martedì 24 aprile 2012
La Fanciulla di Vagli
La fanciulla di Vagli e la regola del 50%
di Francesco Mallegni (Professore Ordinario di Antropologia -
Università di Pisa)
Si fa riferimento ad un catalogo consacrato ad una mostra aperta a Lucca nel settembre del 2011 intitolata “La Fanciulla di Vagli”; esso è dedicato a una sepoltura ligure-apuana scoperta soltanto nel 2008 (Ciampoltrini e Notini, 2011). Benché si tratti di un catalogo di mostra, cosa che di solito viene considerata ad interesse locale transitorio, se ne vuole fare un recensione perché il testo parla di reperti umani cremati. Questo tipo di vestigia è di notevolissima importanza nella bioarcheologia: esse sono spesso, dal punto di vista antropologico, i soli documenti di un certo modo di esprimere, in determinati periodi della preistoria e della storia, le credenze sull’aspetto ultimo della vita. Non bisogna poi dimenticare le problematiche che essi comportano negli studi di antropologia. Purtroppo molti di coloro che praticano la nostra disciplina e analizzano questo tipo di materiale si permettono a volte di cavalcare l’onda del “forse”, “verosimilmente si potrebbe pensare”, per concludere poi “è così!”, se non addirittura servirsi di (o asservirsi a) quello che ipotizzano gli archeologi sui corredi ed altri ritrovamenti che accompagnano i resti umani, giungendo così a conclusioni quanto meno criticabili. E’ il caso degli autori del catalogo in questione e del serpente che si morde la coda.
Iniziamo. E’ lodevole che in pochi anni si sia riusciti a passare dalla scoperta alla pubblicazione dei ritrovamenti e all’esposizione dei reperti in una sede prestigiosa come il Museo di Villa Guinigi a Lucca. Il titolo, del volume e della mostra, incuriosisce sia per l’evidente assonanza con l’opera pucciniana (da alcuni anni a Lucca sembra che esista soltanto Puccini e anche l’archeologia, a quanto pare, si sta adeguando), sia perché il problema della determinazione scheletrica del sesso rientra tra gli interessi scientifici degli antropologi. In particolare il mio desiderio di imparare mi spingeva a conoscere come fosse stato possibile riuscire nell'ardua impresa di determinare il sesso in un individuo immaturo e combusto. Un valente, compianto docente di Antropologia era solito chiudere la sua lezione dedicata alla determinazione osteologica del sesso negli individui immaturi con questa frase: “Dopo lunghi e approfonditi studi possiamo concludere che la probabilità di aver determinato correttamente il sesso di un immaturo si aggiri sul 50%, la stessa che potevamo raggiungere facendo a testa o croce”. Attualmente sui resti ossei inumati si può provare una determinazione di sesso tramite il loro DNA antico, ma nel presente caso i resti sono cremati e la cosa è impossibile perché il calore elevato distrugge completamente la parte organica. Per gli allievi del suddetto Maestro questo tipo di determinazione è sottoposto alla regola che essi chiamano del 50%: la probabilità che la determinazione del sesso di uno scheletro sia corretta deve essere superiore in modo statisticamente significativo al 50%, altrimenti tanto vale tirare la moneta.
Leggendo il catalogo della mostra le seguenti due frasi destano una particolare perplessità e inducono a una lettura più approfondita:
1)“L'evidenza delle dotazioni sepolcrali si combina con il fondamentale apporto dell'indagine antropologica sui resti combusti per tracciare l'identikit dell'adolescente ligure-apuana le cui ossa…”, pagina 51;
2)“Nei soggetti immaturi le caratteristiche sessuali morfologiche utili alla diagnosi del sesso non sono ancora pienamente espresse, in ogni caso, l'appartenenza al sesso femminile, basata sulla tipologia degli straordinari oggetti di corredo, è supportata dalle dimensioni relativamente piccole, dalla gracilità delle ossa e da un frammento di osso coxale di morfologia femminile”, pagina 70.
Riassumendo: il sesso femminile della Fanciulla si basa sulla “evidenza delle dotazioni sepolcrali” ed è sostenuta dall'analisi antropologica fondata, principalmente, “sulla tipologia degli straordinari oggetti di corredo”. E il gatto continua all'infinito a cercare di mordersi la coda. Cerchiamo di rompere la palese circolarità del ragionamento valutando gli argomenti, sia sul versante archeologico sia su quello antropologico, sui quali si basa la diagnosi sessuale della “Fanciulla di Vagli”.
L'articolo “La Fanciulla di Vagli. La tomba di un'adolescente ligure-apuana degli inizi del II secolo a.C.” comincia a pagina 51, si apre con la frase già citata e prosegue illustrando “L'evidenza delle dotazioni sepolcrali. ”Il contenitore cinerario e la coppa di copertura non sembrano dare indicazioni sul sesso del defunto, tra la suppellettile potoria, in particolare quella destinata al consumo del vino, troviamo una kilyx a vernice nera che, pagina 57, “…accomuna – almeno a partire dal pieno III secolo – tombe maschili e femminili. Il ‘guerriero’di Pulica e la signora ligure-apuana le cui ossa furono raccolte nel cinerario d’impasto riemerso a Castelvecchio Pascoli (fig. 9) condividevano questa pratica della vita quotidiana”. Ci sia permesso un breve inciso: ma chi l'ha detto che a Pulica era sepolto un guerriero e a Castelvecchio una signora? Quali sono gli studi antropologici che hanno permesso tali determinazioni sessuali? Se ci sono, non sono citati. Non saranno ancora determinazioni sicure (o insicure) al 50%? Continuiamo con la suppellettile potoria: il poculo per bere la birra è molto diffuso nelle sepolture liguri-apuane e perciò poco utile per la diagnosi del sesso. Ma veniamo, pagina 59, al nocciolo della questione: “Se la suppellettile potoria è comune, di massima, alle tombe maschili e femminili, le dotazioni sepolcrali non lasciano alcun dubbio sul sesso della defunta……”. Infatti, l'armilla “. si colloca in una tradizione documentata in area ligure già dal VII sec. a.C. - quando è peculiare delle sepolture maschili - ..”. Per le due spirali d'argento “…verosimilmente funzionali al ruolo di fermatrecce …”, pagina 60, notiamo, prima di tutto, che verosimile non vuol dire vero. Per esempio è del tutto verosimile, ma completamente falso, sostenere che il sole gira intorno alla terra. Inoltre se davvero quei manufatti erano fermatrecce potevano anche essere usati dagli uomini, come non è infrequente vedere oggi. Per gli anelli le indicazioni non sembrano decisive: un anello d'argento “…sembra un unicum nel mondo ligure-apuano…”; “Unicum pare sin qui anche l'anello aperto …”. Oggetti trovati un' unica volta lasciano più di un dubbio sul loro valore per la determinazione sessuale. “Per contro le collane di grani d'ambra sono tradizionalmente predilette dalle signore liguri-apuane..”, pagina 62. Su quali basi si fondi tale tradizione lo ignoriamo, quali studi antropologici dimostrino che le sepolture liguri-apuane contenenti grani d'ambra fossero sistematicamente, o in maggioranza, femminili non sappiamo. Il dato che ci dovrebbe convincere definitivamente della femminilità dello scheletro di Vagli sono gli oggetti di abbigliamento, ma purtroppo le fibule sono “Impiegate sia nell'abbigliamento maschile che in quello femminile…”, pagina 63. Chissà perché si conclude che si decise “…di seppellire con la defunta l'intero patrimonio familiare, sufficiente ad assicurare l'abbigliamento di almeno tre (se non anche quattro-cinque) ‘signore’”, pagina 64. Perché non quattro-cinque signori se le fibule possono essere indifferentemente maschili o femminili?
Le numerose borchie di bronzo farebbero parte di cinture femminili come “…risolutivamente dimostrato…” dal ritrovamento a Chiavari di una placca terminale di cintura che le conserva. La tomba di Chiavari risale al VII secolo a.C.: ci sia consentito dubitare fortemente che una sola tomba di circa 5 secoli più antica di quella di Vagli sia in grado di dimostrare che tutte le sepolture che contengono quel tipo di borchie sono femminili. Peraltro non sappiamo perché quella tomba di Chiavari sia femminile: è stato fatto uno studio antropologico sugli eventuali reperti osteologici umani che essa conteneva? Lo ignoriamo. Notiamo anche una piccola contraddizione interna: l'armilla, che nel VII sec. a.C. è peculiare delle sepolture maschili, diventa un indicatore femminile nel II sec. a.C., mentre le borchie, nello stesso intervallo di tempo, restano sempre femminili. E’ possibile, ma vorremmo capire su quali elementi si basano tali affermazioni.
I dati archeologici, dunque, si presentano piuttosto deboli nella determinazione del sesso femminile. Vediamo se, al contrario, i dati antropologici sono solidi, o almeno non altrettanto flebili. A pagina 67 leggiamo: “La diagnosi del sesso è stata effettuata, dove possibile, su base morfologica83, ed in base alle dimensioni ed allo spessore della corticale del cranio e della diafisi.”L’articolo citato in nota 83 è il classico, e un po’ datato, Ferembach et alii 1977-79. Un po’ datato, però, non vuol dire sbagliato. Infatti, dopo l'introduzione, l'articolo citato prosegue, pagina 7, con un paragrafo dl titolo “Determinazione del sesso su scheletri di adulti” dove dichiara “Le indicazioni date per le determinazione del sesso sono valide per gli adulti. Si può provare ad ottenere, sulla base degli stessi criteri, anche indicazioni sul sesso di adolescenti. Tuttavia non esistono ancora studi sulle differenze morfologiche dello scheletro di adolescenti e di fanciulli dei quali sia conosciuto il sesso”. Questi studi esistono oggi, ma non hanno contribuito a risolvere il problema della determinazione scheletrica del sesso sugli immaturi perché nel 2007 C.B. Ruff scrive a pagina 701: “… for mid- to late-adolescence, since (except potentially using DNA analysis) sex cannot be determined with accuracy from skeletal remains prior to this age (Saunders, 2000),”. Ulteriori ricerche, Cardoso e Saunders (2008), Vlak et al. (2008) per citarne soltanto due, non hanno portato a sostanziali progressi. Nello studio sulla Fanciulla di Vagli, a pagina 70, troviamo il passo precedentemente citato del quale riportiamo la parte che ci interessa in questo momento: “l'appartenenza al sesso femminile, basata sulla tipologia degli straordinari oggetti di corredo, è supportata dalle dimensioni relativamente piccole, dalla gracilità delle ossa e da un frammento di osso coxale di morfologia femminile”. Restando in ambito esclusivamente antropologico i caratteri femminili sarebbero tre: dimensioni relativamente piccole, gracilità delle ossa, frammento di osso coxale di morfologia femminile. Le dimensioni relativamente piccole lasciano perplessi per la scelta dell'avverbio. Relativamente rispetto a cosa? Se usato in senso generale, le ossa di un immaturo sono per forza relativamente piccole rispetto a quelle di un adulto, è un carattere legato all'età e non al sesso. Aggiungiamo che si tratta di ossa combuste che, per l’esposizione all'alta temperatura (500 -700 °C, secondo l’autrice), vanno incontro a una riduzione dimensionale che può raggiungere il 30% (cfr. Mays 1998). Anche le ossa combuste di un adulto sono relativamente piccole rispetto a quelle non combuste. Se relativamente fosse usato in senso proprio, intendendo che le ossa della Fanciulla di Vagli sono relativamente piccole rispetto a un campione ligure-apuano di immaturi combusti di sesso determinato su base morfologica certa, allora la diagnosi sessuale sarebbe fondata. Non è detto dove è stato pubblicato lo studio che contiene tali dati, almeno che non si voglia fare riferimento ad uno studio di qualche anno fa (Minozzi e Durante, 2006) in cui l’ autrice dello studio della Fanciulla di Vagli ricade nello stesso “peccato”, quello cioè di attribuire il sesso a resti cremati di fanciulli sulla base del corredo. Tutto questo piace sicuramente a certi “archeologi” che si sentono gratificati delle loro ricorrenti “elucubrazioni”; ma così non si va da nessuna parte, a meno che gli “antropologi” chiamati a queste perfomances non giustifichino il loro lavoro con la necessità di avere la pagnotta per il momento assicurata.
Ma continuiamo. L’ osservazione sulla gracilità delle ossa si espone alle stesse critiche delle dimensioni relativamente piccole. Le ossa degli immaturi sono sempre gracili rispetto a quelle di adulti della stessa popolazione, poiché si tratta ancora di un carattere legato all'età e non al sesso. Arriviamo dunque all’ultimo argomento e cioè al frammento di osso coxale di morfologia femminile. Quale sia il frammento e quale la sua morfologia femminile non è dato sapere. I pochi frammenti pubblicati nella figura 34 a pagina 69 non sembrano così decisivi. Se anche lo fossero, è chiaro che si è tentato di applicare a un immaturo i caratteri che secondo Ferembach et Alii 1977-79 “… sono valide per gli adulti …”. Purtroppo tra i caratteri morfologici citati (è qui che viene fuori l'aspetto datato del lavoro), ce ne sono diversi - la forma della cresta iliaca, della fossa iliaca, della spina ischiatica, del foro otturato - che fortunatamente nessun antropologo usa più, perché palesemente inconcludenti. Inoltre, anche usando un carattere che è sicuramente utilissimo per la determinazione del sesso negli adulti, la forma della grande incisura ischiatica si dovrebbe concludere, con Vlak et Al. 2008, che gli immaturi “…revealed only a marginal level of sexual dimorphism in greater sciatic notch morphology…”. La morfologia femminile di un ignoto frammento di osso coxale non sembra sufficiente a persuadere il lettore del sesso femminile della Fanciulla di Vagli.
Dalla lettura del catalogo della mostra, sembra che il sesso femminile della Fanciulla di Vagli si basi principalmente su due dati, le borchie ritrovate in supposte tombe femminili di circa 5 secoli precedenti, che costituiscono “L’evidenza delle dotazioni sepolcrali…” e la morfologia di un non meglio precisato frammento di osso coxale. Abbiamo visto che se la probabilità di determinare il sesso di uno scheletro non è parecchio superiore al 50%, è meglio lasciar perdere. L’attendibilità del sesso femminile nel cremato a Vagli, per quanto possiamo giudicare di dati pubblicati, si connota per l’appunto come un caso in cui sarebbe stato forse meglio applicare la regola del 50%.
A corollario di questa recensione al lavoro sulla “Fanciulla di Vagli”, a mio avviso piuttosto debole sotto il profilo della metodologia della ricerca paleoantropologica, non posso tacere di un caso - avvenuto anch’esso nel territorio di Lucca - che si commenta da solo. Al Frizzone di Capannori nel 2007 furono scavati con infinita pazienza e professionalità da Michelangelo Zecchini importantissimi resti scheletrici di alcuni bambini risalenti a 2150 anni fa. Giulio Ciampoltrini, responsabile della Soprintendenza per la zona di Lucca, li fece depositare nel magazzino archeologico del Cavanis di Porcari, dove sono rimasti per quattro anni senza che siano state adottate cure urgenti e pertinenti per questo tipo di materiale, molto fragile e sensibilissimo alle variazioni climatiche, se non altro per l’immaturità di quelle piccole ossa infantili. Nonostante gli appelli pubblici avanzati da me e da altri studiosi per non farli morire per sempre, e nonostante la mia dichiarata disponibilità a occuparmene subito e gratuitamente per salvare il salvabile (forse assai poco, essendo passato troppo tempo dal rinvenimento), delle condizioni e del destino di quegli scheletrini, che a tutti gli effetti sono beni culturali da tutelare ai sensi del D. Lgs. 42/2004, non si è saputo più nulla. Ci sarà qualche autorità (Ministro, Direttore generale per le Antichità, Direttore Regionale per i Beni Culturali, Soprintendente per i Beni Archeologici) che potrà fare chiarezza?
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