Archeodomani. Il battesimo dell'archeologo: il primo scavo.
Intervista al Dott. Alfredo Guarino
di Elena Calafato.
Nella vita di ogni (futuro) archeologo arriva un momento che amo definire il battesimo della terra, il primo vero scavo dopo anni dedicati alla sola teoria.
Di solito, quel battesimo avviene all'interno degli scavi didattici, organizzati e finanziati dalle varie università al fine, appunto, di consentire agli studenti la messa in pratica delle nozioni apprese, e teoricamente di prepararsi al mondo del lavoro. Nel mio caso, un poco per scelta, un poco per obbligo (il monstrum della burocrazia incide pesantemente sulla carriera universitaria degli studenti italiani), il battesimo è avvenuto al di fuori dell'ambito accademico, e precisamente nello scavo archeologico di Domo, una frazione di Bibbiena, in provincia di Arezzo, organizzato dall'associazione Archeodomani e diretto dal Dottor Alfredo Guarino.
Archeodomani promuove «la valorizzazione del patrimonio culturale nazionale e internazionale», e fra le varie attività portate avanti dal Dottor Lorenzo Dell'Aquila, direttore dell'associazione, e dai suoi collaboratori, figura anche lo scavo di Bibbiena, che ha luogo durante l'estate su quattro turni da una settimana ciascuno.
L'attività di scavo è svolta da volontari, non necessariamente studenti di archeologia, provenienti da ogni parte d'Italia e animati dalla passione e dalla curiosità per il passato.
Ho riflettuto a lungo su quale sarebbe stato il modo migliore per illustrare l'esperienza e comunicare al maggior numero di persone possibile l'entusiasmo e la gioia che in me ha suscitato, e ho scelto di andare direttamente alla fonte, rivolgendo qualche domanda al Dottor Guarino.
Come per ogni bella storia, bisogna cominciare dall'inizio. Quando e come nasce la campagna archeologica di Domo, frazione di Bibbiena?
Un tuffo nel passato. Più o meno nel 2004/2005. Occorre una premessa: sia Lorenzo che io abbiamo un lungo passato di volontariato negli scavi archeologici. Attività svolte in un contesto particolarmente positivo anche per l'associazione che le organizzava. Le caratteristiche fondanti erano la precisione, l'attenzione alla didattica ed alla trasmissione del sapere, nonché il piacere del lavoro condiviso e la vita comune di campo. Personalmente, questo tipo di attività è durata dal 1988 al 2003 (da partecipante a direttore scientifico del cantiere di scavo), anno in cui l'associazione decise di sospendere le attività. Fu a quel punto che, con Lorenzo, cominciammo a progettare lo scavo di Bibbiena. Confluivano varie motivazioni: la volontà di non far dissolvere un'esperienza per noi così bella; la consapevolezza di essere in una fascia di età nella quale era ormai difficile dedicare un mese continuato ad attività di volontariato, unita alla volontà di Archeodomani di strutturare un progetto centrato sulle attività di scavo archeologico. Aggiungerei, a livello personale, che, avendo a lungo praticato i cantieri archeologici da studioso (scavi universitari e del CNR), da libero professionista e da volontario, considero senza dubbio l'esperienza toscana di Bibbiena come una delle più belle e soddisfacenti, essendo centrata sulla ricerca pura, su un solido impianto didattico e sul desiderio di una ricaduta positiva per il territorio; priva, quindi, da un lato delle distorsioni e della fretta dei cantieri strettamente "lavorativi" (limitati e pressati dalle esigenze dei lavori pubblici che li generano) e, dall'altro, da una certa "astrattezza" e da una certa difficoltà di trasmissione del sapere che, spesso, caratterizzano i cantieri universitari.
Sotto l'egida di quali enti e associazioni si è sviluppata la campagna?
La strutturazione del progetto e lo spirito che lo anima è esclusivamente di Archeodomani. Abbiamo esaminato varie possibilità di localizzazione, cercando un distretto in cui la nostra ricerca archeologica potesse costituire un sensibile valore aggiunto per il territorio. Deciso alla fine per la provincia di Arezzo e per il Casentino, l'abbiamo proposto alla Soprintendenza competente. L'apprezzamento e l'appoggio ricevuto, dopo - giustamente - una prima fase di osservazione, è stato pieno e convinto, così come lo è stato quello del Comune di Bibbiena, nel cui territorio ricade lo scavo. Paradossalmente, non abbiamo mai fatto richiesta specifica per la villa romana di Domo, ma ponemmo due punti fermi. In primo luogo, un sito la cui indagine fosse un'acquisizione significativa per la comunità e il territorio e, soprattutto, una diversificazione della ricerca in favore di settori meno battuti. Conseguentemente, appurato che il Casentino ha una potente vocazione medioevale (la Verna di San Francesco, i conti Guidi, Dante, pievi, castelli, ecc.), abbiamo chiesto di potere indagare un sito di età classica, romano o preromano.
In secondo luogo, abbiamo chiesto di poter svolgere le indagini in un'area le cui caratteristiche topografiche e morfologiche consentissero una possibile futura musealizzazione e creazione di un parco archeologico di più o meno facile raggiungibilità, tale da poter essere inserito nei circuiti già esistenti.
Ed ora la fatidica domanda che fa sussultare ogni archeologo: cosa cercate esattamente a Bibbiena?
Per quanto si conosce dell'età romana in Casentino, la villa di Domo è considerata tra i siti principali – se non il maggiore – di quell'intero periodo. La stima che presuppone questo affido non può che farci piacere ed essere di ulteriore stimolo ad un'indagine corretta e approfondita. Dal punto di vista archeologico, l'ipotesi di lavoro è quella della villa romana, che avrebbe quindi una parte residenziale ed una produttiva. Attualmente abbiamo indagato il complesso termale, che è una sezione della parte residenziale. Gli ambienti noti arrivano ad una estensione di 30 m., ciò dà un'idea del calibro di questo grande insediamento. Le indagini future mirano alla definizione dei quartieri residenziali e all'individuazione della parte produttiva e della presumibilmente vicina necropoli. Sono da chiarire anche le vicissitudini costruttive e funzionali, vista l'ormai certezza che, nella lunga vita del sito, le terme siano diventate alla fine parte del quartiere produttivo grazie all'impianto di fornaci.
Aggiungerei che scarsi ma ricorrenti frammenti ceramici dall'area appartengono ad un periodo precedente a quello romano, e ciò testimonierebbe la presenza di una qualche struttura etrusca nelle immediate vicinanze, al momento attuale del tutto sconosciuta. Ma l'aspettativa principale, che viene soddisfatta ed integrata di anno in anno, è la progressiva scoperta e conoscenza di un'importante e monumentale struttura antica che, vicinissima al centro abitato attuale e collegata abbastanza bene ad esso, potrebbe facilmente diventare un sito visitabile, ulteriore risorsa culturale del territorio.
Come si svolge la vita nello scavo? E al di fuori?
Considerata la consistente percentuale di persone alla prima esperienza, la giornata tipo vede lo stesso numero di ore lavorative di un "normale" cantiere (è bene stabilire buone abitudini) ma con pause appena più lunghe (le stesse 8 ore lavorative, ma con una pausa di 15 minuti a metà mattina ed una pausa pranzo, che si svolge sullo scavo, di poco più di un'ora rispetto alla canonica singola di stacco). Il cantiere è suddiviso in saggi, ognuno dei quali affidato a un responsabile di area che guida una squadra di 4/8 persone.
I partecipanti vengono distribuiti nelle varie squadre. Per motivi di continuità, la composizione delle squadre ed il loro punto di intervento, tranne rarissimi casi dettati da esigenze di scavo, rimane tale per tutta la durata del modulo settimanale. Si alloggia in una scuola messa a disposizione dal comune e le aule sono attrezzate con letti e brande. Il pomeriggio si procede al lavaggio, siglaggio ed analisi dei materiali rinvenuti durante la giornata. Sono previste delle lezioni, parte svolte sullo scavo, parte pomeridiane. Si fa in modo da lasciare del tempo libero prima della cena, che si svolge in un ristorante convenzionato. Le serate sono libere, tra passeggiate nel paese e quattro chiacchiere in gruppo. Ben presto, la magia del lavoro condiviso tende a creare forti legami tra le persone, e la dimensione umana del gruppo che viene a crearsi ogni anno è uno degli aspetti più belli di questo tipo di esperienza.
Il lavoro, durante la campagna, è svolto prevalentemente da volontari, di tutte le età e provenienti da ogni parte d'Italia. Cosa serve per fare un buon lavoro sullo scavo?
Le persone che si iscrivono al nostro scavo sono accomunate dal desiderio di percepire, assaggiare, imparare. Questo desiderio è legato ad una sfera fonte di evocazione e commozione quale è quella dell'archeologia, dello studio di un mondo passato, da cui proveniamo e di cui abbiamo solo frammenti, che tuttavia possono, però, ancora parlarci. Questo è uno stimolo potente. Un cardine della nostra attività è cercare di soddisfare questa richiesta nel miglior modo possibile. In base ad una precisa scelta metodologica, si è preferito ridurre al minimo i momenti di teoria pura - utili a rinfrescare i principi metodologici di chi ha studiato ma non praticato lo scavo ed a creare un'ossatura di metodo in chi ne è del tutto a digiuno - cosicché la settimana tipo prevede 4 lezioni frontali (il sito, principi di stratigrafia archeologica, il disegno e la fotografia, la scheda US), il grosso dell'aspetto didattico è affidato al lavoro quotidiano ed alla cura minuziosa, in tal senso, dei responsabili e della direzione del campo.
I responsabili di area hanno le competenze tecniche e le capacità didattiche per garantire il corretto svolgimento dello scavo e dell'apprendimento. Le squadre stesse sono strutturate in maniera tale che, oltre al responsabile, vi siano partecipanti, per così dire, "anziani", la cui esperienza di precedenti campagne costituisce una osmosi quotidiana per il partecipante alla prima esperienza. Due i principi basilari: tutti devono essere consapevoli di ciò che stanno facendo; tutti possono fare tutto.
Ogni aspetto dello scavo viene spiegato bene durante il suo svolgersi e acquisito grazie all'immediata attuazione pratica: scelta degli attrezzi e loro tecnica di utilizzo, organizzazione dei fronti di scavo, evidenziazione degli strati, gestione del ritmo lavorativo, programma di intervento, strategia di intervento, etc. In generale, si rifiuta l'idea di avere "esecutori", in favore di persone che abbiano il più chiaro possibile cosa si sta facendo, come e perché. Il “tutti possono fare tutto” è ovviamente riferito al delicato settore della documentazione di scavo.
Nonostante i molti anni di esperienza continuo ad essere sbalordito dal troppo frequente stupore di tantissimi partecipanti che hanno già qualche esperienza di scavo fatta altrove: «Possiamo provare a disegnare? A fare una scheda US?». Sì, potete. Anzi, dal nostro punto di vista, poiché forse sarà il vostro lavoro, dovete.
All'atto pratico i vari e delicati aspetti della documentazione di scavo, ovvero disegno, fotografia, redazioni di schede US (una sorta di complessa "carta d'identità" di ogni singolo elemento dello scavo), diario di scavo, etc. vengono effettuati dai partecipanti stessi, seguiti e supervisionati dai loro responsabili per garantire un rigoroso risultato finale.
Alla fine di un modulo, ogni partecipante avrà ascoltato lezioni e scavato, ma, soprattutto, avrà contribuito a produrre la documentazione dello scavo stesso. Senza ciò, non vi è consapevolezza vera del metodo, della sua difficoltà, ma anche del poterne venire a capo, del poter iniziare a strutturare un proprio sapere, una propria competenza. Certo, questo dà origine ad un ritmo più lento del lavoro (anche se difficilmente chi è alle prime esperienze lo percepisce come tale!) se rapportato ai cantieri "lavorativi" (ma non rispetto a quelli universitari veramente didattici), ma credo che questo sia un prezzo che è assolutamente giusto pagare: un cantiere in cui un elite ragiona e dà ordini che una massa esegue è senza dubbio più veloce, ma non è più un luogo in cui si impara, o anche, più semplicemente, in cui si stia bene.
È necessario essere archeologi?
Assolutamente no. La maggioranza dei nostri partecipanti è costituita da studenti che stanno acquisendo il metodo, ma vi è una consistente minoranza di persone che hanno altri percorsi e che si iscrivono al campo per curiosità e passione: studenti di altre materie (scienze, filosofia, astronomia, etc), impiegati, professionisti, etc. In fondo, in termini di scavo, vi è meno differenza di quanto possa sembrare (le nostre attività sono sempre strutturate per accogliere chi non ha esperienza di scavo, sia esso uno studente o un amatore), e la passione accomuna tutti. Personalmente, ascolto sempre con curiosità il punto di vista di una persona non formata, capace spesso di una visione “atipica” e quindi interessante. In generale, considero questa screziatura umana dei partecipanti una delle ricchezze di questo tipo di esperienza.
La campagna archeologica di Bibbiena è un perfetto esempio di come ciascuno di noi possa contribuire, nel suo piccolo, a scoprire e difendere il nostro patrimonio archeologico e culturale.
Lo Stato fa abbastanza per incentivare e diffondere questo genere di attività? Il mondo accademico e quello dei professionisti scoraggiano in qualche modo questo rapporto più diretto con l'archeologia nei “non addetti ai lavori”?
Antico problema.
La risposta è ovviamente un «no» secco, ma questo ha a che fare con vecchi problemi dell'archeologia italiana. Troppo lungo rispondere, e probabilmente fuori tema, ma in estrema sintesi, credo vi siano due filoni. In primo luogo l'archeologia italiana, intesa come tradizione di studio, ha radici antiche ed un livello di eccellenza mondiale, ma, credo, anche una parzialmente strutturale vocazione elitaria che porta a volte ad atteggiamenti "aristocratici" per soli addetti.
In secondo luogo, mentre a livello di Soprintendenze vedo mediamente un cercare di fare il meglio possibile in condizioni disperanti, a livello di politica statale non vedo nulla. Nulla di lontanamente adeguato al patrimonio italiano. Da archeologo ne faccio un discorso di passione, e da cittadino di dettami costituzionali, ma anche volendo solo rimanere all'utile, un serio investimento, pluriennale, nei beni culturali, li renderebbe una solida risorsa per l'Italia.
Per concludere: è importante e opportuno che il maggior numero di persone possibile tocchi con mano e intenda concretamente cos'è un bene archeologico e quanto sia faticoso scoprirlo e difenderlo.
Cosa si potrebbe dire per invitare i nostri lettori, ad esempio, a partecipare ad Archeodomani?
In primo luogo, da Italiani, viviamo in uno dei paesi più ricchi di segni tangibili del passato, al punto tale da non riuscire quasi più a vederne l'eccezionalità. Toccare con mano non è difficile, quasi tutti noi potremmo riuscire a farlo domani, in quasi ogni punto dell'Italia, senza troppa difficoltà. Però partecipare ad uno scavo, come giustamente dici, aggiunge quella concretezza, quella consapevolezza che normalmente manca e che il brivido e l'emozione della scoperta consolida.
Aggiungerei – e solo in apparenza può sembrare una banalità – la semplice considerazione che è possibile farlo, è un'esperienza alla portata di tutti, e che, credimi, piace a tutti. Molti sono commossi dal monumento o dal documentario o dalla vetrina del museo, ma quella sensazione può essere vissuta in prima persona, sul campo, e può essere vissuta come parte attiva e non solo come fruitore passivo.
È una sorta di illustre prerogativa dell'archeologia: il suo piacere a praticamente ogni interlocutore incontrato. Ma, a riguardo, ognuno ha il suo percorso personale, i suoi motivi. Io ci ho pensato spesso. Tutti sono affascinati dall'archeologia, ma mi ha sempre colpito quanto incidesse, o sembrasse incidere, il sentimento del lontano, dell'esotico, del diverso.
Per quanto mi riguarda, è stato quasi sempre l'opposto. Mi ha sempre incantato quanto, al di là dello spazio e del tempo, ci fosse di persistente, di costante. Come, in fondo, nel bene e nel male, tutto si ricongiungesse sempre a ciò che chiamiamo Uomo. Kipling ha scritto: «Tutto ciò che è stato, sarà. Tutto ciò che sarà, già è stato. Ed il futuro ignoto, non è altro che un anno dimenticato che ritorna».
Ecco. Per me archeologia è indagare anni dimenticati, cercare il futuro. Ai miei studenti ho raccontato spesso della procedura della mummificazione in Egitto. Raccontavo che l'ultima cerimonia, alla fine, si chiamavaL'apertura della bocca: il sacerdote batteva con un bastoncino sulle labbra del morto, dicendogli: «Ora puoi di nuovo parlare». Fino a quando la mummia si sarebbe mantenuta integra. Dicevo loro che mi sembrava una bella metafora del lavoro dell'archeologo. Che non siamo immortali, né possiamo dare l'immortalità, ma avevamo la stessa possibilità: prendere una cosa morta, ridargli per un po' la parola, rallentare per un breve tempo l'antica necessità di morire, che accomuna tutte le cose.
Lo scavo è una parte importante dell'archeologia. E archeologia, probabilmente, prima ancora che scoprire, è in qualche modo ricordare. Sforzarsi di non dimenticare è forse una delle più nobili esperienze che si possa tentare.
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Ringrazio di cuore il Dottor Guarino per le esaurienti risposte, ma anche per la cortesia, la passione e l'amore che mette nel suo lavoro, ingredienti fondamentali – insieme alla professionalità, all'impegno e all'attenzione per la didattica – nel rendere la campagna archeologica di Bibbiena un'esperienza altamente formativa, non solo dal punto di vista strettamente pratico, ma anche dal punto di vista umano.
L'archeologia è una disciplina, un'attività, spesso considerata “per sognatori e romantici”, come mi è capitato più volte di sentire. In realtà, non c'è niente di più concreto che avere le mani indolenzite per l'uso del piccone e della pala, e i vestiti sporchi di terra. Non c'è niente di più concreto che raccogliere, con ogni cura e attenzione, i cocci di un vaso di secoli fa, riportare alla luce i muri di una casa o i pavimenti a mosaico di un impianto termale.
Riscoprire e difendere il frammento più piccolo di ceramica così come l'edificio più monumentale non è altro che un modo per riannodare le fila della storia e stringere virtualmente la mano all'umanità che ci ha preceduto. Tutto questo non deve, o almeno non dovrebbe, essere riservato ai soli professionisti (di cui non voglio sminuire la professionalità, fondamentale in qualsiasi campo) piuttosto alla portata di tutti, perché nel passato troviamo le fondamenta del nostro presente e le risposte agli interrogativi di oggi e di domani.
Fonte: http://www.kultural.eu