giovedì 2 dicembre 2010
Fenici, 1° parte di 3
L'antica civiltà Mediterranea
di Pierluigi Montalbano
I termini “fenicio” e “punico” (in realtà lo stesso termine con grafie diverse) si usano in maniera differenziata, il primo per intendere il quadro culturale e il secondo per qualificare la fase cronologica occidentale a partire dalla fine del VI a.C. caratterizzata dalla egemonia di Cartagine.
Il primo termine venne coniato dai Greci intorno al VII a.C., con il significato di "rossi", forse per via del loro abbigliamento tinto con la porpora. Trovo poco verosimili altre interpretazioni legate al colore della pelle o dei capelli. In realtà, come i fenici chiamassero sé stessi, non é chiaro, ma dubito che esistesse un solo termine ad indicarli, pertanto in questo lavoro si preferisce individuare quei popoli che viaggiando, lavorando e integrandosi con le altre popolazioni costiere diedero vita al “rinascimento” avvenuto dopo le invasioni dei popoli del mare”. In altre parole, con il termine civiltà mediterranea si intende una civiltà caratterizzata da territorio costiero, cultura, religione, lingua e scrittura omogenei e che va dal Libano sino all’Atlantico, dalla Lixus marocchina sino agli insediamenti levantini portoghesi (passando ovviamente dall’Andalusia e Cadice), e che cronologicamente va dal Tardo Bronzo sino alla piena età romana imperiale. Ovviamente identità culturale non significa un blocco di cloni tutti uguali nel territorio e nel tempo ma, come tutte le culture, quella mediterranea presenta una profonda evoluzione nel tempo e nello spazio. All’interno di questo quadro si possono delineare “sub-identità” regionali, tra le quali quelle occidentali assumono un ruolo importante e identificabile soprattutto a partire dalla “crisi” delle città orientali. Mediterranei di Sardegna, di Spagna, di Sicilia e di Nordafrica, i cui centri ormai vengono sempre meglio identificati a partire dalla fine IX-VIII a.C.
In questo quadro cresce il ruolo di Cartagine che diventa una vera e propria “capitale” dell’occidente mediterraneo a partire dal VI a.C. e che, pur riconoscendo il ruolo (ormai virtuale) di madrepatria a Tiro, costruisce il proprio ambito politico-territoriale, incidendo anche in modo culturale, oltreché politico, sulle altre comunità mediterranee dell’occidente. Questo è il periodo che viene da molti studiosi definito “punico”. Per fare un esempio concreto diciamo che le tombe di Cagliari sono mediterranee di epoca punica, cioè appartengono a questa fase.
Quanto ai materiali egiziani ed egittizzanti (esistono e sono diffuse entrambe le categorie) presenti nelle tombe di Tuvixeddu (dove però non ci sono statue egiziane) appartengono a epoca punica; e sono presenti in quantità anche nelle altre necropoli coeve di tutto il Mediterraneo. La loro diffusione ha come motore propulsore alcuni centri tra i quali, in Egitto, il fondaco levantino presente a Menfi, il “campo dei Tiri” di Erodoto (ma si commerciava già prima del X a.C. nel Medio Egitto) e, soprattutto, il centro greco di Naucrati nel Delta del Nilo. Questo per gli oggetti egiziani, quanto a quelli egittizzanti le produzioni vanno da quelle del Libano a quelle locali (sarde e spagnole ad esempio), bisogna tenere conto, infatti, che la cultura levantina subisce una profonda influenza egizia sin dal II millennio a.C.. A questi manufatti si aggiungono oggetti originali egiziani provenienti dal saccheggio delle tombe, anche faraoniche, e che finiscono sul mercato mediterraneo e vengono deposti in tombe in età più tarde: i vasi di alabastro del centro mediterraneo di Sexi (Almuñecar, Spagna) ne sono un esempio.
Quanto ai “Levantini” in senso stretto, si riferiscono a un fenomeno diverso, cioè ai traffici commerciali nei quali appare chiara una compresenza di diverse componenti etniche propriamente dette (tiri, sidoni, ciprioti, aramei, filistei ecc.) e greche (in particolare euboici). In questi ambiti commerciali soprattutto di VIII a.C. stiamo sempre più trovando, con dati scientificamente provati, anche la compresenza di nuragici e levantini. Una “joint venture” che trova conforto sia nella presenza di centri nuragici con mediterranei che si stabiliscono al loro interno (vedi S. Imbenia di Alghero) sia di centri mediterranei con nuragici al loro interno (Sulci). In altre parole, dal IX a.C. l’arrivo dei levantini ha in Sardegna una pluralità di risultati che vanno analizzati distintamente. Quello che è ormai abbastanza chiaro è che a partire dalle fasi avanzate dell’VIII a.C. e soprattutto del VII a.C., la comunità sarda sarà una comunità meticcia nella quale l’aspetto culturale mediterraneo diventerà sempre più presente, senza che questo significhi la scomparsa delle altre componenti, che anzi partecipano attivamente.
Considerando le differenze che si riscontrano tra i reperti mediterranei d'Oriente e d'Occidente, e quelle fra gli stessi reperti di Occidente, l'impressione che se ne ricava é che i personaggi di questa civiltà in realtà appartenessero ad una mescolanza di etnie e culture (cananei, filistei, gibliti, sidoni, tiri, aramei, ciprioti, cretesi, filistei…).
Mi viene in mente un paragone con i tempi di oggi. Gli extracomunitari provenienti dall'Africa vengono sbrigativamente definiti "vu cumprà" ma sono ben lungi dall'essere una sola etnia con una ben precisa cultura. L'origine africana li accomuna per certe cose, ma le differenze di origine locale li allontanano per altre. Ad esempio, la comune religione islamica di senegalesi, nigeriani, marocchini e maghrebini vari accomuna popoli che in realtà sono molto diversi. La mia impressione é che dalle coste dell'attuale Libano siano partite diverse etnie e culture verso Occidente, e a seconda della regione in cui si stabilirono si sono più o meno fuse con le popolazioni locali. Ritornando alla definizione di una etnia fenicia, a Tharros sono stati trovati anche diversi reperti filistei, che non si può giustificare sotto la cappa esclusivamente “fenicia”. La stessa stele di Nora mi lascia perplesso. Ho già letto una dozzina di interpretazioni diverse, tutte elaborate da luminari della scienza. Eppure mi risulta che la lingua ufficiale fenicia sia traducibile. Perché allora tante traduzioni diverse?
Risulta evidente che il termine fenici non sia un appellativo etnico. Forse i Greci preferivano impiegare un termine generico che inquadrava l'origine di tutte queste genti in quella striscia di terra. Qualora questa considerazione fosse esatta, mi pare intuitivo che ogni etnia tendesse a privilegiare le proprie rotte verso i lidi dove alcuni di loro si erano già ben sistemati.
Sappiamo che i pastori del centro dell'isola tradizionalmente non sono migrati a caso: fonnesi e gavoesi hanno privilegiato l'oristanese, i desulesi l'iglesiente, gli arzanesi il Parteolla... Ciò perché i primi arrivati, una volta sistematisi per bene, fungevano da catalizzatori nei riguardi di parenti e paesani. Perché non pensare che i levantini si siano comportati allo stesso modo? Se così fosse si potrebbero spiegare le differenze osservate tra i cosiddetti fenici delle diverse aree del Mediterraneo occidentale, ma anche quelle con le loro aree d'origine a Oriente.
IUmagini tratte da grece-bleue.net
di Pierluigi Montalbano
I termini “fenicio” e “punico” (in realtà lo stesso termine con grafie diverse) si usano in maniera differenziata, il primo per intendere il quadro culturale e il secondo per qualificare la fase cronologica occidentale a partire dalla fine del VI a.C. caratterizzata dalla egemonia di Cartagine.
Il primo termine venne coniato dai Greci intorno al VII a.C., con il significato di "rossi", forse per via del loro abbigliamento tinto con la porpora. Trovo poco verosimili altre interpretazioni legate al colore della pelle o dei capelli. In realtà, come i fenici chiamassero sé stessi, non é chiaro, ma dubito che esistesse un solo termine ad indicarli, pertanto in questo lavoro si preferisce individuare quei popoli che viaggiando, lavorando e integrandosi con le altre popolazioni costiere diedero vita al “rinascimento” avvenuto dopo le invasioni dei popoli del mare”. In altre parole, con il termine civiltà mediterranea si intende una civiltà caratterizzata da territorio costiero, cultura, religione, lingua e scrittura omogenei e che va dal Libano sino all’Atlantico, dalla Lixus marocchina sino agli insediamenti levantini portoghesi (passando ovviamente dall’Andalusia e Cadice), e che cronologicamente va dal Tardo Bronzo sino alla piena età romana imperiale. Ovviamente identità culturale non significa un blocco di cloni tutti uguali nel territorio e nel tempo ma, come tutte le culture, quella mediterranea presenta una profonda evoluzione nel tempo e nello spazio. All’interno di questo quadro si possono delineare “sub-identità” regionali, tra le quali quelle occidentali assumono un ruolo importante e identificabile soprattutto a partire dalla “crisi” delle città orientali. Mediterranei di Sardegna, di Spagna, di Sicilia e di Nordafrica, i cui centri ormai vengono sempre meglio identificati a partire dalla fine IX-VIII a.C.
In questo quadro cresce il ruolo di Cartagine che diventa una vera e propria “capitale” dell’occidente mediterraneo a partire dal VI a.C. e che, pur riconoscendo il ruolo (ormai virtuale) di madrepatria a Tiro, costruisce il proprio ambito politico-territoriale, incidendo anche in modo culturale, oltreché politico, sulle altre comunità mediterranee dell’occidente. Questo è il periodo che viene da molti studiosi definito “punico”. Per fare un esempio concreto diciamo che le tombe di Cagliari sono mediterranee di epoca punica, cioè appartengono a questa fase.
Quanto ai materiali egiziani ed egittizzanti (esistono e sono diffuse entrambe le categorie) presenti nelle tombe di Tuvixeddu (dove però non ci sono statue egiziane) appartengono a epoca punica; e sono presenti in quantità anche nelle altre necropoli coeve di tutto il Mediterraneo. La loro diffusione ha come motore propulsore alcuni centri tra i quali, in Egitto, il fondaco levantino presente a Menfi, il “campo dei Tiri” di Erodoto (ma si commerciava già prima del X a.C. nel Medio Egitto) e, soprattutto, il centro greco di Naucrati nel Delta del Nilo. Questo per gli oggetti egiziani, quanto a quelli egittizzanti le produzioni vanno da quelle del Libano a quelle locali (sarde e spagnole ad esempio), bisogna tenere conto, infatti, che la cultura levantina subisce una profonda influenza egizia sin dal II millennio a.C.. A questi manufatti si aggiungono oggetti originali egiziani provenienti dal saccheggio delle tombe, anche faraoniche, e che finiscono sul mercato mediterraneo e vengono deposti in tombe in età più tarde: i vasi di alabastro del centro mediterraneo di Sexi (Almuñecar, Spagna) ne sono un esempio.
Quanto ai “Levantini” in senso stretto, si riferiscono a un fenomeno diverso, cioè ai traffici commerciali nei quali appare chiara una compresenza di diverse componenti etniche propriamente dette (tiri, sidoni, ciprioti, aramei, filistei ecc.) e greche (in particolare euboici). In questi ambiti commerciali soprattutto di VIII a.C. stiamo sempre più trovando, con dati scientificamente provati, anche la compresenza di nuragici e levantini. Una “joint venture” che trova conforto sia nella presenza di centri nuragici con mediterranei che si stabiliscono al loro interno (vedi S. Imbenia di Alghero) sia di centri mediterranei con nuragici al loro interno (Sulci). In altre parole, dal IX a.C. l’arrivo dei levantini ha in Sardegna una pluralità di risultati che vanno analizzati distintamente. Quello che è ormai abbastanza chiaro è che a partire dalle fasi avanzate dell’VIII a.C. e soprattutto del VII a.C., la comunità sarda sarà una comunità meticcia nella quale l’aspetto culturale mediterraneo diventerà sempre più presente, senza che questo significhi la scomparsa delle altre componenti, che anzi partecipano attivamente.
Considerando le differenze che si riscontrano tra i reperti mediterranei d'Oriente e d'Occidente, e quelle fra gli stessi reperti di Occidente, l'impressione che se ne ricava é che i personaggi di questa civiltà in realtà appartenessero ad una mescolanza di etnie e culture (cananei, filistei, gibliti, sidoni, tiri, aramei, ciprioti, cretesi, filistei…).
Mi viene in mente un paragone con i tempi di oggi. Gli extracomunitari provenienti dall'Africa vengono sbrigativamente definiti "vu cumprà" ma sono ben lungi dall'essere una sola etnia con una ben precisa cultura. L'origine africana li accomuna per certe cose, ma le differenze di origine locale li allontanano per altre. Ad esempio, la comune religione islamica di senegalesi, nigeriani, marocchini e maghrebini vari accomuna popoli che in realtà sono molto diversi. La mia impressione é che dalle coste dell'attuale Libano siano partite diverse etnie e culture verso Occidente, e a seconda della regione in cui si stabilirono si sono più o meno fuse con le popolazioni locali. Ritornando alla definizione di una etnia fenicia, a Tharros sono stati trovati anche diversi reperti filistei, che non si può giustificare sotto la cappa esclusivamente “fenicia”. La stessa stele di Nora mi lascia perplesso. Ho già letto una dozzina di interpretazioni diverse, tutte elaborate da luminari della scienza. Eppure mi risulta che la lingua ufficiale fenicia sia traducibile. Perché allora tante traduzioni diverse?
Risulta evidente che il termine fenici non sia un appellativo etnico. Forse i Greci preferivano impiegare un termine generico che inquadrava l'origine di tutte queste genti in quella striscia di terra. Qualora questa considerazione fosse esatta, mi pare intuitivo che ogni etnia tendesse a privilegiare le proprie rotte verso i lidi dove alcuni di loro si erano già ben sistemati.
Sappiamo che i pastori del centro dell'isola tradizionalmente non sono migrati a caso: fonnesi e gavoesi hanno privilegiato l'oristanese, i desulesi l'iglesiente, gli arzanesi il Parteolla... Ciò perché i primi arrivati, una volta sistematisi per bene, fungevano da catalizzatori nei riguardi di parenti e paesani. Perché non pensare che i levantini si siano comportati allo stesso modo? Se così fosse si potrebbero spiegare le differenze osservate tra i cosiddetti fenici delle diverse aree del Mediterraneo occidentale, ma anche quelle con le loro aree d'origine a Oriente.
IUmagini tratte da grece-bleue.net
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la tua idea è banale ed infondata, se tu avessi ragione, esisterebbe una parentela tra gli spagnoli gli atzechi, tra gli irochesi e gli inglesi, tra gli Yanoama e i portoghesi, tra i gli eritrei e gli italiani e tra i camerunensi e i tedeschi, ecc ecc.
RispondiEliminaViceversa le migrazioni di levantini verso l'occidente non iniziarono certamente coi fenici , ma vi fu un continuo movimento di popoli almeno a partire dal XIII sec (vedi M. P. Zedda (archeologia del Paesaggio Nuragico) 2009 o Bernardini (Torri , mettali e mare) 2010), e non è fuori luogo definire come shardana i levantini che iniziarono ad arrivare in sardegna da quel periodo.
saluti
Conosco la tua (e di altri autori orientalisti) proposta, ma interpreto gli avvenimenti in modo diverso. Polemicamente potrei affermare che la civiltà nuragica non è spiegata da questi studiosi (non parliamo di cosa c'è a Malta, nelle carovaniere nord africane o nelle coste atlantiche francesi e britanniche), così come non spiegano come sia possibile che degli agguerriti e abili soldati siano arrivati a dominare la Sardegna delle grandi torri nel XIII a.C. senza combattere, proprio nel periodo nel quale tutto il resto del mondo conosciuto si spostava dalla parte opposta e dichiarava guerra (annientandoli) agli ittiti e agli egizi. E quale cultura portarono? Come mai non cancellarono i sardi? Quali innovazioni sono avvenute in quel periodo? Ma preferisco non deviare il discorso e mantenerlo sui binari tradizionali.
RispondiEliminaLe parentele fra popoli ci sono, sono evidenti, ed è così da quando l'uomo ha iniziato a spostarsi alla ricerca di risorse per sopravvivere. La manipolazione dell'ambiente circostante richiede la conoscenza del territorio, delle sue risorse e, soprattutto, la capacità di intervenire per sfruttarlo.
Ho descritto accuratamente la mia teoria delle migrazioni post glaciazione, e sono uno dei sostenitori che coraggiosamente afferma che le civiltà mesopotamiche furono colpite in pieno da quella civiltà megalitica che da occidente verso oriente si spostò (nel corso di qualche millennio) soprattutto per mare colonizzando tutte le coste fino ad arrivare a Gerico (IX Millennio a.C.) e Katal Houyuk (VIII Millennio a.C.), manifestandosi in modo maestoso e lasciandoci le statuette della dea madre, le costruzioni con grandi pietre, l'allevamento dei buoi, il culto degli antenati e altri dettagli (simboli che conosci come graffiti di imbarcazioni e animali, spirali, coppelle...).
Questi occidentali influenzarono le culture successive e si..."imparentarono" con esse. I luoghi dai quali provenivano non erano più vivibili e furono costretti a cercare la sopravvivenza nelle fertili terre vicino al Nilo, al Tigri, all’Eufrate. Lo stretto passaggio fra Mar Mediterraneo e Mar Nero era il nodo cruciale di quei popoli, e chi dominava quello stretto poteva controllare i commerci.
A tutto ciò si aggiunge un fatto rilevante: la nostra visione è occidentale, ma esiste l'altra parte del mondo, quell'oriente estremo che tanto ci affascina e che già nella seconda metà del IV Millennio a.C. conosceva i metalli.
...segue
...
RispondiEliminaChi è convinto che tutto nasca in Mesopotamia dovrebbe allargare le proprie convinzioni.
Ritornando per un attimo indietro nel tempo…come spiegare la rivoluzione neolitica? Come è possibile che dopo aver "dormito culturalmente" per oltre 90.000 anni ed essersi rivolti a caccia, pesca e raccolta per sopravvivere (che richiedevano continui spostamenti), l'uomo si risvegliò improvvisamente conoscendo l'agricoltura e l'allevamento?
Dici bene quando affermi che le migrazioni non iniziarono con i fenici. Questi ultimi sono recentissimi viaggiatori, da identificare con un mix di popoli che abitavano i territori del Vicino Oriente nel periodo dei faraoni ramessidi. Si mossero da oriente, ma discendevano da quei popoli del mare (Haou-Nebout, Pelasgi o chiamali come preferisci) che a più riprese si introdussero in quei vuoti lasciati dalla scomparsa della civiltà minoica (gli Haou-Nebout orientali, quelli di Creta) prima, e micenea al termine del Bronzo. Erano i dominatori dei mari. Omero e altri antichi autori descrissero bene cosa accadde. Tutta la letteratura sui miti greci ci suggerisce gli avvenimenti. La tradizione orale è importante, non bisogna trascurarla.
I levantini ripercorsero, nella 2° metà del II Millennio a.C., le stesse rotte percorse nei millenni precedenti dai popoli che trafficavano con l'ossidiana prima e con il rame poi. E mi riferisco, specificatamente, a popoli che della Sardegna (come delle altre isole e di svariati lembi di costa mediterranea) conoscevano bene gli approdi, le fonti d'acqua per l'approvvigionamento durante gli scali marittimi, ed erano accettati dagli indigeni. I levantini si mossero proprio alla ricerca di risorse nuove, e andarono in quei luoghi nei quali sapevano di trovare metalli e alimenti (olio, vino e prodotti della coltivazione).
Devo, comunque, dire che hai espresso un’obiezione difficile da affrontare in un blog e in poche righe. Spero che altri lettori offrano spunti come questo.
ricambio i saluti