Archeologia. Postilla su “Il suono degli scudi oblunghi dei guerrieri-sacerdoti di Mont’e Prama”
Articolo (postilla) di Giovanni Ugas
In merito all'articolo "Il suono degli scudi oblunghi dei guerrieri-sacerdoti di Mont’e Prama" pubblicato su questo quotidiano Honebu in data 29.07.2020 al link http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2020/07/archeologia-della-sardegna-il-suono.html il professore Giovanni Ugas scrive queste ulteriori considerazioni:
L’identità dei guerrieri con lo scudo oblungo
Spesso la ricerca dell’identità dei portatori di scudo
oblungo sulla testa proposti dall’arte scultorea
nuragica è stata condizionata dalla problematica
individuazione dell’oggetto tenuto nella mano
guantata. Ora, questo oggetto è un elemento importante,
ma non decisivo, per definire l’identità di
questi personaggi perché, come gli oggetti tenuti nelle
mani dalle immagini degli offerenti, può
indicare un’azione contingente legata al rituale e non la
loro funzione o ruolo. Maggiori garanzie
per l’identificazione dei personaggi offrono i capi
d’abbigliamento e le armi; non a caso il bronzetto
di Vulci con scudo oblungo al fianco è stato identificato da G. Lilliu, come un sacerdote militare per
il fatto che adopera lo scudo ed è connotato dal pileo,
dunque indipendentemente dall’oggetto,
piuttosto enigmatico, che pende dal polso della sua mano
destra.
Chi sono allora questi guerrieri con scudo oblungo sulla
testa e cos’è l’oggetto tenuto da
essi tra le mani guantate? Partiamo dal secondo quesito.
Come ho scritto nell’articolo, per
rispondere è necessario esaminare il complesso delle
forme di questo oggetto tenuto nel pugno
guantato da tutti i portatori di scudo oblungo e la sua
posizione relativa nella composizione
scultorea. Partendo dall’osservazione che si tratta di un
piccolo manufatto di limitata altezza, stretto
e rilevato al centro, tenuto nell’estremità del pugno,
direi delle dita, rivolto sempre verso lo scudo o
posizionato sopra di esso, sono giunto alla conclusione
che l’oggetto era usato come percussore per
battere sullo scudo e che necessariamente la sua funzione
era quella di produrre un suono per
accompagnare ritmicamente una danza. Ora, poiché la danza
è un evento corale, i personaggi con
scudo oblungo, essendo guerrieri, evocano ovviamente una
danza di guerra. È dunque palese la
funzione dell’oggetto, ma occorre capire quale era l’ama
dei guerrieri che danzavano.
La presenza del brassard sull’avambraccio,
indipendentemente da una sua eventuale
relazione con il guanto fissato al polso, induce a
sostenere che i guerrieri con scudo oblungo erano
arcieri. Nella necropoli di Mont’e Prama, oltre ai
portatori di spada, ci sono già alcune immagini di
arcieri con arco semplice e dunque si sarebbe tentati di
dire che i guerrieri con scudo oblungo
appartenevano a un’altra arma; tuttavia tra le grandi
statue è presente anche un frammento di
guerriero con elmo a tiara perlata e pennacchio, analogo
a una figurina bronzea da Abini con scudo
tondo dietro le spalle armata di arco composito e stocco.
Dunque a Mont’e Parma risultano già
documentate due tipologie di arciere con scudo tondo (uno
con arco semplice e uno con arco
composito) e non c’è da meravigliarsi se ve ne fosse una
terza, connotata diversamente dallo scudo
oblungo. Va detto ancora che i due noti arcieri in bronzo
di Sa Costa in Sardara proteggono
lateralmente la testa con un piccolo scudo rettangolare,
diverso da quello tondo, e dunque si
avvicinano formalmente e concettualmente ai guerrieri con
lo scudo oblungo sulla testa. In effetti,
lo scudo lungo e pieghevole come quello delle statue di
Mont’e Parma, protegge l’intera persona e
il suo uso si addice specificamente alla protezione della
testa, particolarmente esposta al pericolo
costituito dai frombolieri e dagli arcieri nemici sia nei
combattimenti a lunga distanza sia negli
assalti agli spalti delle fortezze. Lo scenario più
logico per i portatori di scudo lungo tenuto come
una testudo è certamente l’assalto a una fortezza
condotto da un reparto di guerrieri armati di arco
per il combattimento a distanza e di spada per quello
ravvicinato e occorre chiedersi quale evento
bellico connotato dall’assalto a una fortezza fosse tanto
importante per la comunità di Mont’e
Prama da essere celebrato con una rappresentazione
coreutica.
L’evento celebrato
dalla danza
I Sardi hanno usato lo scudo tondo almeno dal sec. XV
(partiamo dal presupposto, per me scontato,
che gli Shardana siano i Sardi), mentre non sappiamo
quando abbiano cominciato a usare lo scudo
oblungo. La forma di quest’arma difensiva può suggerire
una sua derivazione, sia dal lungo scudo
egizio a forma di stele o da quello ellittico nubiano,
sia dal lungo scudo turriforme miceneo, e meno
dallo scudo “a 8” in uso nell’Egeo e in Anatolia. Oblungo
come lo scudo dei guerrieri sacerdoti
sardi, l’ancile degli Etruschi non sembra documentato
prima del sec. IX e parrebbe derivato dallo
scudo “a 8” miceneo, perché tagliato lateralmente al
centro, ma non sappiamo con certezza
attraverso quale tramite, anche se riteniamo attraverso i
loro antenati Tursha/Tirreni che si
stanziarono in Attica, a Lemno e nel Peloponneso. Da Veio
in Etruria, dove secondo Festo il re era
sardo, l’ancile arriva a Roma alla fine del sec. VIII
come raccontano le fonti latine. Se sono i Sardi
che hanno trasmesso la danza con gli ancili in Etruria e
da qui nel Lazio, l’azione di guerra
celebrata dalle statue dei guerrieri sardi con lo scudo
oblungo non può essere l’assalto ai nuraghi
della fine del sec. XI poiché proprio questo evento,
secondo Diodoro Siculo provocò la fine del
regime tribale e la diaspora dei capi tribù in Italia e dunque
anche in Etruria. Anche tenuto conto
del ruolo che il nuraghe riveste al tempo delle statue di
Mont’e Prama come segno memoriale, e
forse anche come simbolo etnico (Norax guida degli
Iberi), l’evento celebrato dalla danza doveva
precedere la caduta dei nuraghi e risalire al tempo dei
capi tribali. Viene da pensare a qualche
battaglia che ebbe per protagonisti i Sardi/ Shardana
nelle guerre combattute nell’Egeo o al servizio
di Ramesse II o ancora contro i grandi imperi dell’Est del
Mediterraneo tra la fine del sec. XIII e
gli inizi del XII. Ovviamente, dare un nome alla fortezza
da loro assediata con un assalto alle mura
(ricordiamo quelli alle fortezze di Dapur e Tunip al
tempo di Ramesse II) è una missione
impossibile poiché i Sardi parteciparono a molte
battaglie e purtroppo non hanno pensato di
raccontarle con la scrittura e, dopo alcuni secoli, ci
hanno lasciato solo una danza celebrativa e le
immagini scultoree delle varie armi che formavano i loro
contingenti impegnati in guerra.
Il ruolo dei
guerrieri che danzano
Accertato che i guerrieri con lo scudo oblungo erano
arcieri e celebravano con la danza l’assalto a
una fortezza, va ripresa la questione dei differenti
ruoli dei due sottogruppi di guerrieri, quello con
lo scudo sulla testa e quello con lo scudo al fianco. Al
riguardo, ricordiamo innanzitutto che
l’oggetto tenuto nel pugno guantato dalla figurina
bronzea con scudo sulla testa di Dorgali, spesso
definita erroneamente un pugilatore, ha la stessa forma e
perciò la stessa funzione di quello usato
dai due guerrieri di Mont’e Prama con lo scudo tenuto al
fianco. È evidente che le immagini di
guerrieri con scudo oblungo, sia tenuto in testa sia al
fianco, registrano tutte la medesima azione
scenica che preannuncia o attua la percussione dello
scudo e dunque la danza di guerra, ma il fatto
di partecipare a una stessa danza e di celebrare lo
stesso evento non implica automaticamente che i
personaggi dei due raggruppamenti abbiano anche lo stesso
rango militare e identico ruolo nella
danza. La posa dei guerrieri con lo scudo sulla testa è
diversa da quella con lo scudo al fianco ed è
ovvio pensare alla rappresentazione di due diverse fasi
del combattimento, una l’assalto con lo
scudo sopra la testa e l’altra il combattimento ravvicinato
con la spada e lo scudo al fianco, ma i due
sottogruppi si differenziano anche per altri importanti
dettagli. È palese che, mentre i guerrieri lo
scudo al fianco sfoggiano il pileo, le trecce e i
sandali, i portatori di scudo a riparo della testa non
solo ne sono privi, ma sono anche decisamente più
numerosi degli altri e poiché sono impegnati
in una danza che necessariamente è corale si può ben
pensare che rappresentassero i componenti di
un collegio sacerdotale, come quello dei Salii laziali, i
guerrieri danzatori o meglio saltatori, per la
via della loro danza cadenzata, della guardia dei re di
Roma.
Con le loro caratteristiche, le trecce, il pileo, i
sandali, il percussore, oltre che il probabile
sonaglio e il gesto di saluto della figurina in bronzo di
Vulci, i guerrieri con lo scudo oblungo al
fianco si rivelano anch’essi sacerdoti impegnati nella
stessa scena coreutica dei guerrieri con lo
scudo sulla testa, ma palesemente evidenziano anche il loro
rango guerriero e sacerdotale più
elevato. I sandali fanno pensare alla parata degli
ufficiali a fine guerra ritornando col pensiero ai
rilievi dei templi di Ramesse II, dove gli Shardana (i
Sardi) ritratti nella battaglia di Kadesh
combattono a piedi scalzi ma, dopo la battaglia, le
guardie della compagnia regia sfilano con i
sandali davanti al re sul trono. Questi guerrieri
mostrano l’elmo cornuto e i capelli corti ed è palese
che nei portatori di scudo al fianco di Monte Prama il
pileo rivela l’acquisizione della veste
sacerdotale e le trecce connotano il rango senatoriale
raggiunto nel nuovo status politico di anziani.
Dobbiamo pensare, infatti, che gli anziani del consiglio
della comunità, gli aristoi del racconto di
Diodoro Siculo, si distinguessero per le trecce oltre che
per qualche nota dell’abbigliamento. Come
richiamava sagacemente Giovanni Lilliu, nel romanzo di
Grazia Deledda Elias Portolu, il
protagonista è un anziano con le treccioline. A questo
punto possiamo ben ritenere che i due
guerrieri-sacerdoti che picchiano con il percussore sullo
scudo oblungo tenuto al fianco, emersi
dalle ricerche del 2014 a Monte Prama, siano ritratti
mentre danno il tempo ai movimenti di danza
dei componenti del collegio sacerdotale, formato dagli
arcieri con lo scudo sulla testa, che
rievocavano le varie fasi dell’assalto a una fortezza.
Allo stesso modo e con maggiore evidenza, il
guerriero-sacerdote di Vulci con un sonaglio (o un
percussore di forma differente dagli altri) che
pende dal suo avambraccio, considerato il suo gesto di
saluto con la mano aperta, va interpretato
come il capo del collegio sacerdotale che dirige la danza
e dà le cadenze ritmiche ai danzatori
guerrieri; egli corrispondeva, a livello celebrativo, al
militare di rango superiore, che comandava le
operazioni dei guerrieri impegnati nell’assalto.
I tagli rossi delle
statue di M. Prama
Come già riferito, i tagli con tracce di pittura rossa
osservati sul petto e sulle gambe di alcuni dei
portatori di scudo oblungo sulla testa sono stati individuati
e interpretati da Zucca e Paglietti come
le ferite provocate da un’arma, un pugnale. Occorre
rimarcare che nessuna statua di Mont’e Prama
con scudo oblungo sulla testa mostra nel pugno guantato
l’estremità di uno strumento che può
essere assimilato alla punta di un pugnale, come quello
ipotizzato per il frammento di figurina da
Serri edito dal Taramelli, ma un oggetto appena rilevato
che non può essere interpretato in alcun
modo come un’arma. D’altra parte, lo scudo sopra la testa
non può conciliarsi con una lotta di
giovani iniziandi praticata con la punta di un pugnale.
Inoltre, la prova di valore degli iniziandi non
si svolge tra coetanei che usano la stessa arma, ma
contro altri uomini e animali feroci e varie
avversità della natura. Ad esempio a Sparta gli aspiranti
guerrieri usavano il pugnale contro gli
schiavi, gli inermi Iloti che essi incontravano. In ogni
caso, mancano sostegni per attribuire i tagli
con pittura rossa delle immagini di Mont’e Prama
all’oggetto tenuto nel pugno.
Se i tratti rosi incisi non sono segni incidentali o
decorativi (occorrerebbe un’indagine
estesa a tutte le statue per valutare sistematicamente le
tracce di pittura e di incisioni, se ancora è
possibile osservarle dopo la pulitura delle superfici nelle
statue già restaurate), bisogna tener
conto anche del fatto che le ferite possono essere
prodotte in tutti i combattimenti e dunque, se il
fine dei tagli rossi era quello di evidenziare il valore
dei combattenti, non di meno poteva essere
messo in risalto per tutti i guerrieri, non solo per
giovani aspiranti guerrieri. Inoltre, mi aspetterei
che questo rito di passaggio, poiché interessava
indistintamente tutti i giovani della comunità, fosse
celebrato nell’altare di un tempio, più che in un luogo
funerario sia pure sacro.
Va rilevato, però, che l’oggetto prominente che sbuca dal
pugno guantato del frammento
bronzeo di Serri, ammesso che sia la punta di un pugnale
da usare come arma, e non la punta di
un’arma trasformata in un percussore, teoricamente potrebbe
segnalare, in questa statuina da Serri,
un’azione rituale sussidiaria del collegio di
guerrieri-sacerdoti, analoga a quella dei murralia
praticata a fine anno dai 12 danzatori Salii
(“Saltatori”) con gli ancili, culminante con l’uccisione di
vittime umane (poi con vittime sostitutive o l’esilio), e
a quella delle maschere etnografiche che in
Sardegna rappresentano con una analoga danza cadenzata, a
salti (a brinkidus), lo stesso rito
sacrificale di fine anno. Se così fosse, potremmo pensare
ad eventuali ferite incidentali che i
guerrieri-sacerdoti subivano durante la danza rituale
nella “processione” con le vittime designate.
In conclusione, a meno che tra le manifestazioni del
collegio dei guerrieri-sacerdoti di
Mont’e Prama, come per i Salii, non vi fosse anche un
rito sacrificale di fine anno e i tagli in modo
simbolico alludessero a questo rito, dovremmo ancora
cercare le cause per i tagli rossi delle statue
di Mont’e Prama.
Il rapporto delle
statue con il complesso funerario
Ci sfuggono ancora tanti segreti del sito funerario
monumentale e del complesso celebrativo di
Mont’e Prama. Dai dati noti si evincerebbe che nelle
tombe a pozzetto molti dei defunti erano
giovani, come possono esserlo i guerrieri, non solo gli
aspiranti guerrieri di 15-17 anni, ma se
possono essere in sintonia con l’età giovanile dei
defunti le statue dei guerrieri con lo scudo sulla
testa, non possono esserlo le grandi statue dei
guerrieri-sacerdoti di alto rango con lo scudo oblungo
al fianco. È palese che le sepolture sono disposte in
asse sud-nord lungo una via funeraria sotto lo
sguardo delle statue soprastanti innalzate dopo che i
pozzetti circolari, in un momento successivo
alla realizzazione delle tombe più antiche, furono chiusi
con regolari lastre quadrangolari, un piano
d’appoggio a livello, perfetto per le basi quadrangolari
delle statue. In effetti, siamo di fronte a una
sistemazione monumentale delle tombe e delle statue su
una strada funeraria, che forse già allora
era un’importante arteria viaria del territorio del
Sinis, un luogo simbolicamente ideale, con tanti
nuraghi circostanti, per celebrare un evento
importantissimo per un distretto confederale se non per
un intero popolo (in tal caso gli Iliesi).
Ora, i dati cronologici ricavati dalle ossa dei defunti
di Mont’e Prama indicano che, se vi
furono sepolture secondarie, ed è possibile, le
traslazioni avvennero tutt’al più con individui del
Bronzo Finale e pertanto questi non potevano
rappresentare gli eroi di un evento storico del tempo
dei nuraghi. Così, si potrebbe pensare alla celebrazione
di un evento del I Ferro e in effetti,
considerata anche la grande circolazione di armi di
questo periodo, non sarebbe impossibile una
guerra intestina poco prima della fine delle sale del
Consiglio dove si riunivano i consigli degli
anziani. Tuttavia, in tal caso, le prospettive
cambierebbero e non si saprebbe dare ragione degli
scudi oblunghi utilizzati nell’assalto a una fortezza in
un periodo in cui le fortezze (i nuraghi) non
erano più tali da qualche secolo. In effetti, la
sistemazione monumentale della necropoli di Mont’e
Prama con le grandi statue degli eroi non sembra avere
per tema un evento bellico del I Ferro. È
chiaro però che il complesso scultoreo e la monumentalità
della necropoli si addicono a un
momento di forte crescita economica delle comunità locali
e di benessere sociale come quello
esaltato da Diodoro Siculo. È un periodo in cui in
Etruria vi erano i lucumoni o re, almeno in parte
anche sardi di antica discendenza dei capi tribali, ed è
possibile che qualche famiglia del Sinis abbia
accumulato consistenti ricchezze con i commerci, allora
floridi per mare e per terra, e abbia
acquisito un grande potere politico e puntasse a
instaurare un regime monarchico, rivalutando ed
esaltando il periodo dei capi tribali. Tenendo conto del
fatto che finora tutte le statue di Mont’e
Prama rappresentano esclusivamente guerrieri, a una
potente gens può attribuirsi un’azione di
autoglorificazione attraverso la celebrazione e la
rievocazione di uno straordinario evento degli
antenati, come qualche glorioso episodio delle guerre
condotte dai Sardi (gli Shardana), forse anche
del Sinis, nel Mediterraneo orientale durante il Tardo
Bronzo.
Il richiamo di Diodoro Siculo al culto dei re tespiadi,
cioè dei capi tribali, da parte della
popolazione iolea in un tempio aggiunto al sepolcro, dove
sembravano dormienti e incorrotti (dopo
vari secoli), può ben alludere a una fase di recupero
memoriale dell’età dei capi tribali. La notizia
diodorea può riferirsi a un culto praticato presso le
“vecchie” tombe di giganti, ma non di meno può
riferirsi a un’area sepolcrale sacralizzata del I Ferro
come quella di M. Prama. Il “templum” può
essere un edificio costruito in muratura, come è stato
ipotizzato, ma può esserlo anche un sito
funerario delimitato con un temenos sorvegliato dai
betili a occhi e reso sacro con gli altari e le
immagini degli eroi e, forse, del primordiale antenato
(*Ili, Norake, Sardo?), ancora da scoprire. Al
momento nel sito di Monte Prama non è stato trovato un
edificio templare in muratura, che per l’età
del Bronzo Finale e del I Ferro dovremmo immaginare come
un tempio “a megaron”, ma non è da
escludere che Diodoro facesse riferimento a un edificio
sacro costruito in età storica, come ad
Antas, dedicato al dio presso le tombe degli antenati. A
Mont’e Prama, in prossimità della
necropoli del I Ferro, sul pendio occidentale vi sono
resti edilizi, anche con grandi massi e una non
lontana necropoli di età romana.
Ricordiamo che gli eroi tespiadi, cioè iliesi, erano
numerosi (una quarantina) e non di meno
erano numerosi i giganti di Monte Prama, ma ciò può
essere solo una coincidenza, e in ogni caso la
strada della conoscenza del significato di queste statue
e del complesso di M. Prama, così come
dell’intera produzione scultorea sarda, è ancora in buona
parte da percorrere.
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