lunedì 28 febbraio 2011
Velia, la città dimenticata
Velia (Sa), colonia greca
di Saverio Malatesta
Per chi opera nel settore dei beni culturali, l’emergenza è la regola, non l’eccezione. Il clamore sensazionalistico provocato dai crolli nel sito di Pompei, infatti, ha sorpreso solo i non addetti, come ad esempio i giornalisti ed i politici. I primi, in una società spettacolarizzata, ricercano l’effetto sorpresa, la notizia ad effetto, l’evento che spiazza; i secondi da tempo hanno preferito ignorare il territorio che, costituzionalmente, dovrebbero difendere e proteggere: che regni una certa trascuratezza da parte delle istituzioni, però, è innegabilmente vero, ed a decretarlo sono i fatti, non vane accuse letterarie o fantasie di una fazione.
Dinanzi alla desolante verità di un edificio romano, resistito ad un’eruzione vulcanica, che crolla per incuria, non si è avuta un’autocritica da parte di chi nel frattempo aveva avuto il potere ed i mezzi per intervenire con decisione, o, quantomeno, per avviare una serie di interventi dilazionati nel tempo; con fare molto italico, si è giocato al rimpallo delle responsabilità finché il polverone, tanto delle macerie, quanto mediatico, si è attenuato. E qui era in ballo Pompei, sito unico nel suo genere nel mondo, uno dei simboli dell’Italia: per un momento, i riflettori hanno illuminato di sfuggita uno dei problemi più gravi che attanagliano quello che una volta era il Belpaese.
Non si tratta della classe politica che lo governa o che lo ha governato: affermare questo, vorrebbe dire scambiare gli effetti per le cause. No, non è la politica, o la scarsa informazione in proposito sui mass media, è la mancanza di sdegno da parte di noi cittadini italiani, ormai senza più orgoglio: sembra che del nostro Paese non ci importi più nulla, vagamente o decisamente rassegnati ai diffusissimi adagi del “tanto è sempre stato così”, “nulla può cambiare”, e via dicendo. L’alzata di spalle sembra esser divenuto lo sport nazionale. Non una voce comune si è levata all’affermazione di un ministro che “con la cultura non si mangia”: sembra persino superfluo commentare una così chiara idiozia, trattandosi il nostro di un paese a spiccata vocazione turistica, volendo rimanere terra terra. Ma, al di là dei soliti intellettuali, non uno che abbia urlato: “Cosa?!?”
Prima che di finanziamenti, che sono essenziali per la salvaguardia, la protezione e la tutela della nostra ricchezza culturale, e che, adeguatamente investiti, garantiscono un ritorno grandemente maggiorato, è emergenza mentale. Nella coscienza civile di ogni cittadino dovrebbe trovarsi geneticamente l’amore per il proprio patrimonio storico, nel senso più vasto del termine, perché preservare il passato vuol dire progettare meglio il futuro. Invece l’Istituto Centrale per il Restauro è sotto sfratto (magari fosse una barzelletta), le biblioteche sono costrette ad aperture a singhiozzo, bellissimi paesaggi vengono profanati selvaggiamente dal cemento, aree archeologiche si sbriciolano: tutto ciò avviene perché i soldi vengono deviati su iniziative labili e sciocche, prive di qualunque lungimiranza, mentre noi permettiamo, con il nostro silenzio e con la nostra inerzia, che questo scempio avvenga continuamente, consentendo che il nostro passato svanisca in nome di un tornaconto immediato e suicida.
Quindi, perché narrare dell’ennesimo sito che versa in condizioni di abbandono? Perché dire che nella patria di filosofi di importanza cruciale per la cultura occidentale mancano i soldi per riaprire al pubblico l’unico esempio di arco greco, straordinaria testimonianza di sistemazione urbanistica, di tutta la Magna Grecia, chiuso da ben tre anni per uno smottamento? E che nel luogo dove si sviluppò una delle scuole mediche più importanti della nostra penisola, tradizione poi trasferitasi a Salerno dove continuò a prosperare per secoli, poco ci manca che uno dei pozzi sacri, posto in una delle vie principali del sito, diventi, iperbolicamente, un focolaio di malaria, mancandone del tutto la manutenzione? Per chi lavora o ha interesse nel settore, ognuno di questi interrogativi comporta un spasimo acuto, quasi una fitta da infarto: è l’impotenza derivante dall’impossibilità di agire, mancando la pecunia, ma è soprattutto la dolorosa amarezza del silenzio che avvolge questa lentissima, quanto costante agonia del nostro Paese. Se di Pompei si è parlato per meno di un mese; se i restauri del Colosseo, affidati ad imprese edili e non a ditte specializzate, non hanno suscitato sdegno alcuno; se il crollo di un tratto dell’acquedotto a Tivoli ha meritato solo un trafiletto in decima pagina del giornale locale, ovviamente dopo le notizie sportive; a chi importerà delle frane a Velia, colonia greca notevolissima, ennesimo emblema di un’Italia in disfacimento?
Nella foto: Porta Rosa, Velia (cortesia sito Soprintendenza di Salerno ed Avellino).
domenica 27 febbraio 2011
Egitto, restituita la statua di Akhenaten
Aggiornamento sullo stato delle antichità.
Ieri Zahi Hawass ha reso pubblico che la statua calcarea del re Akhenaten, il padre di Tutankhamun, è stata restituita al Museo Egizio del Cairo. Questa statua unica, che risale al periodo Amarna (dal 1353 al 1336 a.C. circa) è alta 37 centimetri e raffigura il re in posizione eretta, mentre indossa una corona di colore blu e regge tra le mani protese un vassoio di offerte. La statuina è realizzata in calcare dipinto, e poggia su una base di alabastro egiziano.
Hawass è stato informato che un ragazzo di circa sedici anni, uno dei dimostranti di Piazza Tahrir, ha trovato la statua di Akhenaten vicino al muro sud della cinta del museo, e l’ha portata a casa. La famiglia del ragazzo ha immediatamente chiamato il Ministero di Stato per le Antichità per organizzare la restituzione della statuetta al museo. La scorsa notte, presso la stazione di polizia Turistica e per le Antichità dell’Opera House del Cairo, un comitato archeologico guidato dal Dr. Youssef Khalifa, Direttore del Dipartimento di Antichità Rubate del Ministero, ha preso in consegna la statua e ha confermato la sua autenticità.
La statua era intera e per niente danneggiata, tranne che per il vassoio di offerte che era mancante e che era già stato ritrovato separatamente dentro al Museo Egizio. Il Dr. Tarek El-Awady, Direttore Generale del Museo Egizio del Cairo, ha dichiarato che entrambi i pezzi si trovano attualmente nel laboratorio di restauro per essere sottoposti a una piccola opera di restauro prima di ritornare al loro posto nelle gallerie Amarna.
Tra gli oggetti del museo riportati come mancanti fino ad oggi, questa restituzione porta il numero dei mancanti all’appello a tre:
· il cuore scarabeo di Yuya
· una shabti di Yuya
· la statua della dea Menkaret mentre porta tra le braccia Tutankhamun
In ogni modo Hawass ha ordinato ai relativi incaricati di effettuare un attento inventario di tutta la collezione. Manderà aggiornamenti in corso d’opera, che saranno poi confermati dal report finale di chiusura lavori. Siti archeologici egiziani verso la riapertura Dopo una riunione con altri membri del Ministero di Stato per le Antichità e della Polizia Turistica e per le Antichità indetta per discutere delle misure di sicurezza da adottare, si è giunti alla conclusione che tutti i siti faraonici, copti, islamici e moderni saranno riaperti al pubblico sabato 20 febbraio 2011. Hawass spera che turisti da tutto il mondo presto torneranno a visitare le meraviglie del bellissimo paese. Irruzioni in siti archeologici Hawaas si è detto molto dispiaciuto nel riportare che parecchi reperti archeologici molto importanti sono stati oggetto di atti di vandalismo. Dopo che è stato eseguito l’inventario preliminare, il Dr. Sabri Aziz, Capo del Settore Faraonico del Ministero di Stato per le Antichità ha riportato i seguenti incidenti:
A Saqqara si è verificata l’irruzione nella tomba di Hetepka e la finta porta potrebbe essere stata rubata, insieme ad altri oggetti custoditi nella tomba. Hawass ha organizzato una visita alla tomba col comitato al completo per mettere a confronto il risultato dei danni con immagini scattate in precedenza.
Ad Abusir, una parte della finta porta è stata rubata dalla tomba di Rahotep. In più, sono state confermate irruzioni in un buon numero di depositi, tra cui alcuni a Saqqara, uno vicino alla piramide di Teti e quello dell’Università del Cairo. E’ stato organizzato un comitato per preparare le relazioni e per determinare quanto e cosa manca da questi depositi.
L’Esercito Egiziano ha catturato e dei ladri che cercavano di irrompere nel sito archeologico di Tell el Basta e altri criminali che cercavano di irrompere in una tomba a Lisht. Sono anche stati riportati numerosi attacchi a diversi siti archeologici come costruzioni di case abusive e scavi illegali.
Fonte: redazione di archeorivista.
sabato 26 febbraio 2011
Ötzi è vivo!
Ötzi torna in vita, ecco com'era l'uomo
venuto dal ghiaccio 5000 anni fa
di Marina Conti
Ecco in anteprima esclusiva il volto ricostruito di Ötzi, la mummia trovata tra i ghiacci dell'Alto Adige e conservata nel Museo Archeologico di Bolzano. Sarà possibile ammirare la ricostruzione dell'uomo del Similaun in una mostra dal primo marzo.
Nell'anno del ventesimo anniversario della sua scoperta, l'uomo del Similaun vissuto oltre 5.000 anni fa e morto sulle gelide alture della Val Senales cambia volto. Eccolo in anteprima nell'immagine in esclusiva, che i visitatori di una mostra al Museo Archeologico di Bolzano potranno vedere dal primo marzo.
Avreste mai pensato a Ötzi se aveste incontrato questo signore durante un'escursione sulle montagne dell'Alto Adige? Ha corporatura media, è snello, ma muscoloso. Ha il viso affilato, barba e capelli da montanaro, occhi castani e guance incavate. Potrebbe essere un pastore o un contadino che ha trascorso l'estate in montagna. Appare più vecchio e stanco di quanto ipotizzato fino a qualche tempo fa, e sembra malato.
Non immaginereste certo che quest'uomo riposa nel Museo Archeologico di Bolzano dal 1998. Eppure colui che vedete in questa immagine è l'uomo dell'Età del Rame, mummificato in un lungo sonno glaciale, scoperto casualmente il 19 settembre 1991.
"Questa rappresentazione di Ötzi, fedele e toccante al tempo stesso, affascinerà ed emozionerà tutto il mondo", dichiara con soddisfazione la direttrice del museo Angelika Fleckinger, "poiché dona un volto alla nostra storia, nel vero senso della parola".
Gli artefici della ricostruzione del volto e del corpo di Oetzi sono i gemelli olandesi Adrie e Alfons Kennis, tra i maggiori specialisti in ricostruzioni paleontologiche: si sono basati su immagini radiografiche e tomografiche della mummia e sui più recenti dati scientifici,che hanno consentito loro di dare a Oetzi un aspetto diverso da quello ipotizzato finora, per esempio per il colore degli occhi. Fondamentale per la ricostruzione una replica tridimensionale del cranio, realizzata sulla base dei dati delle ultime tomografie computerizzate.
"20 anni fa il ritrovamento di Ötzi ha emozionato l’umanità intera, con la sua morte misteriosa, le conoscenze uniche sulla sua vita e sul suo mondo", dichiara Erwin Brunner, caporedattore di National Geographic Germania. "Adesso possiamo finalmente guardarlo negli occhi e constatare con stupore che è veramente uno di noi!"
Dal 1 marzo sarà possibile vederlo al Museo archeologico di Bolzano nella mostra "Ötzi 20: la mummia tra scienza, culto e mito".
Dal 25 febbraio è disponibile in libreria il volume ufficiale dedicato alla mostra temporanea "Ötzi 2.0 – Una mummia tra scienza e mito", pubblicato in tedesco dalla casa editrice Theiss Verlag (Stoccarda) e edito per l’Italia da Folio Editore (Vienna/Bolzano), in tedesco e in italiano.
Gli studi sull'"uomo venuto dal ghiaccio" si sono succeduti nel corso degli anni. Oggi sappiamo molte cose su Otzi: era originario dell'Alto Adige, aveva una corporatura atletica ed è probabilmente morto in battaglia.
Per determinare il suo status sociale, è stato determinante anche l'analisi gli oggetti ritrovati con la mummia. L’ascia di rame che egli aveva con sé svolge un ruolo determinante a tal proposito. Nell'età del rame questi segni erano veri e propri staus symbol per capi o guerrieri, o servivano comunque a indicare personalità rilevanti all'interno della comunità
Era il 19 settembre del 1991, quando sulle Alpi Venoste, in Alto Adige, Erika ed Helmut Simon, due turisti di Norimberga si imbatterono nel corpo di un uomo ibernato. Il corpo di Otzi fu recuperato tre giorni dopo da una squadra di soccorso austriaca.
Il luogo del ritrovamento dell’Uomo venuto dal ghiaccio si trova a 3210 m s.l.m. nei pressi del sentiero che dal rifugio Similaun porta al Giogo di Tisa.
Una straordinaria finestra sul passato: Ötzi è una sorgente di informazioni preziose sulla vita dell'uomo nella preistoria e ha offerto negli anni importanti contributi a discipline quali la medicina e la paleontologia. La comprensione delle sue peculiarità, ha inoltre fornito uno stimolo importante a un approccio di ricerca multidisciplinare.
L'ultima novità nel campo della ricerca su Ötzi, arriva da un approccio disciplinare capace di coniugare genetica e informatica. Un team di studiosi è riuscito infatti a mappare il suo patrimonio genetico, aprendo la strada a nuovi filoni di ricerca e dando impulso a nuove teorie per comprenderne le origini. Decisivo a tal proposito l'incontro di l'incontro del duo formato da Albert Zink e Carsten Pusch, rispettivamente direttore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Accademia Europea di Bolzano (EURAC) e membro dell’Istituto di genetica umana dell’Università di Tubinga, con il bioinformatico Andreas Keller.
La mostra si compone anche di numerose installazioni e si avvale delle più moderne tecnologie. L’esposizione presenta diverse riproduzioni di oggetti e indumenti appartenuti a questa figura. Il mezzo scelto per entrare in contatto con l' "Uomo venuto dai ghiacci" è quello dell'interattività. La presenza di pannelli interattivi legati ai molteplici aspetti della storia e della vita di Otzi, rappresenta un ulteriore mezzo per scoprire importanti aspetti della quotidianità dell'"Uomo venuto dai ghiacci".
In occasione dei venti anni dalla scoperta, dal 1° marzo 2011 al 15 gennaio 2012, il Museo Archeologico di Bolzano sarà dedicato interamente all'Uomo venuto dal ghiaccio, ospitando la mostra temporanea Ötzi. L'inaugurazione della mostra è prevista per lunedì 28 febbraio 2011. Per maggiori informazioni si può consultare il sito del museo.
Fonte: www.iceman.it
venerdì 25 febbraio 2011
Grecia, "Altare degli Dei".
Atene. Riscoperto l’Altare dei Dodici Dei
di Saverio Giulio Malatesta
È recentissima la notizia del rinvenimento del celebre Altare dei Dodici Dei, monumento voluto nell’antica Atene dalla dinastia tirannica dei Pisistratidi: dedicato nel 522-521 a.C., consisteva in un recinto delimitante un’area sacra all’interno dell’Agorà, al centro del quale vi era un imponente altare dedicato a tutte le divinità del pantheon ateniese. Era tanto importante che a partire da esso venivano calcolate le distanze con le altre città, così come, in epoca romana, il miliarium aureum indicava, nel Foro Romano, il punto zero da cui si dipartivano le strade dell’Impero. Entrambi le opere sono giunte sino a noi frammentarie: il miliario a causa dei danni del tempo, l’altare perché seppellito per la gran parte sotto una ferrovia moderna.
È stato proprio in occasione dei lavori alla rete ferroviaria da parte della ISAP, la locale società che gestisce i trasporti, durante il rinnovamento della vetusta linea Pireo-Kifissias, a consentire il rinvenimento, tra i moderni quartieri di Thisseio e Monastiraki, lì dove in antico si estendeva l’Agorà, del rilevante monumento: la scoperta dell’Altare potrebbe, a detta degli archeologi greci, addirittura cambiare la topografia dell’antica Atene per come noi la conosciamo.
La ferrovia venne costruita sul finire dell’Ottocento, quando ancora non si conosceva l’estensione dell’Agorà né si aveva idea di cosa potesse esservi; fu solo nel 1934 che la Scuola Americana rinvenne, a ridosso del terrapieno ferroviario, alcune vestigia – tuttora visibili, anche se seminascoste data la posizione – identificate grazie all’iscrizione rinvenuta sulla base di una statua scolpita da tal Glaukos, su committenza dell’aristocratico Leagros, in “onore degli dodici dei”.
“La valenza dell’Altare, da un punto di vista archeologico, riguardo la storia dell’Agorà, unita a nuove evidenze emerse dagli scavi, è palese per gli scienziati” ha commentato Angelos Matthaiou, Segretario della Società Epigrafica Ellenica, per poi aggiungere che “tutti i nuovi ritrovamenti non sono stati ancora compresi appieno, e ciò non può avvenire in breve tempo […] necessita di più studi, non solo per capire la storia dell’altare stesso, ma anche per intendere la storia dell’Agorà nel suo periodo più antico”. Ma è proprio il tempo a mancare: l’ISAP non è intenzionata a sospendere i lavori, anzi preme affinché possano essere conclusi nel più breve tempo possibile, dato l’enorme afflusso di pendolari che interessa quella tratta ferroviaria. È l’eterno dilemma che interessa i siti urbani cresciuti senza soluzione di continuità, esattamente come Roma, alle prese con la costruzione, problematica e difficoltosa, della terza linea metropolitana, che proprio il centro più antico della città va ad intaccare. Il compromesso, necessario ed indispensabile – purtroppo o a ragione – tra antico e moderno, infatti, costa tempo e denaro, soprattutto in spese di riprogettazione: e l’Isap, società pubblica di uno stato che sta attraversando una terribile crisi economica, potrebbe non avere sufficienti fondi.
“Abbiamo un dovere verso noi stessi, verso i nostri figli, verso il resto del mondo e soprattutto verso la civiltà occidentale nel suo senso più vasto, le cui radici affondano qui” ha affermato l’archeologo Androniki Makri, spalleggiato da Matthaiou che rincalza “equivarrebbe ad ammettere, in quanto società, che non siamo stati in grado di compiere il nostro dovere, che abbiamo permesso ad altri di imporre il modo di gestire il nostro lascito degli Antichi, abbandonandolo a chi ha comprato consensi con la promessa di un ritorno materiale”.
Vedremo come andrà a finire.
Nell'immagine: i resti attualmente visibili dell’Altare dei Dodici Dei
Fonte: Archeorivista.
giovedì 24 febbraio 2011
Antichi Itinerari e rotte marine
Dall’Anatolia all’Etruria e da Spina a Pisa
di Giuseppe Sgubbi
Un gruppo di studiosi toscani guidati dal professore Gianfranco Bracci hanno fatto le dovute ricerche nell’ intento di individuare il percorso di due antichissimi tragitti: uno marino (dall’Anatolia all’Etruria) e l’altro terrestre (da Spina a Pisa). Grazie ad un qualificato e giusto riscontro giornalistico, il frutto delle loro scoperte è stato fatto conoscere anche al grande pubblico. Vediamo questi tragitti.
Tragitto marino:
VIA DEL FERRO, DALL’ANATOLIA ALL’ETRURIA.
Si tratta di un tragitto datato al XII a.C, che sarebbe stato usato per la . prima volta dagli etruschi nell’intento di emigrare verso occidente, alla ricerca di metalli. Il percorso sarebbe: partenza dalla città turca di Badrum, poi con una navigazione di piccolo cabotaggio, coste greche, pugliesi, calabre siciliane, sarde, corse, approdo in Toscana nei pressi di Pisa.
Tragitto terrestre:
STRADA ETRUSCA DEI DUE MARI.
Si tratta di un tragitto datato al IV secolo a.C, ricordato nel Periplo del Mediterraneo del portolano greco Scilace di Carianda, questi, nel corso della descrizione delle spiagge romagnole, in via del tutto eccezionale,cita una direttrice terrestre che da Spina in Adriatico raggiungeva Pisa nel Tirreno. Si tratta della strada extraurbana più antica dell’Europa. Per gli studiosi toscani il tragitto sarebbe: Pisa, Poggio Castiglioni, Monterenzio, Marzabotto, Bologna, Campotto, Spina.
Come si può vedere, si tratta di due tragitti, ma essendo collegati, formavano una unica direttrice, che dalla Turchia arrivava in Romagna.
I temi trattati sono affascinanti ed interessantissimi, infatti sollevano problemi storici non ancora definitivamente irrisolti: migrazione dei popoli, compresa la provenienza degli etruschi, antiche vie dei commerci, ecc.
Considerato che da tempo mi interesso di questi temi, al riguardo ho gia dato alle stampe diversi lavori a riguardo, intendo portare un mio modesto contributo.
Premetto anzitutto che le mie ipotesi divergono molto da quelle formulate dagli studiosi toscani, divergenze scaturite da una diversa questione di fondo: per i toscani i primi popoli arrivati in Italia sarebbero arrivati grazie ad una rotta tirrenica, a mio modesto parere invece sarebbero arrivati grazie ad una rotta adriatica. Conseguentemente, pur accettando la partenza dalla Anatolia, il punto terminale sarebbe Pisa e non Spina, cioè Anatolia, Spina, Pisa, e non Anatolia, Pisa, Spina. La differenza, in apparenza formale è invece sostanziale, le motivazioni si potranno trovare nella apposita appendice.
Da questa diversa questione di fondo, scaturiscono visioni storiche che possono mettere in discussione conoscenze della storia italiana credute inconfutabili.
Venendo al tema: considerando Spina tappa intermedia, perciò punto di partenza per la via dei due mari, il tragitto designato dagli studiosi toscani . almeno per quanto riguarda il tratto dai piedi degli Appennini a Spina, deve essere a mio parere rivisto, ed è proprio quello che mi accingo a fare, anzi mi limito a toccare solo questo punto, tutte le altre problematiche saranno trattate in un mio prossimo lavoro che ben presto darò alle stampe dal titolo: Antichissime vicende ambientate in Alto Adriatico ed in Romagna, estratte dalle più antiche storie del mondo.
Vediamo cosa è scritto nel periplo:
Gli etruschi con la città greca di Spina, distante 20 stadi dal mare, lungo il fiume Eridano e distante 3 giorni di cammino da una città etrusca sul Tirreno.
Tutti gli studiosi concordano, pur trattandosi di un passo più volte interpolato e perciò di non facile interpretazione, che il portolano ha inteso descrivere l’effettiva esistenza in loco di una importante direttrice che collegava i due mari. I pareri degli studiosi che si sono interessati di questo tragitto non concordano al riguardo della individuazione del possibile antico percorso: per alcuni il tracciato poteva essere Spina, Ravenna, Faenza, Valle del Lamone, Firenze, Pisa. Per altri invece Spina, Bologna, Valle del Reno, Pisa. Già detto ciò che propongono gli studiosi toscani, purtroppo non viene specificato dove sarebbe stata esattamente ubicata la strada che da Spina conduceva a Bologna, hanno lasciato intendere che poteva trattarsi anche di un non ben specificato tragitto fluviale.
A mio parere invece, per una serie di motivi che illustrerò, il tragitto da Spina fino ai piedi degli Appennini doveva corrispondere all’attuale tracciato della via Lunga, una strada ben visibile e per molti tratti ancora percorribile, che dai pressi di Spina , attraversando il territorio di alcuni comuni, Lugo, Bagnara Solarolo e Castel Bolognese, arriva alla via Emilia in corrispondenza della valle del Senio.
Vediamo la ragione per cui mi sembrano poco credibili i tragitti proposti dagli altri studiosi; tragitto Spina Ravenna Faenza, a quei tempi, stiamo parlando del IV a.C, nel tratto Spina-Ravenna sfociavano vari fiumi romagnoli, perciò ben difficilmente in quel tratto poteva esserci una strada ben praticabile, basti pensare che ancora all’epoca dell’Itinerarium Antonini, almeno quattro secoli dopo al periodo che stiamo trattando, un tratto di quel tragitto si faceva solo in barca.
Tragitto Spina Bologna; altrettanto impraticabile cotesto tragitto via terra, in quanto, anche in questo caso, occorreva attraversare alcuni fiumi e vastissime paludi, perciò, escludendo un tragitto fluviale, (nel periplo è chiaro che si intende una strada), anche tale proposta appare insostenibile. Non ha caso, nonostante assidue ricerche, di questa fantomatica strada non è stata trovata nessuna traccia, se veramente fosse esistita, qualcosa si dovrebbe trovare, non può essere scomparsa dal tutto. A mio parere non sarà mai trovata in quanto non è mai esistita.
Vediamo invece il tragitto Spina-Via Emilia, cioè l’attuale tracciato della via Lunga; ove attualmente è tracciata tale via vi è da tempi antichissimi una lingua di terra molto alta, (non ha caso il Santerno fu costretto a deviare a destra verso il Senio, ed il Sillaro non riuscì mai a superare), ebbene tale alta fascia di terreno, esente da alluvioni e sopraelevata rispetto alle paludi, un vero unicum per queste zone, ben presto si prestò ad essere abitata da popolazioni preistoriche, come gli scavi di via Ordiere stanno autorevolmente dimostrando, e ben presto si prestò ad essere usata anche come via di comunicazione terrestre.
A quei tempi, questa era l’unica possibilità per arrivare via terra, fino ai piedi delle colline, poi per attraversare gli Appennini si poteva fare scelte diverse; se si voleva andare nel Lazio, la più comoda era sicuramente la valle del Savio, se invece, come nel nostro caso, si voleva andare verso Pisa, vi era solo l’imbarazzo della scelta, valle Senio, valle Santerno, valle Sillaro.
Le ragioni che ho portato per ipotizzare la Via Lunga come unica possibile direttrice per quei lontani tempi, e le ragioni che ho portato e che porterò per escludere altri possibili tragitti terrestri, mi sembrano validi, ma trovano una probante conferma da una determinante constatazione: i sassi di Spina provengono dalle colline romagnole, se vi fosse stata una direttrice ben praticabile Spina-Bologna, i sassi sarebbero derivati dalle colline bolognesi.
Riassumendo: da antiche fonti greche, (Dionigi di Alicarnasso ed Ellanico di Lesbo), si apprende in maniera inequivocabile che Spina da tempi antichissimi, almeno dal 1500 a.C, era un importantissimo scalo usato da genti Medio Orientali intenzionati ad andare in Toscana o nel Lazio. Questi, dopo aver risalito l’Adriatico, ed arrivati, grazie a questo comodo e breve tragitto terrestre, ai piedi degli Appennini, potevano a loro piacimento usare una delle numerose vallate romagnole che, come i numerosi reperti archeologici dimostrano, risultano essere state tutte da tempi antichissimi continuamente praticate. Naturalmente pure ogni vallata toscana permetteva l’attraversamento in senso inverso, ma dalla Via Emilia a Spina vi era un solo tragitto terrestre praticabile, il tracciato attuale della via Lunga. Niente impedisce di credere che in antico vi fossero varie direttrici fluviali Bologna-Spina, ma fra queste non può esserci quella segnalata dallo Ps Scilace.
APPENDICE:
Come è noto, la descrizione delle coste corrisponde più o meno ad avvisi ai naviganti: possibili approdi, distanze fra gli stessi, popolazioni rivierasche ed altre notizie non solo utili, ma a volte indispensabili per chi si appresta alla navigazione di un mare. Questo è proprio quello che si trova nel Periplo del Mediterraneo ed in qualsiasi altro Periplo.
Scilace di Carianda o chi per lui, era sicuramente a conoscenza che alcune generazioni prima della guerra di Troia, popolazioni orientali, sotto la generica voce Pelasgi, orientati ad andare nei territori centro italici bagnati dal Tirreno, avevano scelto la rotta “adriatica”, perciò, ritenne giustamente opportuno descrive il luogo dell’approdo più comodo per raggiungere la meta.
Il portolano conosceva sicuramente i possibili tragitti fluviali che portavano verso la terra dei Tirreni, ma non ritenne opportuno segnalarli in quanto sapeva che tali tragitti non erano sicuri, infatti potevano variare al seguito di un peggioramento climatico, non solo, tali tragitti potevano essere facilmente usati dagli abitanti del posto, ma non da persone provenienti da altre aree, troppo grande era il rischio di trovarsi impantanati nelle vastissime paludi, perciò giustamente decise di segnalare l’unico, sicuro e da tempo battuto tragitto terrestre, quello appunto che da Spina permetteva facilmente di raggiungere le città tirreniche.
Gli studiosi non sono entrati in tale ottica e conseguentemente hanno grandi dubbi sulla effettiva importanza che il tragitto attualmente segnato dalla via Lunga, ha avuto nei tempi antichi.
Illustrazione di Stefano Gesh, per gentile concessione.
mercoledì 23 febbraio 2011
Circe, Ulisse ed Enea in Adriatico?
Circe, Ulisse ed Enea in Adriatico?
di Giuseppe Sgubbi
SUNTO
Questo articolo si fonda su alcune considerazioni:
(I)che al seguito dei noti sconvolgimenti avvenuti nei secoli XIII° e XII° a.C., che interessarono tutte le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, siano arrivati in Italia popoli di diversa provenienza e che questi arrivi possono essere ricordati da alcuni miti, con questo articolo saranno presi in considerazione quelli ricordati dai miti di Ulisse ed Enea;
II) che indipendentemente dalla provenienza o dai tragitti (marittimi o terrestri) (I) codesti popoli sono stati costretti a passare dall'alto golfo Adriatico, arrivati poi alla foce padana potevano proseguire lungo le coste adriatiche, oppure se intenzionati ad andare nel Tirreno, scegliere fra due tragitti transappenninici: valle del Senio per valle Arno (2) oppure valle del Savio per valle Tevere;
III) che conseguentemente le tracce di Ulisse e di Enea in Adriatico possono testimoniare presenze di popoli in questo mare;
IV) che le tracce di Enea, alcune tracce troiane e la totalità delle tracce Dardaniche possano testimoniare la presenza Micenea in Adriatico.
"Omero 3OOO anni dopo" ; questo è il suggestivo titolo del convegno svoltesi a Genova che ha visto la partecipazione di oltre 2OO studiosi provenienti da ogni parte del mondo.
Merito di questo convegno è quello di aver riaperto la "questione Omerica", un tema che nonostante i suoi 3OOO anni è sempre di grande attualità. Scopo di questo articolo è di entrare nel dibattito in corso per dare un contributo al riguardo della "questione Adriatica".
Per la tradizione e conseguente toponomastica i miti di Circe, Ulisse e di Enea sono ambientati nel Tirreno, ebbene nei limiti delle mie possibilità (3) riporterò alcuni indizi che se ulteriormente approfonditi potrebbero far ritenere valida l'ipotesi che tali miti siano ambientati anche in Adriatico, o meglio, che tale ambientazione abbia preceduto l'ambientazione tirrenica, con conseguente riconsiderazione delle vicende che hanno interessato il nostro mare.
Conseguentemente ai già accennati obbligati tragitti(4), l'alto Adriatico è stato investito da influssi mitici, religiosi e culturali .
-Miti: Fetonte, Elettridi, Iperborei, tre fatiche di Ercole (mandrie di Gerione, cerva Cerinea e pomi delle Esperidi), due Saghe Argonautiche( le Argonautiche di Apolonio Rodio e la così detta leggenda Minia), Dedalo ed Icaro, Cadmo ed Armonia, Gerione, Castore e Polluce;.
-Popoli: Pelasgi, Siculi, Sabini e Latini.
-Divinità: Artemide e Yupiter:
-Eroi troiani e greci: Antenore, Diomede, Odisseo ed Enea.(5).
Per meglio introdurci nei temi specifici vediamo anzitutto come si sono al proposito pronunciati gli studiosi moderni che si sono interessati di questi temi.
Circe: occorre tenere presente che questa maga è protagonista sia col mito di Odisseo che col mito Argonautico, perciò qualsiasi riferimento può risentire di questa doppiezza.
Considerato che la Circe è ben documentata nel Tirreno, la stragrande maggioranza degli studiosi, considera, in riferimento alle vicende Odissiache, l'ambientazione in quel mare la sede della Circe.
Non mancano come vedremo quelli che ritengono la Circe ambientata anche nell'Adriatico.
Al riguardo di Odisseo:molti concordano sulla individuazione Odisseo = Nanas cioè con un personaggio le cui gesta in Adriatico non possono essere messe in discussione, alcuni riportano ripetutamente alcune testimonianze del passaggio di Ulisse nell'Adriatico, ma forse perchè considerate di semplici passaggi, non vengono tenute in seria considerazione.
Al riguardo di Enea: un solo autore cita una testimonianza antica che ne ricorda la presenza in Adriatico, ma riporta tale testimonianza al solo scopo di segnalarla come non degna di fede.(6)
Vediamo ora le ambientazioni di questi miti nei mari italiani
CIRCE: abbiamo già detto che per la stragrande maggioranza degli scrittori moderni, la Circe è ambientata solo in Tirreno. Il primo ricordo sicuro di tale ambientazione risale al IV secolo a.C.(7) ma per moltissimi studiosi sarebbe già ricordata nel settimo secolo dal noto passo di Esiodo (Teogonia 1011 = 1016); ma, come vedremo, al riguardo della "fedeltà" di questo discusso passo sussistono non pochi dubbi.
Occorre al proposito tener presente che i tempi a cui si riferiscono tali vicende (nel 13° e nel 12° secolo a.C.) sono molto anteriori alle testimonianze appena citate, conseguentemente dovremmo cercare testimonianze più antiche, ebbene queste testimonianze esistono ma dicono cose ben diverse.
Per Omero(8) la sede della maga Circe era in "Oriente", in "terre basse", e in una "isola", caratteristiche che mal si adattano al promontorio del Circeo, per Euripide (le Troiane 437) la sede della maga era in Liguria .
La presenza della Circe in Adriatico, con riferimento alle vicende Odissiache, è riportata dal Graves (9), questo studioso, al seguito di una attenta lettura dei testi antichi, afferma che in antico si trovava nei pressi del Po, o in Istria, e che successivamente è stata "trasferita" in Campania.
Un’altra testimonianza della Circe in Adriatico, sempre con riferimento alle vicende Odissiache, potrebbe essere quella testimoniata da Partenio: questi dice che un Re della Daunia, follemente innamorato della Circe, sarebbe stato da questa trasformato in maiale e che solo l'immediato intervento dell'esercito Dauno lo ha salvato (1O); considerato che i Dauni arrivarono "in brevissimo tempo" nella sede della maga, e liberarono il loro Re, fa pensare che Dauni e Circe fossero vicinissimi e perciò vicenda e protagonisti dovrebbero essere ambientati in Adriatico.
Alla luce del fin qui detto non esistono prove di una "sicura" ambientazione della Circe in Tirreno anche nei tempi antichi.
Odisseo, Ulisse Nanas, (tre nomi di un identico personaggio)
Prima di passare in rassegna le vicende italiane di Odisseo, sarà bene, per favorire la comprensione, fare un utile avvertimento: nel corso delle righe che seguiranno avremo più volte l'occasione di imbatterci nella voce "Tirreni" o "Tirreno", termini di significato in apparenza identici ma che in antichità potevano a volte avere significati ben diversi, per esempio in vari passi antichi capita spesso di leggere che personaggi e popoli sono arrivati "fra i Tirreni", come logica dovrebbe significare un arrivo in Etruria fra gli Etruschi, purtroppo non è così, o almeno non è sempre così, infatti se la dicitura non contiene nessun altro riferimento, dal passo non si ricava nessun dato certo.
"Fra Tirreni" era un termine molto indeterminato; poteva trattarsi di.un approdo nell'Etruria Tirrenica al seguito di un tragitto lungo le coste Tirreniche, come poteva trattarsi di un approdo in Etruria Padana in seguito ad un tragitto lungo le coste adriatiche, oppure di un arrivo in una qualsiasi località dell'antica Etruria lungo un tragitto terrestre.
Come avremo modo di vedere queste vaghe indicazioni sono molto frequenti.
Passiamo ora alle peregrinazioni di Ulisse: tralasciando di commentare le sue peregrinazioni fuori del Mediterraneo in quanto per noi fuori tema (11 ), vediamo le sue vicende nei mari italiani.
A parere della stragrande maggioranza degli studiosi la "tirrenicità" di Odisseo sarebbe testimoniata da alcuni antichi passi, riportiamoli quasi integralmente.
Esiodo(Teogonia 1O11-1O16)
"Circe figlia del sole, stirpe di Iperione,unitasi
con Odisseo dal cuore che sopporta, generò
Agrio e Latino, irreprensibile e forte, questi
regnarono molto lontano nel mezzo delle isole
sacre, in un lontano golfo, sugli illustri Tirreni".
Licofrone (Alex 8O6)
"sopraggiunto Odisseo a Itaca e scoperte
le colpe di Penelope, ripartì diretto al paese dei
Tirreni, qui giunto risiedette a Cortona
ove morì onorato da tutti".
Licofrone (Alex 124O)
"Enea partito da Almopia sara' raccolto errabondo
dalla terra Tirrenica dove il Lingeo riversa in mare le
acque calde,Pisa e la valle di Agilla ricca di gregge ,
un nemico Nanas, dopo aver ascoltato suppliche e
giuramenti unirà amichevolmente il suo esercito".
Ellanico di Mitilene(Dion. Alic. I-72, 2)
"Enea con Ulisse trasferitesi dalla terra
dei Molossi in Italia fondano Roma".
Nella "Tabula Iliaca", bassorilievo che riporta a fumetti la caduta di Troia "secondo Stesicoro"si intravedono Ulisse ed Enea che partono in nave diretti in "Esperia" cioè Italia.
Come già detto questi sono i passi antichi che con più frequenza sono riportati dagli studiosi a conferma della "tirrenicità" di Odisseo(12),ma in particolare viene riportato il già citato passo di Esiodo, prima di passare ad una vera e propria "analisi logica" di questo passo, spendiamo qualche parola al riguardo del già ricordato Nanas, un personaggio particolarmente interessante per il nostro tema.
Ellanico di Mitilene (Dion-Alic I-28,3)
"che i Pelasgi scacciati dal loro paese
dai greci, arrivati al fiume Spinete lasciarono
le navi, proseguirono il viaggio via terra e
arrivati a Cortona, l'occuparono come pure
occuparono il territorio che noi ora chiamiamo
Tirrenia, questo accadde sotto il regno
del loro quinto Re Nanas".
Il nome Nanas compare pure in un vaso trovato nei pressi di Chiusi, ora nel museo di Baltimora.(13)
Gli studiosi che condividono la individuazione Odisseo = Nanas (14) portano a loro sostegno la fondamentale testimonianza di Tzetze in Licrofone (Alex 1244)
"Io so che Odisseo era fra i Tirreni chiamato
Nanas ,ma ora è di nuovo chiamato Odisseo"
A riprova della giusta individuazione vi sono pure alcune comuni vicende: ambedue risultano fondatori di Cortona e in quella città sarebbero ambedue sepolti.(14a)
Stranamente, nonostante tale condivisa individuazione, nessun scrittore moderno afferma esplicitamente che Odisseo "merita" anche una ambientazione Adriatica, se poi consideriamo che esistono anche altre testimonianze che la confermerebbe, come vedremo più avanti, non si può non chiederci la ragione di questa "latitanza", forse anche in questo caso c'è lo "zampino" del famoso passo di Esiodo (14 b); ebbene a questo punto sarà bene, per fare chiarezza, discuterne un po’.
Rileggiamolo di nuovo e facciamone una vera e propria analisi logica.
CIRCE figlia del sole stirpe di Iperione
unitasi in amore con ODISSEO dal cuore
che sopporta,generò AGRIO e LATINO,
irreprensibile e forte, questi regnarono
molto lontano nel mezzo delle ISOLE SACRE
in un LONTANO GOLFO sugli illustri TIRRENI.
Riportiamo prima, a riprova della sua indeterminatezza, le testuali parole del Braccesi che certamente è il più convinto sostenitore della sua "genuinità" :
"siamo di fronte ad una tradizione antichissima
come denunzia la stessa vaghezza geografica
della localizzazione dell'Etruria, connotata come
regione lontanissima situata in un golfo ignoto
che ospita ancor più ignote isole sacre"(15).
Analizziamo il testo parola per parola.
CIRCE E ODISSEO: Abbiamo già visto che vi sono forti dubbi sul fatto che in antico la sede della Circe fosse nel Tirreno, come pure abbiamo visto, che Odisseo viene identificato con Nanas cioè con un personaggio ben ambientato anche in Adriatico.
AGRIO E LATINO:
Questi sarebbero per Esiodo i figli che Odisseo avrebbe avuto con Circe ma passando in rassegna le testimonianze antiche ci renderemo conto che il numero ed i nomi non corrispondono quasi mai. Per Igino (fab 125) si chiamavano Telegono e Nausitoo; per Plutarco (Rom 2) era uno solo e si chiamava Romolo; per Apollodoro (Epit 7) Odisseo avrebbe avuto un solo figlio; Per Licofrone (Alex 8O9) un figlio di nome Telemaco ed una figlia di nome Cassifone; per Xenagora (16) i figli sarebbero tre: Romolo, Ardeas e Anteias (17),
Ma ammettiamo pure che i figli elencati da Esiodo siano quelli giusti, vediamo a chi corrispondono: AGRIO; c'è chi dice che sarebbe stato male interpretato(18) ,ma c'è anche chi ha letto Adrio, (19) ebbene in tal caso, avrebbero ragione Teoponto ed Eudosso nel considerare Adrio discendente di Odisseo, sia come fondatore di Adria che come colui che avrebbe dato il nome all'Adriatico,(2O)
LATINO; Oltre al Latino ricordato in questo passo risultano altri quattro personaggi vissuti in tale epoca con quel nome: un Latino che Odisseo avrebbe avuto con Calipso,Apollodoro (Epit 7,24), un Latino che accoglie Enea (voce Latino in EN ,Virg), un Latino figlio di Eracle con una ragazza iperborea Dion Alic (1,43) e un Latino ancora figlio di Eracle, ma avuto con la figlia di un Re Aborigeno(22).
Non è facile capire di quale Latino si intenda, in verità dovrebbe trattarsi di un Re che ha avuto a che fare molto con gli Etruschi, ebbene il Pallottino, sulla cui autorità in materia non occorre soffermarsi, afferma che il Latino ricordato da Esiodo non era il Re dei Tirreni ma semplicemente un Re dei Latini(23).
Ma ammettiamo pure che questo Re latino abbia avuto a che fare con gli Etruschi, rimane sempre il problema, oltre alla individuazione corretta, se all'epoca i Latini erano già stanziati in loco. Purtroppo in materia le opinioni degli studiosi non sempre sono convergenti, c'è chi dice che questo popolo arrivato dal nord insieme ai Siculi si sarebbero stanziati in Adriatico(24) non a caso i Protolatini sarebbero arrivati nel Lazio dopo essere stati per molto tempo nella Daunia(25),
Isole sacre in un lontano golfo:
Già abbiamo sottolineato la indeterminatezza geografica di questi due termini, c'è chi ha provato a darne una localizzazione, proponendo la Sicilia, Sardegna e Corsica(26) ma non ha trovato seguaci, se proprio volessimo ubicarle in qualche luogo cercando un eventuale ricordo nelle fonti antiche, dovremmo nominare le isole Elettridi che, come abbiamo già visto, si trovavano in Adriatico nella Foce del Po e spesso ricordate come isole sacre ad Artemide e per l'ambra, (27) in tal caso troverebbero una giusta ubicazione in un “lontano” cioè in alto Adriatico; tale area era in antico dai Greci considerato un “golfo” e non un mare (27a).
TIRRENI (28), Abbiamo già messo in evidenza l'indeterminatezza anche di questo termine, per molti scrittori antichi fra cui Tucidide), IV 1O9) Mirsilo di Lesbo apud Dion Alic (1,23), Sofocle e lo stesso Esiodo (29) i Tirreni venivano spesso identificati con i Pelasgi (3O).
Per il De Palma, in antico, almeno per un certo periodo i Greci chiamavano Tirreni quasi tutti i popoli Italiani (Latini, Umbri, Ausoni ecc) (31). Ma al riguardo è significativo il passo di Stefano Bizantino
"La Tirrenia trae il nome da Tirreno ed è posta presso l'Adriatico"(32).
Al seguito di questa "analisi logica", ammesso che non vi siano altri elementi che mi sfuggono, la "Tirrenicità" di questo passo non mi sembra poi cosi sicura, mi conforta il constatare che di questo parere lo sia stato anche un antico commentatore di Esiodo(33) questi cosi si espresse al riguardo:
"Odisseo ed i suoi figli avevano regnato sulle Isole Elettridi"
Considerato che il Mastrocinque riporta spesso il sopra accennato passo, fa pensare che anche per Lui il passo di Esiodo non trovi una sicura localizzazione in Tirreno.
Vediamo le altre tracce di Odisseo in Adriatico.
Abbiamo già fatto presente la quasi unanime identificazione di Odisseo con Nanas, perciò un "approdo" o un semplice "passaggio" di Odisseo in Adriatico deve esserci stato, non dimentichiamoci che come vide bene il Wilamowtiz(34), in una Odissea precedente alla nostra era scritto che Odisseo, Tracio di nascita, era arrivato in Italia via terra, perciò attraverso l'arco Alto Adriatico .
La presenza di Odisseo in Adriatico,di permanenza o di semplici tappe, è documentata da varie fonti antiche: lo Ps Scilace (35) descrivendo le coste Adriatiche ricorda l'isola di Calipso ove l'eroe visse alcuni anni, l'ambientazione di tale isola in Adriatico è pure confermata da Plinio (III 96) da Tucidide (I-25) e da Apollodoro (epit 7-17):
Una presenza di Odisseo in Adriatico,seppur solo come semplice passaggio, ce la documenta Strabone, dice infatti il grande geografo che Odisseo dopo un approdo in una località Adriatica passa da Felsina per andare a Cortona(36), come pure è documentato un suo sbarco in una località della Daunia.(36a)
ENEA IN ADRIATICO.
Tralasciando di commentare le testimonianze antiche al riguardo della fine di Enea (37) e limitandoci a sottolineare le riserve degli storici antichi e moderni al riguardo della sua presenza nel Lazio (38), soffermiamoci su una "sicura" ed antica testimonianza sulla sua presenza in Adriatico, dalla quale sono scaturite le azzardate ipotesi brevemente accennate nel sunto iniziale del presente articolo.
Nei manoscritti dello Ps Aristotele, ignoto autore di una raccolta di "Cose Mirabili", vissuto probabilmente in Grecia fra il terzo ed il secondo secolo A.C.,era scritto al cap 79 che Enea Re di una isola dell'arcipelago delle Tremiti, aveva ucciso Diomede l'eroe greco che al seguito di peregrinazioni era colà approdato.
Arbitrariamente alcuni studiosi guidati dal filologo tedesco Ulrich von Wilamowitz, hanno sostituito Enea con Dauno (39). Sarebbe interessante conoscere le motivazioni che hanno indotto gli studiosi a commettere tale arbitrio.
Per quanto ne so questa sarebbe l'unica testimonianza "diretta" della presenza di Enea in Adriatico, vi sarebbe pure quella tramandateci da un certo Riccobaldo da Ferrara, concernente la presenza di Enea in vari luoghi della valle Padana; (4O) ma questo cronista del XV secolo è da tutti considerato "non degno di fede".
Esistono invece tracce indirette di possibili presenze dell'eroe Troiano nel nostro mare: tutti i commentatori della Eneide (41) concordano che la struttura dell'opera di Virgilio riposa su una certezza: che Enea ha percorso a ritroso da Troia verso l'Italia il tragitto compiuto dal suo avo Dardano che dall'Italia, precisamente da Cortona, andò nella Troade.
Se veramente Enea ha effettuato a "ritroso" questo viaggio, considerato che Dardano fece il tragitto Cortona –Adriatico - Troade, (42) una sua presenza in Adriatico, seppur solo di passaggio, potrebbe esserci stata. Una profezia riportata da tutti gli scrittori che si sono interessati al tema "Enea", dice che ove l'eroe Troiano farà tappa nel corso della sua fuga , fonderà una città che darà il nome di Troia, (43) ebbene una Troia risulta in Veneto (43a), una nel Lazio ed una nella Daunia (44).
I Dioscuri (45), a parere di molti studiosi sarebbero stati portati in Italia da Enea, ebbene anche questo potrebbe essere una traccia dell'eroe Troiano in quanto tale culto è documentatissimo in Alto Adriatico. Nello stemma di Bagnacavallo c'è un cavallo bianco con la scritta Cillaro, ebbene quel cavallo potrebbe significare che in loco si curavano i cavalli, ma potrebbe invece essere un ricordo dei Dioscuri cioè dei gemelli Castore e Polluce che insieme agli Argonauti sbarcarono in una isola Elettride sacra ad Artemide. Vuole una antica tradizione che Bagnacavallo sarebbe stata fondata sopra ad una di queste isole, il cavallo Cillaro, uno dei tanti cavalli di Polluce, più volte ricordato da Stesicoro, presente nello stemma, potrebbe esserne una "prova". Interessante anche la presenza in loco del culto di Feronia , che come è noto è la corrispondente latina della greca Artemide. In loco è documentato anche il culto di Jupiter considerato, insieme ai Dioscuri, protettore dei naviganti.
Qualcuno potrebbe obiettare che in considerazione del fatto che in Adriatico è ambientato anche il troiano Antenore (46), eventuali tracce "Troiane" potrebbero essere addebitate a lui o ad altri Troiani questo non si può escludere , ma ci sono delle buone ragioni per distinguerle.
Considerato che le uniche famiglie salvatesi dalla distruzione di Troia sarebbero quelle di Antenore e di Enea(47) si deve perciò supporre che eventuali tracce "Troiane" in Adriatico, quando non possano essere attribuite ad Antenore (48), debbano essere attribuite ad Enea.
Di queste tracce ce ne sono molte, particolarmente nella Daunia, ma anche altrove.
Il già ricordato Ps Aristotele al cap 1O9 ricorda la nota vicenda del fuoco delle navi da parte delle donne troiane(49), ma diversamente dalle altre testimonianze riguardanti tale vicenda, le navi non sarebbero quelle guidate da Enea ma sarebbero guidate da Diomede e le donne che bruciano le navi sarebbero troiane ma schiave,
Al riguardo della genuinità di questo passo sussistono seri dubbi avvalorati dalla testimonianza di Licofrone (Alex 1126) il quale documenta in loco sia il culto della Cassandra (50), la nota profetessa troiana, sia il culto di Atena Iliaca cioè la dea troiana raffigurata nel Palladio(51); ebbene questi elementi fanno pensare che anche questo passo possa essere stato "arbitrariamente " manipolato per meglio adattarlo all'altro passo dello Ps Aristotele (cap 79) ove il protagonista era sicuramente Enea che, come abbiamo detto, fu sostituito con Dauno. Se queste mie supposizioni sono esatte, il passo deve essere letto diversamente:
le navi erano guidate da
Enea e conseguentemente
le donne non erano schiave.
Aggiungo anche un'altra traccia "troiana" che se giusta ci riguarda da vicino: il dio delle acque Tiberino, dio favorevole ai troiani, culto portato nel Lazio da Enea, oltre ad aver dato il nome al Tevere potrebbe avere dato anche il nome al nostro Senio, infatti in antico il suo nome era Tiberiacum (52).
Anche le tracce Dardaniche in Adriatico potrebbero essere collegate con una probabile presenza di Enea nel nostro mare.
Mi rendo perfettamente conto della "debolezza" di questa ipotesi, ma essendone personalmente convinto riporto, seppur con le dovute riserve e cautele, alcune di queste tracce.
Enea era detto "il Dardano" in quanto faceva parte di detta stirpe, non a caso la profezia di Poseidone (53) dice che Enea doveva salvarsi dalla distruzione di Troia in quanto in caso contrario la stirpe di Dardano si sarebbe estinta (54). Spesso in antico “Troiani” significava “Cardani” o viceversa; per esempio i Romani, desiderosi di definirsi Troiani, dicevano di sé stessi “Dardanium” (54a).
Dardano (55) è ben ambientato nel nostro mare; la Daunia era chiamata "provincia Dardensis"(56), e vi era una città chiamata Dardano (57), tracce evidenti non sono solo in basso Adriatico ma anche nel Veneto, lo scrittore romano Claudiano ricordando la Font Aponi (58) probabilmente Abano Terme, la dice "gloria della terra dei Dardani", un Longarus Re Dardanico, risulta ambientato in Veneto(59), Armonia, sorella di Dardano sarebbe sepolta a Pola(6O).:
Non è possibile ricordare Dardano senza parlare di Creta.
Il già ricordato culto dei Dioscuri verrebbe da Creta, la separazione dei gruppi di sillabe con un punto nella lingua venetica sarebbe opera dei Cretesi, (62) Dedalo artigiano cretese è ambientato nelle Isole Elettridi( Ps Aristotele cap 81)questo passo ci fa sapere che siccome Dedalo "fugge" a causa dell'arrivo dei Pelasgi, che questi ultimi ed i Cretesi sono nemici.
Non è possibile parlare di Creta senza fare qualche riferimento ai Micenei(63) ebbene vi sono in
Adriatico abbondanti tracce, specialmente archeologiche, della loro frequentazione, tracce non solo esistenti nel basso Adriatico ma anche in alto Adriatico: Frattesina Terme, Vasi di Torcello, ceramica micenea trovata in vari luoghi, come pure l'ambra "tipo Tirinto" trovata anche nella Valle del Senio(64).
Riassumendo: il mito di Odisseo, associato a quello degli Argonauti, potrebbe contenere "ricordi" di migrazioni o semplice frequentazioni di popolazioni "Pelasgiche"-Egeo Anatoliche ed Indoeuropee , e questo potrebbe spiegare la presenza dell'eroe greco in Scozia, Germania Portogallo e Bretagna. Il mito di Enea, sia in Adriatico che altrove, anche tralasciando l'ipotesi del collegamento Enea-Dardano, potrebbe contenere "ricordi" di migrazioni o frequentazione dei Micenei, altronde questo è anche il parere di molti studiosi (65).
APPENDICE
Arrivato alla fine mi rendo conto, considerati i miei "mezzi" - ho solo la licenza elementare, di essermi "spinto" ben oltre a quelle che sono le mie reali possibilità, ma tante sarebbero a mio parere le cose da dire al riguardo di questo troppo trascurato mare, che mi sono "lasciato andare", con tutte le conseguenze che ne sono derivate,
Chissà quante cose avrei potuto dire se avessi potuto attingere nel pozzo di notizie che è la Reale Inciclopedia Pauly-Wissowa, chissà quanti spunti avrei trovato nella sterminata bibliografia estera.Roscher, Jacoby, Briquel, Beaumont, Beloch, Bethe,Weinstock, Heugon, Rossbach, Gagè, Stoll, Perret,, Horsfall, Galinsky,West,Gruppe,ecc.
Aggiungo un altro "chissà", chissà quante notizie "storiche" si potranno apprendere studiando a fondo i numerosissimi miti ambientati in Alto Adriatico: Eridano Iperborei, Ercole, Argonauti, Dedalo, Cadmo, ecc, speriamo che qualche qualificato studioso dia un contributo per una maggior conoscenza di questo mare.
NOTE
*Si tratta di un articolo estratto da un libro che sto scrivendo, con taglio divulgativo, che ben presto darò alle stampe, dal titolo "Popoli e miti ambientati in area romagnola ed alto-adriatica dal XIII all’XI secolo a.C.”
(1) Nel periodo a cui ci riferiamo ben difficilmente la tecnica navale permetteva attraversamenti di mari, dice Pausania che prima della guerra di Troia, i lunghi viaggi erano effettuati solo per via terra oppure con navigazione di piccolo cabotaggio perciò per andare nel Tirreno venivano a volte costeggiate sia le coste Adriatiche che quelle Ioniche, dice Strabone che in antico non si affrontava l'alto mare, occorre anche tener presente che l'Adriatico è stato conosciuto dagli antichi prima del Tirreno. cifr Pareti Omero e la realtà storica 1979 pag 78, Strabone 1-3,2 . La presenza micenea in Sardegna già documentata archeologicamente nel 13^ secolo a.C. dimostra che questo popolo, diversamente da quelli Egeo-Anatolici, disponeva di una tecnica navale che gli permetteva di arrivare in Italia senza dover fare il periplo adriatico; potevano infatti effettuare il tragitto Grecia- Illiria – Puglia – Stretto di Messina – Sardegna, se non addirittura arrivare il Italia dalle coste africane.
(2) Non si può escludere che si tratti del tragitto terrestre segnalato nel periplo dello PS Scilace che, in tre giorni di viaggio, da Spina era possibile raggiungere Pisa .
Questo tragitto potrebbe essere confermato dagli abitati preistorici esistenti ai lati della via Lunga, una antichissima strada che dalla valle del Senio arrivava nelle valli Spinetiche cifr Sgubbi “Il territorio Solarolese dalla più remota antichità all'anno mille”, uscito a dispense nel Confronto periodico del PPI sezione di Solarolo (1992), e dall'ambra "Tipo Tirinto" rinvenuta nel Monte Battaglia alta valle del Senio. cifr Catarsi Storia di Bellaria 1993 pag 43. Una comoda rotta marittima consisteva in navigazione di cabotaggio lungo le coste Dalmate in quanto favorevoli correnti marine portavano verso l'Istria cifr Scuccimarra ;l'Adriatico dei greci in Storia di Ravenna 1990.
(3) Non conoscendo alcuna lingua estera,eccetto qualche riga che mi sono fatto tradurre,non mi è stato possibile usufruire della sterminata bibliografia straniera, si tratta di un vistoso handicap sulla cui consistenza non sono in grado di darne una reale valutazione.
Non ho ritenuto opportuno entrare nel merito dei problemi riguardanti le motivazioni, i periodi e da chi questi miti sono stati portati in Occidente in quanto, a mio parere, non possono portare alcun contributo alla conoscenza di eventuali migrazioni avvenute nel II millennio a.C. che è poi lo scopo primario delle mie ricerche.
(4) L'alto Adriatico si distingue dagli altri mari italiani per una particolarità, uso le parole del Braccasi "come è avarissima la documentazione letteraria di una frequentazione greca nell'età della colonizzazione , è ricchissima la memoria di tradizioni leggendarie che ci rimandano al periodo della precolonizzazione", Braccesi Indizi per una frequentazione Micenea nell'Adriatico in "Momenti precoloniali nel Mediterraneo Antico1985.
(5) La presenza di tutti questi "miti" potrebbe essere una conferma di questi antichissimi passaggi di popoli o di isolati navigatori, passaggi terminati allorquando la tecnica navale ha permesso gli attraversamenti marini.Non tutti gli avvenimenti accaduti nei secoli 13° e 12° a.C., che come detto interessarono tutte le nazioni che si affacciavano sul Mediterraneo, sono ricordati dai miti o dalle testimonianze antiche, alcuni di questi si conoscono al seguito di indirette testimonianze, ne ricordiamo alcune : quando i coloni greci arrivarono nella Magna Grecia furono sorpresi dal constatare che quelle popolazioni che già vi abitavano, conoscevano la loro lingua, divinavano i loro dei, conoscevano alcuni dei loro racconti di eroi. Quando il console romano Mario affrontò i Cimbri nel 1O1 A,C, nei pressi di Ferrara, rimase sorpreso nel constatare ,lo riferisce Plutarco , che l'urlo dei soldati Liguri e l'urlo dei Cimbri erano identici; questi due avvenimenti, ma se ne potrebbero portare altri, ci dicono, anche se questo non è riportato da nessuno storico antico, che queste popolazioni provengono da una stessa zona. Sicuramente nel corso degli sconvolgimenti sopraddetti accadde di tutto, crollo di imperi, invasioni, migrazioni che crearono altre migrazioni, , anche gli avvenimenti biblici accaddero in tale periodo: si tratta di avvenimenti confusi ma interessantissimi. In quel periodo occorre cercare le radici delle civiltà italiane, Umbri, Dauni, Etruschi,ecc, questa è una delle ragioni per cui occorre indagare nei miti, .
(6) Vanotti De Mirabilibus Auscultationibus 1997 commento al cap 79.
(7)Ampolo La ricezione dei miti greci nel Lazio: l'esempio di Elpenore e di Ulisse al Circeo PP 1994.Eratostene dice che Esiodo è il primo autore che ricorda la Circe in Italia, ma non dice se in Tirreno o in Adriatico cif Strabone I,23. Prima di essere definitivamente trasferita nel Circeo, la Circe si è trovata per un certo periodo nella isola di Pandataria, cifr Capovilla La Tradizione Greca e il Problema degli Ambrontas-Ligyes 1953 pag 26O, ma ancora prima era nella Colchide (Mar Nero) poi, come dice Apollonio Rodio ( Argonautiche III 31O ) fu trasportata in Campania, qualcuno, non convinto della sede Campana , in quanto le testimonianze dicono chiaramente che era in un luogo diverso, si è chiesto la ragione per cui tutti la dicono "Tirrenica" questi è il Terzaghi Il miraggio dell’Odissea in Atene e Roma 19O7, ebbene, lui stesso si dà la risposta,"per forza!! Odisseo viene considerato sempre e solo in Tirreno, conseguentemente viene ambientata in tale mare anche la Circe!!". Per l'anonimo autore delle Argonautiche Orfeiche (12O5), la sede della Circe era nei pressi di Gibilterra.
(8)Manfredi Braccesi Mare Greco 1992 pag 54.
(9)Graves I miti greci 1995 pag 559
(1O) Giannelli culti e miti della Magna Grecia 1963 pag 98
(11) Delle peregrinazioni di Ulisse fuori del Mediterraneo, già ne discutevano Aristarco e Cratete cif Manfredi Braccesi Mare Greco 1992 pag 199, Portogallo per Pomponio Mela, Plinio e Marziano Capella, Germania per Tacito, Scozia per Solino, Bretagna per Procopio da Cesarea, Plutarco e Claudiano.
(12) Esperia significava "terra del tramonto" cifr Mastrocinque Ambra ed Eridano, 1991, pag 29. A volte vengono riportati anche altri passi antichi, in particolare quello di Eugammone di Cirene, ove Telegono uccide suo padre Ulisse ad Itaca, poi porta il corpo in Etruria cif Manfredi Braccesi Mare Greco 1992 pag 92.
(13)Colonna Gli Etruschi della Romagna Atti Romagna Protostorica 1987 pag 43 . Il nome Nanas è pure segnalato in Frigia, Pisidia e in Licia , questo per dire che è un nome di persona e non come qualcuno propone "un nano",
(14)Braccesi Greicità di Frontiera 1994 pag 55 ; Magnani I percorsi mitici nell'Adriatico e il problema delle origini di Ravenna in Ravenna Studi e Ricerche 1998 pag 186.
(14a)Licofrone Alex 8O5-8O6, Braccesi Cortona e la leggenda di Ulisse in Assisi e gli Umbri nell'antichità 1991, pure Aristotele sapeva di una sepoltura di Odisseo a Cortona cif Ciaceri Alex commento passo 8O6, Capovilla L'inquadramento Mediterraneo dei nomi Pisa-Teuta in RIL 195O pag 3O2.
(14b) Riconoscere l’esistenza di Odisseo in Adriatico significa di fatto “smentire” il passo di Esiodo; forse è per evitare questo che gli studiosi moderni ricorrono a tale esagerata “titubanza”.
(15)Braccesi Letteratura dei Nostoi e colonizzazione greca , in Atti Magna Grecia 1996 pag 83, se si dà uno sguardo agli scritti ove si discute questo passo troveremo spesso questi termini: "vaghezza". "indeterminatezza" "non degno di fede" anche perchè di fatto la Teogonia finiva al cap 965, perciò è chiaro che il passo è stato aggiunto, magari da una altra mano, non a caso qualcuno lo chiama passo dello Ps Esiodo. Per il commento di tale passo vedere Portulas ;Una geografia dei limiti nell'immaginario dei Greci, in Kokalos XXXIX 1993, con interventi di Mele e di Braccesi Dice il Mastrocinque ,Romolo e la fondazione di Roma 1993 pag 175, che quel passo non può essere di Esiodo in quanto ben difficilmente poteva essere a conoscenza dei progenitori delle stirpi italiche. Il soprannominato Portulas , rispondendo alla troppa " fiducia " del Braccesi, fa presente che a parere di Tucidide, Esiodo "raccontava balle",
(16) Zevi Sulla leggenda di Enea in Italia in Gli etruschi e Roma 1981 pag 155
(17)Vi sono pure i figli che Odisseo ha avuto con Calipso.
(18) Durante Note critiche e filologiche in PP VI 1951 pag 216
(19)Cinti Dizionario Mitilogico 1998 pag 73.
(2O)Briquel: Spina condita a Diomede in PP 1987 e Mastrocinque Greci ed Illiri al tempo di Dionisio di Siracusa in Aloni Dall'Indo al Thule 1996.pag 359
(22) Grimal Mitologia voce Latino. Per Igino (fab 127) il Latino capostipite dei Latini sarebbe figlio di Circe e Telemaco.
(23)Pallottino Storia primitiva di Roma 1993 pag 366.
(24)Enciclopedia universale Larousse pag 622
(25)Capovilla Colchica Adriatica Parerga RIL 1957 pag 6.Devoto Gli antichi italici, 1967, pag 35, 36, 48; Ronconi Da Omero a Dante 1981
(26) De Palma La Tirrenia Antica 1983 pg 8
(27)Apollonio Rodio le Argonautiche 4-5O4.,Per il Mastrocinque , Culti Pagani nell'Italia Settentrionale 1994 pag 116 ,queste isole "sacre" si trovavano in Adriatico.
(27a) Grilli, L’arco adriatico fra preistoria e leggenda, in AAA 1991.
(28) Mi rendo conto che parlando dei "Tirreni" non si può sottacere il complesso problema delle origini etrusche, o meglio come si dice ora "origini e provenienza degli influssi che hanno contribuito alla formazione della civiltà Etrusca." Mi limito solo a far presente che il famoso passo di Erodoto (1-94) non dice ove esattamente sono sbarcati questi Tirreni provenienti dalla Lidia, dice solo "nel paese degli Umbri", ma successivamente Erodoto (IV 49) precisa cosa intende per "Umbri", un popolo settentrionale, perciò "Padano".
(29)Biancardi I Pelasgi: nome etnografia, cronologia in SCO 1O 1961cifr Nava Appunto per il controllo con dati archeologici della tradizione mitografica Alto Adriatica inPds 1972, Anticlide apud Strabone V 2,4, (Plutarco rom 11,3.)
(3O) Niebur Storia Romana 1831 pag 52
(31) De Palma La Tirrenia Antica 1983 pag 181,
(32)Coppola Adria e la tradizione siracusana in Pds 1991, idem che erano detti Tirreni anche gli abitanti di Adria, Dice Dionisio di Alicarnasso 1-25,5 che per Tirrenia si intendeva la parte occidentale dell’Italia; per Licofrone era Tirreno anche lo stretto di Messina cifr Capovilla , Per l'inquadramento Mediterraneo dei nomi Pisa-Teuta Ril 1959 pag 291.
(33)Mastrocinque Appunti sulla storia di Spina, in Spina e il Delta Padano 1994.
(34) Pavan Studi Ungheresi 4 1989
(35)Peretti, Teoponto e Ps Scilace in SCO 1963
(36) D'Aversa L'Etruria e gli Etruschi negli autori classici 1995 pag 29
(36b)Cogrossi Atena Iliaca ed il culto degli dei in CISA 1982 pag 97
(37) Per molti Enea sarebbe rimasto nella Troade o nelle vicinanze, Bertolini Storia antica d'Italia 186O Pag 5. Vanotti l'altro Enea 1995 pag 143
(38)Per Strabone Enea non è mai andato nel Lazio cif Vanotti L'altro Enea 1995 pag 9O. Sarebbe una forzatura di Virgilio , il viaggio di Enea nel Lazio cif Della Corte la Mappa della Eneide, 1972, pag 197.
(39) Vanotti De Mirabilibus Auscultationibus 1997 commento al passo 79,
(4O) Enc Virg Leggenda di Enea. Probabilmente il Riccobaldo si riferiva alla presenza di Enea in Val Padana, alla ricerca di alleati per la guerra contro Turno, alla quale aderirono Lombardi, Veneti ed Emiliani.
(41) Si veda per tutti: Colonna , Virgilio Cortona e la leggenda Etrusca di Dardano Arc. Class. 32 198O.
(42) Molti lo propongono in quanto avrebbe fatto a ritroso il viaggio fatto dai Pelasgi.cifr Braccesi Coppola I greci descrivono Pisa in Spina Storia di una città trà Greci ed Etruschi 1993 . Braccesi Greicita di Frontiera 1994 pag 53.A parere del Capovilla , Convergenze Italiche in Archivio per l'Alto Adige 196O pag 77, quando Enea arrivò in Etruria, passo di Licofrone (alex 124O), prima di arrivare a Pisa, arrivò alle acque termali che si trovavano in una collina, questo significa che può non avere usato un tragitto marittimo ma terrestre, cioè valle Senio- valle Arno.
(43)Vanotti L'altro Enea pag 164; Musti Una città simile a Troia in Strabone e la Magna Grecia 1994.
(43a) Per il Musti, Opera cit. nota 7, pag.99, cotesto toponimo in area veneta si dovrebbe riferire allo sbarco di Enea.
(44)Vannucci Storia della Italia Antica 1873 pag 356
(45)Mastrocinque L'ambra e l'Eridano 1991 pag 36; Carratelli Achei nell'Etruria e nel Lazio? Scritti sul mondo antico 1966
(46)Braccesi La leggenda di Antenore 1984
(47)Scuderi , Il tradimento di Antenore in I canali della propaganda nel mondo antico 1976 pag 43
(48) Come è noto Antenore è ambientato in Veneto, e in Iugoslavia; ma c’è anche chi mette in discussione la sua presenza in Adriatico: Gitti, Op. Cit. nota 27a.
(49) Ps Aristotele Vanotti De Mirabilibus Auscultationibus pag 51, Dice la Coppola, Aspetti della leggenda troiana in occidente, in Archeologia e Propaganda1995 pag 16, che l'incendio delle navi in Daunia potrebbe essere stato attribuito a Diomede in quanto in loco non era ambientato alcun eroe Troiano,. Occorre prendere atto che l'aver levato Enea nel passo dello Ps Aristotele ,ha creato non pochi "problemi", oltre a quello riportato dalla Coppola, si può aggiungere quello riportato dalla Pasqualini; Le tradizioni leggendarie sulla fondazione di Lanuvio in MEFRA 1998, che per giustificare il grande culto tributato ad Atena Iliaca ed a Cassandra a Lucera (Daunia), si è dovuto "pensare" a un "bottino sottratto al nemico" pag 668 nota 41: Tutte queste ipotesi “discutibili” cadrebbero da sole se si rimettesse la" voce " Enea nello Ps Aristotele passo 79. Il voler ad ogni costo addebitare a Diomede i vari culti troiani ambientati in Daunia, significa non voler tenere conto che Diomede è collegato a Era Argiva e non a Atena Iliaca. Che effettivamente in antico nei manoscritti dello Ps Aristotele vi fosse Enea lo si sa da una circostanza: quando il Ciaceri traduceva l'Alessandra di Licofrone (19O1) , fra le fonti antiche che ha riportato, al riguardo della presenza di Enea in Daunia , riporta pure lo Ps Aristotele cap 79. Pure il Gruppe in un suo lavoro del 1906 (Griechische Mythologie und Religionsgeschiche) pag. 364 riporta una leggenda pugliese ove Diomede sarebbe stato ucciso alle spalle da Enea. Il Riconoscere l’effettiva presenza di Enea in quelle zone darebbe credibilità alla testimonianza del Ditti secondo il quale l’Eroe avrebbe fondato la cittadini di Corcira Melaina nell’omonima isola (Scuderi, op. cit. nota 47, pag.46).
(5O) Berard La Magna Grecia 1963 pag 353; Giaceri, l'Alessandra di Licofrone, commento al passo126
(51)Il Palladio era un emblema con l’effige di Atena Iliaca; la città che lo deteneva diventava imprendibile ed immortale. Ove Enea sbarcava veniva sempre eretto un tempio ad Atena Iliaca cifr Ciaceri com passo 1254.
(52)Il toponimo Tiberiaco ,Tiberino, è documentato lungo la vallata del Senio: Bagnacavallo si chiamava Castrum Tiberiacum, nei suoi pressi vi era il fondo Tiberino, nell'Alta valle del Senio vi era la Pieve di Santa Maria in Tiberiaco, e nella media valle ,la grotta del re Tiberi. Molto probabilmente questi nomi derivano dal re troiano Tiberino e non come molti propongono, da Tiberio imperatore romano o dal suo omonimo imperatore Bizantino. Occorre pure tener presente che il primitivo nome del Tevere era Spino, ebbene Spino come abbiamo detto era il fiume in cui sbarcarono i Pelasgi. Dice il Veggiani che lo Spinete era formato da un fiume che arrivava dagli Appennini, forse il Vatreno, che poi diede il nome alla foce Vatrenica. Se diamo uno sguardo alla idrografia padana ci renderemo conto che questo Spino può corrispondere benissimo ad un corso di acqua formato dal Senio, dal Santerno e forse dal Lamone, Perciò il "problema" Tevere, Senio, Spino, Spinete, Tiberiaco, meriterebbe di essere approfondito. Come pure occorre approfondire il collegamento Tiberino Yupiter esistente anche questo a Bagnacavallo.
(53) Graves Miti Greci 1983 pag 612
(54) Braccesi Letteratura dei nostoi e colonizzazione greca in Magna Grecia 1996 pag 87.
(55) I Dardani, di cui Dardano sarebbe il progenitore, sono ricordati per la prima volta nelle iscrizioni egiziane di Medinet Habu (Pallottino, Etruscologia, 1990, pag. 95). Per la genealogia di Dardano, vedere Enciclopedia Reale Pauly-Wissowa, voce Dardani, pag.2160.
(56) Berard La Magna Grecia pag 375 .
(57) Berard Magna La Magna Grecia pag 353, In antico per Daunia si intendeva una area fra il Gargano e gli Umbri, perciò un buon tratto dell'Italia centrale gravitante sull'Adriatico cif En. Virg pag 1OO3..
(58) Braccesi La leggenda di Antenore 1984 pag 27.
(59) Capovilla Colchica Adriatica Parerga in RIL 1957 pag 783,
(6O) Capovilla La tradizione greca ed il problema degli Ambrontas-Ligyes in MAL 1953 pag 246.Dice Arctino che il Palladio lo aveva portato Dardano cifr Vanotti l'Altro Enea pag 234.
61) Castagnoli La leggenda di Enea nel Lazio Studi Romani XXX, Il culto del cavallo era usanza Micenea, cifr Braccesi Indizi di freguentazione ecc pag 144 .
(62) Kerenki Dei ed eroi greci 1972
(63) Che i micenei occupavano Creta non occorre riportare fonti.
(64) Nella alta valle del Senio in località Monte Battaglia è stata trovata tale tipo di Ambra cif Catarsi Dell'Aglio in Storia di Bellaria, 1993, pag 44.
(65) Fra le indagini da fare al riguardo dei Micenei: il matriarcato romagnolo deriva forse da loro? L'affermazione dello Ps Aristotele che Dedalo aveva "il potere" nelle isole Elettridi, significa forse che i Micenei o addirittura i Minoici "comandavano" in quelle zone? In tal caso occorre pensare a qualcosa di più di un semplice commercio? Forse gli Illiri sono dei Micenei? In tal caso Illirio figlio di Cadmo fondatore di Adria, può essere anche lui considerato un miceneo? Quanti altri collegamenti si possono fare?, Senza alcun dubbio la preistoria dell'Alto Adriatico è ancora da scrivere!! magari, dopo una attenta indagine, ci renderemo conto che la sua "storia" era già stata scritta dagli autori greci, ma non se ne è tenuto conto in quanto si è pensato che fossero tutte " favole".
Altra bibliografia
AAVV Enea nel Lazio, Archeologia e Mito, 1981
Ampolo Enea e Ulisse nel Lazio da Ellanico a Festo in PP 1992
Arrighetti Cosmologia mitica di Omero e Esiodo in SCO 1966
Arrighetti Esiodo 1998
Antonelli Sulle navi degli Eubei: Immaginario mitico e traffici di età arcaica in Esperia 5 1995
Bosi I Greci dal Ponto all’Adriatico, Studi Storici, 1973
Braccesi Greicità Adriatica 1977 ,con moltissima bibliografia
Braccesi Coppola I Greci e l'Adriatico in Prontera la Magna Grecia ed il Mare 1996
Carandini La nascita di Roma 1997 , con moltissima bibliografia
Castagnoli Lazio arcaico e mondo greco PP 1977
idem La leggenda di Enea nel Lazio Studi Romani XXX
Capovilla Saggio di Geografia linguistica e mitica protostorica in Atti Istituto Veneto di scienze1963
idem Praehomerica et Praeitalica 1964
idem L'Odissea e problemi sull'estremo occidente in RIL 1958
idem Studi di Geolinguistica e Protostoria Italica in Aevum 1957
idem Introduzione Miceneo-Italica RIL 196O
Cerrato ,Sofocle,Cimone,,Antenore e i Veneti in Athenaeum 1985
Colonna , I Greci di Adria in rivista storica dell'antichità 1974
idem Pelagosa ,Diomede, e le rotte dell'Adriatico in Arc Class 1999
Coppola Siracusa e il Diomede Adriatico in Prometeus 1988
D'Anna Il mito di Enea nella documentazione letteraria in Atti Magna Grecia 1979
Del Ponte, Dèi e Miti Italici, 1988
De Palma La Magna Grecia, 1990
De Simone, Il nome del Tevere, Studi Etruschi, 1975
Di Benedetto Nel laboratorio di Omero 1994
Ferri Il problema di Ravenna Preromana in Opuscola SCO 1962
Ferri La funzione dell'Adriatico nel movimento migratorio della protostoria in AAA 1977
Funaroli La figura di Enea in Virgilio Atene e Roma 1941
Gabba Mirsilo di Mitimma ,Dionigi e i Tirreni in RAL 1975
Giardina l'Identità incompiuta dell'Italia Romana in Atti conv Italie d'Auguste a Diocletien 1992
Gitti, Sulla colonizzazione greca nell’alto e medio Adriatico, PP, 1952
Guglielmi Sulla navigazione in età micenea PP 1971
Lazzaro, Fons Aponi: Abano e Montegrotto nell’antichità, 1981
Luppino i Pelasgi e la propaganda politica del V secolo A.C. in CISA 1972
Mazzarino Il pensiero storico classico 1966
Mastrocinque Romolo e la fondazione di Roma 1993
idem Da Cnido a Corcira Melaina 1988
idem Santuari e divinità dei Paleoveneti 1987
idem La fondazione di Adria in Antichità delle Venezie 199O
Medas, La navigazione adriatica nella prima età del ferro, in Genti e Civiltà, 1996
Nava Appunto per un controllo con dati archeologici della tradizione mitografica alto Adriatica in Pds1972
Ostenberg Luni nel Mignone e problemi di preistoria d'Italia 1967
Pais Storia della Sicilia e della Magna Grecia 1894
Pallottino Storia della prima Italia 1994
Palmer, Minoici e Micenei, 1969
Paratore La leggenda Apula di Diomede in Archivio Storico Pugliese 1953
Pasquali l'Idea di Roma in Terze pagine stravaganti 1942
Patroni Studi di mitologia Mediterranea ed Omerica 195O
Peretti Eforo e Ps Scilace SCO 1961
idem Il Periplo di Scilace 1979
Ronconi Per l'Onomastica antica dei mari in Studi italiani di filologia classica 1931
Scuderi Il mito eneico in età Augusta in Aevun 1978
Sordi, Il mito troiano e l’eredità etrusca di Roma, 1989
Stella Miti Greci dall'Ionio all'Alto Adriatico in AAA 1977
Susini Yupiter Serenus ed altri dei in Epigrafica 33 1971
Susini, Il santuario di Ferocia e delle divinità salutari a Bagnacavallo, in Studi Romagnoli, 1960
Terrosi Zanco Gli Argonauti e la Protostoria in SCO 1957
idem Diomede Greco e Diomede Italico in RAL 1965
Vagnetti, I Micenei in Italia, PP 1970
Vinci Omero nel Baltico 1998 .
ABBREVIAZIONI
PP = La Parola del Passato; RAL = Rendiconti dell’Accademia dei Lincei; RIL = Rendiconti Istituti Lombardi; Dion. Alic. = Dionigi di Alicarnasso, Storia Romana Arcaica; Licofrone, Alex. = Licofrone, Alessandra (traduzione del Ciaceri); ENc Vir = Enciclopedia Virgiliana, CISA = Contributi dell'Istituto di Storia Antica, Università Cattolica di Milano; RFIC = Rivista di Filologia e Istruzione Classica; SCO = Studi Classici e Orientali; AAA = Antichità Alto Adriatiche; MEFRA = Melanges d'Archeologie de Ecole Francaise de Rome; Pds = Padusa.
JOSELFSGUBBUS @ LIBERO. IT
martedì 22 febbraio 2011
Sinnai, presentazione libro sulla civiltà nuragica.
Sarà presentato Venerdì alle 18.00 circa, presso il museo archeologico di Sinnai, in Via Coletta 20, nell'ambito degli Aperitivi Archeologici 2011, a cura dell'Associazione di iniziativa culturale Archistoria, un lavoro sulla civiltà nuragica e la presentazione del libro:
“Sherden, Signori del mare e del Metallo", di Pierluigi Montalbano
Interverranno, oltre l'autore del libro, Marcello Cabriolu e Giuseppe Mura,scrittori di opere riguardanti la storia della Sardegna all'epoca dei nuraghe.
All'interno della sala conferenze del museo, sarà allestita una mostra di 4 barche in legno, ricostruite in scala 1:20 secondo le tecniche in uso in epoca nuragica, e una navicella in bronzo realizzata da un maestro fonditore sardo.
Al termine della serata è previsto un rinfresco.
Ingresso libero.
Per informazioni:
Ente gestore Civico Museo Archeologico e Pinacoteca
A.T.I Bios - Nemeion - 335 80 91 112 coop.bios@libero.it
lunedì 21 febbraio 2011
Quirra, proposta choc di un senatore: test con armi all'uranio nelle basi
Folle proposta di un senatore pugliese.
Intervengo con uno strappo al normale svolgimento di questo quotidiano on-line perché sono rimasto fortemente scosso da una folle proposta di un parlamentare pugliese che, anziché dedicarsi a progetti per il benessere delle comunità, scopo per il quale noi cittadini paghiamo il salatissimo stipendio dei politici, decide di esprimere il suo parere sui problemi del poligono di Quirra (e, di conseguenza, delle altre basi militari).
Fornisco tutte le informazioni pubbliche su questo senatore affinché possiate esprimere la vostra opinione direttamente presso i suoi recapiti.
Sono graditi i commenti dei frequentatori del blog, qualunque contributo sarà graditissimo.
Questo è il suo indirizzo e-mail pubblico: gallo_c@posta.senato.it; questa è la sua pagina web: http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Attsen/00025262.htm Il senatore fa parte della Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, di cui fa parte anche Gian Piero Scanu del PD, che si spera faccia sentire la sua voce; i membri della commissione sono elencati nel seguente link http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Commissioni/0-00081.htm
Test con armi all'uranio impoverito nei poligoni sardi per vedere se producono nanoparticelle cancerogene". E' la proposta del senatore Pdl Cosimo Gallo.
Si potrebbe sparare un po' di uranio impoverito per vedere finalmente l'effetto che fa. E' la proposta, ufficiale, avanzata dal senatore pugliese Cosimo Gallo (Pdl) durante l'ultima riunione della commissione parlamentare di inchiesta all'uranio impoverito, che si è tenuta a Roma mercoledì scorso. Si può trovare negli atti ufficiali del Senato, pubblicati nel sito internet istituzionale .
La proposta ha subito scatenato le reazioni dei parlamentari. «Credevo fosse uno scherzo, invece compare negli atti ufficiali. Assurdo», ha affermato Gian Piero Scanu, deputato gallurese del Pd presente ai lavori della commissione parlamentare d'inchiesta chiamata a far luce sull'alta insorgenza dei tumori tra i soldati e i civili reduci dalle missioni all'Estero della Nato o che abitano o lavorano nei pressi dei poligoni. Critici anche gli indipendentisti dell'Irs: per Gavino Sale si tratta di un «logica demenziale».
Intervengo con uno strappo al normale svolgimento di questo quotidiano on-line perché sono rimasto fortemente scosso da una folle proposta di un parlamentare pugliese che, anziché dedicarsi a progetti per il benessere delle comunità, scopo per il quale noi cittadini paghiamo il salatissimo stipendio dei politici, decide di esprimere il suo parere sui problemi del poligono di Quirra (e, di conseguenza, delle altre basi militari).
Fornisco tutte le informazioni pubbliche su questo senatore affinché possiate esprimere la vostra opinione direttamente presso i suoi recapiti.
Sono graditi i commenti dei frequentatori del blog, qualunque contributo sarà graditissimo.
Questo è il suo indirizzo e-mail pubblico: gallo_c@posta.senato.it; questa è la sua pagina web: http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Attsen/00025262.htm Il senatore fa parte della Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, di cui fa parte anche Gian Piero Scanu del PD, che si spera faccia sentire la sua voce; i membri della commissione sono elencati nel seguente link http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Commissioni/0-00081.htm
Test con armi all'uranio impoverito nei poligoni sardi per vedere se producono nanoparticelle cancerogene". E' la proposta del senatore Pdl Cosimo Gallo.
Si potrebbe sparare un po' di uranio impoverito per vedere finalmente l'effetto che fa. E' la proposta, ufficiale, avanzata dal senatore pugliese Cosimo Gallo (Pdl) durante l'ultima riunione della commissione parlamentare di inchiesta all'uranio impoverito, che si è tenuta a Roma mercoledì scorso. Si può trovare negli atti ufficiali del Senato, pubblicati nel sito internet istituzionale .
La proposta ha subito scatenato le reazioni dei parlamentari. «Credevo fosse uno scherzo, invece compare negli atti ufficiali. Assurdo», ha affermato Gian Piero Scanu, deputato gallurese del Pd presente ai lavori della commissione parlamentare d'inchiesta chiamata a far luce sull'alta insorgenza dei tumori tra i soldati e i civili reduci dalle missioni all'Estero della Nato o che abitano o lavorano nei pressi dei poligoni. Critici anche gli indipendentisti dell'Irs: per Gavino Sale si tratta di un «logica demenziale».
Il colle di Monte Claro, la culla della civiltà di Cagliari
La storia del colle di Monte Claro
di Pierluigi Montalbano.
Relazione presentata in occasione del ciclo di incontri sui colli cagliaritani organizzati dall'associazione Italia Nostra.
Fino alla seconda metà del XIX secolo, i maniaci di tutta l'Isola venivano abbandonati a se stessi o internati a Cagliari, in due locali ricavati nei sotterranei dell'Ospedale civico "S. Antonio Abate". Nel 1859, nel nuovo ospedale civile "S. Giovanni di Dio" fu aperta, tra le altre, la clinica psichiatrica, che migliorò di molto le sorti dei malati di mente e segnò una svolta nel loro trattamento e quindi anche nella storia della psichiatria isolana.
Le testimonianze più remote del sito comparvero durante i lavori di fondazione dell’ospedale psichiatrico provinciale, quando i ritrovamenti archeologici portarono alla luce le tracce di quella che gli studiosi hanno significativamente chiamato la Cultura di Monte Claro, e che si qualifica tra le più importanti della preistoria in area mediterranea. Il sito presenta continuità di frequentazione, con iscrizioni e frammenti di colonne riportati dal Canonico Giovanni Spano, che testimoniano l’epoca romana, sino alle testimonianze medievali quando la zona, di vocazione agricola, fu sede privilegiata per insediamenti monastici che favorirono il culto e la devozione per Santa Maria Chiara, con conseguente produzione di opere d’arte alcune delle quali tuttora conservate. Quando la Provincia di Cagliari prese in affitto il colle per costruire il nuovo ospedale psichiatrico alla fine dell’Ottocento, destinando la Villa ad alloggio del direttore, mantenne in efficienza gli orti e le vigne, così come erano nei secoli precedenti.
Il colle divenne una colonia agricola che contribuiva al sostentamento della struttura. La storia recente fissa come data fondamentale il 1978, quando la legge Basaglia impose la soppressione dei manicomi e ancora il 1998, quando gli ultimi ospiti abbandonarono la struttura ospedaliera. In questi anni l’amministrazione provinciale ha dedicato grande impegno al recupero dell’area e alla restituzione all’uso pubblico del grande parco e delle strutture che vi sono comprese. Spazi per i bambini, per iniziative ricreative e progetti culturali, a servizio della comunità.
Le vicende dell’area, fino a pochi anni fa inaccessibile per la presenza degli edifici ospedalieri, sono in evoluzione e la dolce collina di Monte Claro, mai urbanizzata nel corso dei secoli, oggi è fruibile come spazio verde. Il parco con le sue fontane, i laghetti e le numerose aree di sosta e di giochi per i più piccoli, hanno conquistato le preferenze di molte famiglie che lo frequentano per godere di un momento di quiete, lontane dal frastuono cittadino.
Questo luogo è ricco di un’importante storia millenaria che lo rende unico nel suo genere. Le notizie più antiche le fornisce Enrico Atzeni, che ha chiarito come, dal colle di Monte Claro, ubicato alla periferia orientale di Cagliari, derivi il nome di una delle più importanti culture della preistoria sarda e mediterranea, quella di Monte Claro. Evidenziata agli inizi del Novecento durante la fondazione dell’ospedale psichiatrico provinciale, e progressivamente approfondita nel corso di scavi e ricerche a partire dal secondo dopoguerra. Gli studi hanno evidenziato un contesto archeologico prenuragico dai caratteri originali e spiccatamente innovativi nelle tipologie tombali, nelle decorazioni e forme dell’artigianato ceramico, e nell’avanzata presenza della metallurgia del rame.
La ricerca scientifica attesta la presenza di questa cultura distribuita capillarmente nel territorio isolano in un periodo compreso fra 2700 e 2200 a.C., precedente agli assetti architettonici della civiltà nuragica dell’Età del Bronzo.
L’archeologa Donatella Salvi ha precisato che il sito riserva anche interessanti testimonianze d’età romana lungo la via denominata Is Stelladas, che univa Cagliari a Pirri. Si tratta di un’insieme di vie: Bacaredda, Ciusa, dei Valenzani, Santa Maria Chiara. Numerosi frammenti di colonne in marmo sparsi lungo il percorso oltre le colonne ancora visibili all’interno della chiesa di San Nicolò, frutto di spoglio da più antichi edifici. Dallo stesso luogo provenivano anche le colonne in granito che affiancano l’ingresso del regio Arsenale, oggi Cittadella dei Musei.
Numerose notizie arrivano sulla Via Is Stelladas che univa Cagliari e Pirri. Il percorso iniziava lungo la Via Giardini verso l’attuale Via Riva Villasanta, una delle strade che in età romana si allontanavano dalla città ed erano segnate da aree funerarie. Questo assetto si coglie già fra la Piazza Garibaldi e la Chiesa di San Domenico, dove è stato ritrovato un sarcofago durante la realizzazione della scuola Riva Villasanta, proprio alle spalle dell’abside di San Domenico. La strada diretta a Pirri percorreva Via Bacaredda dove, nel giardino di Giuseppe Millo e nei possedimenti Calvi, si sono trovati cippi a botte e capitelli con dediche funerarie. In corrispondenza del primo tratto di Via Riva Villasanta (tra via delle cicale e via dei grilli) è stato individuato il più antico insediamento umano di Cagliari, datato intorno al 3000 a.C., noto come villaggio di Terramaini e dotato di un’ampia cisterna romana che testimonia la continuità di frequentazione.
Il gruppo sociale ricordato nelle iscrizioni doveva godere di un buon livello di vita e di un certo grado di istruzione perché la realizzazione dei cippi costituiva un impegno economico, considerato che il calcare duro non è disponibile nei terreni sedimentari di Pirri e doveva essere trasportato dalle cave cagliaritane già sbozzato per la lavorazione finale. Inoltre la stesura dei testi a ricordo dei defunti suggerisce un buon grado di alfabetizzazione per leggere il ricordo scritto dei propri cari.
Altre tracce sono rappresentate da cippi e lastre con iscrizioni, risalenti ai primi secoli dopo Cristo, che denotano una committenza di buon livello e consentono di accertare l’esistenza di necropoli periferiche alla città, disposte lungo le strade di collegamento con l’entroterra. L’area di Monte Claro, ha spiegato Rossana Martorelli, presenta anche emergenze di epoca medievale risalenti ad un’epoca in cui la zona aveva una connotazione rurale caratterizzata dalla presenza di ville e piccoli insediamenti dove si svolgevano attività di tipo agro-pastorale, in grado di fornire alla città i prodotti per il fabbisogno interno e per l’esportazione attraverso il porto. A partire dal XI d.C. furono ceduti degli appezzamenti di terreno a piccole comunità religiose, spesso monastiche, dedite alla coltivazione dei campi.
A partire dal XI secolo furono ceduti alcuni appezzamenti di terreno a piccole comunità religiose monastiche dedite alla coltivazione dei campi, come attesta la chiesetta di Santa Maria de Vineis, donata ai vittorini di Marsiglia. La sua ubicazione, all’ingresso di Pirri, è sconosciuta. Dopo la conquista catalano aragonese di Cagliari del 1326, l’area di Monte Claro risultò compresa nella giurisdizione del capoluogo isolano. A quei tempi risale la chiesa di Santa Maria de Monte Claro, in riferimento ad un edificio di culto che gli studiosi ritengono collegato ad un insediamento cistercense.
Nel 1348 una catastrofe demografica, legata anche alla peste, colpì Cagliari e causò lo spopolamento dei piccoli centri. Tuttavia nel 1351 la villa di Santa Maria de Claro (villa significa piccolo aggregato rurale che si occupava di attività agro pastorali) era ancora abitata, dato che era tra i feudi della famiglia catalana dei San Clemente ai quali i giurati di alcune ville dovevano pagare dei dazi. Con la dominazione aragonese, molti territori e beni ecclesiastici, già pesantemente saccheggiati dai pisani e dai genovesi, vennero alienati e assegnati in feudo a famiglie vicine al re, che gestiva militarmente l’economia locale. Nel 1358 la villa è detta fatiscente a causa della guerra fra il regno d’Arborea e i catalani. Nel 1397 il Re Martino concesse il territorio della villa all’Università di Cagliari.
Una carta del 1442 riferisce che Antonio Pol legò alla cappella di San Pietro, in San Domenico, molti censi e 25 terreni intorno alla chiesa di Santa Maria Clara per adibirli a pascolo e coltivazioni.
Il piccolo borgo legato alla chiesetta è scomparso nel XVI secolo ma si ritiene siano i ruderi inglobati in una casa colonica ancora oggi visibile sulle pendici di Monte Claro. È da questo luogo che ebbe origine il culto e la devozione per Santa Maria Chiara (forse mai esistita), la cui origine fu il XIII secolo nel momento storico che coincide con la massima presenza dell’ordine cistercense. La chiesa di Sancta Maria Clara risulta menzionata nei documenti fino al 1550.
Nel 1604 alcuni inventari ricordano il trasferimento di arredi dalla chiesa di Santa Maria de Claro nella chiesa di san Pietro, oggi parrocchiale di Pirri, perché evidentemente l’edificio originario non era più frequentato. Nel 1701 la Causa Pia relativa a San Pietro a Pirri dispose spese per il restauro della Chiesa di Santa Maria Chiara, in occasione della visita del vescovo. Si trattava di una chiesa di impianto tardo-gotico catalano con trasformazioni barocche del ‘700, la costruzione della campana conservata oggi al municipio di Pirri che reca la scritta 1775 Santa Maria de Claro, e una cripta realizzata nel 1777.
Nel 1809, con la spesa di 164 lire, 3 soldi e 6 denari, Santa Maria Clara venne smantellata e le sue pietre trasportate a San Pietro di Pirri.
Non mancano notizie sul sito di Monte Claro dal 1600 al 1900 d.C., ricordate da Adriana Gallistru, quando il territorio, coltivato a orti, vigneti e frutteti, vide la presenza dei Gesuiti, che avevano acquisito un appezzamento in quest’area alla fine del ‘500. Nei secoli successivi abbiamo l’acquisizione di vaste aree della zona da parte di don Vincenzo Otger, di Giovanni Maria Angioy, ai quali si affiancò la vigna del conte Mossa, ricordato da Giovanna Deidda come uno dei più prestigiosi vinificatori dell’Ottocento. Il conte Mossa modernizzò la viticoltura sarda attraverso l’introduzione di nuovi macchinari e sperimentò nuove tecniche di vinificazione. Nel 1860, durante la proprietà del Conte Federico Mossa, l’azienda contava 839 alberi di olive, 320 di mandorle, 9 di albicocche, 30 di pere, 6 di carrube, 50 di fichi, 66 di prugne, 5 di ciliegie24 di melograno, 35 di pistacchio e lunghe siepi di fico d’india, 434 filari con 34632 viti. I processi di vinificazione erano seguiti personalmente dal conte, attento alla qualità dei vitigni e a miscelare con equilibrio le uve al momento della vendemmia per creare vini migliori, destinati ai più esigenti mercati di Torino, Genova, Milano, Napoli, Firenze e Roma. Produceva, fra gli altri, moscato, nasco, monica e malvasia, oltre una lista di vini da pasto, da taglio e da dessert. Non mancava il cosiddetto vinetto che veniva offerto quotidianamente ai lavoranti. Con il Calamattias di Monte Claro, ottenne la medaglia d’oro nel 1878 all’esposizione di Parigi, e l’anno seguente a Milano. Si prodigò affinché tutti i prodotti sardi, e non solo il vino, fossero commercializzati fuori dall’isola e trattenne una lunga corrispondenza con Francesco Cirio, industriale conserviero insieme al quale rifornì i mercati italiani, londinesi e parigini. Morì nel 1891 ma il premiato vigneto eredi conte Federico Mossa continuò l’attività fino agli inizi del XX secolo.
Alla fine dell’Ottocento si aprì un nuovo capitolo per il colle di Monte Claro e, come riferisce Anna Castellino, la Provincia di Cagliari progettò il nuovo ospedale psichiatrico organizzandolo secondo una tipologia detta “a villaggio”, ossia a padiglioni staccati, secondo un modello diffuso nei manicomi europei. L’antica Villa Clara fu destinata a residenza del direttore e della sua famiglia, mentre i rustici furono adattati a stalle, magazzini e alloggi della colonia agricola, predisposta per consentire la terapia del lavoro ai degenti validi, ma anche per garantire il sostentamento autonomo del manicomio. La colonia comprendeva un mandorleto, un frutteto una vigna e vari campi coltivati a legumi e ortaggi che: garantivano l’alimentazione dei degenti, ed erano anche fonte di ricavi attraverso la vendita fatta a medici e dipendenti dell’ospedale, ma anche a persone all’esterno.
La legge Basaglia del 1978 impose la chiusura degli ospedali psichiatrici, ma Villa Clara continuò a funzionare per chi si trovava già ricoverato. Il grande cancello si chiuse il 18 Marzo 1998, con gli ultimi ospiti che, smarriti e increduli, si allontanarono per sempre dal loro antico ricovero.
Monte Claro nella preistoria cagliaritana
Tra il VI e il I Millennio a.C., le fonti articolano, lungo la fascia costiera sarda, antiche fasi neolitiche, con levigazione della pietra e le prime società agricole, ed eneolitiche, con la lavorazione dei primi metalli, per giungere alle fasi del Bronzo e del Ferro, che vedono la fioritura architettonica nuragica.
I primi nuclei cagliaritani sono dediti alla pesca e ad attività marinare, con proliferazione di villaggi di capanne nell’hinterland campidanesi. Intorno agli anni ’50, a seguito di ritrovamenti nei quartieri di La Vega e Sa Duchessa, si inquadra nell’area metropolitana l’importante cultura preistorica di Monte Claro, oggi diffusa in tutta la Sardegna con varianti territoriali. Questo periodo si pone a monte della civiltà nuragica, con forti concentrazioni nel meridione, specie nella Marmilla e nei territori campidanesi. Si documentano villaggi capannicoli, luoghi funerari con tombe di svariata tipologia, santuari a menhir, strutture con vani stretti e allungati edificati su zoccoli in pietra absidati e, verso il periodo finale, ciclopiche architetture megalitiche che paiono anticipare le successive strategie territoriali nuragiche. La realizzazione di grandi muragli poste a difesa di abitati o edificate su luoghi elevati sono un chiaro indizio di mutamenti nella società.
La muraglia più nota è quella di Monte Baranta di Olmedo, dove l’area dell’insediamento si colloca sul margine scosceso dell’altura, mentre la fortificazione è stata realizzata a sbarramento del lato più debole e aperto. Nel meridione dell’isola sono documentate sepolture in piccole fosse foderate da lastre o da piccole pietre come a San Gemiliano di Sestu e a sa Cruxi ‘e Murmuri di Sarroch. Nel Sulcis-Iglesiente le grotte naturali accolgono un numero consistente di defunti, tanto da diventare delle caverne-ossario.
Si tratta di una cultura che mostra un fiorente artigianato ceramico con elementi di riflesso mediterraneo conosciuto lungo le rotte legate all’espansione della metallurgia. Si notano nuovi stili decorativi in vasi di grande e piccolo formato, giare, olle, fiasche, boccali, piatti, scodelle, ciotole, tripodi e altri reperti con orli a tesa esterna e larghe anse a nastro.
Ornamenti geometrici a stralucido, con l’azione della stecca passata sulla superficie del vaso prima della cottura, o marcate scanalature orizzontali e verticali arricchiscono la produzione fittile. A volte si notano motivi a file di punti impressi o a piccoli triangoli intagliati.
Tra i prodotti dell’industria metallurgica, significativa la presenza di pugnali in rame a forma di foglia e con lungo e stretto codolo a verga ribattuta. È inoltre documentata per la prima volta l’utilizzazione del piombo per la realizzazione di grappe di restauro per i vasi. In pratica quando si rompeva un vaso venivano praticati dei fori nei frammenti combacianti e delle piccole strisce in piombo tenevano uniti i pezzi.
Nei rioni La Vega e Duchessa si notano tracce di affioramenti abitativi e una vasta area cimiteriale compresa tra la Casa dello Studente, Via Basilicata e Via Trentino, documentata da raggruppamenti sparsi di sepolcri a tombe ipogeiche mono e pluricellulari, con profondi pozzi d’accesso e camerette di sepoltura a forno. Il rituale funerario era l’inumazione primaria, con i defunti rannicchiati su un fianco. Alcune tombe multiple mostrano banconi perimetrali e battuti pavimentali con un denso strato di argilla rossa.
Il corredo funebre è ricco di ceramiche e presenta oggetti d’ornamento ed elementi metallici.
Nella fase finale della cultura Monte Claro, intorno al 2200 a.C., la Sardegna viene interessata dalla corrente culturale detta del Vaso Campaniforme, che ebbe ampia diffusione nell’Europa centro-occidentale. Questo nuovo periodo è caratterizzato da bicchieri a campana e dalla presenza di 3/4 piedi sui vasi, così da poter essere meglio posti sul fuoco. Sono denominati tripodi.
Al termine di questo periodo si assiste ad una cesura culturale caratterizzata dall’introduzione di grandi spade, scomparsa di decorazioni nelle ceramiche, scomparsa dei vasi tripodi ed edificazione dei primi protonuraghe.
I pazienti dell’ospedale e i loro assistenti furono le ultime genti di monte Claro, e l’archivio storico dell’antico nosocomio, con i suoi 16.000 fascicoli, costituisce ancora una voce propria.
Nelle immagini:
Alcune ceramiche rappresentative fotografate al museo di Cagliari
Disegni di una tomba multipla a pozzetto, con bancone perimetrale.
Veduta dall'alto della Cittadella della Salute
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