giovedì 17 febbraio 2011
Sea Peoples - La storia dei popoli del mare 5° e ultima parte
La nascita del nuovo mondo:
La studiosa Sacconi afferma che la fine del XIII a.C. è caratterizzata da una serie di avvenimenti che sconvolgono il quadro politico dell'Egitto, della costa siro-palestinese e dell'Anatolia, e le ripercussioni profonde colpirono anche la Grecia. Una delle distruzioni, attribuita ai Dori, è importante per i documenti che provengono dall'archivio di Pilo in Messenia. Il catalogo delle navi dell'Iliade mostra che Pilo era la seconda forza navale dopo Micene, ed era guidata da Nestore. Le tavolette in creta ci sono giunte in perfette condizioni grazie al fuoco che le ha cotte, arrivato sino all'archivio. Si legge di una macchina burocratica dello Stato che registra tutti i beni dello Wanax, racconta gli ultimi giorni di Pilo e manifesta l'angoscia per un imminente pericolo. La città, infatti, è la prima a cadere fra quelle dei regni micenei, seguita da Creta e Micene nel giro di cinquant'anni. Nelle tavolette si intuisce una situazione di emergenza che provoca la requisizione del bronzo dei templi per la fabbricazione di armi. È evidente una grande penuria di metalli poiché solo un terzo dei 270 fabbri presenti in Messenia è fornito di bronzo e in grado di produrre armi. Risulta evidente la completa interruzione delle rotte commerciali marittime. Sacconi descrive il contenuto delle tavolette chiamate O-ka (contingente militare) che raccontano la provenienza del pericolo. I cinque testi (An657,519,654,656,661) trattano della dislocazione, lungo la costa del regno di Pilo, di 10 contingenti di guardie costiere. Dimostrano l'intenzione del palazzo di edificare una serie di osservatori lungo i 150 km di litorale per sorvegliare gli spostamenti delle truppe nemiche. Ogni contingente conta cinque generali, 80 uomini e alcuni ufficiali di collegamento fra le guardie costiere e il palazzo. In quei tempi fu costruito anche un forte bastione difensivo sullo stretto di Corinto. È evidente che il nemico proveniva dal mare, quindi i Dori, ritenuti responsabili degli attacchi, possedevano una flotta potente. Tucidide afferma che gli abitanti della Grecia continentale prima di popolarla erano anch'essi pirati, appartenenti ai popoli del mare, e anche dopo secoli mostravano con fierezza quegli usi e costumi forgiati sul mare. Anche nel poema omerico si chiede ad Ulisse se sia un pirata di Creta, ma la frase non è pronunciata in senso dispregiativo. Molti studiosi affermano che i Dori erano differenziati in tre tribù, e alcuni di loro solcavano i mari prima della migrazione definitiva. Lo testimonia Omero nell'Odissea quando elenca le 5 lingue parlate a Creta: acheo, eteocretese, cidonio, dorico e pelasgico. Nell'Iliade è testimoniato che Rodi (con Tlepolemo) e l'isola di Cos (con altri eraclidi) erano state già dorizzate in epoca micenea. Si arriva così all'ultimo atto delle isole del Grande Verde e dell'Haou-Nebout quando la migrazione totale e definitiva è stata accuratamente predisposta. Gli Haou-Nebout conoscevano perfettamente il Mediterraneo e progettarono una manovra a tenaglia per schiacciare l'Egitto. Il mondo austero e severo dei principi guerrieri, all'apice di una piramide di tipo feudale che ha caratterizzato oltre cinque secoli di storia, viene cancellato e sostituito da confederazioni di libere poleis. I popoli del mare possiedono un atteggiamento di tipo federalista: dalla pentapoli filistea alla dodecapoli etrusca, alla confederazione delle città lice e sarde, alle poleis greche, si tratta di un modello non casuale che dall'Haou-Nebout si propaga, cambiando definitivamente il corso della storia.
Nelle iscrizioni del tempio di Medinet-Habu si legge: "i paesi stranieri ordirono un complotto nelle loro isole, e la guerra si diffuse in tutti paesi e li sconvolse, e nessuno poté resistere alle loro armi, a incominciare da Khatti, Kode, Danu e Weshesh". Gli egizi non lasciano dubbi: è nelle isole che è stata ideata e progettata l'invasione grazie alla perfetta conoscenza sia della geografia dei luoghi che delle forze in campo. A differenza degli Hyksos che 500 anni prima strariparono nel Delta, Ramesse III arginò l'avanzata terrestre e colse una vittoria navale all'interno delle bocche del Nilo. Le navi nemiche penetrarono un braccio del grande fiume, ma le profonde chiglie adatte alla navigazione in alto mare limitarono la capacità di manovra a causa dei bassi fondali. Ramesse III aveva disposto numerosi arcieri sulle rive e arpionò le navi nemiche con funi immobilizzanti. Un gruppo di manovrabili imbarcazioni egizie ebbe la meglio, e questa trappola consentì al faraone di catturare i nemici e disperdere nel mare le armi.
Una riflessione è indispensabile: come è possibile che le isole dell'Egeo avessero potuto scatenare un tale spropositato evento? Non possiamo dimenticare che tempo prima tutti i più grandi potentati micenei, compresa Creta, non erano riusciti in 10 anni a piegare la resistenza di una sola città se non con l'astuzia di Ulisse. I riscontri archeologici confermano una scia di distruzione ma gli storici, che minimizzano il fenomeno dei popoli del mare, parlano di crisi politico-sociali, con rivolte interne e disgregazione degli stati. Questa è ad esempio la teoria di Gardiner sugli Ittiti. Ma non si può pretendere che fenomeni di crisi interna siano dilagati ovunque. Gli eserciti Ittiti di Arzawa, Karkemish e altri, per quanto affamati e ridotti nei ranghi, dovevano sempre rappresentare una macchina bellica la cui forza non poteva essere annientata da bande di pirati e razziatori. L'intera civiltà mediterranea fu completamente ridisegnata. Sarà anche una profonda rivoluzione di contenuti, col nuovo mondo nascerà l'alfabeto che utilizziamo e che permetterà all'accesso alla scrittura facendo crollare il mondo degli scribi, così esclusivo ed elitario. È un intero sistema che si dissolve, ed inizia l'ultima era dell'uomo: quella del Ferro.
I filistei
Ciò che conosciamo sui filistei è dovuto in gran parte alla ricerca del professor Garbini del 1997. La fonte principale delle notizie su questo popolo è la Bibbia che nel passo del profeta Amos dell'VIII a.C. recita: "non ho forse fatto uscire Israele dalla terra d'Egitto, i filistei da Kaftor e gli aramei da Qir?". Più sfumato è il testo di Geremia sulle origini filistee: il testo ebraico parla di "superstiti dell'isola di Kaftor", mentre quello greco recita "superstiti delle isole". Questa conferma biblica lascia ben comprendere l'entità del disastro che i testi egizi raccontano essersi abbattuto sull'Haou-Nebout. Mentre Creta dall’epoca dello stanziamento dei micenei aveva goduto di un'ottima salute, interrompendosi solo con la sovrapposizione dorica, la Bibbia ci conferma esplicitamente dei disastri delle isole Haou-Nebout. Secondo Garbini, dai testi più antichi dipende l'affermazione del Deuteronomio secondo cui “la regione da Gaza verso oriente era stata conquistata dai Kaftoriti usciti da Kaftor”. Dato che questa area era abitata dai filistei, continua Garbini, non vi è dubbio che a questi ci si volesse riferire. Il forte legame culturale con Creta, confermato anche dalla Bibbia, lascia supporre un radicamento dei filistei in tale isola, difficilmente compatibile con una permanenza provvisoria di pochi decenni. Ma ci si potrebbe chiedere come mai gli archeologi non abbiano trovato a Creta tracce dell'antica presenza filistea. La tradizione asserisce che furono i Dori a portare il ferro, ma la relazione di Garbini sullo strapotere bellico dei filistei si basa sul possesso del ferro: “dal punto di vista militare fu il carro da guerra la più importante acquisizione dei filistei in Palestina”. Resi ancora più temibili dagli accessori in ferro che i filistei vi introdussero, doveva trattarsi di un'arma terribile, specie per i poco equipaggiati israeliti se al tempo di Saul quelli che dovevano essere poche decine di carri apparvero a costoro come se fossero 30.000 (Samuele13.5) e se nell'insperata vittoria ottenuta presso Medio fu visto il diretto intervento di Dio, che fece straripare un torrente rendendo impossibili le manovre dei carri stessi (Giudici 5,21). Resta sottinteso che l'impiego di carri era limitato alle zone pianeggianti, e questo spiega come mai i filistei restarono sempre padroni della pianura costiera palestinese. Il 1200 a.C. segna per gli archeologi il passaggio al Ferro, ma questo metallo era già conosciuto in precedenza, introdotto nel vicino oriente probabilmente dai popoli del mare, visto che nella Bibbia c'è un passo che si riferisce al tempo di Saul (X a.C.) che recita: "in tutta la terra di Israele non si trovava un fabbro perché, dicevano i filistei, gli ebrei non si fabbricassero spada o lancia. Tutti gli israeliti dovevano recarsi dai filistei per affilare chi l'aratro o l’ascia o la zappa o la falce" (Samuele 13, 19-21). Se gli ebrei non erano in grado di fare il filo a una zappa, è evidente che non erano tecnicamente capaci di lavorare il ferro. I filistei, possessori delle nuove potenti armi, potevano facilmente dominare il paese. È proprio la mancanza del ferro da parte degli israeliti che viene sottolineata nel Cantico di Debora (Giudici 5), che celebra la vittoria sui carri filistei. I primi esemplari di questo metallo furono rinvenuti nell'area di insediamento filisteo oggi chiamato Beth-Shean, Tel Gemme, e risalgono al XI a.C. In Geremia 15,12 si parla di "ferro di settentrione che nulla può spezzare", e si asserisce che il costo pagato al fabbro filisteo per affilare una scure corrispondeva al valore di una pecora. Il ferro dunque era monopolio sia dei filistei che dei Dori, entrambi esponenti dei popoli del mare. I filistei parlavano una lingua indoeuropea strettamente imparentata al greco, e il credo religioso filisteo, come si può leggere nelle righe di Tell Miqne, si rivolgeva a divinità equivalenti sia al mondo greco che a quello semita, nonché a quello egizio, con quel concetto di assoluto sincretismo religioso per cui non era importante il nome della divinità, ma i suoi attributi. La religione si fondava su una triade divina con una presenza femminile che ereditava gli aspetti cultuali direttamente dalla dea madre, mentre Dagon, la divinità principale (da Flavio equiparato ad Apollo), percorre come Osiride la via dell'aldilà per poi arrivare alla resurrezione. Ciò è condiviso da molte divinità semitiche come ad esempio il Melkart di Tiro. Questa trinità è completata dalla figura tipica di Baal, che a Ekron (Tell Miqne, una delle cinque città della pentapoli filistea) acquisisce il nome di Baal-Zebul che significa "Signore della dimora", ossia l'aldilà. L'odio degli ebrei nei confronti della religione filistea lo fece divenire il noto Belzebù. Le arti magico divinatorie possedute dai sacerdoti di Dagon e Baal-Zebul esercitarono un potere enorme sugli ebrei, e la Bibbia ci racconta che lo stesso re del regno di Giuda mandò a richiedere responsi oracolari alle divinità filistee. Un altro dei popoli del mare che eccelleva nella magia e nella teurgia era quello dei Tursha, gli etruschi. Non va dimenticato che dalla fondazione di Roma a quando rimasero in vita, le ultime famiglie etrusche furono le sole a Roma a stabilire le leggi e i rituali del culto, osservati con assoluto rispetto ed estremo rigore. Anche l'arcano mondo etrusco in cui la figura dell'Aruspice troneggiava sulla figura stessa del Lucumone, derivava, insieme alla superba arte divinatoria filistea, dall'Haou-Nebout, dalle isole del Grande Verde. Alcuni classici affermavano che Dagon era l'equivalente dello Zeus nato a Creta, divinità dei Keftiou, oggetto di culti misteriosi nelle grotte del Monte Ida, dotato della peculiarità di essere un Dio che muore. Erodoto sostiene che il tempio più famoso di Afrodite nel Mediterraneo, a Pafo nell'isola di Cipro, era stato fondato dai filistei di Ascalona, e gli stessi avrebbero fondato l'altrettanto famoso tempio a lei dedicato sull'isola di Citera, di fronte al Peloponneso. Due posizioni particolarmente strategiche per traffici e commerci, che conferirono la massima notorietà, e due santuari che divennero patrimonio di tutto il mondo greco, antesignani di quei templi dedicati a Ercole-Melkart che i cosiddetti Fenici distribuirono in tutto il Mediterraneo. Queste notizie fanno comprendere di quale libertà di movimento e di insediamento godevano i filistei, un dominio marittimo che implicava una condizione di potere consolidato e in grado di realizzare grandi opere, anche molto lontani geograficamente dal loro insediamento palestinese. Il repertorio figurativo è indicativo di un identico credo religioso nell'aldilà e nello stesso concetto di vita e resurrezione del mondo egizio: scarabei, dischi solari alati, sfingi, il simbolo ank, falchi, serpenti, scimmie e figure di divinità completamente sovrapponibili alle immagini egizie, per terminare con i sarcofagi antropomorfi di terracotta dove la figura è rappresentata nell'identica postura di quella egizia. L'idea che i filistei abbiano derivato le loro concezioni escatologiche dal contatto con l'Egitto, durante l'invasione di Ramesse III, è errata in quanto non esiste esempio storico dove due nemici che si affrontano in battaglia siano poi disposti a modificare il proprio mondo religioso. Non dimentichiamo, inoltre, che si tratta di un popolo arrogante e bellicoso tanto da indurre, sostiene Garbini, altri popoli del mare come i Dani e i Tjekker ad allearsi e ad entrare nel contesto delle tribù d'Israele, tradizionali nemici dei filistei. La spiegazione del fatto che i filistei adottavano culti egittizzanti è che l'Haou-Nebout fu la loro patria originaria. È il luogo dove si svolge la stessa scena del mito egizio e dove dominano gli stessi dei dell'Egitto, vi si pratica l'imbalsamazione, l'arte magica e quella medica: è il regno di Seth.
Nella foto in alto un bassorilievo scolpito nel tempio di Medinet Habu
Nell'immagine in basso il bronzetto di Decimoputzu.
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