martedì 16 aprile 2013
Escursione archeologica a Olbia: Cabu Abbas, Sa Testa e Su Monte e S'Abe. 2° e ultima parte.
Escursione archeologica a Olbia: Cabu Abbas, Sa Testa e Su Monte e S'Abe. 2° e ultima parte.
di Pierluigi Montalbano
E’ mattino, e Yago mi porta il guinzaglio vicino al letto. Mi sento osservato e con la coda dell’occhio intuisco la sua figura fra me e la finestra. E’ ora di alzarsi, un nuovo giorno, questa volta dedicato alla scoperta del territorio di Olbia, ci attende. L’appuntamento con gli amici di ArcheOlbia è nella piazzola dell’Hotel Demar, sotto il nostro balcone. Mi affaccio e vedo il sole che sorge all’orizzonte. Yago inizia a brontolare, la sua passeggiata mattutina non può attendere. Rapidamente infilo la tuta e usciamo, mentre Rita prepara i bagagli. La temperatura è tiepida, temo che più tardi il sole riscalderà parecchio. Intorno all’hotel, alla periferia nord della città gallurese, noto con soddisfazione che l’indirizzo economico delle attività è legato al turismo. Caffetterie, pasticcerie, gelaterie, negozi di artigianato, hotel, dolci sardi…gli olbiensi non si fanno mancare nulla. Saldo il conto, ringrazio per l’ospitalità, e chiedo lumi alla proprietaria sul motivo di un costo così contenuto. Mi spiega che la crisi si sente anche in Gallura, e la stagionalità si è ridotta. In sostanza l’offerta turistica è concentrata nei mesi estivi, e durante l’anno si apre solo per coprire i costi.
Suggerirò questa struttura agli amici del capo di sotto che intendono trascorrere una vacanza destagionalizzata in questa zona. Imma e Pietro, i nostri amici di Olbia, sono pronti per l’escursione, e ci avviamo verso la zona sud della città. Dopo pochi minuti siamo bloccati, lungo il percorso si svolge una maratona dilettantistica e siamo costretti ad attendere il passaggio di tutti i concorrenti. Sbuffano, pestano le scarpette sull’asfalto e, ansimanti, tentano di mantenere il passo con il gruppetto dei primi, speranza vana a giudicare dal loro aspetto. E’ ora di ripartire, gli addetti al traffico fanno un cenno con la paletta e siamo nuovamente in marcia. Una rotonda dietro l’altra giungiamo in periferia, mi chiedo se gli amministratori abbiano ottenuto una fornitura conveniente di cemento e l’abbiano destinata alla realizzazione delle decine di rotatorie che affollano questa località. Imma, la nostra amica e guida, suggerisce di iniziare l’itinerario dal nuraghe Cabu Abbas, una struttura abbarbicata sulla cima di una montagna dalla quale si domina il Golfo di Olbia. Accettiamo di buon grado, mai contraddire i locali, e parcheggiamo l’auto nei pressi di una fontana alla base del colle. L’acqua è purissima, fresca e abbondante, non mi sorprende che i nuragici decisero di antropizzare questo sito. Inizia la salita a piedi, un faticoso sentiero granitico ben curato che mette a dura prova le nostre articolazioni. Il panorama migliora con l’altezza e ci fermiamo per tirare il fiato. Tafoni e granito sono a portata di mano, rifletto sul fatto che la pietra non manca in questo sito. Giunti alla sommità siamo avvolti da una serie di poderosi muri a secco, spessi circa 4 metri, che circondano la vetta. Un ingresso a corridoio ricavato nello spessore murario conduce verso il nuraghe, somiglia alla muraglia di Monte Baranta, ma in questo caso è circolare e i sassi non sono ciclopici. Da lassù si gode di una vista pazzesca! Il porto, la baia, i verdi terreni a valle, e il silenzio è rotto solo da qualche uccello che richiama i suoi piccoli. Il profumo della natura è forte, e si miscela piacevolmente con il paesaggio.
Proseguiamo la salita per qualche metro, non senza qualche difficoltà, è giungiamo sulla vetta. Apriti cielo, entriamo in un nuraghe realizzato sfruttando parzialmente lo sperone roccioso. Si notano le camere, la scala e le nicchie, e si intuisce la planimetria, con almeno due tholos sovrapposte, oggi presenti solo in pochi filari, che fanno di questo sito uno dei più suggestivi presenti nell’isola. La vista a 360° ci fa capire che i nuragici si trattavano bene, e sapevano dove, come e perché costruire. Realizzato con massi di granito sbozzati e disposti su file regolari, il nuraghe presenta un ingresso architravato rivolto a Sud che introduce in un corridoio di 3 metri sulle pareti del quale si aprono a destra una piccola nicchia e a sinistra una scala di cui rimangono 9 gradini che portava al piano superiore, ora scomparso.
La camera quasi circolare, oggi svettata, presenta due nicchie e nella parete di fondo è realizzato un piccolo pozzo, probabilmente utilizzato per le derrate alimentari. Yago gironzola felice per il sito, entrando nelle nicchie per cercare un po’ d’ombra. Avere un doppio manto peloso nero è certamente utile in inverno, ma con queste temperature costringe a evitare i raggi solari. La scoperta nel 1936 di un bronzetto raffigurante una donna con anfora sulla testa, e la presenza della sorgente a valle, testimoniano una funzione rituale, legata al culto delle acque. La cortina muraria lunga oltre 200 metri, cinge il sito ed è alta circa 5 metri. Ingloba numerosi affioramenti rocciosi ed è costruita nella parte inferiore con grandi blocchi di granito ai quali si sovrappongono nei livelli superiori massi più piccoli. Dopo le consuete foto ricordo, scendiamo a valle per ristorarci alla sorgente del parcheggio. La seconda tappa è il pozzo sacro Sa Testa, a Pittulongu, un borgo costiero alla periferia di Olbia.
Imma ci precede e saluta i ragazzi che gestiscono le visite al sito. Francesco, l’archeologo che ci guiderà alla scoperta del monumento è preparato, sono felice che il livello delle guide turistiche sia all’altezza dei nostri beni culturali. Il tempio è costituito da un ampio cortile circolare, un atrio, una scala e una camera con volta a tholos che capta la vena sorgiva. Il cortile lastricato è attraversato da una canaletta per il deflusso dell'acqua e presenta lungo l'intero sviluppo un bancone-sedile. Il tempio a pozzo, realizzato con blocchi di scisto, granito e trachite, leggermente sbozzati, conserva in parte l’ingresso, realizzato a un livello inferiore rispetto al cortile. L'ambiente trapezoidale presenta sedili lungo le pareti e il pavimento lastricato è attraversato da una canaletta.
La scala ha 17 gradini, e presenta una copertura costituita da lastre di granito che riproducono una sorta di scala rovesciata. La camera del pozzo è realizzata con massi disposti su 28 filari regolari. Sopra l’ipogeo si conserva per un’altezza residua di circa un metro e mezzo, una camera a tholos. Il tempio, come di consueto, è databile tra la fine del Bronzo e il Primo Ferro. I ragazzi dell'associazione ArcheOlbia, ci raccontano che la notte di San Lorenzo organizzarono un evento notturno allestendo il sito con lumicini e torce, dando vita a un evento che piacque parecchio ai visitatori.
E’ un suggerimento che girerò ad altri gestori, invitandoli a copiare questa bella iniziativa. E’ quasi ora di pranzo, ma l’escursione non è ancora completa, Imma ci convince ad andare verso Loiri, nei pressi dell’Aeroporto Costa Smeralda, alla Tomba di Giganti Su Monte e S’Abe. Lungo la strada, superate un centinaio di rotatorie tanto grandi quanto inutili, notiamo due siti interessanti: la fattoria romana di S’imbalconadu, nota per il rinvenimento di una stele in granito con il simbolo della dea fenicia Tanit, e il Castello di Pedres, un complesso del XII d.C. commissionato dai Visconti, una potente famiglia pisana che resse il Giudicato di Gallura fino al XIII secolo. Edificato su una ripida roccia alta quasi 100 metri, sovrasta la parte meridionale della conca di Olbia. A pochi metri dalla rupe troviamo ad aspettarci gli amici della cooperativa che presidia la Tomba di Giganti. Il sepolcro di Su monte e s'abe è considerato il più grande della Sardegna con i suoi 28,5 metri di lunghezza dall’ingresso all’abside, nonostante sull'altopiano di Goronna, a Paulilatino, si conservi un corridoio funerario di 24,5 metri, poco più lungo dell’interno di quello che vediamo oggi. La sepoltura a corridoio, di derivazione dolmenica, è costituita da un esedra composta da lastroni verticali, con bancone-sedile alla base, e da un corridoio a ortostati con copertura a piattabanda.
La camera sepolcrale deriva da una sepoltura più arcaica, un alleè cuverte, che in un secondo momento è stata rifasciata e trasformata in tomba dei giganti. La grande stele centinata, della quale si conserva solo il lato sinistro fino all'altezza della sommità del portello, è assente, ma secondo la nostra guida doveva essere bilitica, alta circa quattro metri. Al termine del corridoio funerario è infissa una lastra, perpendicolarmente all'asse, e dietro essa ci sono alcuni metri di tumulo fino all'abside, incredibilmente non ancora oggetto di scavo. Incuriosisce lo spazio fra la lastra e l’abside, e a mio avviso potrebbe celare un’arcaica cista litica, simile a ciò che si nota a Lunamatrona nella Tomba di Giganti denominata Cuaddu de Nixas. Il nostro fidato amico Yago è l’unico ad avere il privilegio di infilarsi nel corridoio funerario, e ci osserva compiaciuto scodinzolando animatamente. Pietro, uno degli amici che ci accompagna nell’escursione, fortunatamente scatta una serie di foto che utilizzerò per l’articolo, in quanto la mia macchina fotografica ha esaurito la carica energetica e inesorabilmente mi avvisa di sostituire la batteria. La giornata volge al termine, rientriamo verso l’auto vinti dalla bellezza dei siti visitati.
Olbia merita tutta l’attenzione dell’archeologia internazionale, peccato che si continui a investire esclusivamente per cercare materiali greci e punici, un dispendio di risorse che non illumina le nostre origini e non aggiunge nulla a ciò che già conosciamo della breve frequentazione greca nella cittadina gallurese. Forse in futuro qualche soprintendente illuminato capirà che la civiltà nuragica è il biglietto da visita esclusivo della storia antica della nostra isola, la bandiera della nostra identità storica dell’età d’oro, e inizierà a mirare verso ciò che i turisti culturali cercano in Sardegna: scoprire un’antica civiltà che realizzò nuraghi, tombe di giganti, pozzi sacri e bronzetti. Oggi i finanziamenti per gli scavi e la ricerca a Olbia sono accentrati verso il segmento greco perché l’attuale responsabile degli scavi si occupa solo del periodo greco e romano.
Ma quell’epoca non mostra le nostre vere radici storiche, non ci identifica. Si parla tanto di incrementare il turismo offrendo identità e tradizioni, ossia cultura, e poi s’investe in rotatorie superflue e scavi mirati a ricostruire la storia di altri popoli. Rientriamo verso Cagliari, la strada concilia il sonno, ma a breve incontrerò gli amici del Nuraghe Losa, il miglior caffè delle S.S. 131 sorseggiato all'ombra del maestoso gigante bruno che domina sul territorio di Abbasanta. Si tratta di una delle espressioni più alte dell'architettura nuragica, per il disegno organico e la raffinatezza delle tecniche murarie. Edificato con blocchi di basalto, con il suo bastione trilobato che contiene il mastio, e un poderoso antemurale circondato da un'ulteriore cinta muraria. All'interno i nuragici realizzarono una serie di capanne circolari e una tomba di Giganti edificata con conci isodomi, ossia blocchi regolari parallelepipedi elegantemente rifiniti. Il complesso fu costruito in più fasi: fra il XV e gli inizi del XIII a.C. con la costruzione del mastio, dalla metà del XIII alla fine del XII a.C. con la costruzione del bastione, dell'antemurale e della cinta esterna, infine dal XII agli inizi del IX a.C. con la costruzione della capanna 1. Il sito fu abitato ancora nella prima età del Ferro e nelle epoche successive, anche a scopo funerario, fino al VII-VIII d.C.
Bene…il mio racconto è giunto al termine, vi ringrazio per essere giunti fino all’ultima riga e, insieme a Rita e Yago, ringrazio Imma, Durdica e Pietro per avermi regalato tante emozioni, e vi saluto con affetto.
di Pierluigi Montalbano
E’ mattino, e Yago mi porta il guinzaglio vicino al letto. Mi sento osservato e con la coda dell’occhio intuisco la sua figura fra me e la finestra. E’ ora di alzarsi, un nuovo giorno, questa volta dedicato alla scoperta del territorio di Olbia, ci attende. L’appuntamento con gli amici di ArcheOlbia è nella piazzola dell’Hotel Demar, sotto il nostro balcone. Mi affaccio e vedo il sole che sorge all’orizzonte. Yago inizia a brontolare, la sua passeggiata mattutina non può attendere. Rapidamente infilo la tuta e usciamo, mentre Rita prepara i bagagli. La temperatura è tiepida, temo che più tardi il sole riscalderà parecchio. Intorno all’hotel, alla periferia nord della città gallurese, noto con soddisfazione che l’indirizzo economico delle attività è legato al turismo. Caffetterie, pasticcerie, gelaterie, negozi di artigianato, hotel, dolci sardi…gli olbiensi non si fanno mancare nulla. Saldo il conto, ringrazio per l’ospitalità, e chiedo lumi alla proprietaria sul motivo di un costo così contenuto. Mi spiega che la crisi si sente anche in Gallura, e la stagionalità si è ridotta. In sostanza l’offerta turistica è concentrata nei mesi estivi, e durante l’anno si apre solo per coprire i costi.
Suggerirò questa struttura agli amici del capo di sotto che intendono trascorrere una vacanza destagionalizzata in questa zona. Imma e Pietro, i nostri amici di Olbia, sono pronti per l’escursione, e ci avviamo verso la zona sud della città. Dopo pochi minuti siamo bloccati, lungo il percorso si svolge una maratona dilettantistica e siamo costretti ad attendere il passaggio di tutti i concorrenti. Sbuffano, pestano le scarpette sull’asfalto e, ansimanti, tentano di mantenere il passo con il gruppetto dei primi, speranza vana a giudicare dal loro aspetto. E’ ora di ripartire, gli addetti al traffico fanno un cenno con la paletta e siamo nuovamente in marcia. Una rotonda dietro l’altra giungiamo in periferia, mi chiedo se gli amministratori abbiano ottenuto una fornitura conveniente di cemento e l’abbiano destinata alla realizzazione delle decine di rotatorie che affollano questa località. Imma, la nostra amica e guida, suggerisce di iniziare l’itinerario dal nuraghe Cabu Abbas, una struttura abbarbicata sulla cima di una montagna dalla quale si domina il Golfo di Olbia. Accettiamo di buon grado, mai contraddire i locali, e parcheggiamo l’auto nei pressi di una fontana alla base del colle. L’acqua è purissima, fresca e abbondante, non mi sorprende che i nuragici decisero di antropizzare questo sito. Inizia la salita a piedi, un faticoso sentiero granitico ben curato che mette a dura prova le nostre articolazioni. Il panorama migliora con l’altezza e ci fermiamo per tirare il fiato. Tafoni e granito sono a portata di mano, rifletto sul fatto che la pietra non manca in questo sito. Giunti alla sommità siamo avvolti da una serie di poderosi muri a secco, spessi circa 4 metri, che circondano la vetta. Un ingresso a corridoio ricavato nello spessore murario conduce verso il nuraghe, somiglia alla muraglia di Monte Baranta, ma in questo caso è circolare e i sassi non sono ciclopici. Da lassù si gode di una vista pazzesca! Il porto, la baia, i verdi terreni a valle, e il silenzio è rotto solo da qualche uccello che richiama i suoi piccoli. Il profumo della natura è forte, e si miscela piacevolmente con il paesaggio.
Proseguiamo la salita per qualche metro, non senza qualche difficoltà, è giungiamo sulla vetta. Apriti cielo, entriamo in un nuraghe realizzato sfruttando parzialmente lo sperone roccioso. Si notano le camere, la scala e le nicchie, e si intuisce la planimetria, con almeno due tholos sovrapposte, oggi presenti solo in pochi filari, che fanno di questo sito uno dei più suggestivi presenti nell’isola. La vista a 360° ci fa capire che i nuragici si trattavano bene, e sapevano dove, come e perché costruire. Realizzato con massi di granito sbozzati e disposti su file regolari, il nuraghe presenta un ingresso architravato rivolto a Sud che introduce in un corridoio di 3 metri sulle pareti del quale si aprono a destra una piccola nicchia e a sinistra una scala di cui rimangono 9 gradini che portava al piano superiore, ora scomparso.
La camera quasi circolare, oggi svettata, presenta due nicchie e nella parete di fondo è realizzato un piccolo pozzo, probabilmente utilizzato per le derrate alimentari. Yago gironzola felice per il sito, entrando nelle nicchie per cercare un po’ d’ombra. Avere un doppio manto peloso nero è certamente utile in inverno, ma con queste temperature costringe a evitare i raggi solari. La scoperta nel 1936 di un bronzetto raffigurante una donna con anfora sulla testa, e la presenza della sorgente a valle, testimoniano una funzione rituale, legata al culto delle acque. La cortina muraria lunga oltre 200 metri, cinge il sito ed è alta circa 5 metri. Ingloba numerosi affioramenti rocciosi ed è costruita nella parte inferiore con grandi blocchi di granito ai quali si sovrappongono nei livelli superiori massi più piccoli. Dopo le consuete foto ricordo, scendiamo a valle per ristorarci alla sorgente del parcheggio. La seconda tappa è il pozzo sacro Sa Testa, a Pittulongu, un borgo costiero alla periferia di Olbia.
Imma ci precede e saluta i ragazzi che gestiscono le visite al sito. Francesco, l’archeologo che ci guiderà alla scoperta del monumento è preparato, sono felice che il livello delle guide turistiche sia all’altezza dei nostri beni culturali. Il tempio è costituito da un ampio cortile circolare, un atrio, una scala e una camera con volta a tholos che capta la vena sorgiva. Il cortile lastricato è attraversato da una canaletta per il deflusso dell'acqua e presenta lungo l'intero sviluppo un bancone-sedile. Il tempio a pozzo, realizzato con blocchi di scisto, granito e trachite, leggermente sbozzati, conserva in parte l’ingresso, realizzato a un livello inferiore rispetto al cortile. L'ambiente trapezoidale presenta sedili lungo le pareti e il pavimento lastricato è attraversato da una canaletta.
La scala ha 17 gradini, e presenta una copertura costituita da lastre di granito che riproducono una sorta di scala rovesciata. La camera del pozzo è realizzata con massi disposti su 28 filari regolari. Sopra l’ipogeo si conserva per un’altezza residua di circa un metro e mezzo, una camera a tholos. Il tempio, come di consueto, è databile tra la fine del Bronzo e il Primo Ferro. I ragazzi dell'associazione ArcheOlbia, ci raccontano che la notte di San Lorenzo organizzarono un evento notturno allestendo il sito con lumicini e torce, dando vita a un evento che piacque parecchio ai visitatori.
E’ un suggerimento che girerò ad altri gestori, invitandoli a copiare questa bella iniziativa. E’ quasi ora di pranzo, ma l’escursione non è ancora completa, Imma ci convince ad andare verso Loiri, nei pressi dell’Aeroporto Costa Smeralda, alla Tomba di Giganti Su Monte e S’Abe. Lungo la strada, superate un centinaio di rotatorie tanto grandi quanto inutili, notiamo due siti interessanti: la fattoria romana di S’imbalconadu, nota per il rinvenimento di una stele in granito con il simbolo della dea fenicia Tanit, e il Castello di Pedres, un complesso del XII d.C. commissionato dai Visconti, una potente famiglia pisana che resse il Giudicato di Gallura fino al XIII secolo. Edificato su una ripida roccia alta quasi 100 metri, sovrasta la parte meridionale della conca di Olbia. A pochi metri dalla rupe troviamo ad aspettarci gli amici della cooperativa che presidia la Tomba di Giganti. Il sepolcro di Su monte e s'abe è considerato il più grande della Sardegna con i suoi 28,5 metri di lunghezza dall’ingresso all’abside, nonostante sull'altopiano di Goronna, a Paulilatino, si conservi un corridoio funerario di 24,5 metri, poco più lungo dell’interno di quello che vediamo oggi. La sepoltura a corridoio, di derivazione dolmenica, è costituita da un esedra composta da lastroni verticali, con bancone-sedile alla base, e da un corridoio a ortostati con copertura a piattabanda.
La camera sepolcrale deriva da una sepoltura più arcaica, un alleè cuverte, che in un secondo momento è stata rifasciata e trasformata in tomba dei giganti. La grande stele centinata, della quale si conserva solo il lato sinistro fino all'altezza della sommità del portello, è assente, ma secondo la nostra guida doveva essere bilitica, alta circa quattro metri. Al termine del corridoio funerario è infissa una lastra, perpendicolarmente all'asse, e dietro essa ci sono alcuni metri di tumulo fino all'abside, incredibilmente non ancora oggetto di scavo. Incuriosisce lo spazio fra la lastra e l’abside, e a mio avviso potrebbe celare un’arcaica cista litica, simile a ciò che si nota a Lunamatrona nella Tomba di Giganti denominata Cuaddu de Nixas. Il nostro fidato amico Yago è l’unico ad avere il privilegio di infilarsi nel corridoio funerario, e ci osserva compiaciuto scodinzolando animatamente. Pietro, uno degli amici che ci accompagna nell’escursione, fortunatamente scatta una serie di foto che utilizzerò per l’articolo, in quanto la mia macchina fotografica ha esaurito la carica energetica e inesorabilmente mi avvisa di sostituire la batteria. La giornata volge al termine, rientriamo verso l’auto vinti dalla bellezza dei siti visitati.
Olbia merita tutta l’attenzione dell’archeologia internazionale, peccato che si continui a investire esclusivamente per cercare materiali greci e punici, un dispendio di risorse che non illumina le nostre origini e non aggiunge nulla a ciò che già conosciamo della breve frequentazione greca nella cittadina gallurese. Forse in futuro qualche soprintendente illuminato capirà che la civiltà nuragica è il biglietto da visita esclusivo della storia antica della nostra isola, la bandiera della nostra identità storica dell’età d’oro, e inizierà a mirare verso ciò che i turisti culturali cercano in Sardegna: scoprire un’antica civiltà che realizzò nuraghi, tombe di giganti, pozzi sacri e bronzetti. Oggi i finanziamenti per gli scavi e la ricerca a Olbia sono accentrati verso il segmento greco perché l’attuale responsabile degli scavi si occupa solo del periodo greco e romano.
Ma quell’epoca non mostra le nostre vere radici storiche, non ci identifica. Si parla tanto di incrementare il turismo offrendo identità e tradizioni, ossia cultura, e poi s’investe in rotatorie superflue e scavi mirati a ricostruire la storia di altri popoli. Rientriamo verso Cagliari, la strada concilia il sonno, ma a breve incontrerò gli amici del Nuraghe Losa, il miglior caffè delle S.S. 131 sorseggiato all'ombra del maestoso gigante bruno che domina sul territorio di Abbasanta. Si tratta di una delle espressioni più alte dell'architettura nuragica, per il disegno organico e la raffinatezza delle tecniche murarie. Edificato con blocchi di basalto, con il suo bastione trilobato che contiene il mastio, e un poderoso antemurale circondato da un'ulteriore cinta muraria. All'interno i nuragici realizzarono una serie di capanne circolari e una tomba di Giganti edificata con conci isodomi, ossia blocchi regolari parallelepipedi elegantemente rifiniti. Il complesso fu costruito in più fasi: fra il XV e gli inizi del XIII a.C. con la costruzione del mastio, dalla metà del XIII alla fine del XII a.C. con la costruzione del bastione, dell'antemurale e della cinta esterna, infine dal XII agli inizi del IX a.C. con la costruzione della capanna 1. Il sito fu abitato ancora nella prima età del Ferro e nelle epoche successive, anche a scopo funerario, fino al VII-VIII d.C.
Bene…il mio racconto è giunto al termine, vi ringrazio per essere giunti fino all’ultima riga e, insieme a Rita e Yago, ringrazio Imma, Durdica e Pietro per avermi regalato tante emozioni, e vi saluto con affetto.
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