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domenica 19 dicembre 2010

Acqua e riti di culto


Ipotesi sul culto dell'acqua.
di Pier Paolo Saba


Fin dalle origini, l'Acqua, è stato il veicolo principale che ha creato e permesso la vita. Questo Elemento indispensabile alla sopravvivenza è quello che fin dai tempi più remoti, l'uomo, ha tenuto nella massima considerazione come un dono divino, al quale lo ha accostato. Naturalmente questo dono prezioso ha contribuito, associandolo ad una divinità, a creare dei riti che si sono poi tramandati alle leggende giungendo fino a nostri tempi.
L'Acqua è servita ai lavacri rituali, oltre che all'uso dell'igiene personale, dalla quale ha attinto, per presentarsi puliti innanzi al Dio invocato.
A questo punto, è chiaro che si sia creato un culto vero e proprio, un culto che prevede degli obblighi da seguire come rituale specifico.
In ogni latitudine si è osservato che l'uso rituale dell'acqua è stato sempre usato ed un esempio classico moderno, è il Gange, in India. Lo stesso rituale è manifesto nel battesimo Cattolico Cristiano, nel lavaggio dei piedi usato dai Musulmani prima di entrare alla Mecca, ma questi esempi scivolano indietro nel tempo e ci riportano alle antiche culture come la Sumera e Babilonese che, nell'area Medio Orientale, tra il Tigri e l'Eufrate ha coltivato per millenni usi e costumi legati poi indissolubilmente all'acqua che i due grossi fiumi hanno alimentato la vita di quelle genti come la stessa cultura Egizia che attraverso il Nilo, tuttavia non divinizzato, per gli effetti che produceva con il ciclico straripamento delle acque, permetteva la continuità della vita elargita dal Dio – Hapy - ( Hapy; nome del Nilo dalla traduzione geroglifica) che obbligava i suoi sacerdoti ad un rispetto ferreo dei rituali. La casa - tempio del Faraone, era il luogo dove si celebravano i riti legati al Nilo: Nello stesso tempio, era situata una immensa vasca dove il Faraone assistito di sacerdoti officiava ed implorava la divinità affinché soddisfacesse i desideri e le preghiere dei fedeli.
Con un sofisticato sistema idraulico, l'acqua del Nilo era portata alla vasca dove periodicamente si eseguivano i riti così officiati:
I sacerdoti che facevano corona intorno al Faraone, erano vestiti di una pelle di leopardo posta sopra la tunica bianca, avevano la testa rasata, e quattro volte al giorno purificandosi con i bagni fungevano da intermediari tra i fedeli e la divinità MUT (dea della guerra e delle inondazioni) alla quale si incoccavano.
Oltre che in Egitto, lo stesso culto si diffuse poi, in tutto il mondo di allora, approdando a suo tempo a Roma la dove la cultura egizia era stata importata. Roma, multietnica e culturalmente straordinariamente avanzata, era anch'essa legata al culto delle acque come, d'altronde, tutte le città del mondo antico ci riporta in Sardegna, terra dove il culto era piuttosto esteso e praticato sin dagli albori.
Oltre 12000 anni fa, alla fine delle glaciazioni, nel Wurmiano, genti provenienti dall'Africa, dalla Spagna e poi dalla Liguria iniziarono a praticare dei riti legati al culto delle acque. Tale culto era collegato alla luna che rifletteva i suoi raggi sull'acqua, creando effetti che impressionano notevolmente officianti e fedeli, durante il plenilunio nelle notti tra Dicembre e Febbraio, a mezzanotte, quando la luce della luna cade perpendicolare sullo specchio dell'acqua, il riflesso argenteo risale le scale e fuoriesce dal pozzo.
Dai rilevamenti scientifici così rivelati, prendono finalmente corpo tante leggende legate a questo culto delle quali si può estrarre un compendio su quanto succedeva, allora, durante i riti.

Un ipotetico caso sullo svolgimento del rituale dell'acqua.

L' imponente mastio di “Santu Antine” è illuminato a giorno, quella, la Regia Sacra dalla quale i Sacerdoti seguiti dal Capotribù, dignitari, militari e popolo tutto in un corteo lunghissimo che si snoda fino al Pozzo Sacro, seguono il Principe.
Sebbene il percorso sia brevissimo, il tempo sembra si sia cristallizzato, immobilizzato non passa più.. Il loro incedere è lentissimo nonostante il clima, quella notte, non sia troppo clemente... Il freddo della notte, quello venuto da nordest è molto pungente e graffiante, ma non incide più di tanto sui propositi che sono prefissi per quella notte e già da tempo preannunciati.
Al seguito, musici ed officianti salmodianti, tutti con una torcia in mano, sfilando, creano un effetto surreale tale, impressionante e fantastico.
Dentro e fuori, il Recinto Sacro antistante il Pozzo, è gremito di gente che freme nell'attesa e fa da corona in due larghe ali al corteo che si avvicina.
In piedi, un Sacerdote ed alcuni assistenti attendono il corteo con il Principe che assisterà al rito che si compirà tra breve.
Un brusio generale si accende e si spegne all'istante alla presenza del capo che ha appena varcato la soglia dell'area sacra. La fissità del suo sguardo volto al pozzo, all'ingresso, si volge improvvisamente al cielo dove la luna con la sua luce splendente illumina gli astanti mentre si avvicina sempre più all'orifizio aperto sulla verticale del pozzo dove lascerà cadere i suoi raggi.
A tre metri dal Sacerdote che lo aspetta, il Principe si ferma e si volta verso il suo popolo che intanto si è inginocchiato reverente in segno di rispetto. Alzata la mano destra in segno di saluto e protezione, benedice tutti e voltatosi ancora si pone innanzi all'altare che è stato allestito per l'occasione, altare sul quale, nel frattempo, era stato posto un animale da sacrificare alla Dea Madre, la Luna, che, con i suoi raggi avrebbe rigenerato l'acqua, purificata poi, attraverso il sacrificio che pochi stanti dopo si sarebbe compiuto in onore della divinità.
L'aureo colore del coltello di bronzo balenò per un istante alla luce lunare ed affondò profondamente nel collo della vittima sacrificata, senza proferire un lamento, come fosse cosciente dell'importanza del suo ruolo in quella particolare occasione. Mentre il sangue sgorgava a fiotti, il sacerdote ne raccolse una piccola parte in una ciotola e ne versò alcune gocce nell'acqua del pozzo nell'istante che la luna immergeva i suoi raggi rigeneranti e purificatori sull'acqua tinta di sangue che si dissolse in un istante mentre si compiva il Miracolo. La lama di luce argentea che si stagliò dal pozzo, impressionò notevolmente la moltitudine che aspettava fremente il responso della divinità, la luce fantasmagorica che si stagliò verso il cielo illuminando l'intera area e le genti che aspettavano, le fece esplodere in visibilio con un canto di ringraziamento che preludeva allo sfarzoso banchetto organizzato in precedenza, già qualche giorno prima, nell'attesa che si compisse il miracolo tanto bramato.
Alla conclusione del rito, il Principe, seguito dal corteo che lo aveva accompagnato, salutato il popolo tutto ed augurato un felice e prospero futuro, si incamminò per tornare alla reggia dove l'intera famiglia e dignitari vari lo aspettavano per fare festa.
Intanto la stessa festa si consumava dentro e fuori il Sacro Recinto dove le genti si erano accalcate.
Il vino ed altre bevande ricavate da cereali fermentati scorreva a fiumi quella notte, accompagnando le carni che erano state arrostite e bollite poste in una marea di grossi bacili di pietra dove sul fondo, mirto ed altre erbe aromatiche impreziosivano il gusto di quelle pietanze prelibate. Non mancavano formaggi di vario tipo, frutta fresca e secca, abbondava insieme al latte freschissimo munto la stessa sera. Non mancavano neanche i pesci ed i frutti di mare di cui erano golosi e per il fatto che il mare poi, non era troppo lontano dalla zona, naturalmente c'erano anche quelli pescati nei fiumi e negli stagni dove abbondavano le anguille, anch'esse prelibate.
Una festa meravigliosa accompagnata da canti e suoni di tamburi e strumenti a fiato, flauti e Launeddas suonavano ininterrottamente inebriando il pubblico che scioglieva i propri freni inibitori con abbondanti bevute, mentre la notte, seppur freddissima, sembrava non esistesse intanto che scorreva lentissimamente ma, scaldata da enormi falò innalzati per l'occasione e che continuavano ad ardere fin oltre il sorgere dell'alba, un alba nuova, un giorno nuovo carico di buoni auspici portati dall'evento miracoloso verificatosi nell'istante del sacrificio, in quella notte appena trascorsa.
Appagati, finalmente, gradualmente tornarono tutti alle loro capanne.

Storie più o meno simili si sono alternate vicendevolmente nei tempi, così il culto dell'acqua è ancora presente attraverso il battesimo nella Chiesa Cattolica. Il rito del battesimo ripete l'antico lavacro purificatore, infatti, esso ha la funzione di lavare il peccato originale e di rendere “puro” il neonato, “Purificato” appunto.
Alla stessa maniera l'Acqua Santa con la quale ci si segna con la croce entrati in chiesa, ha la stessa funzione, ossia quella di presentarsi puri, lavati simbolicamente, innanzi all'Altare.
Questo culto antichissimo è stato trasformato a suo tempo e riutilizzato dalla Chiesa Cattolica, come ha sempre fatto, imponendo nomi cristiani a luoghi, città e paesi dove si praticassero antichi culti pagani con la scusante della cristianizzazione.
Con la trasformazione dei nomi, molti dei luoghi sono andati scomparendo almeno quanto i riti che anticamente si tenevano in determinate località.

Il culto delle acque
di Shardanao, da blog.libero.it

L’acqua è sempre stata oggetto di culto presso tutti i popoli. L'assenza o la scarsità dell'acqua ha contribuito a creare in Sardegna una situazione di grande povertà, di spopolamento e conseguente impoverimento dell'attività produttiva incidendo sui destini dell'isola. Tale culto ha assunto in Sardegna delle manifestazioni magiche e religiose. Per cui nel passato, ma non solo, si ricorreva alla magia, attraverso la quale gli abitanti per più di tremila anni hanno espresso la loro paura, angoscia e speranza invocando un Dio che facesse cadere dal cielo il prezioso liquido. Tale invocazione veniva espressa mediante riti che sono stati spesso studio di indagini antropologiche da parte di molti studiosi. Questi culti riguardavano non solo l'acqua pluviale ma anche quella sorgiva. Essi avevano riti diversi e riguardavano zone e culture diverse, cioè la montagna e la pianura e quindi la pastorizia e l'agricoltura. Questi riti propiziatori della pioggia sono durati a lungo in Sardegna, diciamo fino agli anni 50, con un cerimoniale di elementi magici e pratici, la cui origine risale al periodo protosardo e nuragico. È chiaro che ciò avveniva poiché l'uomo primitivo era convinto dell'esistenza di un "Dio della pioggia", cioè un essere superiore in grado di concedere la pioggia solo attraverso certi meccanismi per mezzo della magia, di offerte, preghiere e quanto altro serviva a conseguire lo scopo. In Sardegna tale Dio era identificato con Maimone, il Dio della pioggia appunto. Per ottenere la pioggia, si usava immergere le statue fatte di legno o di paglia, in un fiume o in una pozza d'acqua. Infatti la statua rappresentava il Dio dotato di potere uranico (dal cielo) e l'acqua del fiume o della pozza rappresentava il cielo, contenitore d'acqua. E chiaro che tale rito, o presso un pozzo sacro, oppure nello svolgersi di una processione, presupponeva la completa e cieca partecipazione e credenza di tutti i partecipanti, senza avanzare il minimo dubbio su quanto si svolgeva, pena l'insuccesso.
Come già detto si avevano diversi riti a seconda che gli abitanti abitassero in montagna o in pianura, cioè se l'economia era basata sulla pastorizia o sull'agricoltura. Quindi il cerimoniale collettivo basato su di una processione con la presenza di un simulacro era esclusivamente agricolo, mentre in montagna avevamo un cerimoniale molto più elaborato e denso di religiosità e si svolgeva nei pozzi sacri. Questi cerimoniali si svolgevano in certi periodi dell'anno. Questo periodo corrispondeva grosso modo alla primavera, al termine dell'inverno, soprattutto nei mesi di marzo e di aprile, allorquando cessando le precipitazioni invernali la campagna, in montagna o in pianura, necessitava di precipitazioni per l'erba o per la crescita del grano o altro.
Si pensa che al cerimoniale partecipassero tutti indistintamente, ma i protagonisti erano soprattutto le donne e i bambini. Bisognava che chi invocava la pioggia fosse immune da ogni peccato o colpa, per cui i bambini, sinonimo di innocenza e purezza, e le donne vergini o quelle che per un certo periodo non avevano avuto rapporti sessuali, erano i protagonisti principali in un cerimoniale che però non conosceva gerarchie, ma era aperta a tutti, in quanto tutti erano interessati alla riuscita e al conseguimento del fine. I riti che si svolgevano presso questi pozzi miravano allo stesso scopo, e cioè l'invocazione affinché dal cielo cadesse la pioggia, oltre ad altre manifestazioni, come vedremo, di carattere terapeutico o come prova ordalica. Presso questi pozzi i riti assumevano un valore di gran lunga superiore rispetto a quelli che si svolgevano in pianura, che erano per lo più espressione di popolazioni locali, limitate nel numero. Al contrario, i pozzi sacri che erano situati in luoghi di facile reperibilità e visibilità, erano come santuari di frequentazione generale con strutture assai complesse chiamate " cumbessias" e "' muristenes" che permettevano il soggiorno di "pellegrini" provenienti da diverse località. I due aspetti, quello pagano e quello religioso continuano ad operare in Sardegna nonostante diversi secoli di "dominazione cattolica" e dopo 1500 anni dalla denuncia accorata di Papa Gregorio Magno. Infatti Papa Gregorio Magno, uno dei Papi più importanti di tutta la Cristianità, soprattutto per la sua cura pastorale e le esortazioni indirizzate a vescovi, principi e amministratori, nel Maggio del 594, per mezzo di due sacerdoti, indirizza una epistola a Ospitone, capo delle popolazioni barbaricine, nella quale si lamenta che dopo 600 anni dalla morte del Cristo, in Sardegna "Barbaricini omnes ut insensata ammalia vivant, Deum veruni nesciant, Ugna autemet lapides adorenf. Cioè le popolazioni vivono come animali insensati, ignorando il vero Dio e adorando tronchi d'albero e pietre.
Questo tipo di costruzione non si trova altrove ed in particolare in nessun altro territorio che ebbe rapporti commerciali e culturali con la Sardegna. È quindi un elemento indigeno, apparso nell'età dei nuraghi con i quali ha in comune la struttura megalitica.
Che l'acqua avesse anche carattere sacro con virtù terapeutiche e purificatrici ne erano convinte le comunità nuragiche che, più di tremila anni fa, avevano dedicato ad essa santuari, fonti sacre, templi a pozzo diffusi in tutta la Sardegna.
Prisciano, poeta latino, dice: "Sardoniae post quam pelago circumflua tellus fontibus e liquidis praebet miracela mundo qui sanant oculis aegros damnantque nefando periuros furto, quos tacto flamine caecant" e Isidoro, vescovo spagnolo: "La Sardegna ha delle sorgenti termali, le quali mentre guariscono gli infermi, fanno perdere la vista ai ladri, se dopo aver giurato si tocchino gli occhi con quelle acque".
E Solino, nel III d.C. , scrive: "In Sardegna pullulano in vari luoghi delle acque termali e salubri, dotate di virtù terapeutiche; esse o rafforzano le ossa indebolite o disperdono il veleno inoculato dalle solifughe (specie di animale che evita la luce) o anche fanno sparire i dolori degli occhi. Descrizione abbastanza chiara ed esauriente di questi riti presso le acque sacre in quanto si tratta di un vero e proprio "iudicium acquae" e cioè del rito ordalico o giudizio di Dio. Infatti, e non a torto, si è parlato della Sardegna come di un continente, di uno Stato (giudicati), di una civiltà nuragica, di una lingua sarda per mettere in evidenza proprio questa sua unicità.

Immagine di blog.libero.it

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