mercoledì 20 giugno 2012
Sarepta, un villaggio industriale di età fenicia
Sarepta: un villaggio fenicio per attività industriali
di Pierluigi Montalbano
Sarepta è un piccolo centro, situato nel promontorio di Rassel El Cantara, 13 km a sud di Sidone che probabilmente controllava questo villaggio. Non ha subito l’insediamento urbano ed è stato possibile indagarlo a fondo. Il termine Sarepta deriva da una radice semitica ed è un verbo legato all’attività industriale: significa bruciare qualcosa, pertanto già il nome della città è eloquente.
Nel 1800 era stato scoperto un torso maschile in pietra (IV a.C.) che riproduce una divinità con simboli egizi e orientali: gonnellino egizio e pettorale in cui è appeso un ciondolo, un simbolo astrale costituito dalla falce lunare che sormonta il disco solare. La città conosce un occupazione ininterrotta dal 1600 a.C. fino ad età ellenistica, quando il sito fu abbandonato. Gli scavi americani del 1964-1974 hanno portato alla luce strutture abitative, un tempio rettangolare e un quartiere artigianale.
Il tempio è uno dei pochi esempi mediterranei che possiamo vedere in oriente. L’edificio è localizzato fuori dall’abitato e si conserva per un alzato minimo, giusto un filare. Sono state ricostruite varie fasi dell’impianto: è del VIII a.C. e ha vissuto fino ad età ellenistica (IV a.C.). Presenta un ingresso non in asse. Nel mondo antico c’erano sia templi longitudinali con ingresso in asse, sia templi con ingresso laterale.
Attorno ai lati perimetrali si nota la presenza di un bancone destinato alla deposizione delle offerte. I templi semitici sono piccoli, spesso inseriti in santuari, e presentano edifici non destinati ad ospitare i fedeli durante le liturgie celebrate. I banconi servivano per ospitare le offerte votive che i fedeli portavano al tempio per dedicarli alle divinità. Sul lato breve abbiamo un altare foderato in pietra. Al centro si trova una lastra in pietra con un foro, che consentiva alle offerte liquide di penetrare all’interno della terra sottostante e di essere accolte dalle divinità. Davanti all’altare c’è una fossa nel pavimento che in origine ospitava un pilastro sacro non strutturale, in legno, legato al culto, simbolico, simile a quello esterno che troviamo nel tempio di Melqart a Tiro. Annesso all’edificio c’è un vano di servizio dove sono state trovate molte offerte. Le donazioni avevano una loro sacralità e quando non c’era più spazio per inserirne di nuove, si faceva pulizia disponendo le vecchie offerte in un deposito sacro (favissa) situato nelle vicinanze. All’interno delle favisse troviamo quindi i depositi votivi di un determinato periodo ma non possiamo datarle con precisione perché l’arco di utilizzo poteva durare anche alcuni secoli.
Fra i reperti importanti abbiamo una placchetta con un’iscrizione del VII a.C. che ci da l’indicazione esatta della divinità alla quale era dedicato il tempio: Astarte-Tanìt, una definizione doppia. In Libano fra i secoli VIII-VII a.C. c’era una straordinaria presenza di officine per la lavorazione: gli avori e i metalli rifiniti rappresentavano una delle più importanti attività dei levantini anche se nella madrepatria non abbiamo traccia di questi oggetti perché venivano esportati nelle grandi corti che se li potevano permettere.
L’abitato presenta forni per il pane, simili ai Tabouna usati in Tunisia per cuocere. Sono semplici giare senza fondo dove veniva posto il combustibile. Le pareti si riscaldano e al centro c’è una struttura sulla quale si prepara il pane: spianate che venivano poggiate e cotte.
Nell’abitato sono evidenti i “testimoni di scavo” che derivano da un sistema di scavo diverso da quello per “estensione”, introdotto nel 1970 dagli inglesi. Fino al 1930 lo scavo più frequente era lo “sterro” ma si perdevano molti dei riferimenti. Se si scava in un nuraghe o in siti termali si lavora in uno spazio circoscritto, ed è preferibile lavorare per estensione. Quando si scava nei Tell orientali (collinette artificiali tipiche dell’area siro-palestinese determinate dalla sovrapposizione delle diverse fasi degli insediamenti. Troia è un esempio di Tell) ci si orienta in modo diverso perché non ci sono strutture monumentali. Si rischia di perdere molto dei reperti perché le strutture sono in terra cruda e si sfaldano, si sciolgono, e potrebbe accadere di non accorgersi delle strutture murarie di un sito. In antichità si preferiva riempire le strutture più vecchie e costruire sopra (piuttosto che demolire) ed è per questo che troviamo Tell alti parecchi metri. Mortimer Whiler e Katherin Canyon, inglesi, hanno elaborato un sistema che si basava su uno scavo a griglia di quadrati delimitati da testimoni, così da consentire una lettura dello scavo non solo in maniera orizzontale, come siamo abituati oggi dalle nostre parti, ma anche verticale, per controllare tutto in tempo reale.
Un aspetto documentato in tutto il mondo antico è la perificità delle strutture, per non disturbare il centro abitato. Il quartiere artigianale di Sarepta ha restituito tracce di diverse attività industriali: tintorie per tessuti, officine metallurgiche con fonderie, stampi per gioielli, forni per ceramica, macine per granaglie e torchi per la trasformazione alimentare e per l’olio. L’attività più importante era quella dei forni ceramici, ne sono stati individuati ben 22. Erano diffusi in tutti i siti antichi ma raramente sono arrivati fino a noi. Con la ceramica si fabbricavano manufatti per uso domestico e per la conservazione di cibi e bevande. Vetro e metallo, essendo preziosi, non erano usati per questi scopi.
La scoperta di una zona artigianale è un evento raro perché questi siti sono soggetti ad un veloce decadimento a causa di strutture realizzate per lavorare e non per essere edifici di rappresentanza. Inoltre molte strutture erano a contatto col fuoco e il degrado era veloce. In ambito punico si contano solo una ventina di siti artigianali.
I forni ceramici più antichi presentano una caratteristica forma ad omega, dovuta ad un muretto di sostegno che andava a separare il vano di combustione. In una fase successiva, ellenistica, il muretto centrale è sostituito da una colonnina. In questi grandi forni ci sono sempre due camere ben distinte: quella di combustione e quella di cottura, nella quale veniva posto il materiale da riscaldare. Il calore non doveva disperdersi, quindi la camera di combustione, generalmente, era scavata nel terreno. Le pareti venivano foderate con argilla cruda che nella fase di combustione si vetrificava. Il vasaio poteva infilare il combustibile attraverso una camera di attizzaggio. Fra le due camere vi era una superficie orizzontale in argilla, denominata suola, realizzata spesso con mattoni piano convessi. Il pilastrino o muretto centrale che separava i due vani aveva la funzione di sostenere la pesante suola. Questo elemento orizzontale era forato obliquamente per consentire al calore di passare ma doveva impedire alla fiamma di raggiungere direttamente gli oggetti soprastanti. Sopra la suola c’era la camera di cottura che veniva creata e smontata a ogni ciclo di cottura. Le ceramiche, dopo essere state tornite e fatte essiccare a durezza cuoio, venivano sistemate sopra la suola e impilate fino a creare il cumulo. Poi si procedeva alla cottura che durava da poche ore fino a diversi giorni. La durezza cuoio era necessaria perché durante la cottura se l’argilla era troppo dura si spaccava, se era troppo morbida si piegava su se stessa. Mentre si creava il carico si realizzavano anche le pareti della camera di cottura, che poi venivano smontate per recuperare il carico cotto. Pertanto, quando si scava si trovano quasi esclusivamente le camere di combustione con spessi strati di argilla vetrificata nella pareti. I forni ad omega e quelli circolari ci mostrano l’evoluzione che hanno avuto queste attività. Sbagliare una cottura significava perdere tutto il lavoro e i forni piccoli erano più semplici da controllare, quindi il rischio era minore. A Sarepta troviamo attestati entrambi i tipi di forno.
Nell'immagine alcune strutture della zona industriale di Sarepta.
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