Storia della Sardegna. I "Falsi d'Arborea", misteriosi e incomprensibili fogli, per i quali il bibliotecario Pietro Martini si affidò allo scrivano cagliaritano Pillito, considerato un abile paleografo, che prestava servizio presso l’Archivio Patrimoniale della città.
(Se ne parlerà Venerdì 24 Marzo nella Sala Conferenze Honebu a Cagliari, in Via Fratelli Bandiera 100 con lo studioso Pietro Maurandi).
Tra i falsi storici più noti che riguardano la
Sardegna, un posto di rilievo spetta alle Carte d’Arborea, documenti che nulla
hanno a che fare con la nota Carta de Logu della Giudicessa Eleonora. Quando, nel 1845, il direttore della
Biblioteca universitaria di Cagliari Pietro Martini ricevette dalle mani del
frate Cosimo Manca un’antica pergamena, non ebbe la minima esitazione nel
credere che quello strano documento illeggibile e dalle dimensioni così
inusuali potesse finalmente far luce sul passato più oscuro della Sardegna. Da
quel momento in poi, continui nuovi ritrovamenti di pergamene, codici e fogli
diedero vita a un ingegnoso castello di menzogne in grado, per qualche tempo,
di creare una pagina di storia totalmente fittizia e immaginaria.
Le Carte d’Arborea, così chiamate perché
rimandavano al palazzo dei giudici d’Arborea, si riagganciavano
cronologicamente alla figura della nota Eleonora e della sua corte,
contribuendo, durante il periodo delle preziose scoperte, a rafforzarne il mito
e l’immagine gloriosa. Ma la parte più interessante riguardava non tanto i
nuovi personaggi portati alla ribalta, quanto piuttosto, il
fatto che in
Sardegna fosse presente una produzione letteraria in italiano già nella seconda
metà del Trecento, a dispetto dei vecchi studi che la rimandavano addirittura
alla fine del Cinquecento. Questo fatto portava a ricostruire la guerra tra
Aragona e Arborea come una stagione di resistenza, anche culturale,
all’influenza iberica, rafforzata dagli stretti legami tra la Sardegna e la
penisola italiana. Altre sei pergamene si aggiunsero alla prima due anni più
tardi, provenivano sempre dalle mani del frate Manca e destarono particolare
interesse soprattutto per la presenza del Ritmo di Deletone, il documento più
antico. Il Ritmo spiegava il modo in cui i sardi, alla fine del VII secolo,
riuscirono a liberarsi dal dominio bizantino riuscendo poi a istituire i
quattro Giudicati. Tutto questo poté avvenire grazie all’insurrezione portata
avanti da Gialeto, fino ad allora completamente sconosciuto agli studiosi, che
divenne poi giudice di Cagliari e spartì ai suoi fratelli i Giudicati di
Arborea, Gallura e Torres. Grazie al Ritmo di Deletone, ora, era possibile far
luce sulla misteriosa quanto buia origine dei Giudicati, un vero e proprio
enigma che pareva essersi risolto proprio con le preziose Carte.
Innumerevoli nuovi documenti vennero scoperti in modo più o meno
avventuroso negli anni a seguire, e tutti sembravano aver fatto chiarezza su
importanti questioni come la vita civile al tempo della corte d’Arborea, le
prime attività letterarie in italiano nell’isola e, come già accennato,
l’origine dei Giudicati.
Per l’interpretazione di questi misteriosi
quanto incomprensibili fogli, Martini si affidò allo scrivano cagliaritano
Pillito, considerato un abile paleografo, che prestava servizio presso
l’Archivio Patrimoniale della città. Facile risultava per Pillito decifrare
ogni singola pergamena, nonostante la scrittura dei testi apparisse illeggibile
anche agli occhi dei più esperti, e tanto bastò a Martini per magnificare le
grandi capacità del paleografo. Martini, del resto, giustificava quello stile
alquanto originale proprio con l’incapacità dei vari popoli di trascrivere
l’antico romano e fu in definitiva proprio la grossolanità della compilazione a
convincerlo dell’autenticità delle Carte, caratteristica che invece sarebbe
stata fondamentale per decretarne la totale falsità. Scrupolosi esami avrebbero
accertato come molte delle pergamene fossero effettivamente antiche e
provenissero, con tutta probabilità, proprio dagli archivi cagliaritani che, è
utile ricordarlo, in quegli anni erano caratterizzati da uno stato di quasi
abbandono. Non rappresentava dunque un problema trovare il materiale per
redigere le Carte, mentre molto più complessa risultò essere, come si è visto,
la loro effettiva realizzazione. Dagli inizi, quindi, l’archivista cagliaritano
fu uno dei grandi protagonisti nella vicenda delle Carte d’Arborea, sia
trascrivendone i testi ma anche contribuendo alla loro divulgazione, sebbene
preferì sempre occupare un ruolo di secondo piano sulla scena. Non poche furono
le tracce che portarono a identificare nella persona del Pillito l’autore dei
falsi, anche se incerto risulta ancora oggi l’obiettivo di questa
macchinazione. Poco plausibili motivi come carriera e denaro, rimangono in
piedi spiegazioni più romantiche, come quella di aver voluto elevare la
grandezza degli archivi e, ancor di più, il desiderio di creare un passato glorioso
per la sua cara isola.
Le Carte d’Arborea custodivano un vero e
proprio tesoro perché concretizzavano i sogni e le speranze di chi, da sempre,
accarezzava l’idea di un’illustre storia nazionale per la Sardegna.
In molti, con le dovute differenze, speravano che la Sardegna
prima delle dominazioni fosse stata italiana e che avesse potuto vantare una
civiltà politica e letteraria all’avanguardia, ma se gli studiosi sardi
arrivarono a magnificare la liberazione contro l’invasore, parlare del sardo
come lingua nazionale ed esaltare la corte d’Arborea, non lo dovevano a una
loro idea politica. Il loro unico desiderio era quello di creare un profondo
interesse nei confronti della storia sarda troppo a lungo trascurata e, perché
no, anche poter essere legittimati come studiosi nell’ambito culturale
italiano. Ma le Carte non avevano
sostenitori solo nell’isola, potevano vantarne anche al di fuori. Alberto La
Marmora, Carlo Baudi di Vesme riuscirono addirittura a far accogliere le
pergamene all’Accademia delle Scienze di Torino.
E’ utile ricordare che fu proprio dalla capitale del Regno che nel
Settecento si cercò di limitare nell’isola le trattazioni di storia per poter
allentare i legami e i valori culturali della civiltà spagnola presenti nel
nuovo possedimento sardo. E anche in questo contesto vanno collocate le Carte
d’Arborea, che cercarono di dare una risposta ai tanti dubbi e ai vuoti
presenti nella storiografia sarda. Illusioni, sogni e speranze finirono poi col
infrangersi mestamente in seguito alla sentenza dell’Accademia di Berlino.
Acceso sostenitore delle Carte d’Arborea,
Baudi di Vesme riuscì ad assicurarsi da Theodor Mommsen la promessa di far
analizzare le pergamene all’Accademia delle Scienze di Berlino, al fine di
ottenere una loro piena legittimazione.
Fu nel marzo del 1869 che ebbe inizio la fitta corrispondenza tra
i due studiosi, le cui lettere da una parte svelavano le incertezze del Mommsen
di fronte ai documenti sardi, e dall’altra le speranze e i timori del Baudi di
Vesme.
La commissione esaminò solo una parte delle pergamene,
privilegiando il lavoro paleografico, ma tanto bastò per arrivare ad una
conclusione netta, che venne poi ufficializzata il 31 gennaio 1870 quando fu
reso pubblico il verdetto. Le Carte, sentenziava chiaramente la relazione
finale, erano tutte false.
Ingenua, grossolana, volgare era stata la contraffazione e questa
sentenza così pesante non poté che coinvolgere tutti quegli studiosi che fino
ad allora l’avevano fortemente appoggiata. Baudi di Vesme, dal canto suo, non
esitò a dichiararsi poco convinto da quel giudizio, ma la gran parte degli
eruditi sardi finì con l’accettare il verdetto anche per non peggiorare
ulteriormente la già scarsa considerazione che nutriva nei loro confronti
l’ambiente scientifico.
La dura sentenza dell’Accademia di Berlino non
rallentò minimamente la tendenza alla commemorazione dei sardi illustri, che
proprio alla fine del secolo ebbe un’importante impennata con le rievocazioni
di Eleonora e del fantasioso Gialeto. Ma le Carte d’Arborea continuavano
comunque a suscitare una forte attrazione e, sebbene non vi fossero più dubbi
sulla loro falsità, continuavano ad avere numerosi sostenitori. Besta, dal
canto suo, sostenne con un articolo apparso su “Archivio Storico Sardo”
l’autenticità di alcune pergamene, inserite appositamente tra le false per far
avvalorare l’intero blocco.
Le Carte d’Arborea nella loro fantasia avevano
ricostruito un’immagine della Sardegna più negativa rispetto alla realtà che
stava emergendo dagli ultimi veri ritrovamenti. E dopo aver appurato l’inganno
del Ritmo di Deletone, la pagina più silenziosa della storia sarda continuava a
rimanere il capitolo sull’origine dei giudicati.
L’ultimo degli studiosi ad aver avuto qualche
flebile contatto con il clima delle Carte d’Arborea fu, nel secondo dopoguerra,
l’archeologo Giovanni Lilliu, scopritore dell’imponente fortezza Su Nuraxi a
Barumini e autore degli importanti studi su “La civiltà dei Sardi”. Fu Lilliu a definire quella
delle false pergamene una pagina imbarazzante per la storiografia sarda,
voltando definitivamente le spalle a una vicenda che tanto polverone aveva
sollevato tra gli illustri capitoli di storia antica.
Fonte: https://trepassiavanti.wordpress.com
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