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martedì 14 gennaio 2014

La Stele di Nora, traduzione di Josè Stromboni

La Stele di Nora, traduzione
di Josè Stromboni


Nel 1773, nella campagna di Pula, vicino a Nora, nell’estremo sud della Sardegna, fu scoperta da un certo Giacinto Hintz una stele che porta ormai il nome di questa località.
Esposta nel museo di Cagliari1. Risale circa al 1000 a.C. ed è considerata la più antica scritta del Mediterraneo occidentale.
Fin dalla sua scoperta, è stata oggetto di numerosi tentativi di traduzione, ma come sottolineato da Salvatore Dedòla: «numerosi ricercatori, fra i più celebri, si sono cimentati nel proporre una traduzione. Fra gli altri Giovanni Semerano, però tutti quei tentativi hanno dato luogo a versioni così radicalmente diverse tra di loro che il mistero rimane intero» (2)
Ne risulta che a tutt’oggi, il testo è considerato come «ermetico». Le parole, essendo scritte senza spazio di separazione, fanno passare la stele per un enigma. Chi ipotizza l’inaugurazione di un edificio, chi la creazione della città di Nora o l’edificazione di un tempio, chi la commemorazione di una vittoria militare o di un’offerta votiva, chi la celebrazione di ambasciatori, o di un re. Nessuna di queste ipotesi risulta convincente per mancanza di prove scientifiche.
La stele di Nora si presenta sotto una forma classica allungata. Sarebbe stata riutilizzata in una costruzione e avrebbe, per l’occorrenza, subito qualche modifica, operazione che l’avrebbe alquanto ridotta. Essa è oggi alta 1,20 m. e comporta, nella parte inferiore un tenone destinato a fissarla. Essa è di stessa natura delle steli rinvenute a Ras Shamra (Siria), nome contemporaneo dell’antica città di Ugarit. In effetti queste steli sono di forma identica a quella di Nora, soprattutto quella dedicata al dio Dagone oppure quella detta di «Baal dalla Folgore».
I rapporti marittimi con l’Oriente sono stati a lungo sottovalutati. Eppure il porto di Ugarit porta un nome di origine sumerica particolarmente suggestivo: Mahadu oppure Hamadu, che significa in quella lingua «la nave del Levante». Questo nome di «Levante» è usato ancora oggi per indicare il Medio Oriente, e questa traduzione si può intendere solo rispetto alla designazione che possono farne uomini che si trovano ad Ovest, dunque nel Mediterraneo occidentale.
La stele di Nora è incisa in fenicio antico, otto righe scritte da destra a sinistra e dall’alto in basso, un totale di quarantacinque lettere. L’erosione del tempo ha spinto i ricercatori ad evidenziare la scritta con della vernice in modo da farla risaltare e poterla sfruttare meglio. Nel complesso l’operazione risulta riuscita bene, tuttavia se si tiene conto dell’originale, sembra che, durante l’operazione, alcuni particolari siano sfuggiti agli autori dell’intervento. Vedremo più avanti che ciò assume un’importanza non trascurabile.
Ci troviamo di fronte al primo sistema di scrittura alfabetica in cui ogni parola è scomposta in suoni. Le lingue semitiche hanno la particolarità di comportare poche vocali, eppure l’accadico ne possedeva qualcuna. Questo testo è dunque composto da consonanti con tuttavia una vocale, la a. Questa lettera viene spesso sostituita da una semplice virgola per indicare una vocalizzazione all’inizio di una parola o per indicare, tra due consonanti, una doppia vocale. Basato sull’alfabeto fenicio, l’alfabeto greco reintrodurrà le vocali.
Si è tutti concordi nel dire che l’alfabeto utilizzato è il primissimo, quello fenicio antico (1200 a.C.). Conviene osservare quanto il fenicio sia vicino all’accadico. Così, il modo di leggere le cifre da uno a dieci è quasi identico. Ragione per cui, è opportuno ricercare nel lessico accadico (3) le parole che comportano le consonanti corrispondenti. Questa ricerca si è rivelata fruttuosa.
Il testo inciso sulla stele presenta una particolarità – presente tutt’oggi nel tedesco -, quella di non comportare cesura tra le parole. Ed è, per l’appunto, questa sequela di consonanti che genererà una fantasia fertile in interpretazioni.
Ora, secondo le nostre ricerche (4), l’enigma può essere delucidato solo analizzando le lingue semitiche a cui appartengono, secondo le conclusioni delle nostre ricerche, il còrso e il sardo. Kamal Salibi sottolinea che conoscere una di queste lingue permette di praticarne altre (5). Non faremo fatica a confortarlo in quest’analisi affermando di aver trovato la chiave di questo testo nell’ambito della lingua còrsa e della sua pratica.
Numerosi traduttori concordano su una parola della terza riga: ŠRDN, che bisogna scrivere per comodità da sinistra a destra. Questa parola indicherebbe la Sardegna.
Alcuni ricercatori individuano gli Shardan con la città di Sardi in Lidia. Eppure su un'iscrizione bilingue di epoca persa Sardi viene chiamata "sefarad" (sfrd) nella sua parte aramea così come in Abdias, 20, e non srdn (6).
Altri considerano che si tratti di un vero toponimo. Ma l’elemento più importante è, senz’altro, la Š che segue questa sequela di consonanti e che la maggior parte degli studiosi considera come appartenente alla parola successiva. Non condividiamo questo parere poichè è ciò che appunto permette di affermare che siamo in presenza di un toponimo, anche se alcuni linguisti puri e duri, considerano che nell’accadico questa Š non può trovarsi alla fine ma deve necessariamente trovarsi all’inizio di una parola. Essi pensano che la collocazione alla fine sarebbe da attribuire a una formazione linguistica tipica occidentale che non trova riscontro nell’accadico abituale. Questa osservazione conforta tuttavia l’opinione degli occidentalisti, coloro che vedono nel Mediterraneo un’inversione delle influenze, un ruolo preponderante dell’Occidente sull’Oriente.



Ma possiamo per tanto rifiutare la Š come pronome relativo definito che può anche assumere il significato di « quello di = abitante di » (7)? Carine Bianconi (8), nella sua pratica delle lingue sumerico-accadiche suggerisce: «E se shardan, fosse sha-rdn?». In questa ipotesi, ci converebbe allora prendere in considerazione la parte significativa rdn. Il Labat propone una sola parola che comporta d’altronde solo le prime due consonanti. È la parola rèdu che significa «seguire la direzione, soldato, scorta».(9) Con sha-redu vediamo comparire chiaramente il nome sardu è lo stesso in lingua ittita “sardiya” vuole dire: aiuto, rinforzo (militare).
È vero che troviamo menzionata l’alta nomea degli Shardan negli scritti egizi in cui vengono qualificati di militari incomparabili. Essi sono sempre rappresentati con grandi spade più alte di tutte le altre, ed è cosa nota che le due isole possedevano un’ottima conoscenza della tecnologia del metallo.
Secondo Sallustio, sono contingenti di militari a servizio di Cartagine, i quali, in Sardegna, si sarebbero ribellati per una storia di spartizione di bottino. Pausania sostiene la stessa teoria nei loro confronti: «si ammutinarono e partirono ad abitare nelle montagne» (10).
Mercenari in Egitto, mercenari a Cartagine, mercenari a Ugarit, a Byblos. E’ per queste due isole, una grande e antica tradizione militare che si perpetuerà attraverso le età. È anche il caso della Corsica militare con i suoi condottieri del medioevo. Come non citare Sampieru Corsu, gli ammiragli Bartolomeu Peretti per il Vaticano, Dumenicu Paganelli a Venezia e tanti altri, senza dimenticare la lunga tradizione dei reggimenti di Còrsi al servizio dei papi e quell’infatuazione per le carriere militari e la passione per le armi perpetuatasi fino ai nostri giorni.
“Trincerati nelle stesse montagne, gli Iolei raggiunsero i Còrsi e i Balari per lottare vittoriosamente contro i Romani”, secondo Diodoro Siculo. Dal canto suo, Pomponio Mela afferma e in modo categorico che questi ultimi «sono il popolo più antico di Sardegna». In una pubblicazione collettiva (11), gli esempi di attività militari sono impressionanti ed evidenziano molto bene questa particolarità delle due isole.
Questa parola rédu conferma il significato di Shadan, pur evidenziando le tappe della formazione di questo nome. Se in lingua còrsa, Ghisonaccia significa «quelli di Ghisoni», ŠRDNŠ significherebbe dunque «quelli di Sardegna», ricordando che questa N poteva essere letta sia ne che gne. Lo abbiamo verificato con Kanam e Cagna (12). Allo stesso modo il dio Dagone viene scritto sulle tavolette di Ebla e di Ugarit dgn e in accadico Dagana, (da-ka-na), secondo le pratiche abituali di pronuncia che trasformano il suono k in g ,
« quello di Cagna » si pronuncia «da Gagna» e ritroviamo molto naturalmente il Dagana accadico. In lingua ebraica, la parola gana indica il giardino, e nella bibbia ebraica il quarto fiume dell’Eden viene chiamato gn ’dn, vale a dire gana eden o meglio ancora il «grande fiume o giardino di Cagna».
Sempre sulla terza riga, la prima lettera, sotto forma di un triangolo con una piccola coda verso il basso, b, è la B dell’alfabeto fenicio antico. Siccome La P è assente, questa B per il suo grafismo inversato rappresenta anche una P.
Questa B o P rivela la chiave del testo poichè la ripetizione di questa lettera suggerisce una cesura tra numerose parole e facendo un collegamento con la lingua còrsa, questa Ba o meglio Pa, si ritrova frequentemente in questa lingua, significa «per». Così, quando si dice «per gli uni o per gli altri» la lingua còrsa traduce « pa l’uni ho pa l‘altri». Così, PŠRDNŠ (Pa Šardanaša) va tradotto «per quelli di Sardegna». Questa Pa è una formula molto antica, la verifichiamo nel Labat che propone in sumerico BA –PA che significa «dare, offrire (13)». In un altro contesto può significare di «foglia» e di «mano», la mano assimilata ad una foglia, estesa anche alla nozione di misura «u palmu», cosί come alla foglia della palma e alle zampe degli animali «palmati». In lingua còrsa, viene utilizzata la parola «patonu» che significa «ceffone».
Ben si tratta della mano che «dà»; ciò che conferma con esattezza il senso di «per». Inoltre questo Pa è anche la prima lettera, in alto a destra della scritta. Nonostante l’alterazione della stele a quel livello, l’immagine del testo è abbastanza significativa per poter prendere in considerazione una Pa.
Considerando ciò che è stato appena detto, la parola della prima riga: PTRŠŠ potrebbe essere vocalizzata «Pa Tarašaša», cioè «Per quelli di Taraša».
Arascia è in effetti quella parola unica, quell’apax che Virgilio cita una sola volta (14) sotto la forma «mater Aricia» per designare la patria degli Etruschi. D’Arascia, è il nome che, secondo le nostre ricerche, come indica il paese a sud della Corsica, «quelli d’Ara», che designava sicuramente al tempo degli Etruschi tutta l’Isola. È questo stesso nome di Arache è all’origine della parola Aratta, questa signoria dell’alta antichità che precede Sumer e che ritroviamo nelle Bibbia sotto la forma di Ararat. AR, che significa «brillante», e dà «la brillante Aratta» (15).
Come non fare un collegamento tra TRSS e la parola Tarshish che si trova nella Bibbia ebraica (16) che recita: «le navi di Tarshish» oppure «i re di Taršiš e delle isole pagheranno il tributo (…)» (17), brano interessante che sembra anch'esso situare questo regno in terra ferma, poichè sembra differenziare le isole. Questo nome ci interpella anche perchè designa gli Etruschi se viene vocalizzato in "Tursha" ciò che i Greci chiamano tyrsenoi, i Tirseni che chiamavano anche i Tirreni. Quest’associazione dei territori evoca dunque una reale prossimità, ciò che è il caso dell’Etruria, della Corsica e della Sardegna.
Strabone, disprezzante nei confronti degli abitanti delle isole, indica che i re etruschi erano sardi: "Reges soliti sunt esse etruscorum, qui Sardi appellantur" (Festo) o ancora: "Quia Etrsca gens Horta est Sardibus" (Ludi capitolini). Di fronte a rapporti così numerosi tra Etruschi e Sardi possiamo pensare che TRŠŠ può essere letto Tursha dunque Tirseni va tradotto "quelli di Tirsu" con le consonanti nella giusta collocazione.
I Greci in difficoltà con le parole composte da sole consonanti, vi avevano integrato delle vocali. Nel caso presente, precisano questo nome poichè la vocalizzazione diventa più complicata per i toponimi, e lo è meno per i sostantivi della lingua corrente. Si verifica così la realtà delle consonanti per TRŠŠ con la parola attuale "Tirsesi", "quelli del fiume Tirsu".
Si tende a sottovalutare l'importanza dei fiumi nell'antichità, eppure sono i luoghi preferiti per gli insediamenti delle popolazioni. Questi insediamenti si possono verificare in Corsica quando Tolomeo nomina i dodici popoli dell'isola. Quelli della valle del Taravu, ad esempio, vengono chiamati "Tarabenoi". Lo stesso procedimento vale per "Tirsenoi".
Tirseni è dunque il nome che i Greci danno agli Etruschi (18). I Greci, ben collocati geograficamente, non hanno mai parlato di Tirseni in Lidia. La famosa città di Sardi si chiamava in realtà sfrd, Sefarad. Si deduce che dietro alle denominazioni Tirseni e Sardi in realtà si nasconda lo stesso popolo.
Ramesse II incorporò gli Shardana e i Tirseni nella propria guardia. Sono chiamati Tirseni anche coloro che si insediarono in Andalusia, e Denei, uno dei Popoli del Mare, sono da collocare nella regione conosciuta oggi col nome di Denia. L'ovest della Sardegna è rivolto verso la Spagna orientale e Le Baleari. Come abbiamo già verificato spesso, Tirreni e Tirseni presentano una toponimia speculare, gli uni a est e gli altri a ovest della Sardegna. I dati geografici meritano una riflessione sulla configurazione e sulla toponomastica dei luoghi.
Il fiume Tirsu, il più importante dell'isola, segna il confine tra il Nord e il Sud della Sardegna. Esso possiede una eccezionale qualità: consente lo stazionamento delle navi grazie alla configurazione della sua foce. L'area formata dall'estesa baia di Oristano, e dagli stagni intorno, è ideale per accogliere flotte navali, e il Capo San Marco le ripara dal libeccio. Questo sito ha un nome, Porto Vecchio, identico a quello corso di Porti Vecchju, anch’esso un riparo naturale di grande importanza.
Questa lunga lingua di terra del Capo San Marco è archeologicamente legata col sito fenicio-punico di Tharros, città che presenta molti resti di costruzioni nuragiche. È proprio di fronte a Tharros che si trovano Oristanu e il Monte Arci, un monte che fornì per millenni l'ossidiana, confermando la permanenza di una forte attività umana nella regione.
Una lunga polemica verte sulla posizione geografica di Tartesso. La localizzazione di questo territorio turba i ricercatori: si passa dal Mediterraneo all'Atlantico, eppure alcuni di loro pensano, a buon diritto, alla Sardegna.
Avieno (VI a.C.) nella sua opera "L'Ora Marittima" descrive questo territorio. L’Antonelli, nella sua opera “Il periplo nascosto”, riferisce di un fiume associato ad altri elementi del paesaggio come : "lo stretto di Tartesso", "le sponde del Tartesso", "il golfo di Tartesso", "il monte tartessico", "l'isola dominata da quelli di Tartesso", e "dei confini di Tartesso". L'elemento interessante sembra essere l'indicazione di "fiume" che compare come voce principale in numerose fonti antiche. Questo fiume sembra avere un ruolo importante poichè Strabone (19) descrive un fiume con due sorgenti che sgorga da una "miniera d'argento", e precisa che "sulla terra di mezzo" una città porta lo stesso nome del fiume con un ambiente fatto di stagni, ed evoca "le acque poco profonde e calme". Secondo Stesicoro, le due sorgenti di questo fiume Tartesso erano di fronte all'isola di Erytheia (`rs), o la stessa isola si trovava accanto alle sorgenti di questo fiume.
Tutte queste indicazioni corrispondono con esattezza al fiume principale della Sardegna, ecco perchè Tartesso altro non è che il Tirsu. Questo fiume nasce a Nord-Est e due fiumi identici possono pretendere esserne la sorgente, quello chiamato Tirsu e il suo affluente Mannu, identici in lunghezza e in quota, sorgendo rispettivamente a m. 880 e m. 850.
L'isola Erytheia (`rs), è la Corsica, "quest'isola fortunata" come scrive Eratostene "al largo delle rive Etrusche, l'isola dei beati", e secondo Orazio al di là delle rive Etrusche (16, 40-42), la "mater Ariscia" di Virgilio, "L'oceano che abbraccia tutto, ci aspetta; e andremo alla scoperta delle isole felici e dei beati demani". Orazio si abbandona (43 a 56) a una descrizione entusiasta del Paradiso terrestre con il verso 64: "queste rive Giove le ha riservate ai Giusti".
Per quanto riguarda Esiodo, poeta greco dell'VIII a.C. e osservatore privilegiato della sua epoca, egli dà un'indicazione essenziale nelle righe 1015-1016 della sua Teogonia: "Coloro che lontanissimo, in mezzo alle isole sacre, regnavano su tutti, gli illustri Tirreni".
Questa dichiarazione riassume ciò che questo testimone privilegiato conosceva del proprio tempo e anche prima dell'VIII secolo. È il periodo d'oro dei Tirreni, chiamati anche Fenici; circumnavigarono l'Africa, navigarono nell'Atlantico e verso il Mar Baltico. Avendo raggiunto una fama mondiale, suscitavano la gelosia di altri popoli.
Erytheia (`rs), è dunque l'isola dei Giusti, verrà anche chiamata Kittim. Ed è quest'isola che si trova un po' più in là, a nord, verso le due sorgenti, vista ovviamente da Oristanu. Ma come può un'isola trovarsi accanto alle sorgenti di un fiume?
Le sorgenti del fiume nascono "dal Monte d'argento" come testimonia Pseudo Scimmo: il monte delle sorgenti del Tirso è il ben nomato Monte Gennargentu. D'altronde la "terra del mezzo" dove si trova la città è semplicemente la penisola di Tharros: "terra in mezzo...al mare", "che va in mezzo al mare", certamente qualificata anche "isola in mezzo al mare occidentale", che offre alle navi una rada ben riparata, zona marittima che porta il nome sorprendente di Mare Morto, con una località chiamata Porto Vecchio.
In realtà i nomi Tartasso, Tursha, Tarshish, Tirsene e Tirsu hanno tutti un punto comune: le consonanti, che a seconda della pronuncia greca, romana o semita, verranno vocalizzate e trascritte lasciando libero corso alle più diverse interpretazioni, a volte, fantasiose.
In effetti, le Ş Š, S possono essere vocalizzate foneticamente in /tse/, sce, /esse/.Conviene notare però che il suono /tse/ si applica tanto alla Ş che alla Ţ basta verificarlo con la pronuncia eventuale di Tirsu oppure Tirtzu (20) . È ciò che sarà successo con TRSS in cui la prima S, tenuto conto della possibile pronuncia, avrà potuto trasformarsi in T, e, a maggior ragione, se dai documenti scritti all'origine, l'eventuale punteggiatura è sparita in seguito.
D'altronde se ci si riferisce al sumero ZI e TI presentati anche Ţ, possono avere la stessa pronuncia / tse/. Senza dimenticare di far notare che il nome Tirsu lascia apparire un certo rapporto con Tyr in cui /su/ o /zu/ in finale ricordano molto l'Absu, quest'oceano dell'Ovest, un'indicazione geografica, "là dove tramonta il sole". Bisogna ricordare che Tyr, nella Bibbia ebraica si scrive şr, ciò che conferma il nostro approccio e ciò che scrive Tito Livio: "Gli Etruschi, grazie alla loro fiorente civiltà, diedero al "mare inferiore il nome di Tirreno..."
Per confortare questa dimostrazione, bisogna aprire uno dei libri del Vecchio Testamento.
Il regno D'Israele, al momento dello scisma, si dà per capitale una città chiamata Tirça (21). Le tribù del nord, che scelgono questa capitale, per una cinquantina d'anni, dopo la morte di Salomone, dicono ch'essa era il pendant di Gerusalemme. E del resto come intendere: Sion, lontana a nord, se questo nord non è anche una designazione del Mediterraneo occidentale?
È detto che Tirça o Thirsa era una città importante nei IX e VIII a.C.
Tirça la "bella", ha tutte le parvenze di Tharros dunque "quella del Tirsu" e il regno del nord è dunque quello delle Baleari al limite del regno di Giudea (Iolei).
Citiamo volentieri su questo punto Kamal Salibi: "I discendenti di Salomone regnavano come re di Giuda a Gerusalemme, mentre i loro rivali, i re d'Israele, risiedevano a Tirça. Nel celebre verso del Cantico dei Cantici: "sei bella, amica mia, come Tirça, splendida come Gerusalemme, terribile come un esercito con stendardi", la menzione parallela dei due nomi nella stessa frase indica il riconoscimento dell'identità di statuto delle due città. Tale identità di statuto non poteva esistere ai tempi di Salomone. (22)
Non è forse scritto che "il ventesimo anno di Asa, re di Giuda Ela, figlio di Basha diventò re d'Israele a Tirça per due anni" (23).
Quando ho avuto l'occasione di visitare l'incomparabile sito di Tharros, ho capito che il centro del mondo occidentale era proprio lì, grandioso, e questa Tharros altro non era che Tirça, il suo vero nome, alla foce del Tirsu, bel nome di donna in effetti. I tirseni trovandosi anche in Andalusia, dunque in Spagna, il disprezzo manifestato per la Sardegna e la Corsica sul piano storico, ha sistematicamente fatto preferire i continenti alle isole. Eppure le civiltà vengono più spesso dalle isole e non dai continenti. Bisogna invertire il senso della storia.
Tutte queste considerazioni permettono di dire che la prima parola della stele di Nora TRŠŠ è veramente quella che bisogna ritenere: tirsesi, "quelli di Tirça". Non c'è dubbio, per l'importanza della sua posizione eccezionale al centro del Mediterraneo occidentale, è questa città che ha dato probabilmente dei re Etruschi. Argantonio è il re del Tirça al momento dell'arrivo dei focesi in Corsica e il racconto fatto da Avieno, sullo spostamento di questi ultimi al paese di "Tartesso" prende allora tutto il suo significato.
D'altronde, è nella valle superiore del Tirsu che è situata la città di Orani dove fu trovato un coccio che porta una scritta parziale ma per quello che si può verificare, identica al contenuto della stele di Nora, in particolare la prima parola TRŠŠ, come lo prova la foto. Sono visibili anche una parte della seconda riga e una parte della quinta riga, ciò dimostra senza dubbio che siamo veramente in presenza dello stesso testo.
La prima parola sembra corrispondere al Tirsu. Nella misura in cui vi è sempre una passerella tra Š, S e Ş la cui pronuncia varia dalla / sce /alla banale / se/ e alla / tse/ per l'ultima, ciò ha dato i sin ebraici שׁ, שׂ, שּׁ, שּׂ più tardivi, in cui dei punti sono stati aggiunti, e condizionano la pronuncia. Così il nome di Sinis ben si trova in questa zona e designa le popolazioni residenti dell'area geografica che determina questo bacino fluviale, quelli del Tirsu, i Tirsesi.
Le ricerche del canonico Giovanni Spano sul sito di Tharros nell'Ottocento hanno rivelato l'importanza archeologica della città antica. Il disegno e la scritta di un anello che porta insieme la menora, a sinistra, una piantina, forse di bosso, a destra, il corno del shofar. Questo strumento musicale serve per i segnali, di richiamo, diremmo oggi, sembra giocare lo stesso ruolo della conchiglia còrsa: u cornu. Vi è soprattutto la scritta IVDA la quale, da sola, dà una dimensione inaspettata a questa regione. Quest'anello proviene da una tomba punica, qualificata anche di semitica. Sul sito di Tharros è stato rinvenuto un pavimento musivo attribuito a un tempio che dicono più tardivo.
Purtroppo, dopo gli scavi e le scoperte straordinarie fatte da un gruppo di ricercatori inglesi, più di cinquecento tombe furono sventrate e saccheggiate. La città di Tharros fu abbandonata, dicono, nel Duecento, troppo esposta agli attacchi barbareschi, le popolazioni si spostarono a Oristanu. Tuttavia disponiamo di una testimonianza eccezionale, quella del viaggiatore arabo Ibn Gubair. In seguito a una violenta tempesta, la sua nave si rifugia nella baia di Tharros nel marzo 1183, ed egli constata che si trova in presenza di rovine che a quell'epoca egli qualifica di "rovine antiche".
Veniamo alla seconda riga col gruppo di lettere NGRŠHA. Per NGR, il Labat (24) prende in considerazione la parola accadica nagiru che significa: l’araldo (del palazzo). Per quanto riguarda ŠHA, la lingua còrsa dispone dello stesso tipo di finale, ciò dà: nagiruchijaja. Per indicare la «totalità dei loro parentadi», le famiglie Maroselli di Rutali, nel nord della Corsica, utilizzano volentieri la parola Marusellaghja. Il che permette di proporre la traduzione seguente: «la totalità degli araldi» oppure, se si tiene conto del contesto ambientale, «le trombe della Fama».
È certamente la realtà poichè i nagiru, "gli araldi del palazzo" imboccavano trombe come lo dice d'altronde Eschilo, che si fa eco della leggenda secondo cui i nostri Tirseni sono in effetti gli inventori di questi strumenti musicali (25).
La quarta riga comporta un gruppo di lettere in cui compaiono due parole di stessa natura, la seconda parola prosegue sulla quinta riga, LMHAŠ e LMS. Lamahušu (vestiti di gala) (26) e LMS lamassu (divinità protettrice).
Derivati dalla parola sumera LAMA, i lamassu sono divinità protrettrici accadiche guardiane delle porte dei templi e dei palazzi reali ; hanno dato il loro nome alle famose statue monumentali assire e achemenidi collocate all’ingresso di quei monumenti che hanno un corpo di toro alato con testa umana.
Proponiamo dunque la traduzione seguente: "i Lamassu (dèi protettori) con vestiti di gala".
La quinta riga prosegue sulla sesta fino alla cesura successiva sempre formata da una Pa. Le due parole seguenti sono anch’esse interessanti: AML e KTN, che suggeriamo di leggere amilu kitin la cui traduzione sarebbe «gli uomini di Kittin » o ancora «gli uomini del paese dei Giusti». I Kittim sono ben noti nella Bibbia e sono citati anche negli scritti del Mar Morto, in particolare nel "Rotolo della guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre" in cui possiamo verificare che come sulla stele di Nora essi sono nominati appunto Kittim: «In quei giorni il giusto fiorirà e la pace sarà grande fin quando non ci sarà più la luna» (27). Diodoro Siculo I a.C. ha notato lo spiccato senso della giustizia dei Còrsi: «Gli abitanti di quest’isola…vivono insieme secondo le regole della giustizia e dell’umanità contrariamente ai costumi di quasi tutti gli altri barbari…Del resto in tutte le circostanze della vita essi coltivano la pratica della giustizia» (28). La Corsica è proprio il paese dei Giusti, il paese dei Kittim.
In genere, gli storici credono di vedere in questa «potenza dell’ovest» i Romani, pur con qualche riserva. Con lo scienziato Bochard (29), per quanto ci riguarda, saremo del parere che questo popolo può essere solo quello dei còrsi. La presenza dei Kittim su questa stele è importante, scarta definitivamente l’ipotesi che si tratti dei Romani, poichè questa rivelazione li posiziona molto più in là nel tempo associandoli ai Tarshish, i quali anch’essi, vengono citati numerosissime volte nella Bibbia.
Ci si può interrogare sulla n finale della parola kittin, versione presa tuttavia in considerazione dagli ispanici. Questa n va interpretata come il na di Shardana per spazio, regione. La m proposta dalla Bibbia è di certo solo un’indicazione di plurale.
Il Dizionario della Bibbia (30), alla parola "luce" fa naturalmente il legame tra questa parola e "fuoco" che in sumero si dice IZI e ZI e TI; questi tre fonemi utilizzati insieme designano ciò che punge. Se la parola KI, nella stessa lingua significa "posto, luogo o paese", come non ritenere questa formula: "luce delle nazioni" (31). È ancora un'altra interpretazione di Kittim.
La parola seguente, brevissima, comincia alla fine della sesta riga e finisce sulla settima: PNŠ, per la quale proponiamo Pa Naše, ciò rinvia alle parole accadiche nišu onaše, «quelli che nascono» oppure «il popolo». Che traduciamo: «Per il popolo» per rimanere in una formula che si armonizza bene con lo spirito dell’epoca, diremo «per i vivi». Un’espressione che fa pensare a un modo di dire in lingua còrsa, «chi nasce, pasce», vale a dire «colui che nasce mangia» per vivere (32).
Eccoci arrivati alla settima riga con questo gruppo di lettere: PNNHRD che proponiamo di scomporre in tre parti P NNH RD. Abbiamo notato sulla foto della stele che alcune lettere erano solo parzialmente sottolineate come la penultima di questa riga. Non è dunque una G che va letta ma la H semitica. Lo stesso si dica per l’ottava riga, dove la seconda lettera è ovviamente la P delle cesure. Si può proporre «Pa nanaha redû», che può essere tradotto con «per che continuino i cicli della luna» in cui nana è la luna e redû un verbo che significa : «proseguire, continuare, seguire la direzione». Nel senso "continuare" o "soldato e gendarme", la parola redû fa chiaramente apparire un rapporto con la traiettoria del disco solare. In Bretagna sotto il tumulo contiguo agli allineamenti di Carnac, nella camera centrale, l'unica pietra incisa comporta una moltitudine di linee concentriche che possono essere interpretate come rappresentando una moltitudine di traiettorie del sole o della luna, ciò che sarebbe in rapporto diretto con questa frase della stele di Nora.
Il dio della luna nuova nanaru era venerato e riceveva delle "offerte dette del novilunio". Il popolo ebreo è «un’alternanza di luce e di oscurità» ed ogni luna nuova è oggetto di una preghiera di ringraziamento" (34).
L’ultima parola bnE è preceduta dalla P (Pa), seguita da NY. Nel Labat (35), una sola parola corrisponde a questo gioco di consonanti e lo prenderemo in considerazione: nuhšhuche significa ricchezza, abbondanza, e ciò quadra perfettamente con lo spirito della stele (36).
La Š finale poteva apparire come un’estrapolazione, ma osservandola più da vicino, un’altra lettura della stele ci fa constatare un lieve tracciato che può essere identificato come una s , la nostra Š sarebbe dunque ben presente.
Alla luce dell’insieme delle osservazioni precedenti, ecco la traduzione del testo della stele che proponiamo:
« PER QUELLI DEL TIRSU, i TIRSESI (i TURSHA, gli Etruschi) :
« LA TOTALITÀ DEGLI ARALDI (Le trombe della Fama)
« PER QUELLI DI SARDEGNA :
« LAMAHAŠU, LAMASSU (dèi protettori)
« PER GLI UOMINI DI KITTIN (il paese dei Giusti)
« PER I VIVI
« PER LA PERENIZZAZIONE DELLE LUNAZIONI
« PER L’ABBONDANZA ».
Il testo di questa stele, di cui sono state utilizzate tutte le lettere, corrisponde praticamente ai brani della Bibbia (37) poichè ne conserva l’idea generale. Esso mette sotto una nuova luce molto interessante i rapporti tra « le isole occidentali » e il bacino orientale del Mediterraneo ai tempi di Salomone, figlio di Davide, che regnò dal 970 al 931 a.C., secondo le datazioni proposte, ciò corrisponde all’epoca in cui questa stele è stata incisa. Non solo il nome di Sardegna sembra accertato ma compaiono anche il nome degli Etruschi e quello dei Kittim; sono quest’ultimi i quali «nelle loro isole», «insulæ italiæ», rappresentano i Còrsi.
L’ordine preso in considerazione in questo testo lascia apparire una classifica dei popoli citati. In testa troviamo gli Etruschi poichè godono di maggiore considerazione, vengono quindi i sardi oggetto di un’attenzione particolare, per quanto riguarda i Kittim, arrivano al terzo posto, vengono solo menzionati, ciò corrisponderebbe alle realtà geopolitiche dell’epoca, una Corsica indebolita dall’Esodo di cui parleranno Sallustio e Pausania. Si tratta quindi di una popolazione dissanguata da una migrazione massiccia verso la terra ferma, verso l’Etruria, dove le floride miniere di Toscana attrarranno le popolazioni della Sardegna ma soprattutto quelle della Corsica. Questo crollo demografico dalla duplice causa – la natura avendo orrore del vuoto - attrarrà i Greci, e ciò sarà all’origine della crisi di Aleria. Con queste tre popolazioni siamo in presenza di un asse nord-sud di potenze occidentali, un asse che in quella battaglia di Aleria (38) sarà all’origine di un’alleanza con gli Etruschi e i Cartaginesi, come lo testimonierà più tardi Erodoto (39).
La data approssimativa di questa stele è importantissima: X a.C. Quei tre popoli sono già perfettamente insediati. Nella vocalizzazione data dalla Bibbia, essi compaiono sotto il nome di Tarsis o Tarshish (Tarashasha), mentre sulla Tabula di Cortona portano il nome di Lariš.
Perchè Lariš et Taršiš?
Per avanzare una spiegazione sceglieremo deliberatamente l’esempio di un patronimo di Sartène : Arasciani. Esso rappresenta, a parer nostro, la commovente testimonianza di quell’epoca remota in cui gli Etruschi dicevano di chiamarsi Rasenna oppure Rašenna. Questa pratica dell’apocope si verifica nella lingua còrsa in cui, per esempio, il ragno si dice tanto aragnu quanto ragnu e in lingua sarda in cui la distò si dice aràna oppure ràna (40) Cos’altro aggiungere?
Così, in situ, per designare la famiglia, in Corsica si dice «l’Arasciani», e per parlare di qualcuno di questa famiglia quando si è fuori dalla Corsica si dice «d’Arasciani». È esattamente quello che succede con Lariš formula utilizzata in Etruria, confortata dalle numerose scritte ma soprattutto dalla Tabula di Cortona, mentre il Taršiš della Bibbia è la formula che evidentemente viene utilizzata da fuori, il secondo ša significa « quelli di … ». Sono due modi di dire tradizionali usuali nella lingua còrsa.
Nell’interpretazione che egli dà di questa Tabula, Adriano Maggiani, docente di etruscologia all’università di Venezia, ha fatto scalpore, pronunciando, come si deve il nome dell’altra famiglia associata ai Laris, vale a dire i Cusu, che non si deve pronunciare all’italiana (con la consonante sonora), bensί CUSSU (con la consonante sorda) oppure CUŠU, patronimo ben noto soprattutto in Sardegna dove ognuno sa che questo nome altro non è che CORSU, cioè « Còrso ».
Erodoto parla in questo modo della prima spedizione dei Greci di Focea: « Questi Greci di Focea furono i primi a compiere grandi navigazioni : furono i primi (Greci) a scoprire l’Adriatico, il Tirreno, l’Iberia, e il paese di Tartesso ; non navigavano su grandi navi ma su imbarcazioni più leggere » (41).
Ci si può stupire, da una parte, che per un greco, il fatto di avventurarsi nell'Adriatico venga segnalato come un atto di eroismo e, d'altra parte, che gli storici abbiano deliberatamente situato Tartesso nell'Atlantico.Un particolare avrebbe dovuto interpellarli, le imbarcazioni utilizzate, secondo Erodoto, sono di piccola dimensione. Questo tipo di imbarcazione implica necessariamente una navigazione costiera, fosse solo per i bisogni di approvvigionamento in acqua. Se Focea era l’antico nome dato alla città di
Marsiglia, poichè sarebbe stata fondata dai focei, è probabile che, giunti in Iberia (Spagna), abbiano semplicemente risalito le coste verso nord e considerato le foci del Rodano come «paese Tartesso». Sergio Frau, che ha notato questo brano del racconto, non ha esitato a dire che Tartesso gli appare «così lontano dall’Atlantico e così vicino alla Corsica…» (42).
In effetti, Erodoto precisa in questo capitolo che i Greci erano stati molto ben accolti dal re di Tartessus che si chiamava Argantonio, al punto di proporre loro di installarsi "nel posto del suo paese che più piacerebbe loro".
Nel capitolo 165, quando racconta la partenza per la Corsica, non dice forse: "quando salparono per recarsi in Cyrnos, dove vent'anni prima avevano edificato la città di Alalia per ubbidire ad un oracolo. D'altronde Argantonio era morto nel frattempo".
Il re di Tartesso (Tirsu) è apparentemente strettamente implicato negli affari di Corsica. Forse egli è semplicemente re delle due isole? In ogni caso, il testo suggerisce una reale prossimità, ciò dimostra che Sardegna, Corsica ed Etruria sono tutt'uno. Questa lettura respinge l'ipotesi "atlantica" di Cadice.
Nel capitolo 167 veniamo a sapere che "fu dietro consiglio di un abitante di Posidonia, che disse loro(ai Greci) che la Pitia, nella sua risposta, non aveva dato loro l'ordine di stabilire una colonia,bensì di erigere un monumento all'eroe Cyrnus". Questa è la manifestazione di una marca di grande rispetto per questo mondo mediterraneo occidentale.
Questo nome di Tartesso, filtrato da un orecchio greco sembra essere, infatti, Tarataša, un nome ben più antico in cui riconosciamo «quelli d’Aratta» che ritroviamo nella Bibbia sotto la forma di Ararat, come in uno specchio.
Erodoto, svela così un antico nome il quale è, ovviamente, il famoso trss: TRŠŠ, vale a dire l’Etruria il cui popolo è qualificato di pacifico, come lo provano gli innumerevoli affreschi in cui non vengono mai rappresentate scene belliche.
Essi sono ampiamente presenti lungo le coste provenzali e spagnole (ciò viene confermato dagli scavi archeologici), li ritoviamo, perfettamente insediati, nell’attuale Hérault in località Lattes, dove edificarono un porto allora chiamato Lattara, nel paese dei Sardani. Questo nome, in cui c’è un’aria di famiglia con Tartesso oppure Aratta, costituisce un nuovo esempio di una toponimia specolare così come Populonia, grande porto etrusco, in fondo al golfo dal nome evocatore di Baratta, e il capo di Piombino/Populonia porta anch'esso il nome rivelatore di Faleria speculare di Aleria. Che i focei si siano stabiliti tra Lattara e l’Etruria, nella fattispecie a Marsiglia, corrisponde molto esattamente al racconto di Erodoto, che recita: « I Focei, diventarono cosί loro amici, avendoli convinti di lasciare definitivamente La Ionia e di venire a stabilirsi nel loro paese…siccome la potenza dei Medi era alquanto cresciuta, diedero denaro ai Focei affinchè potessero costruire fiortificazioni alle loro città…» (43).
Questi sono segni di buoni rapporti tra i popoli del Mediterraneo. Tuttavia si sa che edificate le fortificazioni, abbandonarono la città imbarcando tutti i loro beni e le loro famiglie e non trovando nulla da comprare si diressero verso Cyrnos e crearono Alalia (44). Ed è arrivando in Corsica, come recita Erodoto, che si stabilirono nei loro paesi (degli Etruschi ovviamente).
Una scoperta fatta casualmente da un agricoltore della regione di Nuoro in Sardegna viene a mettere in una nuova luce le scritte di quell’epoca, offrendo un punto di vista importante e complementare. In effetti sul coccio di un recipiente di terra cotta, si distingue la parola TRŠŠ, proprio identica alla prima parola della stele di Nora. Tutti i ricercatori hanno fatto il collegamento tra queste due scritte. Questa scoperta permette di affermare che questo tipo di società riguarda l’intera isola e non soltanto le coste dell’estremo sud. La città d’Orani dove fu rinvenuto questo materiale è situata nel centro nord della Sardegna vicino a Nuoro. Purtroppo, questa scoperta non sarebbe stata presa sul serio e non si sa più dove questo reperto così importante sia andato a finire. Tuttavia ce ne rimane una foto. La presenza di un’altra scritta molto lontano dal sud della Sardegna è un argomento a favore della nostra dimostrazione. La stele non avrebbe dunque niente a che vedere con la città di Nora. D’altronde la traduzione che ne facciamo lo esclude totalmente.
Tutte queste scoperte dovrebbero finalmente cambiare l’approcccio, a lungo praticato, della storia della Sardegna e della Corsica. Si capisce meglio il ruolo essenziale che hanno potuto giocare le potenze occidentali di una volta negli affari del Medio Oriente di cui sono, da quei tempi remoti, componente essenziale con gli Egizi, gli Ebrei, e tutti gli Imperi orientali.
Carine Bianconi ci ha fatto scoprire questi Kittim che sono citati nella Bibbia e nei Manoscritti del Mar Morto. Questa scritta contribuisce a spazzare via l’idea, sostenuta da alcuni, che si trattasse dei Romani. In effetti, a quell’epoca, di questi non si parla ancora
e sono i Kittim che veneravano le loro armi e i loro stendardi, prima ancora degli imperatori romani. Secondo Geremia, sono una «nazione di isole lontane che sono situate al di là del mare» (45) ; il Kittim è sinonimo di «occidentale», come lo si può verificare nell’espressione «le navi dell’occidentale». Su richiesta dell’Egitto, si opporranno al re Antioco, «il malvaggio, la bestia di Gerusalemme» che era discendente di Alessandro. «le navi di Kittim gli verranno contro» (46); di queste «isole del Mare» che altro non potevano essere che queste isole mediterranee (47). Questo re verrà cacciato da Gerusalemme dai Kittim nel 168 a.C.
Tutte queste popolazioni sono esperte in navigazione. Con il boom dell’era del ferro, gli Etruschi si presentano come la grande potenza commerciale del Mediterraneo e le loro navi solcano letteralmente i mari. Non recita forse Erodoto che «anticamente questi fenici, come essi stessi si compiacciono a dirlo, erano stabiliti in riva al mar Eritreo» (48).
Come non prendere in considerazione che questo Mar Tirreno sia anche chiamato "mare di Fenicia"? La parola greca "Fenicia" significa rosso. E Plinio scrive: "Il mare intero si chiama mar di Fenicia".
Quando si sa, come lo ricorda il professor Giovanni Ugas, che Erizia è l’isola rossa vicino alla Sardegna (49) e TIR (tirreno) significa «essere rosso», che il loro porto maggiore si chiama TYR, verifichiamo ancora una volta l’effetto della toponimia specolare, il mare Eritreo si trova proprio nel Mediterraneo occidentale. Erizia, è anche l’Erez della Bibbia. Che siano chiamati Fenici, Etruschi, oppure Cartaginesi, hanno difatti come unica differenza quella di portare il nome dei luoghi dove si sono insediati : ai quattro angoli del Mediterraneo.
Il relitto del VI secolo a.C. rinvenuto dai ricercatori israeliani al largo di Cesarea, con zavorra in pietra serpentina di Saint-Florent, non può che essere una nave appartenente ai Kittim (50).
Ma torniamo alla scritta su questa stele di Nora e interroghiamoci sul suo significato profondo.
Il periodo che c’interessa è quello della fiorente epoca dei Popoli del Mare. Tutti questi popoli si mettono molto probabilmente in cammino intorno agli anni 1200. Secondo i calcoli migliori, le loro navi fanno in media 4 a 6 km/h in tempo normale e nel miglior dei casi percorrono 180 km al giorno. Possono innegabilmente percorrere grandi distanze navigando sotto costa o passando da un’isola all’altra.
Gli esperti sono categorici, a quell’epoca una gravissima siccità afflisse durevolmente il bacino mediterraneo. Questa è, a quanto pare, una delle cause maggiori delle migrazioni massicce, sicuramente associate ad una reale sovrappopolazione, ciò che può spiegare il numero impressionante di nuraghi. È proprio in quel periodo che s’intensifica l’insediamento degli Etruschi e parallelamente vi si stabiliscono immigranti nel Medio Oriente.
Il papiro Harris ci informa che l’integrazione di questi ultimi si è fatta senza difficoltà. Ramsete III, nel 1177, ha patteggiato con i nuovi arrivati, accompagnati dalle loro mogli e dai loro figli. Fra questi popoli, arrivati un po’ prima, ci sono gli Ebrei che fanno «setta a parte», ciò che sembra confortato dal sito sardo di El Ahwat in Galilea.
Ed è a partire da quest’epoca che è fatto menzione delle famose dodici tribù d’Israele. Un numero, che, guarda caso, ricorda le dodici città etrusche e i dodici popoli di Corsica citati da Tolomeo.
Una tavoletta di Ugarit spiega che i popoli del Mare si presentarono davanti a questa città con venti navi un giorno di eclisse solare, ciò provocò il panico generale e la fuga della popolazione. Questo giorno è stato individuato con precisione: si tratta del 21 gennaio 1192 a.C., alle 12. I nuovi arrivati ne avrebbero approfittato per saccheggiare la città.
Questi popoli del Mare sono attestati come di origine occidentale, come lo proverebbe il loro modo di erigere gli altari. Contrariamente ad un’idea troppo diffusa, non sono gli Achei
che li compongono bensì gli Etruschi (Tarshish), i Sardi (shardana) ed i Còrsi (Kittim). Come è possibile, allora, sostenere che andarono poi a stabilirsi in Sardegna, quando la civiltà nuragica era in quello stesso periodo al suo apogeo, una civiltà eccezionale. Lungi dal presentarsi come invasori predatori, spronarono gli autoctoni ad un innegabile sviluppo.
Nella genealogia di Javan, citata più volte nella Bibbia, prendiamo in considerazione il testo seguente della Genesi: « Figli di Javan: Elischa, Tarsis, Kittim e Dodanim»51 e quello delle Cronache: « Figli di Javan : Eliscia, Tarsisa, Kittim e Rodanim » (52).
È con interesse che notiamo, dapprima, in quest'ultima citazione, che la vocalizzazione di Tarsis è incerta e si precisa in Tarsisa ciò che ci avvicina a Tiršuš o meglio ancora a "Tirça".
Queste due citazioni riportano, è evidente, lo stesso testo. Siamo confrontati ad una variante da un lato Dodanim, dall’altro Rodanim. La grafia del fenicio antico ci permette di fornire una spiegazione. In effetti, la D e la R scritte in questa lingua antica (d e r)sembrano quasi identiche, si presentano sotto la forma di due triangoli, quello della rcomporta un prolungamento verso il basso a destra. Non sarà stata copiata male o interpretata male passando da un testo all’altro? É probabile che il copista abbia perenizzato un errore. Ragione per cui diciamo che questa confusione fra la d e la r poteva succedere solo in fenicio antico e nello stesso tempo se si prende in considerazione quest’ipotesi, ne risulta una indicazione seria per precisare la datazione dei primi scritti della Bibbia.
Invece, pensiamo che la lettera giusta è la r e non la d, operazione che, se si elimina, sempre la m finale, ci rivela, il gioco di consonanti seguente rdn così stranamente vicino al nostro šrdn. Ciò che ovviamente ci fa pensare che si tratti ancora una volta di un errore di trascrizione. La š all’inizio di questa parola non sarà andata persa strada facendo oppure lasciata alla fine della parola precedente ? E se questa ša non fosse altro che un pronome relativo: «quello oppure quelli di…»? il rdn della Bibbia assumerebbe allora tutto il suo significato.
Tolomeo chiama il fiume Tavignanu col nome di Rotanum, corso d'acqua che ben si presta con lo stagno di Diana allo stazionamento delle navi. Ricordando questo importante particolare, Rocco Mutedo non rifiuterebbe la possibile interpretazione della località Cateraghju su questo fiume. Questo nome che a prima vista indica le "barriere" in cui "ca" sta per "apertura, sorgente, bocca" associato a "taru" significa anche in lingua còrsa "destinato ad essere accantonato", "un'anticaglia", "un'antichità" ciò che ci suggerisce di tradurre Cateraghjiu con "il luogo delle antichità". É anche, non dimentichiamolo, il luogo dov'è situata la città di Aleria.
Negli atti del convegno di Oristano del 28 dicembre 2001, Francesco Licheri, ricercatore in archeologia del Medio Oriente antico, ha fatto un intervento interessantissimo suishardana. La sua relazione ha sviluppato tre punti: i nuraghi, i popoli del Mare e le ricerche sul sito di El Ahwat in Israele. Egli ha vagliato interamente alcuni documenti antichi evidenziando la particolarità degli shardana : mercenari ad Ugarit, a Byblos, guardie personali di Ramsete II, di Merenptah suo figlio, di Akhenaton, di Ramsete III, di Ramsede V. In breve, da abili guerrieri quali sono, essi occupano il rango più alto nell’esercito egizio. «nessun altro gruppo di mercenari aveva un rango più elevato», ecc…. Una stele proveniente de Tanis rivela che «erano arrivati dal mare aperto e nessuno era in grado di affrontarli». Le loro lunghe spade, i loro elmi con le corna ne fanno allora guerrieri eccezionali. Basti ricordare tutti quei bronzetti sardi che rappresentano questi arcieri con elmi dalle grandi corna, lunghe spade come sui menhir di Corsica.
«I nomi non nascono a caso» ha detto Massimo Cacciari, professore all’università di Venezia e sindaco di questa città, durante la commemorazione del primo anniversario della morte di Giovanni Semerano, celebrato a Firenze il 21 ottobre 2006, e ha insistito sul fatto «che bisogna far parlare le parole».
Questo rdn ci ha naturalmente spinti a consultare nel manuale di epigrafia accadica la voce redù (rd) che significa, come l’abbiamo già visto, il «soldato, l’uomo di scorta» (53). Il nia richiama le ben note finali di Spania, Sardinia, Germania oppure colonia in cui il nia ha come significato «il paese di» e in cui l’ia può anche ricordare una finale amorita. Questo na è quello di solana che definisce la superficie esposta al sole. Inoltre Shardanaè sicuramente un nome dato da gente esterna alla Sardegna, e precisamente al Medio Oriente. È quello che sarà ritenuto dalla storia. Proponiamo quindi per Shardana, nomea oblige, l’interpretazione seguente: «Quelli del paese dei mercenari».
Ad ogni modo, bisogna trarre le conseguenze di questo brano della Bibbia in cui «Tarsise le isole» prende allora tutto il suo significato vale a dire «l’Etruria e le isole», ciò che rinvia in fine alle terre seguenti: «l’Etruria, le Baleari, la Corsica e la Sardegna».
La scritta della stele di Nora, con l’importante replica trovata a Orani nella regione di Nuoro, prende quindi il carattere di una commemorazione, quella della preponderanza e la vittoria nel Mediterraneo dei Popoli del Mare su tutti gli Imperi del momento.
Il professore Giovanni Ugas, che dal 1996 dirige in Israele l’équipe sarda sul sito di El Ahwat, constata da fino osservatore della sua isola: «L’archeologia non fornisce nessuna traccia di conquiste né di migrazioni massicce venute dal di fuori. Si verifica semplicemente la realtà di scambi normali e un’evoluzione classica del campo culturale. Non vi è traccia alcuna di profondi sconvolgimenti. Al contrario, bisogna sapere che, a quei tempi, la Sardegna era in piena espansione nel campo architettonico e nell’uso dei mezzi materiali» (54).
La scritta della stele di Nora, in fenicio antico, utilizza parole accadiche, ciò che all’epoca gli conferiva sicuramente un carattere solenne, quella stessa solennità conferita oggi dal latino.
Questo testo dal valore inestimabile conferma gli scambi est-ovest nella «mediterraneizzazione» dell’epoca, se ci viene consentita quest’espressione che rinvia a quella attuale di globalizzazione, frutto della libertà dei mari e della rivoluzione metallurgica. Riassume gli eventi della fine del secondo millennio con l’emergere dei Popoli del Mare e annuncia futuri sconvolgimenti.
Il testo è contemporaneo di re Salomone figlio di Davide (55) la cui saggezza è diventata proverbiale. È l’apogeo della storia ebrea poichè israele è all’apice della sua potenza.
È la conferma del ruolo preponderante delle isole, sottovalutato così a lungo, negli affari del Levante e più generalmente nella storia del Mediterraneo.
È una categorica smentita per coloro che negano alla Bibbia ogni valore di verità storica, coloro che vi vedono solo una costruzione di miti e leggende, ed è anche la magistrale conferma di una delle pagine maggiori della storia antica dell’umanità.

Note:
1 Tengo a ringraziare in modo particolare La Soprintendenza Archeologica di Cagliari per avermene procurato una foto.

2 Salvatore DEDOLA, Toponomastica Sarda, Ed Grafica del Parteolla, 2004

3 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Geuthner manuels, IV e trimestre 1999. Opera fondamentale che designeremo nel testo sotto la voce "Il Labat"

4 José STROMBONI, Kur Sig, L’Éden retrouvé. La Corse entre Sumériens Etrusques, Editions dumane, IIe trimestre 2006, 250p.

5 Kamal SALIBI, La Bible est née en Arabie (traduit de l’anglais par Gérard Mannoni), éditions Grasset et Fasquelle,1986, p.22.

6 Cf Mathias DELCOR, Religion d'Israël et Proche Orient Ancien, éd. Chris L. Heesakkers, 1976, p. 19.
7 Daniel BODI, Petite grammaire de l’akkadien à usage des débutants, éditions Geuthner Manuels, 2001, pp. 192-193.
8 Carine ADOLFINI-BIANCONI, L’ochju. Origine et sens des pratiques symboliques corses, éditions Dumane, 1er trimestre 2006, 184 p
9 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Op. cit., p 335.

10 PAUSANIA, Descrizione del la Grecia, Focide, Libro X, capitolo 17. 11

11 Attilio MASTINO, Storia della Sardegna antica, la Sardegna e la sua storia, edizione II Maestralli, 2005.

12José STROMBONI, Kur Sig, L’Éden retrouvé. La Corse entre Sumériens et Etrusques, op.cit., p.184.

13 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Op.cit., §5.14 Eneide, VII, 762.

15 José STROMBONI, Kur Sig, l'Éden retrouvé. La Corse entre Sumériens et Étrusques, op. cit.,p.144.

16 I Re, 10,22 oppure Ezechiele 27, 12.

17 Salmi 72,10.

18 "I Greci davano ai Toscani il nome diTirreni o Tirseni e quello di Pelagi.I Romani li chiamavano Tusci o Etrusci e il paese Etruria" : F. DE BROTONNE, Histoire de la filiation et des migrations des Peuples, Dedessart et Cie, Editeurs 1837. E anche Strabone (5, 2, 7) parlando degli Iolao in Sardegna, dice che essi coabitavano con la popolazione locale i Tirreni.

19 Geografia III, 2.11.

20 Cf. Kamal SALIBI, La Bible est née en Arabie, op.cit., p. 12 e 23.

21 I Re, 16, 5-9.

22 Kamal SALIBI, La Bible est née en Arabie, op.cit., p. 250.

23 I Libri dei Re, 16, 8.

24 "René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, manuel d'épigraphie akkadienne, Op. cit. § 347 348."

25 . Eschilo, Eum, 567. Sofocle, Ajax 17. Euripide, Le Fenicie. 1377, Medea 1342-1343 e1359 fanno lo stesso.

26 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Op.cit., §536.

27 Salmi 72-7

28 Ferdinand Hoefer, Biblioteca Storica di Diodoro di Sicilia Libro V, capitolo XIV, ed. Adolphe Delahays, 1851

29 BOCHARD Samuel, De Loco Paradisi terrestris diatribe (Manoscritti XVIII sec.)

30 André Marie GERARD, Dictionnaire de la Bible, éd. Robert Laffont, Bouquins, 1999, P. 183.

31 Isaia, 42, 6 e 49,6.

32 « vivranno e gli daranno dell’oro di Seba », Ps 72-15.

33 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Op.cit., §347-348.

34 « Finchè comparirà la luna, di generazione in generazione », Ps 72-5. Notiamo che il magnifico pozzu di Santa Cristina in Sardegna (1400 a. Cristo) comporta una scala il cui asse è diretto molto precisamente sul solstizio d’inverno e simboleggia « la rinascita ». Questa scala porta alla conca d’acqua dominata da una volta che comporta in cima, al livello del suolo, all’ esterno, un’apertura al disopra della quale la luna viene a posizionarsi perpendicolarmente molto esattamente ogni 18,6 anni.

35 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Op.cit., § 331.

36 « Il grano abbonderà nel paese, in cima alle montagne, e gli spighi si agiteranno come gli alberi del Libano », Ps 72-16.

37 Salmi 72.

38José STROMBONI, Kur Sig, L’Éden retrouvé. La Corse entre Sumériens et Etrusques, op.cit, p.103.

39 "come un solo ed unico popolo "Libro I, 163.

40 Mario PUDDU, Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda, éd.Condaghes, 2004.

41 Libro I, 163.

42 Sergio FRAU, Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta, editore NUR Neon, 2002.

43paragrafo 163.

44paragrafo 164.

45 Geremia, 25,22.

46 Dn. 11 : 29-30

47 Dn. 11 : 18, Is. 24 :15, Ez. .26 :18

48 Libro VII, 89.

49Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Ed. Fabula, 2006.

50 « Non vi era re in Edom : era un intendente che governava. Giosafa costruì delle navi di Tarsis … 1 Rs 22,48-49.

51 Ge 10,4.

52 I Ch1,1.

53 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel d’epigraphie akkadienne, Op.cit., § 335.

54 Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Op.cit.

55 Cf. supra Salmi 72.

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