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lunedì 15 aprile 2013

Escursione archeologica a Olbia: Domus di Oniferi, Su Tempiesu di Orune e Su Romanzesu di Bitti. 1° parte di 2.

Escursione archeologica a Olbia
di Pierluigi Montalbano


1° parte
Un nuovo sole fa capolino rosseggiando le cime all’orizzonte e affrontando una luna che si appresta a scomparire nel cielo. E’ sabato, e questa sera sarò relatore in Gallura, invitato dagli amici di ArcheOlbia che hanno organizzato un convegno per la presentazione del mio libro “Antichi Popoli del Mediterraneo”, edito da Capone lo scorso anno. Di buon mattino, dopo aver consumato una ricca colazione ammirando lo spettacolo dell’alba, aiuto mia moglie Rita nella preparazione del necessario per trascorrere il week-end. Qualche borsa, due bottiglie d’acqua preventivamente lasciate in freezer per conservare a lungo la freschezza, il computer, la macchina fotografica e tanto entusiasmo per l’avventura che sempre accompagna le nostre escursioni. Yago, il nostro fido cagnolino nuragico, verifica se le crocchette, il riso e il pollo sono sufficienti per il pasto quotidiano, per nulla sorpreso dalla quantità e dall’aroma sprigionato dal contenitore ancora caldo. Il nostro amico, affidatoci dal canile di Cagliari quasi 6 anni fa, non conosce cibi in scatola, e la sua salute conferma che la nostra scelta alimentare è stata positiva. Saliamo in auto e dopo qualche minuto siamo fuori dalla città, diretti verso il nord dell’isola. Prima tappa dagli amici dell’associazione Archeotour, gestori del sito realizzato intorno al pozzo sacro di Santa Cristina. Una breve chiacchierata e siamo nuovamente in viaggio, increduli davanti a un’azienda nei pressi di Paulilatino nella quale si vendono enormi pietre certamente ricavate dallo smontaggio di qualche nuraghe nei dintorni. Arricchiscono la loro offerta con dolmen e menhir giganteschi, e sono attraversato da un brivido quando provo a immaginare quale sia la provenienza di quel materiale. Lo svincolo di Ghilarza riaccende buoni pensieri perché so che da lì a poco potrò fare una preghierina nel santuario di San Costantino a Sedilo, una delle mie mete preferite. Il comitato è già impegnato nella preparazione dell’ardia che si svolgerà a Luglio, e due ragazze lustrano la chiesa.

Per la prima volta vedo le pareti illuminate dalla luce naturale che penetra dall’ingresso, completamente spalancato, e dalla luce artificiale che illumina l’altare e gli angoli. Generalmente San Costantino si presenta buia, sublime, tappezzata da ex-voto che i fedeli offrono al santo. Oggi è solare, radiosa, annuncia la primavera e una nuova stagione di raccolta. Nel parco mi aggiro fra i betili e gli altri elementi architettonici che i nuragici realizzavano per ingraziarsi le divinità. Saluto il comitato e mi dirigo verso un cavallo che mi osserva da qualche minuto. Nero, elegante, con due occhioni profondi che controllano le mosse di Yago, si avvicina per le carezze di rito. Siamo amici ora, e sono certo che si ricorderà di me quando ritornerò in questo incantevole santuario. L’auto ronfa speditamente verso Nuoro, arrampicandosi lungo una strada deserta che offre paesaggi verdi e gialli, alternati da mostri industriali che meriterebbero un colpo di spugna per cancellare dalla memoria un fallimento che ha messo in ginocchio l’economia del territorio. Sulla destra, Rita nota una parete lievemente degradante che presenta fori nella roccia. Rallento e mi accorgo che si tratta della necropoli di Oniferi, le famose domus de janas con i petroglifi. E’ la prima volta che posso vederle e toccarle, e non posso lasciarmi sfuggire l’occasione. Parcheggiamo nei pressi del cancelletto in legno che separa il terreno dalla strada e iniziamo la passeggiata. L’erba è alta e dobbiamo attraversare un rivolo d’acqua prima di giungere sul pianoro forato. Che spettacolo! Yago le visita tutte, immergendosi nell’acqua contenuta all’interno a causa delle abbondanti piogge dei giorni scorsi. Il silenzio è rotto solo da qualche mezzo agricolo che opera nei terreni vicini. Approfittiamo della luminosità della giornata per scattare qualche foto. La piacevolezza del sito è interrotta da un evento inaspettato: un vascone artificiale scavato nella roccia, di notevoli dimensioni, si apre dietro un macchione di rovi e fichi d’india. E’ uno spettacolo della natura miscelato con il lavoro dell’uomo. Posso solo immaginare quanto lavoro è stato fatto per scavare questo bacino d’acqua frequentato oggi dagli animali della zona.

Un altro rullino di foto si avvolge nella macchina e proseguiamo il viaggio. Superato lo svincolo per Nuoro leggiamo nei cartelli stradali una indicazione che accende la mia fantasia: Orune. Rallento e, senza troppi sforzi, convinco Rita e Yago a fare una deviazione verso la montagna. Tante volte ho letto di un luogo paradisiaco, storicamente importante, legato all’acqua e ai nuragici: Su Tempiesu, una fonte sacra immersa nel bosco. Inserisco le ridotte perché l’auto pesa oltre due tonnellate e il cambio automatico inizia a soffrire la salita. Poco prima di Orune spicca su una cima un gruppo di massi con una forma caratteristica. Un amico dice che ricorda un cowboy, ma secondo noi sembra più un esploratore col naso lungo e uno zainetto sulle spalle. Foto di rito e proseguimento del viaggio. I cartelli sono frequenti e non abbiamo problemi a trovare il sito. Circa 5 km di sentiero asfaltato ci conducono da Orune fino al complesso dedicato agli dei dell’acqua: la fonte sacra di Su Tempiesu. Il profumo della campagna inonda l’ambiente mentre una signora che si occupa della biglietteria ci illustra il doppio percorso: una via di 800 metri che si snoda verso il basso dedicata alle piante locali, con cartelli che consentono di riconoscere le specie, e la risalita da percorrere al termine della visita della fonte, dedicata alle specie animali, anch’essa dotata di cartelli esplicativi e corredata con una pinnetta rivestita col sughero e una capanna che riproduce le celebri “capanne delle riunioni” della prima età del Ferro.
La fonte sacra di Su Tempiesu fu scoperta nel 1953, realizzata allo scopo di captare e incanalare una vena sorgiva che sgorgava tra due ripide pareti di scisto per approvvigionare del prezioso liquido le vicine comunità del nuraghe S. Lulla e del villaggio verso la vallata di Marreri. Successivamente, intorno al XII a.C., la trasformazione in luogo di culto fece convergere nel sito i clan nuragici della vallata dell'Isalle. La struttura di Su Tempiesu mostra gli elementi tipici dei pozzi sacri: atrio, scala e pozzo, in questo caso coperto a tholos. L’atrio rettangolare è delimitato dai due sostegni che s’innalzano obliquamente e si restringono verso l'alto del paramento interno.

Il vano, è pavimentato con lastre di trachite e presenta lateralmente due banconi-sedile realizzati con blocchi. Alla sommità, l’ingresso presenta due archetti monolitici decorativi. La facciata del tempio presenta una copertura a doppia falda che, appoggiandosi alla parete naturale di scisto, copre l’edificio costituendo un timpano di gusto gotico. In origine, nella parte superiore del timpano erano infisse 20 spade votive in bronzo, saldate negli incavi con colate di piombo. Dall’ingresso, una scala trapezoidale introduce al piccolo vano che raccoglie l’acqua sorgiva. La base lastricata presenta una fossetta circolare di decantazione per cui le acque si mantengono sempre limpidissime. Le acque che traboccano si raccolgono al di sotto, in una seconda struttura di raccolta dell’acqua che riproduce, in scala minore, la costruzione maggiore. Anche in questo pozzetto, con imboccatura sovrastata da un archetto, ci sono una canaletta con gocciolatoio in steatite e una fossetta di decantazione. Proprio da questo pozzetto provengono numerosi reperti votivi offerti alla divinità delle acque: bronzetti figurati, spilloni, braccialetti, anelli, stiletti miniaturistici, spade, bottoni.

Dal punto di vista costruttivo la fonte di Su Tempiesu è realizzata con blocchi isodomi di trachite e di basalto, lavorati a martellina e messi in opera senza uso di malta. I blocchi provengono da oltre 10 km, attraverso la vallata del fiume Isalle in quanto nell’area del monumento sono presenti soltanto lo scisto e il granito. Al termine della visita salutiamo Peppino Goddi, uno dei responsabili del sito, e ci avviamo verso Bitti, alla scoperta del suggestivo sito Su Romanzesu, del quale ho sentito tanto parlare ma non ho mai visitato. Un altopiano granitico posto ai limiti settentrionali del territorio nuorese, al km 54.2 della provinciale 389 che conduce a Buddusò, giungiamo nel primo pomeriggio, accolti da Nando, la guida che ci accompagnerà lungo il percorso. E’ un mondo cristallizzato nei millenni, silenzioso, colorato, reso magico da un aura luminosa che avvolge le pietre e un fitto bosco di sughere. Yago si inoltra nella vegetazione, mentre Rita inizia a scattare foto per immortalare questo luogo fuori dalla realtà. Il toponimo Su Romanzesu é dovuto alla presenza di testimonianze di epoca romano imperiale quando nell'altopiano furono realizzati alcuni insediamenti produttivi. Gli stessi romani realizzarono un'importante strada che partiva dalle sorgenti del fiume Tirso e raggiungeva la mansio di Sorabile, in agro di Fonni, un avamposto militare per il controllo dei monti del Gennargentu. Il sito si snoda per sette ettari vicino alla sorgente del fiume Tirso, nei pressi della quale è stato costruito il pozzo sacro, la struttura più antica del complesso.

Nel villaggio si notano numerose capanne, due templi a megaron, un edificio rettangolare, una grande struttura labirintica, e una struttura a forma di anfiteatro. Tra le capanne ve ne sono alcune di grandi dimensioni, con un sedile di pietra che corre lungo la muratura e un focolare in pietra posto al centro del pavimento lastricato. Dei tre templi, due sono a megaron, di forma rettangolare con la presenza di un atrio davanti alla camera, mentre il terzo è caratterizzato dall'ingresso posto su uno dei lati lunghi. In una struttura è presente un labirinto, formato da muri di pietre concentrici all'interno dei quali furono trovati ciottoli di fiume in quarzo rosso e un grande focolare in pietra, forse utilizzato a scopi rituali. Il pozzo, di cui rimangono 19 filari in granito, era coperto a tholos e mostra ancora la sorgente. Davanti al pozzo si apre un canalone lungo 42 metri, realizzato con grossi blocchi di granito e dotato di gradoni sul lato destro,che conduceva l'acqua della sorgente fino all'anfiteatro, un grande bacino circolare caratterizzato da tribune a gradoni, sulle quali potevano trovare posto molte persone. Le ceramiche restituite dalle capanne attestano un primitivo impianto dell'abitato nel Bronzo Medio. Altri edifici a pianta rettangolare, con lato di fondo absidato e banconi spiraliformi o circolari, erano forse funzionali all'accoglienza dei pellegrini. Immersi nella poesia di questo luogo selvaggio ci si sente a contatto con la natura, ma il tempo trascorre inesorabilmente, e fra un paio d’ore è prevista la conferenza a Olbia. Salutiamo una famiglia giunta da Portland, una cittadina della costa pacifica.

Li abbiamo incontrati a Su Tempiesu di Orune, e con loro abbiamo trascorso il pomeriggio a chiacchierare della magia della nostra isola, e della bellezza mozzafiato della natura di Su Romanzesu. Il nostro amico Nando ci suggerisce un percorso alternativo alle indicazioni del navigatore. Anziché proseguire per Buddusò, attraversare Alà dei Sardi e giungere a Olbia, seguendo un percorso breve ma tortuoso, ci convinciamo ad ascoltare il consiglio e rientriamo a Bitti, per poi scendere verso la più comoda 131 che ci porterà fino a Olbia con le 4 corsie. Arrivati a Olbia, facciamo tappa all’Hotel Demar, un 3 stelle di ottimo livello, nel quale hanno accettato la nostra prenotazione con Yago. Alla reception, una elegante signora sorridente ci consegna le chiavi della stanza e possiamo indossare i “vestiti da convegno”, ossia tolti gli scarponi e la tuta ci infiliamo in un più indicato abito scuro, biglietto da visita richiesto per i conferenzieri.
Al centro di Olbia la sala convegni dell’Expo, ci accoglie con le sue poltroncine rosse e la sua maestosità. Prepariamo la strumentazione e concordiamo con gli organizzatori la scaletta della serata. Sarà Durdica Bacciu, presidente dell’associazione ArcheOlbia, a rompere il ghiaccio alle 18.30. Sarà poi il turno di Roberto Carta, incaricato di presentarmi e illustrare il tema della serata. Alle 19.00 inizia il mio lungo racconto, accompagnato dalle immagini sulle prime civiltà, Gerico e Catal Hoyouk, e dalla descrizione dei commerci fino all’avvento dei minoici, i grandi navigatori del Bronzo.

Le vicende cretesi catturano l’attenzione del pubblico, e l’esplosione del vulcano Santorini fa sempre effetto. E’ la volta del relitto di Uluburun, dei micenei, della guerra di Qadesh, della coalizione dei Popoli del Mare e della pace del faraone Ramesse III. E’ il momento di portare il discorso in Sardegna, e il racconto sulla funzione e sull’evoluzione dei nuraghi conclude la serata. Al termine si svolge un breve dibattito e la serata si conclude con il rito degli autografi sui libri. Ritorniamo in Hotel per riposare, ci attende una Domenica dedicata alle escursioni nel territorio.

Domani la 2° e ultima parte.

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