e metrica musicale
(ogni motivo coreutico corrisponde alla pikkiada musicale);
• metrica coreutica: struttura
modulare codificata e possibilità di microvariazioni individuali;
•
somatizzazione ritmica: frammentazione delle cadenze ritmiche e conseguente
tremolio sussultorio (che dà anima al ballo)
• alta
specializzazione tecnica di suonatori e ballerini, con tendenza a
personalizzare e stilizzare il repertorio di appartenenza.
Dal
punto di vista strutturale la maggior parte dei balli sardi tradizionali appartiene
a due principali famiglie:
Danze
mono-strutturate:
• prevedono
un andamento ritmico e cinesico omogeneo e iterativo; sono quelle eseguite in
genere sulle launeddas, sul canto monodico o sul canto polifonico dei tenores
senza cambio di tonalità o di parti melodiche diverse formalizzate. Ne fanno
parte: passu, ballu seriu, passu torrau, ballu tzoppu, bicchirina ecc..
Danze
bi-strutturate
• Sono
quelle formate da una parte lenta e posata (sa seria o su passu) e una parte
più vivace e articolata (detta secondo le zone: sa lestra, brincada, puntada,
sciampitta, trincada, ecc.). Questa seconda parte viene stimolata
dall’esecuzione musicale che usa toni alti, briosità ritmica e abbellimenti
melodici; i ballerini evidenziano il cambio immettendo salti, battute di piedi
e aumentando la sussultorietà ritmica di tutto il corpo, secondo la regola per
cui s’alza il suono e si eleva anche il passo con tutto il corpo. Ne fanno
parte sa danza, su ballu brincu o brincadu, su ballu sartiu, su dillu, su
bicchiri, sa logudoresa, s’arroxiada, ecc.
•Sotto
l’aspetto metrico-modulare i balli sardi si possono suddividere in tre grandi
gruppi:
a modulo
ternario composto
a modulo
ternario semplice
a modulo
binario
Non
stiamo qui a elencare tutti i balli dei vari paesi della Sardegna, sarebbero
troppi!
Il ballo sardo oggi – Tra Tradizione,
Folklore e Spettacolo
Come
è stato detto, molti paesi ormai hanno
abbandonato il ballo in piazza, demandando ai gruppi folk locali il compito di
tramandare ai posteri le antiche tradizioni. Ma analizziamo il significato del termine
Folklore:
L'origine
del termine folklore è attribuita allo scrittore e antiquario
inglese William Thoms (1803-1900) che, sotto
lo pseudonimo di
Ambrose Merton, pubblicò nel 1846 una lettera sulla rivista letteraria londinese “Athenaeum”,
allo scopo di dimostrare la necessità di un vocabolo che potesse ricomprendere
tutti gli studi sulle tradizioni popolari inglesi.
In pratica, tradotto letteralmente il termine sta ad indicare il “Sapere del
Popolo”, inteso come usi e costumi di un determinato territorio.
I primi
gruppi folk nascono nella metà degli anni ’50, con l’intento di mostrare le
tradizioni dei propri paesi attraverso il ballo e l’abbigliamento tradizionale.
Gli si deve dare sicuramente il merito di averlo conservato e tramandato, in
gran parte.
La
tradizione comprende tutto ciò che una comunità esprime in termini culturali.
Quando la comunità accoglie le novità, la tradizione si evolve seguendo il
volere del popolo. Se questa si blocca, in quel momento muore e si ferma li.
Così nel caso del ballo, quando una comunità non balla più nella piazza, la tradizione
si ferma in quell’istante. Compito del gruppo folk/associazione culturale è
quello di tramandare la tradizione (leggi il ballo) così come è stata lasciata,
senza apportare alcun tipo di modifiche che andrebbero a stravolgere e
falsificare quello che era conosciuto dai nostri predecessori.
Con l’andare degli anni però è avvenuta una
trasformazione, cambiando inconsciamente il significato della parola Folk
nell’equazione folk = spettacolo: nulla di più sbagliato. Oggi si vedono gruppi che salgono sui palchi
dichiarando di fare il “loro ballo tradizionale” per poi vedere piroette,
uomini che lasciano le donne per fare non si sa cosa, balli con cestini in
testa, o con grande spiegamento di “mazzoccas” (bastoni di legno) o altri
attrezzi, di consegna di fiori, esecuzione di quadriglie, ecc.
Magari
sono anche bravi e piacevoli da vedere, ma che senso ha proporre una tradizione
“falsata” solo per avere qualche applauso in più da spettatori che non sanno
che ciò che guardano è frutto di una finzione? Dove è il rispetto per la vera
tradizione? Che senso ha eseguire balli iper-coreografati che nulla hanno in
comune con i balli del passato?
Si può
comprendere che è quasi impossibile riproporre su un palco un ballo di piazza,
quindi è plausibile una sorta di “organizzazione” del ballo, che non ne
sminuisca però i contenuti, che abbia rispetto del passato, e che abbia soprattutto rispetto per coloro
che non conoscono le tradizioni e vedono sul palco quell’esibizione così
“particolare”.
Scrive Clara Gallini, nella nota “Qualche
riflessione sulla rinascita del folklore”: “se recupero di memoria deve essere, che lo si
faccia seriamente e con impegno, rivivendo, se si vuole, tali memorie, ma dopo
averle ritrovate senza falsificazioni, ed anche trasformandole, facendone
materia viva per un presente che deve essere diverso. Ma senso e prospettiva
che da un “capire” passi a “trasformare” sono frutto di un lavoro sociale e
culturale, che si deve proporre assieme al problema fondamentale, che è quello
della gestione democratica dei beni culturali. Senza tale gestione, si arriva
all’imbroglio di massa."
Oggi esistono Associazioni culturali e gruppi folk
che fanno le cose seriamente, che si applicano nel divulgare le vecchie
tradizioni, che si impegnano attraverso l’organizzazione di conferenze e
convegni sull’abbigliamento tradizionale, sugli usi e costumi del proprio
territorio di appartenenza, fieri di rappresentare la loro comunità, evitando
manipolazioni per avere qualche applauso in più, ma spiegando prima di ogni esibizione
ciò che stanno per fare, educando (dopo oltre 40 anni di folklore “poco
attento”) il pubblico a ciò che andrà a vedere di li a breve. Dovrebbero essere
l’esempio da seguire per tutti gli altri gruppi folk.
Le immagini dell’articolo:
Il bronzetto itifallico che suona le launeddas - da Ittireddu - Museo Archeologico Cagliari
Scodella carenata con raffigurazione di danza,
Cultura di Ozieri, Museo Nazionale Sanna
– Sassari
Mensola della Chiesa di San Pietro di Zuri, con
raffigurazione scolpita di un ballo
Capitello della Parrocchiale di Santa Chiara a
Cossoine, raffigurante un suonatore e due figure di danzatori
Particolare del dipinto di G. Marghinotti “Festa
Campestre” , raffigurante il ballo tondo (presumibilmente la festa di San
Lussorio a Selargius)
Particolare di un’incisione di L. Cominotti “Festa
in una chiesa campestre, presso Cagliari” raffigurante la “lotta coi piedi”
Ballo in piazza ad Atzara, in occasione della Sagra
del Vino
Ballo in piazza a Busachi (Riproposizione del ballo
dopo un matrimonio tradizionale, durante la Sagra de Su Succu)
Ballo folkloristico di un gruppo folk di Quartu
(Froris de beranu)
Per vedere i vari balli della
Sardegna:
https://www.youtube.com/channel/UCXTaLF6wcfnlfABqns5-fug
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documentazione
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CD e DVD
allegati all’Enciclopedia della Musica Sarda,nella collana “La Biblioteca
dell’Identità” edita dall’Unione Sarda, Monastir, Grafiche Ghiani, 2012.
Ethnica,
collana discografica di danza popolare italiana (a cura di G. M. Gala),
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Albatros,
collana discografica di musica popolare (a cura di R. Leydi), Milano, Sciascia
Ed. 1973-1991.
Suoni, collana
discografica di musica popolare (a cura di D. Carpitella), Roma, Fonit Cetra
1981-1985.
Sardegna Canta
e Oltre – Tradizione e innovazione, collana di CD della “Biblioteca
dell’Identità” edita dall’Unione Sarda, prod. Artistica: Palmas Mauro
Il meglio di
Sardegna Canta – 25 anni di storia della musica popolare sarda, collana di CD/DVD
della “Biblioteca dell’Identità” edita dall’Unione Sarda, a cura di Nieddu
Ottavio e Pintore Ambra,
Mario Galasso scrive:
RispondiEliminaIl lavoro di breve sintesi di Cristiano Cani attesta l'interesse dell'autore al tema, ma occorre fare dei piccoli appunti: anzitutto non è una ricerca, quello che è scritto è già superato dalla situazione e gli indirizzi bibliografici che lui da lo attestano.
Circa il "pregevole processo di anastilosi " della chiesa di S.Pietro di Zuri devo contestare la parola pregevole, in quanto le pietre furono rimontate spesso a caso, e ne fanno fede i nimbi e le teste graffite che si vedono sia dentro che fuori la chiesa, mancanti del corpo che è sparito in qualche altra parte nel rimontaggio. Circa la scena di Ballo sulla mensola destra in fondo, l'autore dovrebbe interpellare Demartis che ha fatto un ottimo lavoro di indagine sul significato della scena (che probabilmente non è un ballo), e così via.
Circa Choreola, la (questa si) pregevole pubblicazione a cura di Pino Gala, i numeri 17/18 e 19/20 sono fondamentali per l'inquadramento correttio del ballo sardo: il primo doppio volume (276 pagine), Le fonti del ballo sardo, a cura della Carta Mantiglia e di suo marito Antonio Tavera (ed anzi, lui il vero ispiratore dei testi) riporta come il secondo gli atti del convegno nazionale di studi di Sorgono (NU) del 27/7/1997; il secondo libro (190 pagine), Forme e contesti del ballo sardo a cura di Pino Gala e vari altri autori fra cui Tavera, Cartamantiglia, l'etnomusicologo Pietro Clemente, Marcello e Marinella Marras, e poi Corimbi, Pisanu, Monticelli:
I contenuti di questi due volumi doppi sono stati parzialmente pubblicati sui quaderni della Taranta 6 e 9.
Infine, non occorre sempre citare la Clara Gallini, pur sempre valida per quanto riguarda la documentazione esistente ai suoi tempi, ma occorre invece guardare al presente di cui l'autore non parla, alla trasformazione del ballo e dello spettacolo al tempo della crisi: caduta verticale delle esibizioni dei gruppi folk in costume davanti a gente compostamente seduta ed assente al ballo "ballato" sul palco, in favore di ascesa del ritorno del ballo spontaneo in piazza a fronte di musicisti che sul palco cotstano molto meno di un gruppo; questi si fanno eventualmente accompagnare da una max 2 coppie in costume, ed in questi casi il musicista è funzione del ballo, non della sua musica che deve essere sempre identica, non si inventa e non si sgarra di una nota per non creare confusione nei ballerini.
Fortunatamente questo è un momento di passaggio ed il musicista ormai viene chiamato senza coppie in costume (e se ci sono sono nella piazza e non sul palco) e quindi dà libero sfogo al suo estro, e la gente che liberamente si aggrega in piazza non più spettatrice ma partecipe fa rivivere il "vero" ballo sardo "a sa foggia moderna" e lestra.
Signor Galasso,
RispondiEliminail ballo è spontaneo quando è "spontanea" la piazza che lo richiede. Bisogna distinguere il ballo "folkloristico" sul palco da quello in piazza dove possono esibirsi tutti dai più anziani ai più giovani e nello schema più nobile e spontaneo del ballo.
Tutte le varie feste dell'organetto nate dopo quella di Irgoli di Totore Chessa, sono cresciute con la figura del suonatore e delle poche coppie che lo accompagnano e non è legato alla fase evolutiva, ma bensì a mio avviso ad una fase distruttiva del ballo perchè ci sono balli che necessariamente sono ballati in cerchio (nel rispetto della tradizione e delle "scarse"coreografie) e non possono essere ridotti a due semplici coppie. Cristiano Cani complimenti per il lavoro.
Buongiorno, ho letto con attenzione questo nel resoconto sulla nostra storia intrinseca da sempre dai canti e dai balli tradizionali che ci distinguono per specificità da altre realtà nazionali. Bel racconto davvero, rispecchia ciò che abbiamo trovato nella biblioteca dell'Università di Cagliari e non solo durante la ricostruzione storica degli abiti risalenti al 1800 da noi realizzati. Concordo per il ballo, era un momento di sobrietà con la quale si poteva venire a contatto con una donna e dalla quale poteva poi scaturire l'unione. E si; erano proprio altri tempi. (Y)
RispondiEliminaMario Galasso scrive:
RispondiEliminaCome assiduo frequentatore di occasioni coreutiche e musicali sarde e come ormai vecchio studioso di etnomusicologia ed etnografia (ma non antropologia, solo dilettante e poi non sono un tuttologo) mi tocca ribadire che siamo in una fase di cambiamento nella coreutica e nella manifestazione di piazza sia del ballo tradizionale che della musica cosiddetta popolare sarda. Che sia una fase evolutiva o involutiva è troppo presto per esprimere giudizi, che ovviamente possono essere dati solo a posteriori quando le situazioni sono ormai sedimentate e stabilizzate.
Certo è che nel campo del ballo qualcosa è cambiata nel senso che la crisi ha inciso pesantemente nei bilanci dei comuni e delle associazioni, che non si possono più permettere da anni quei raduni faraonici di molti gruppo folk (non a caso uso questo termine) in costume. In Sardegna si usa a sproposito il termine folk al posto di popolare, e si usa anche per tutta una sere di cose che di popolare hanno poco se lo si vuole riferire all'etnografia; popolare come il calcio, come il cellulare, come tutto ciò che riguarda il consumo di massa, ma non etnografico.
Così nei decenni passati abbiamo visto gruppi "folk" composti da coppie di ballerini in divisa, con costumi tutti uguali, che solo grazie alla meritoria opera di studiosi come Demartis nel nord Sardegna si sono resi conto (da pochi anni, diciamo nel decennio trascorso, chi più e chi meno) che questa non era e non poteva essere la riproduzione della realtà sarda di un tempo quando donne e uomini avevano (di più le donne) una certa libertà di vestire come colori e tessuti, pur sempre nell'ambito di una stretta osservanza alla tradizione locale anzi, localissima. A parte il fatto della tentata riproduzione di una ipotetica realtà che si richiama ad una "età dell'oro" quando la gente ballava nelle piazze e in ogni possibile occasione.
Mario Galasso scrive:
RispondiEliminaUn tempo, e le foto lo documentano, il ballu tundu (su ballu seriu per eccellenza) si ballava col musicista al centro del cerchio di ballerini, seduto se suonava organetto o fisarmonica, in piedi se con le launeddas. Il musicista era al centro dell'attenzione di tutti, che si ingegnavano di seguirne la musica e le variazioni melodiche.
Oggi ancora sui palchi il musicista è seduto, ma di lato, il centro dell'attenzione è la fila di ballerini che non guardano più chisuona, che peraltro deve tassativamente rifare fino all'esasperazione sempre le stesse note spettacolo dopo spettacolo per non mandare fuori passo i danzatori. Non a caso uso la parola spettacolo: prima non era spettacolo per pubblico seduto, era danza, puro divertimento di una comunità.
La crisi ha rotto il giocattolo costruito da chi in perfetta buona fede credeva di far bene ad interpretare in tal modo la tradizione, e si è ritornati "anche" ai raduni massicci di suonatori di organetto, 50 e passa ad Austis 3 anni fa, e c'ero anche io a suonare, ma alle 2 di notte per 5 minuti, come tutti, per dare spazio a tutti. Vista la impossibilità di dare spazi ragionevoli, l'ondata di riflusso si è calmata un pò.Dò merito all'amico Totore Chessa di aver iniziato con Irgoli tanti anni fa, ed io frequentai i primi bei raduni di suonatori di organetto, con grandi balli tondi corali che ricordo con piacere, e proprio questi raduni hanno incentivato la gente a togliere le sedie per ballare sotto l'onnipresente palco.
La cosa è in continuo cambiamento. E' questa la Sardegna? si, è questa, ogni antropologo come Mario Atzori, ormai in pensione ma sempre attivo, sa bene che il cambiamento è una cosa inarrestabile, sintomo di vitalità. Si può essere favorevoli o contrari ai modelli coreutici di cui ho scritto sopra, l'importante è però essere partecipativi, attori della situazione, non solo spettatori, il gusto ci guadagna molto.
Per finire, seguendo l'antico esempio di Malinowski alle Trobriand (mi scuso con chi non sa chi sia ma sul web può aggiornarsi) io frequento da musicista e da ballerino questi raduni, le sagre, le occasioni sia di ballo che di musica sarda, sono stato per un decennio con il gruppo folk di Nostra Signora di Talia ad Olmedo, e sono musicista di organetti e fisarmoniche oltre che di altri strumenti , e sono responsabile scientifico del Centro di Studi e Ricerche di Ottana che studia l'uso dell'affuente nella zona, e del relativo ballo. Su FB mando avanti i gruppo Conoscere l'organetto e Sa trunfa che vi invito a visionare.