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venerdì 12 aprile 2013

Preistoria: Il culto degli antenati

Il culto degli antenati
di Pierluigi Montalbano


Per centinaia di migliaia di anni l’uomo si è evoluto lentamente: sopravviveva cacciando e accumulando provviste. Poi, al termine dell’ultima glaciazione, l’evoluzione subisce una brusca accelerata. Nel corso degli ultimi 10 millenni, l’uomo passa dall’Età della Pietra allo sbarco sulla Luna. Che cosa causò un cambiamento così radicale delle abitudini di vita? Andare sulla Luna non è stato un avvenimento che ha cambiato il nostro modo di vivere. La scintilla che determinò l’evoluzione è stata l’idea di coltivare la terra per produrre alimenti. Si è passati a un’economia produttiva. L’agricoltura ha permesso all’uomo di diventare stanziale, di sviluppare relazioni sociali, ideare le religioni e costruire templi e città. Senza dover cacciare per nutrirsi, l’uomo aveva il tempo per pensare, inventare e uscire dall’Età della Pietra. La Turchia, da sempre, è il ponte che collega l’Europa e l’Asia, e si trova nel cuore della Mezzaluna Fertile, una regione che comprende gli attuali Egitto, Israele, Siria e Iraq. Qui sorsero i primi insediamenti umani, e fiorirono le prime grandi civiltà. Gli edifici dedicati al culto contengono, generalmente, rappresentazioni simboliche di divinità. Animali e altri simboli sono presenti su pareti, pavimenti, pilastri e altri elementi architettonici, e possono essere scolpiti, incisi o, semplicemente, dipinti. La costruzione di questi edifici richiedeva un’organizzazione sofisticata: spaccare e trasportare le pietre, scavare, realizzare le fondamenta, ed erano necessari tanti uomini. A quale scopo furono costruiti? Sistematicamente, nel corso degli scavi, gli archeologi portano alla luce resti di animali selvatici o allevati: gazzelle, cervi, cinghiali, volatili, montoni, soprattutto nelle zone in cui l’agricoltura è praticata in maniera intensiva. Per la costruzione è necessaria una società strutturata perché l’agricoltura consente all’uomo di non doversi procurare il cibo ogni giorno. Le comunità scelgono il territorio in cui insediarsi e hanno il tempo di sviluppare idée religiose senza preoccuparsi di morire di fame. I primi gruppi stanziali impararono che c’erano più vantaggi nel condividere e sviluppare le conoscenze in gruppi fissi, piuttosto che in piccoli clan nomadi. Generalmente, al centro dei villaggi c’era un luogo nel quale si conservavano le risorse alimentari. I primi templi presentano un portale che rappresenta l’ingresso al mondo ultraterreno, come se il tempio avesse a che fare con i morti o con le divinità del cielo. La mancanza di simboli, rilievi o incisioni, aumenta le difficoltà per gli archeologi di interpretare i siti. A volte i simboli sono compresi solo presso le comunità che li realizzano, e ciò pone problemi agli studiosi di storia antica, poiché si ha a che fare con edifici costruiti nei millenni scorsi. Ogni luogo di culto ha un’iconologia che è compresa solo da chi la frequenta. Lo scopo delle immagini è di unire la congregazione in una fede comune, condivisa con i rituali a essa legati. Le immagini, i colori, le funzioni e gli elementi architettonici sono spesso incomprensibili a chi pratica altre fedi.
All’inizio i popoli vivevano di caccia e di raccolta, e condividevano il cibo all’interno di piccoli gruppi, prevalentemente familiari. In seguito divennero stanziali, nacquero più bambini e le comunità crebbero rapidamente. A quel punto ogni comunità dovette imparare a rapportarsi e a vivere in pace. Queste situazioni richiesero l’applicazione di un codice morale, e convinzioni comuni. I templi sono progetti di costruzione condivisi, che mantengono la coesione fra comunità, anche all’interno della stessa. Allo stesso tempo consentono di celebrare riti che richiamano la comunità all’unità di pensiero. Chi vuole far parte di una comunità deve comportarsi secondo i costumi di quella comunità. Dai territori vicini arrivano uomini messi a disposizione dalle comunità confinanti in relazione alle qualità lavorative di ogni singolo individuo. Sono evidenti alcune figure professionali: tagliatori di pietre, scultori, specialisti nel trasporto e manovalanza, e l'apporto di questi individui da parte di comunità vicine aiuta a consolidare i buoni rapporti di vicinato. Questi progetti spingono le persone a collaborare, ad affidarsi agli altri e a fidarsi delle competenze dei nuclei insediativi vicini. Sono sistemi di lavoro che uniscono le genti: se un uomo vede un suo simile all’interno del proprio tempio, sente di potersi fidare, anche se non lo conosce. Per migliaia di anni la gente credeva che tutto avesse uno spirito: animali, piante, rocce, fenomeni naturali…l’uomo era semplicemente una piccola parte della natura. Nei dipinti primitivi l’uomo è quasi assente, ed è sempre inferiore alla natura.

La rappresentazione degli animali nelle grotte o sulle pietre, indica un cambiamento culturale: gli esseri umani si pongono al di sopra della natura, al centro di tutto, superiori agli animali. Questo è un passo decisivo nella storia dell’evoluzione. Realizzare una simbologia che rispecchia questa superiorità, significa acquisire una mentalità che consente di manipolare l’ambiente secondo le necessità del momento, e in prospettiva futura. L’uomo si pone in stretta relazione con le divinità, si pone in un piano di superiorità con l’esterno. La presenza di animali vicino ai luoghi di culto è un forte indizio di genti che si riuniscono per banchettare in onore di qualcosa o qualcuno. Ne consegue che le risorse di cibo dovevano aumentare, e ciò portava a manipolare sempre più l’ambiente circostante. La natura era sfruttata per la produzione, non solo per fornire cacciagione. L’introduzione della religione fornisce agli uomini un grande vantaggio psicologico e lo pone al di sopra di animali e piante. Questa ideologia porta l’uomo a rappresentare scene e simboli nelle grotte, nelle sepolture, nelle pietre, ma occorre stabilire le forme dei rituali e a capirne la simbologia. Tra i vari elementi raffigurati, troviamo animali, oggetti, figure antropomorfe e colori, soprattutto il rosso, simbolo del sangue e della vita. L’intero apparato descritto è riportabile a riti di sepoltura, e a volte i corpi erano tumulati e poi riesumati per celebrare altri riti. I templi più antichi rivestono spesso una funzione legata al mondo dei morti, e il sacrificio di animali è connesso a rituali che testimoniano la superiorità degli uomini sulle bestie. L’uomo eresse i templi per celebrare la fede, e le religioni lo spinsero a produrre risorse crescenti per far fronte ai sacrifici, oltre che per soddisfare i bisogni della comunità. Essendo un luogo che svolge un ruolo primario nella vita collettiva, riveste anche una funzione di “polo di attrazione” per le comunità vicine, costituendo una sorta di mercato dove condividere, oltre le merci, idee, notizie e scoperte.

La rivoluzione agricola, ossia l’intensificazione della produzione, potrebbe aver preso forma proprio dai contatti che avvenivano nei templi. Col passare dei secoli, e l’evolversi delle condizioni di vita, i templi possono subire dei cambiamenti o delle variazioni rituali. Quando l’agricoltura era florida, gli uomini non sentirono più il bisogno dei templi nei quali i loro antenati rivolgevano le preghiere alle divinità, e li abbandonarono progressivamente. Pensiamo, ad esempio, al culto nelle grotte. Le nuove generazioni di agricoltori guardavano al futuro, e le abitudini e i costumi dei loro avi caddero in disuso. A quel punto la rivoluzione culturale era già avvenuta: l’agricoltura era il nuovo modo di vivere, e i vecchi templi in grotta svanirono, come il passato. Tuttavia, un’antica convinzione persiste ancora oggi, ed è alla base di uno dei concetti più complessi della religione cristiana: il mistero della resurrezione. Nelle religioni esiste un codice morale elaborato dalle comunità più antiche, che è conservato e integrato nelle comunità successive. I semi spirituali e materiali sono piantati, e qualunque fossero i significati troviamo sempre segni simili nelle generazioni seguenti. Il culto dei morti è il modo per riportare in vita una persona cara o un eroe del passato, e mantenere legato al mondo dei vivi il suo ricordo. Era la resurrezione di un personaggio ritenuto importante all’interno della società. Si cerca di portare indietro dal mondo dei morti una persona, recuperando la presenza fisica. Nei secoli successivi, e ancora oggi, la resurrezione sarà un tema centrale della religiosità: babilonesi, egizi, indiani, greci e cristiani, parlano di resurrezione. La costruzione del tempio rappresenta il culmine di una linea di pensiero. E’ un legame sociale che porta le comunità a unirsi, ed è edificato con una monumentale architettura. Rappresenta un balzo enorme nell’evoluzione spirituale dell’uomo: invece di considerarsi parte della natura, si valuta superiore. Sotto i pilastri dei templi nascono le rappresentazioni dei primi dei.

7 commenti:

  1. Mauro Atzei
    Bisogna fare chiarezza, in modo da non avere dubbi o perplessità. Di seguito alcuni punti fondamentali che differenziano le due concezioni della vita umana.

    a) La reincarnazione è vissuta dall’ orientale come un dramma a cui vorrebbe sottrarsi; una costrizione alla vita attuale, non desiderata; in sostanza, una punizione.
    La resurrezione è attesa dal cristiano come una promessa, che si basa sulla resurrezione di Cristo: un premio, una speranza.

    b) La reincarnazione prende in considerazione solo lo spirito dell’uomo, egli solo ha valore, mentre il corpo è un peso da cui liberarsi.
    La resurrezione considera l’uomo nella sua unità di corpo e anima.

    c) La reincarnazione non attribuendo al corpo alcun valore, attua la pratica della cremazione
    La resurrezione dei cristiani, invece è attesa in anima e corpo e per questo il corpo del defunto si onora e si seppellisce.

    d) La reincarnazione vede nella morte il passaggio ad un’altra vita, ma l’anima è costretta a reincarnarsi in un corpo umano o animale, a seconda della vita condotta precedentemente e della quale non avrà alcun ricordo.
    La resurrezione vede l’anima del defunto in una vita nell’aldilà in maniera definitiva, in base alle azioni da lui compiute egli potrà trovarsi più o meno vicino a Dio.

    e) Con la reincarnazione tutto ricomincia: la vita, le sofferenze, gli sforzi per evitare la successiva reincarnazione, la speranza che questa non debba più verificarsi.
    Con la resurrezione dei corpi, che avverrà alla fine dei tempi, ogni anima riprenderà il suo corpo trasformato e glorificato da Dio e, dopo il giudizio, vivrà per sempre.

    f) Alla fine del ciclo delle reincarnazioni, l’anima entra nel nirvana, ma descrivere questo posto risulta impossibile anche per i testi sacri.
    Quando in seguito alla resurrezione, i giusti entreranno nella vita eterna, vedranno Dio faccia a faccia, così come egli è, e vivranno con Lui, con la Vergine Maria, i santi, i martiri, e tutti insieme condivideranno una vita di comunione e felicità.

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  2. Mauro Atzei
    Dal punto di vista dell'orientale è interessante constatare come anche nella preistoria si cercasse di evitare il ritorno dell'anima del morto sulla terra. Avevano quindi già sviluppato la concezione del karma e del pericolo del ritorno. Questa filosofia aveva già influenzato anche i popoli mediterranei e nord europei, che cercavano di evitare anche simbolicamente questo ritorno: la mattonella in testa ai defunti delle sepolture di Monte Prama, sembrerebbe dare proprio questa indicazione.

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  3. Cecilia Marchese
    Penso che il "pericolo del ritorno" fosse più una questione che riguardasse i vivi che non i morti: i vivi temevano che lo spirito di defunto - possibilmente non purificato dunque maligno - potesse vendicarsi, possederli, farli impazzire, ammalare etc..
    Per es. la mia amica sociologa che ha vissuto presso gli Altaj della Mongolia russa, mi raccontava che costoro odiano furiosamente gli archeologi poiché profanano le antiche tombe... spesso asportandone perfino le ossa ivi conservate. Ciò procura l'ira dei defunti in questione, che si esprime attraverso epidemie che si diffondono presso le mandrie, forme di follia autolesionista o, peggio, aggressiva che si manifestano nei vivi etc..

    Ad ogni modo, quanto mi sembra evidente nel caso della psiche umana più arcaica: è una concezione dell'essere umano non duale (spirito o anima versus corpo) né triadica (spirito-anima-corpo) come quella che ci è stata tramandata attraverso i monoteismi e le forme più recenti di politeismo - bensì plurale, policentrica.
    Basti pensare che per gli Egizi l'essere umano era composto da 9 elementi.
    Anche per i popoli pre-ellenici (ossia pre-indoeuropei) si contavano diverse parti che costituivano l'essere umano: daimon, psyche, tymos, nous, pneuma etc..
    Così è tuttora per diverse religioni africane come il Vudù o i culti Yoruba.

    Dubito che alla base vi fosse un'idea "punitiva" del Karma.
    Tantomeno un disprezzo del corpo e della carnalità che è tutto tipicamente indoeuropeo e uraloaltaico (poi trasmesso alle religioni monoteiste), quanto piuttosto la cognizione delle conseguenze di eventuali negatività assunte dal soggetto durante il suo percorso mortale che, logicamente, si riflettono "oltre la porta" fatidica.

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  4. Mauro Atzei
    Ovviamente facevo un ipotesi... Si, il pericolo del ritorno riguardava i vivi, ma le sepolture che le praticava? Sempre i vivi. Un ipotesi non suffragata potrebbe essere che tentassero di "bloccare l'anima dei morti " con qualche espediente, più per imitazione che per vera consapevolezza. Non credo Cecilia che l'idea del karma sia cosa recente, anzi, pare che già ci fosse nelle tribù selvagge della foresta dell'India. E' curioso,che in questi, benchè vivano una forma di società non civilizzata l'idea del karma è già ben impiantata. Non c'è nessuna prova, ma niente di strano se in qualche forma sia arrivata fino all'europa tramite i sumeri...
    A proposito del 9, ecco il testo lasciateci dai norreni ( tramite i monaci cristinai che trascrissero per loro le saghe islandesi) e della loro cosmogonia vegetale "io ricordo i giganti , nati al sorgere dei tempi , che un giorno mi hanno generato; ricordo i 9 mondi, le 9 radici, il famoso frassino ben fisso nelle terra.
    Io so che esiste un frassino chiamato Yggdrasil, albero bagnato di bianca brina; di là derivano le rugiade che cadono nelle valli, e sempre verde sta presso la fonte di Urdh."

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  5. Cecilia Marchese
    Scrivevo "recente", ma pur sempre di millenni si tratta. Il concetto di "karma punitivo" è tipico della spiritualità eurasiatica (indoeuropea, uraloaltaica) e infatti lo ritroviamo proprio nell'India arianizzata e presso i Norreni (indoeuropei).E' attraverso le migrazioni dei Kurgan che questo si è espanso fino a giungere da noi, seppure non sia mai attecchito negli strati più profondi e radicati della nostra psiche.
    Non esiste qualcosa di analogo, per es., nel caso dei popoli africani.
    Né nel nostro Mediterraneo non ancora indoeuropeizzato.
    Tant'è che gli usi funerari eurasiatici (indoeuropei e uraloaltaici) sono sempre stati preminentemente crematori, oppure orientati al famoso "kurgan": tumulo ben sigillato, chiuso, dal quale lo spettro del defunto di certo non potrà mai uscire.
    Invece la visione dell'oltretomba che trapela dai mitologemi mediterranei, e dalle corrispettive pratiche sepolcrali, è altra: ci riferiamo all'Isola dei Beati, al Giardino delle Esperidi, Campi Elisi, Ogigia, l'egizio Amentit...
    Cognizione molto più solare e ariosa dell'aldilà che si rispecchia nelle sepolture nostrane - tombe a pozzetto, tombe a dromos (cioé con corridoio), sepolture collettive in grotte etc..
    Dunque lo spettro del defunto può liberamente entrare e uscire da esse: il contatto con l'esterno viene stabilito attraverso rituali appropriati e la tomba diventa un vero e proprio utero che, al momento opportuno, "ripartorirà" quanto andrà ripartorito.
    Credo che l'idea monoteista di Paradiso (che contempla anche la resurrezione della carne) in questo caso sia stata mutuata dalla spiritualità mediterranea e dal suo concetto di "rigenerazione", mentre le ansie punitive e l'Inferno brutto e buio come l'Ade o Hoelle norreno si radicano nell'originario eurasiatico contrapposto.
    In fondo il termine stesso "paradiso" deriva dall'iranico "paradesha" il quale significa, difatti, "giardino"
    Certo, comunque, dappertutto si presume che l'essere umano in vita assorba delle negatività - e che in seguito esso dovrà mondarsi attraversando delle fasi purificatorie.
    Presumo che l'idea karmica di "punizione" sia stata un'enfatizzazione del concetto di cui sopra: possibilmente gestita da una classe sacerdotale che era arrivata a detenere il potere temporale e se ne serviva per spaventare le masse e giustificarne le condizioni di schiavitù ("Se sei nato pariah, vuol dire che te lo sei meritato !"). Non so se mi spiego.
    Inoltre il concetto di "punizione" presuppone una percezione gerarchica e antropocentrica degli esseri (l'essere umano è il più figo, gli altri meno...) che non si ritrova assolutamente presso i popoli mediterranei e africani.
    Verisimilmente in termini originari il senso del "karma" possedeva connotazioni più morbide e sfumate... un ritorno del puro equilibrio cosmico come lo è Nemesi.

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  6. Cecilia Marchese
    Secondo me sarebbe interessante pure approfondire il concetto di "pluralità" o "pluricentricità" dell'individuo.
    Le parti "sottili" che ci costituiscono sono:
    "Gli sciamani ne distinguono almeno 5:
    L'anima profonda, corrisponde al Sé dei buddisti.
    Quasi sempre inconsapevole, più che pensare "sogna", è legata ai Mondi Sotterranei e regola soprattutto le funzioni dei chakra inferiori (pancia, sesso). In essa risiede l'intento, la forza di volontà più profonda che permette di modellare la nostra vita, creando felicità o infelicità. Con essa sogniamo la notte e da essa vengono le visioni più importanti.
    L'anima dell'Io, la parte più individualizzata, che più ci contraddistingue dagli altri.
    Quasi sempre cosciente, è quella con cui pensiamo. Regola soprattutto i chakra superiori, la testa e le mani. E' con essa che ci identifichiamo, specie noi occidentali.
    Corrisponde in parte, ma non del tutto, all'anima essenziale degli sciamani, di cui parlo solo nell'apprendistato e nei Cerchi di addestramento al recupero d'anima.
    Il soffio vitale (vedi l'articolo sul soffio vitale).
    E' la parte più sottile, lo spirito che ci connette come un filo alla fonte prima della vita, alle Stelle da cui veniamo. Poco legata alla terra e piuttosto ai Mondi Celesti da cui ci è stata donata, è la parte di noi che ci spinge in alto e che anima i nostri ideali. Ma è anche la parte meno personalizzata. Del corpo fisico regola soprattutto il respiro e la pelle.
    Il cuore o anima del cuore.
    Risiede circa nel centro del petto e si materializza parzialmente nel cuore fisico. E' legato al potere del fuoco ed è un riflesso del fuoco cosmico che sta al centro dell'Universo, il luogo primario dove tutta la Realtà viene continuamente distrutta e ricreata. Questo è anche il luogo dove tutte le cose sono Una.
    Perciò il cuore ci connette con l'Amore supremo. E' la parte di noi che ci scalda, scalda la nostra vita e ci permette di provare sentimenti autentici, di creare legami affettivi, di sentire empatia.
    Vivifica e dà Potere all'intero corpo spirituale - un corpo spirituale con un cuore debole sarà debole.
    E' in grado di essere cosciente e di pensare. Anzi, i pensieri che vengono dal cuore sono i più autentici e saggi.
    Il vento o cavallo di vento, come lo chiamano gli sciamani mongoli. Risiede nel petto, è il potere dell'anima del cuore e, per riflesso, dell'intero corpo spirituale. Il cavallo di vento nutre il cuore e ne aumenta la forza, proprio come il vento ravviva il fuoco.
    Sale e scende durante la vita. Più ne abbiamo più il nostro cuore e tutta l'anima hanno potere, ovvero capacità di gestire i propri talenti, di padroneggiare i poteri che abbiamo o otteniamo, di non essere schiacciati dalla nostra stessa forza. Contribuisce alla fortuna e alla buona salute. Si accresce con atti nobili e rituali sinceri. Chi ha molto vento nel suo petto sarà magnanimo e coraggioso.
    Con la dissoluzione del corpo fisico, tende a disperdersi."
    Potrei identificare questi elementi costitutivi dell'individuo con alcuni termini greci ereditati dal sostrato più arcaico paleo-mediterraneo preindoeuropeo:
    Anima profonda= Daimon
    La scintilla della vita, ossia il Fuoco o Spirito.
    Con la morte, essa scende sottoterra accompagnando il nostro corpo in forma di serpente e poi, dopo una serie di trasformazioni e purificazioni (sono 9, come le Onde di Afrodite), si reincarnerà.
    Anima dell'io= Tymos
    L'intelletto. Tende a disperdersi dopo la morte.
    Soffio vitale= Pneuma
    Ovviamente l'Aria. Uccelli e altri animali possono inalarla e trasmetterla altrove (in alto ?) cibandosi dei nostri cadaveri.
    Da cui i famosi smembramenti sulle torri, da Catal Hueyuek allo Zoroastrismo.
    Anima del cuore= Psyche
    L'Acqua o Anima. E' quella che dopo la morte risplenderà tornando al Flusso Cosmico per ri-creare eternamente il Grande Corpo di Luce che è lo stesso Universo.

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  7. Gabriele Maestri
    Con alune tue considerazioni riguardanti la paura dei morti non concordo.
    Nel neolitico norreno, cultura Ertebolle preindoeuropea, le sepolture erano nei tronchi d'albero ben chiuse e protette. Successive sepolture sempre ben coperte erano fatte in modo di preservare il corpo creando nella tomba un microclima particolare e avvolgendo il corpo nelle pelli per formare una parziale mumificazione. Queste sepolture ancor oggi conservano alcuni tessuti corporei e vestiti.
    Al museo di Copenhaghen ci sono esposti diversi di questi corpi.
    Si trattava di riguardo per il morto e non della paura che torni in vita.
    I corpi dei condannati a morte o sacrificati agli dei venivano "bloccati" nelle sepolture quasi sempre nelle paludi o nelle torbiere nei boschi sacri con diversi accorgimenti e questo riguarda già il periodo del ferro germanico-scandinavo.
    Non si aveva paura dei morti che potevano tornare tra i vivi e vendicarsi se non di alcuni ai quali è stata tolta la vita.
    Nei tumuli, le camere sepolcrali erano grandi, "comfortevoli" e coperte come in tutte le tombe comprese piramidi.
    Se si voleva impedire l'uscita del morto si poteva ricoprire il tutto con le pietre senza lasciare lo spazio attorno al corpo.
    Per non dire che in alcuni casi la morte era ricercata per essere pronti insieme con altri caduti e con gli dei all'ultima battaglia contro i giganti, Ragnarok. Mentre il ritorno dal regno di Hel era impossibile.
    Nelle terre dei celti, Irlanda e dintorni, dopo che i Tuatha Dea sono stati respinti definitivamente dal potere e hanno lasciato questo ai Fomoriani, gli è stato permesso di rifugiarsi nell'al di là della vita terrena nei sid, collinette nei campi, da dove una volta all'anno possono uscire e festeggiare insieme con i vivi, è il giorno del Samhain.
    Nel mondo nordico e slavo quel giorno non si ha paura dei morti, li si evoca, si festeggia insieme, i parenti e il ricordo del morto. E si festeggia in allegria.

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