Archeologia. I sommelier del Neolitico: Trovate le
tracce del vino più antico d'Europa, e non era una bevanda per ricchi
Quando pensiamo al vino in
epoca antica, ci vengono in mente scene di festini, con calici ricolmi e
sontuosi banchetti. Insomma, sembra sia stato un prodotto d'élite. Da un articolo pubblicato
sul Journal of Archaeological Science risulterebbe invece che
l'inebriante bevanda è sempre stata democratica, fin dal Neolitico.
Negli anni Novanta, l'archeobotanica Soultana Valamoti ha cominciato a
studiare le rovine di Dikili Tash, un villaggio neolitico scoperto nel nord
della Grecia all'inizio del secolo scorso. La ricercatrice ha individuato
tracce del cibo consumato dagli abitanti del villaggio, una pratica comune tra
gli archeobotanici, che studiano appunto le interazioni tra popolazione e
piante nel corso della storia. Tra il materiale recuperato nello scavo di
un'abitazione, ha trovato diverse migliaia di semi d'uva, segno che l'uva veniva spremuta, un evidente
presupposto della vinificazione. "La ricchezza del materiale ritrovato
nell'abitazione ci imponeva di andare avanti", racconta la studiosa, che
si è procurata nuovi
finanziamenti per continuare a scavare. Ma, precisa, per
trovare tracce della produzione di alcol occorre un tipo di approccio diverso
da quello adottato in un normale scavo archeologico: bisogna analizzare il
suolo e i frammenti di vasellame alla ricerca di residui di composti chimici
che possano indicare esattamente quali tipi di alimenti venivano consumati. Continuando
a scavare nella casa, tra il 2008 e il 2013, Valamoti e colleghi hanno trovato
segni sempre più evidenti della presenza di vino. C'erano diversi frammenti di
vasellame che contenevano semi e bucce d'uva. Le analisi dei cocci hanno
rivelato tracce di acido tartarico, un composto presente solo nell'uva e nelle
melagrane, che però non crescono nel nord della Grecia. Nelle vicinanze gli archeobotanici
hanno trovato anche piccole tazze di creta e un recipiente per liquidi. "E’
chiaro che ci troviamo in presenza di strumenti per la produzione del vino e
poi di recipienti per consumarlo", sostiene Valamoti. "Anche
applicando tutto lo scetticismo possibile, non si vedono altre
possibilità".
I reperti ritrovati da
Valamoti risalgono al 4.300 avanti Cristo, ma non sarebbero le tracce più
antiche dell'invenzione del vino: l'archeologo Patrick McGovern aveva già
rintracciato in Iran residui chimici associabili al vino e risalenti almeno al
5.400 a.C. Tuttavia Valamoti, oltre ad aver scovato il vino più antico
d'Europa, sarebbe anche l'unica studiosa a poter contare su due tipi di
evidenze archeologiche: acido tartarico e segni di spremitura. L'archeologia
alcolica è comunque un fertile terreno di ricerca: l'archeobotanico Delwen
Samuel ha ricostruito le raffinate pratiche di birrificazione degli antichi
Egizi, e lo stesso McGovern, che si è guadagnato il soprannome di Indiana Jones
delle birre, ha spaziato con le sue ricerche dalla Cina alla cosiddetta tomba
di re Mida, in Turchia, e ha persino fatto da consulente per attuali produttori
che hanno cominciato a mettere in commercio birre create sulla base delle
antiche ricette da lui scoperte.
Le ricerche sul vino, invece, si erano finora concentrate sull'Età del Bronzo:
all'epoca (dal 3.500 a.C. in poi), secondo le testimonianze archeologiche, la
bevanda era riservata ai riti e ai banchetti delle élite. Ma dopo averne
scoperto tracce ben più antiche, Valamoti ritiene che "il vino si
produceva in diverse parti del mondo in cui era disponibile uva, sia selvatica
che coltivata". E poiché la casa da lei indagata era identica per
dimensioni e contenuto a quelle che la circondavano nel villaggio, è plausibile
pensare che il vino fosse diffuso anche tra la gente comune. "Ci sono
tracce di vino, ma non di una società pesantemente stratificata". E
naturalmente, c'è un'altra evidente conclusione: "La gente si ubriacava
già 7.000 anni fa".
Fonte: National Geographic
Fotografia di Luigi Spina,
Electa/Mondadori Portfolio
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