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sabato 2 giugno 2012

Oetzi, nuove ipotesi.


Nuova ipotesi sulla morte di Ötzi
di Martina Calogero



È nota da anni la causa della morte di Ötzi, la mummia ritrovata nel 1991 conservatasi per cinquemila anni sul ghiacciaio del Similaun e oggi esposta a Bolzano presso il Museo Archeologico dell’Alto Adige: il cacciatore è stato ucciso da una freccia, conficcata nella spalla. Le immagini della Tac, eseguita qualche anno fa sulla mummia, hanno rivelato la posizione dell’arma del delitto. La novità, proposta dal geoarcheologo Alexander Binsteiner, dopo aver confrontato le immagini digitali restituite dalla Tac con le varie selci scoperte in diverse zone d’Europa, è che la punta della freccia mortale sarebbe costituita da selce della Lessinia.
A Bolzano si pensa da sempre che la selce stretta nella mano di Ötzi proveniva dal Veronese: il cacciatore, colpito dalla freccia e presumibilmente morto di stenti mentre cercava di scappare dal suo aggressore, recava con sé un pugnale in selce che gli esperti suppongono proveniente dalla Lessinia. La cintura che portava addosso custodiva tre utensili: un pezzo di lamella, forse proveniente da una pietra focaia, un grattatoio, lama ricurva usata per lacerare e nettare le pelli, e un bulino per forare le pelli.
Le caratteristiche della selce, di colore grigio screziata da macchie bianche, avevano già portato gli studiosi a proporre collegamenti tra il territorio veronese, giacimento della selce, e la Val Venosta di Ötzi. Possedere la selce forniva maggiori garanzie di sopravvivenza perché rappresentava l’acciaio della preistoria: era adoperata per cacciare e per difendersi e dai nuclei di selce si ottenevano attraverso la tecnica della scheggiatura, diversi strumenti, utili alla vita delle popolazioni preistoriche, oltre a costituire la pietra focaia di più semplice utilizzo, poiché bastava battere tra loro due nuclei di selce per ottenere le scintille che avrebbero provocato l’innesco.
Sono numerosissimi i siti di scheggiatura, sia preistorici sia storici, emersi sui colli veronesi e l’ultimo in ordine di comparsa è quello di Dosso Folesani, presso San Mauro di Saline, straordinario ritrovamento di un insediamento di artigiani della selce, frequentato tra il 1800 e il 1500 avanti Cristo. L’attività dei folendari del territorio veronese culminò all’epoca delle guerre napoleoniche, quando le regole militari richiedevano di cambiare la pietra focaia ogni cinque colpi e si concluse con l’introduzione del gas, degli accendini e dei fiammiferi.

Intanto, la rivista specializzata “Antiquity” ha pubblicato una teoria, formulata da M. Gallinaro, M. Vidale, L. Bondioli, A. Vanzetti e D. W. Frayer sulla “sepoltura di Otzi”, secondo la quale la mummia del Similaun non morì sul ghiacciaio, ma vi vene trasferita in un secondo momento per la sepoltura. I ricercatori sull’Iceman non condividono questa ipotesi.
L’archeologo Alessandro Vanzetti (Università La Sapienza) e i co-autori dell’articolo “The Iceman as a burial”, rianalizzando l’ubicazione spaziale di Otzi nel sito della sua scoperta sul Giogo di Tisa ed effettuando ricerche botaniche, sono giunti alla conclusione che la morte dell’Uomo venuto dal ghiaccio non avvenne nel luogo dell’incidente, ma a valle in primavera e venne spostato e seppellito sul Giogo di Tisa soltanto nell’autunno successivo.
La teoria di Vanzetti, discussa diverse volte in passato, mostra alcune debolezze nella localizzazione archeologica e nelle argomentazioni, tanto che le affermazioni dell’archeologo non sono condivise dalla maggior parte degli esperti sull’Iceman. I ricercatori pensano che i pollini e la distribuzione dei reperti nel sito di ritrovamento non possano dimostrare le cause del decesso, rituali di sepoltura o ipotetici cambiamenti corporei post mortem.
È necessario sottolineare l’importanza e l’unicità della scoperta della mummia di Similaun dal punto di vista archeologico poiché Otzi risale all’età del Rame. Malgrado esistano nelle civiltà sudamericane luoghi di sepoltura ad alta quota, sulle Alpi non conosciamo casi simili. Anzi, nell’età del Rame, i cimiteri erano usualmente ubicati vicino ai villaggi e, anche per quanto riguarda le inumazioni più complesse, non abbiamo testimonianze di tombe situate lontano dagli insediamenti.
Gli archeologi che si occupano di Otzi sottolineano che l’argomentazione etno-storica di Vanzetti, dove i defunti in Tirolo venivano conservati dopo il decesso e trasportati oltre i passi per essere seppelliti nei cimiteri dopo lo scioglimento delle nevi, è riconducibile al sistema delle chiese cimiteriali cristiane e alle strutture feudali medievali. Infatti, in quel periodo i morti venivano seppelliti prima possibile, secondo il diritto canonico, nel cimitero di competenza per riportarli al villaggio e non dall’insediamento alla montagna. Il paragone con l’epoca cristiana è limitato alla conservazione dei corpi. Nell’età del Rame, invece, l’analogia relativa al trasferimento va ritenuta una speculazione.
Nel caso che la mummia di Similaun fosse veramente morto a valle in primavera e trasportato in montagna a settembre, come descrive Vanzetti nel suo articolo, nonostante i tentativi di mummificazione dovrebbe presentare evidenti tracce d’infestazione da insetti e di decomposizione. Visto che questi elementi sono assenti, si può affermare che il corpo abbia sì perso una parte dell’umidità corporea, ma che si sia congelato velocemente, protetto da una coltre di ghiaccio e di neve. Questa situazione particolare ha creato la mummificazione unica al mondo di Otzi, conservando l’umidità all’interno dei tessuti, spiegabile con la liofilizzazione e non corrispondente a una mummificazione a secco come vorrebbe Vanzetti.
La prova più rilevante a dimostrazione che l’umidità corporea è stata persa nel luogo di ritrovamento è la posizione del braccio sinistro e l’interruzione del flusso sanguigno, fuoriuscito dall’arteria recisa dalla freccia. Questo prova, indubbiamente, che il braccio si trovava nella stessa posizione al momento della morte, quando il sangue circolava ancora. Con l’attenuarsi della rigidità cadaverica il braccio poteva essere riposizionato lungo il corpo con facilità.
Invece, Vanzetti afferma che il cadavere sia stato inumato intatto sul ghiacciaio e che sia scivolato lungo il pendio durante lo scioglimento dei ghiacci, provocando la rotazione del braccio davanti al petto. Questo è impensabile se, come affermato dagli autori dell’articolo, l’Uomo venuto dal ghiaccio fosse morto e mummificato mesi prima. Infatti, il braccio irrigidito non sarebbe potuto essere spostato senza causare grandi danni all’arto stesso o alla spalla. Invece, tutte le articolazioni di Otzi sono nella giusta posizione anatomica. Per questo motivo, un trasferimento della mummia intatta sul ghiaccio è da escludere completamente.
Una sezione importante della teoria di Vanzetti è costituita anche dalle ricerche sui pollini di Otzi svolta dall’Università di Innsbruck. Tuttavia, ci sono alcune contraddizioni nel decorso temporale del sistema di inumazione da lui proposto. Un unico particolare: l’esame dei pollini su ghiacciaio disciolto non può essere usta come prova di inumazione autunnale perché se, come affermato dagli autori stessi, il sito del ritrovamento ha subito un disgelo, i pollini non occupano più la stratificazione originaria, ma sono mischiati con quelli degli strati più recenti.
Pertanto, la teoria e le argomentazione di Vanzetti e dei suoi collaboratori risultano poco convincenti sia dal punto di vista archeologico sia da quello naturalistico-scientifico.

Fonte: Archeorivista.


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