"Immaginiamo di trovarci di fronte alla realizzazione di una qualsiasi grande opera pubblica. Gli enti preposti richiedono una relazione generica che riassuma le conoscenze sul territorio interessato. Poi si procede con ricognizioni. Finalmente partono i lavori e alla prima bennata della ruspa arriva la sorpresa. Ecco il sito archeologico, colpevole solo di aver resistito al tempo, a bloccare la realizzazione dei lavori". Una sequenza già vista raccontata da Stefano Campana, direttore scientifico di Ats, ovvero Archeo Tech and Survey, società che si occupa di servizi tecnologici per i beni culturali. Grazie a questa società nata come spin-off dell'Università di Siena e oggi sul mercato a tutti gli effetti si riesce a pianificare con metodo.
"La situazione che ho descritto comporta sempre un danno economico per il costruttore e una frettolosa attività archeologica che raramente produce interventi organici. Insomma tutti perdono. Al contrario i nostri sistemi diagnostici consentono di realizzare una scansione sistematica e continua di tutto il contesto interessato dall'intervento", precisa Campana. Si va dalle immagini da satellite a sistemi aviotrasportati attivi e passivi, abbinati alle indagini geofisiche a terra di tipo integrato. Il risultato è paragonabile alle analisi mediche: una sorta di radiografia con conseguente quadro clinico. "Produciamo mappe dettagliate delle presenze archeologiche nel sottosuolo. Ciò comporta rispetto al passato un cambiamento sostanziale. Una progettazione dell'opera molto più accurata e in grado di limitare fortemente gli imprevisti. La conoscenza in fase di progettazione dei contesti archeologici offre la straordinaria opportunità di scegliere fin dal principio una strategia organica di valorizzazione dell'intero territorio", precisa Campana.
Il Next di Siena ospita così questa impresa composta da sei tecnici provenienti dall'università. A parlarne Francesco Pericci, vice-presidente di Ats. Presicci salirà sul palco del Next con un drone, ma spesso nel suo lavoro utilizza un magnetometro, ovvero una tecnologica diagnostica che rileva ciò che c'è nel sottosuolo. "Riceve solo i segnali di ciò che è ferro magnetico e si usa perché consente di avere una fotografia di un eventuale insediamento".
Pericci, in cosa consiste il vostro progetto di innovazione? Perché diventa strategico in un Paese come l'Italia?
"Ats ha portato sul mercato nazionale e internazionale una serie di metodologie non invasive innovative rivolte a risolvere i problemi che da sempre affliggono l'archeologia preventiva italiana. Siamo leader per la documentazione 3D di scavi archeologici tramite l'uso di droni, con particolare riguardo ai grandi cantieri dell'archeologia preventiva".
Siete uno spin-off dell'Università di Siena: quanto ha contato per la ricerca incubarvi in un contesto accademico?
"Il grande valore aggiunto per noi è nascere come spin-off. L'esperienza sviluppata in ambito universitario in decenni di ricerca di punta su un'ampia gamma di sistemi di telerilevamento, dal satellite, all'aereo, ai droni, fino ai vari metodi geofisici ci hanno dato una padronanza ampia e variegata delle variabili e della complessità dei contesti archeologici. Il laboratorio in cui siamo cresciuti - laboratorio di Archeologia dei Paesaggi e Telerilevamento diretto dal prof. Stefano Campana - ci ha permesso di sperimentare e di collaborare con i maggiori esperti del settore a livello internazionale. L'incubazione dello spin-off è durata poco. Invece dei tre anni previsti, alla fine del primo anno abbiamo iniziato a camminare con le nostre gambe".
Cosa rappresenta oggi per l'Italia fare archeologia preventiva?
"Va detto che l'ambiente archeologico è fortemente conservativo. C'è chi continua a fare archeologia di emergenza secondo logiche e applicando metodi e sistemi anacronistici. Ma le nuove opportunità offerte dallo sviluppo delle tecnologie diagnostiche incalzano e il cambiamento è in corso. Al momento è in atto un testa a testa tra Italia, Francia e Austria con Germania e Inghilterra che stanno rimontando. Siamo profondamente convinti che lo sviluppo del nostro paese passa anche attraverso queste sfide, solo apparentemente di nicchia".
Che tipo di competenze occorre avere per poter al meglio effettuare questo monitoraggio con la vostra tecnologia?
"Anzitutto bisogna essere archeologi! Archeologi con un solide conoscenze diacroniche e una grande esperienza di lavoro sul campo. Ci sono poi delle specificità: bisogna essere archeologi un po' particolari e avere la passione e il coraggio di sporcarsi le mani studiando principi di telerilevamento, geofisica, informatica, elettronica. Insomma tutto ciò che è necessario per sapere comprendere gestire gli strumenti, la loro applicazione ai contesti più diversi e soprattutto interpretare i risultati archeologici".
In quali progetti vi siete potuti già misurare?
"Il progetto più importante al quale abbiamo partecipato è senza dubbio l'archeologia preventiva sul tracciato della Brescia, Bergamo, Milano. Un'esperienza straordinaria caratterizzata da un'intensità di lavoro eccezionale".
Le prossime sfide dell'archeologia preventiva?
"Francamente pensiamo siano più di carattere normativo che tecnologico. In primo luogo l'archeologia dovrebbe entrare a far parte dei criteri di progettazione basilari, prima ancora che venga deciso un percorso piuttosto che un altro. Sono certo che tutti siamo d'accordo che l'archeologia non può essere considerato un bene secondario nel nostro Paese! Secondo, la diagnostica non invasiva dovrebbe svolgere un ruolo centrale per legge nel processo conoscitivo, non diversamente da quel che accade in ambito medico".
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