Archeologia della Sardegna. “Su corpu' e conca”, l'arma segreta degli Shardana?
Articolo di Gustavo
Bernardino
Forse è necessario entrare in
uno specifico ambiente militare e cercare in questo ambito di trovare la
soluzione. Come abbiamo visto il personaggio in esame ha un'arma di offesa
(l'arco) e uno strumento di protezione (l'elmo). E' difficile pensare che
l'elmo servisse per proteggere dalle frecce lanciate dagli avversari, è più
probabile ritenere che l'elmo servisse per parare eventuali colpi di spada e in
questo caso però si deve prendere in considerazione l'ipotesi di un possibile
coinvolgimento nel corpo a corpo. Se fosse giusta questa osservazione ne deriverebbe
una prima interessante immagine dello svolgimento di una battaglia. Infatti si
possono intravedere due precise azioni militari: la prima nell'utilizzo
dell'arco che aveva il compito di eliminare un gran numero di nemici tenendosi
a distanza da essi. La seconda in cui le parti contendenti entravano a contatto
diretto che richiedeva, perciò, l'uso della spada. In questa fase, del corpo a
corpo, giocavano un ruolo fondamentale diverse componenti: la fisicità
(altezza, robustezza, forza, agilità, ecc.)la velocità di pensiero e decisione,
l'esperienza e soprattutto la preparazione. Ma esistono documenti da cui si può
ricavare la giustezza di tali ragionamenti? Per fortuna si.
Questa immagine è preziosa perché
permette di capire come fosse essenziale per (i valorosi Shardana)
indossare il casco cornuto, che era ben saldo nella testa tenuto da un
sottogola, come evidenziato nella
immagine scolpita nel tempio di Luxor e che probabilmente svolgeva due funzioni
simultaneamente. La prima, la più intuitiva, è quella di proteggere il capo dai
colpi di spada o di altri corpi contundenti, la seconda invece è meno evidente
ma, a mio parere plausibile, consentiva al guerriero Shardana di colpire il
nemico con il classico e tradizionale (per i sardi) “corpu' e conca”,
che essendo, appunto, armata delle corna poteva essere decisiva nello scontro a
due. Per dipiù, siccome le corna erano un simbolo sacro che rappresentava una
divinità, come vedremo più avanti, l'elmo svolgeva oltre alla funzione
protettiva tecnica già descritta, anche una protezione divina che assicurava,
probabilmente, al nostro guerriero, la garanzia di un contributo celeste per
eliminare l'avversario.
Sul significato delle corna,
è interessante leggere quanto scrive al riguardo Salvatore Dedola nel cap. 10.3
del volume II dell'Enciclopedia della Civiltà Shardana (Grafiche del Parteolla
2018, pagg. 72/73):”Vi è continuità nella tradizione delle narrative orali
tra Canaan e Israele, anche sul piano religioso: è infatti Ilu/El-Yahweh il dio
che assicura eredi, benedicendo i suoi fedeli e rivelandosi in sogni oracolari;
è Ilu-El-Yahweh che nel così detto “Ciclo di Giacobbe” assume il titolo di
“Toro di Giacobbe”, in perfetta linea quindi col titolo di “Toro” che Ilu aveva
ad Ugarit. Lui è quel “Dio dei padri” i cui luoghi di culto erano Bet'el e, in
epoca pre-monarchica (XII sec.), Dan (Gdc 18, 30) in Galilea, centro di
irradiazione della cultura cananea e punto di incontro delle epiche di Ugarit
con le narrative patriarcali del Genesi.
La Bibbia e pure il Nuovo
Testamento non risparmiano i passi dove le corna sono bellamente rappresentate.
Nell'Apocalisse 5,6 l'agnello ha sette occhi e sette corna. E pure Mosè scende
dal Monte Sinai (Es 34, 29 sgg) con due corna sul capo. Questo passo è talmente
sconvolgente per gli Ebrei ortodossi, che la Bibbia Ebraica (es. quella del
rabbino Dario Disegni) trascrive il termine come 'viso risplendente' anziché
'viso cornuto'...” Dedola continua la
sua esposizione con sapiente e ampia argomentazione per spiegare il “raffinato
gioco di sotterfugi intessuto da millenni dagli Ebrei, i quali non potranno mai
ammettere che proprio Mosè, il rigoroso promotore del Primo Monoteismo Universale,
indossasse le corna al pari di ogni sacerdote, o re, dei popoli “pagani”...”
Riguardo alla divinizzazione
del Toro e al culto che lo ha venerato per oltre 2.000 anni, ho ampiamente
argomentato in un articolo del 6/12/19 ( in questa rivista ) in cui, appunto,
ho evidenziato come fosse rilevante questa figura celeste nella vita dei nostri
antenati a partire dall'eneolitico. L'immagine del toro la troviamo riprodotta
in epoca tarda nelle dimore dei defunti.
Un esempio significativo è quello delle “domus de janas” di Museddu a
Cheremule.
L'ingresso di questa
costruzione sepolcrale realizzato a forma di protome taurina, forse concepito
in funzione del valore simbolico, doveva probabilmente illuminare (scaldare) il
corpo del defunto per consentirgli di raggiungere l'aldilà.
Tornando agli Shardana ed
all'uso dell' elmo cornuto, ritengo che fosse loro consuetudine utilizzare nel
duello il “ corpu' e conca” per le ragioni innanzi esposte che trovano
fondamento anche nella osservazione delle naturali abitudini dell'animale Toro.
E' risaputo infatti che la bestia, affronta il nemico colpendolo con la testa.
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