Archeologia. Archeochicca
XXXIII: La città “sine nomine”, il Santuario Etrusco celebre nei secoli. Le
tracce al Museo Civico Archeologico di Castiglion Fiorentino, in provincia di
Arezzo.
di Sergio Murli
“Castiglion Fiorentino,
nessuna notizia che rimandi all’epoca etrusca, almeno nella cinta urbana; è in
provincia di Arezzo e si eleva per 342 m sulla Val di Chiana, conserva
importanti monumenti come le logge del XVI secolo, la chiesa di San Francesco
(XII sec.) in cui è un San Francesco di Margaritone d’Arezzo, e la collegiata
ricostruita nell’XIX sec. Nei resti della pieve si conserva un affresco di Luca
Signorelli. Nel Palazzo Comunale (XVI sec.) pinacoteca.
Per quello che riguarda i
cenni storici, è indicata nel 1014 con il nome di Castillione Aretino. Fu
possesso perugino nel 1369 sotto il nome di Castiglion Perugino, che mutò
infine in Castiglion Fiorentino, quando nel 1384 fu occupata da Firenze. I
resti archeologici in alcune zone circostanti, anche di notevole importanza per
il culto dell’epoca”.
Questo è ciò che si conosceva e sapeva dell’epoca etrusca e romana; e pensare
che i lodevoli saggi e scavi dei primi anni del nuovo millennio hanno fatto
luce su periodi… estremi, si parla anche di una
certa preistoria a Castiglion
Fiorentino, e non è poco, considerando che ne emerge una vita – documentabile
con un po’ di pazienza, di oltre 1500 anni prima di Cristo.
Ma andiamo per ordine: intanto
se vi apparirà cari Lettori, la stesura un po’ confusa, abbiate pena per chi
scrive, che ha subito dei severi danni alla salute, tanti da metterne in
discussione la continuazione della rubrica e anche qualcos’altro di più serio;
ma il vizio e la volontà sono tali che con coraggio e passione, con la solita
dose di incoscienza, si va avanti.
Dicevamo, proseguiamo con
ordine. Tutto nasce, come al solito, dalla lungimiranza di coloro che hanno
voluto “vedere” e dunque ecco sondaggi e scavetti, poi vere campagne di scavo,
nel posto che poteva rispondere a certe domande: e, naturalmente, alcuni grandi
risultati ci sono stati, nella zona centrale e più alta del complesso urbano
castiglionese delimitato da mura medievali e muti – allora – resti di edifici
possenti, come si costruiva in epoca classica, edifici fatti per durare ed è
stata questa la loro salvezza, perché ora, come dicevamo, parlano.
Intanto, tanto per alleggerire il peso delle ipotesi e congetture il mistero
del nome antico, come sapete, molti centri urbani etruschi, cosiddetti minori,
non hanno conservato il nome (sine nomine) ed è arduo risalire a quello che li
connotava all’epoca delle Lucumonie. Per Castiglion Fiorentino c’è da
sceglierne tra due, altrettanto affascinanti e perciò… possibili; noi come
sempre solo” cronistorici” ve li proponiamo e poi fate voi.
Castula e Rétina. Sul primo c'è un grosso ed
interessante studio di Denise Patriarca (anno 2009, Quaderno di Biblioteca n.
33, Centrostampa, Arezzo) che parte da Diodoro Siculo, per altro storico latino
di epoca lontana dai fatti, Diodoro “è autore di una storia universale in 40
volumi, la Biblioteca storica, che tratta delle vicende di
tutti i popoli, dalle origini all’inizio delle guerre di Cesare nelle Gallie
del 58 a.C., una storia realizzata non solo consultando una quantità sterminata
di fonti preziose purtroppo andate perdute, ma integrando il lavoro a tavolino
con una lunga serie di viaggi e di ricognizioni dirette. Come Erodoto.
Una storia seria ed
attendibile, dunque un lavoro meticoloso che purtroppo è giunto a noi solo in
parte, circa un terzo, i primi cinque libri e quelli compresi tra l’undicesimo
e il ventesimo.
L’opera è scritta in greco in
un periodo in cui Roma aveva raggiunto una indiscutibile egemonia politica
nella penisola e in cui molti intellettuali cercavano di realizzare una mediazione
e una armonizzazione tra le due culture.
Diodoro si colloca in questa cerchia di studiosi con la presentazione
sincronica della storia greca e della storia romana.
Il libro ventesimo tratta, tra
le varie vicende, della ripresa della guerra avvenuta nel 311 a.C. tra Romani
ed Etruschi, una guerra che prende il via da Sutri, porta dell’Etruria, con una forte coniuratio di tutti gli
Etruschi, tranne gli aretini, intenzionati ad occupare la città alleata dei
Romani e liberarsi della minaccia sempre incombente della città latina.
I Romani con accortezza
tattica, guidati dal console Fabio, spostano il baricentro delle iniziative
belliche verso l’interno, dove Perugia e Orvieto stavano assumendo un ruolo e
un peso prevalente nello schieramento militare etrusco in modo da alleggerire
la morsa che stringeva d’assedio Sutri con un diversivo che portava la minaccia
direttamente sulle poleis impegnate in modo preponderante.
È sulle vicende di questo
scacchiere che Diodoro riferisce ed è qui che compare, per la prima volta, la
citazione del nome proprio di Castula.”
La Patriarca continua con un
testo già noto nel 1746. Come dice Paolo Brandi, Sindaco alla pubblicazione, si
era nel 2009: “Castula storia di un nome” è titolo
dell’appassionato e per certi versi sorprendente studio che Denise Patriarca ha
voluto dedicare a Castiglion Fiorentino. Appassionato, perché nelle sue pagine,
così dense di notizie e richiami, ho ritrovato lo spirito irrequieto della
ricercatrice, quello spirito che ormai da molti anni spinge questa nostra
concittadina, insieme ad un nutrito gruppo di volontari, alla indagine
archeologica con risultati di grande importanza. Sorprendente, perché mai mi
sarei atteso un’opera così esaustiva e interessante su di un argomento che
all’apparenza, ma solo all’apparenza, può sembrare materia di solitari
filologi.
Invece non è così, il problema infatti non è nella parola ma nella sostanza
della parola, non è nel significato ma nei molti strati che compongono la
parola “Castula”. Se mi si consente un paragone è come quando in uno stesso
sito archeologico si ritrovano, ai vari livelli, segni di culture e civiltà
diverse e qui spetta a chi studia essere capace di separare, scomporre ed
infine ricomporre.
Lo stesso è avvenuto nella
analisi e nella documentazione relativa al nome “Castula”, più simboli, più
luoghi, più autori e più cenni adattabili ad una sola parola.
Personalmente mi piace pensare
che il Castula di Diodoro Siculo sia effettivamente il Castiglion Fiorentino
che oggi conosciamo, ma anche se così non fosse rimarrebbe in ogni caso la
certezza che questa nostra cittadina può vantare a buon diritto una storia
millenaria. E questa certezza nasce dal lavoro certosino, entusiasta
epperò spesso misconosciuto di tante persone, tra le quali Denise, che
negli ultimi due decenni ha consentito nel senso letterale del termine, di
ricostruire la storia di Castiglion Fiorentino”.
Ma aggiunge, sempre nella
presentazione dello stesso studio, Margherita Gilda Scarpellini, allora
Direttrice del Museo Castiglionese: “… Già nel 1993 il Gruppo
Archeologico Valdichiana (GAV) nella pubblicazione Nuovi contributi per una
carta archeologica del territorio castiglionese, Calosci Cortona, dedicata alle
oltre centotrenta ricognizioni condotte a Castiglioni e nel suo agro ed alle
ricerche d’Archivo, aveva evidenziato e proposto tale equivalenza pur non
sottovalutando altre ipotesi sull’antico nome di Castiglion Fiorentino, in
particolare quella avanzata da S. Gallorini (Castiglion Fiorentino
dalle origini etrusco-romane al 1384, Cortona 1992, p.36).
Infatti Gallorini postula che Castiglioni si chiamasse Retina, toponimo di
origine etrusca ancora accostato al nome della pieve paleocristiana dei SS
Ippolito e Cassiano posta nelle immediate vicinanze del paese. … L’eminente
centro antico fu sede di una rilevante acropoli sacra indiziata dagli
straordinari resti dell’apparato architettonico decorativo policromo pertinenti
ad un edificio di culto (fine VI-II sec. a.C.), i cui confronti tipologici
rimandano a templi di Orvieto, Cerveteri, Tarquinia, Marzabotto, ecc. a
testimonianza della sua importanza.
Quindi alla luce di questi
eccezionali rinvenimenti, nulla osta a ritenere che l’oppidum etrusco scoperto
nel cuore diCastiglion Fiorentino possa essere quel Castula menzionato dallo
storico Diodoro Siculo e pertanto affermare con il Ferrario: ‘Castula seu
castilio, oppidum Hetruriae inter Arretium et Cortonam non obscurum’ “.
Perciò, cari Lettori, è sì pro Castula ma il pensiero galeotto va a Rétina,
nome ben più etrusco e forse anche più bello, ma questo è un altro discorso;
fatto da località e luoghi cristiani vicini, con la componente Rétina nel nome…
Come al solito, è una
costante, ora direte: ma insomma la Chicca, oppure la Chicca nella Chicca qual
è? Già, spiegazione: nei nostri giretti in loco, abbiamo visto nel civettuolo
Museo Archeologico, ora diretto dalla Stella Menci, Archeologa, e che pensiamo
presto avrà bisogno di un… allargamento degli spazi, leggi per reperti, e delle
strutture, qui leggi ricostruzione affascinante, non la semplice ricostruzione
ma il risultato e il significato del frontone, bellissimo e miracolosamente
ancora policromo, resto di un edificio sacro che assieme ai reperti di cui
sopra ha formato un’idea nella nostra mente, condivisa anche dalla Menci, che vale
la XXXIII chicca.
Nelle sale del Museo è conservata una notevole quantità di astragali, naturali,
cioè d’osso; c’è anche un bel quantitativo di denti di cinghiale; inoltre,
unico sopravvissuto almeno per ora, un magnifico dado di bucchero con tanto di
numeri valore sui lati, e, guarda caso, un cospicuo deposito ancora nello scavo
dell’area sacra, cioè in situ di magnifici ciottoli uniformi e della stessa
pietra grigiastra – chiaramente anche questi frutto di una raccolta voluta.
Inoltre, distribuiti nelle vetrine o nei magazzini, vasetti-dono votivi
dall’indubbio significato.
E che dire del fondo con
iscrizione, della ciotola di bucchero, palese offerta votiva, della dedicante
Tanaquilla, alla divinità preposta? Ritrovata nel tempio perché oramai, possesso
dei sacerdoti, custodi delle cose sacre. Probabilmente il resto dei frammenti è
ancora presente nelle casse conservate nei depositi del Museo, assieme ad altre
migliaia, in attesa di recupero e ricostruzione, per essere poi esposti nelle
vetrine; certo sarà un ben arduo lavoro, considerando quanto materiale è stato
scavato e scoperto negli innumerevoli strati archeologici del sito.
Qual è la somma intuitiva di
questi oggetti che fanno come risultato una stipe votiva? Certamente la… prova
che qui c’era un famoso santuario, famoso almeno in Etruria, che all’epoca per
qualche secolo ha attratto i fedeli con le pratiche divinatorie dei suoi
sacerdoti; e a proposito ci viene in mente ciò che ci ha detto Mario Menci –
come parentela, zio della Direttrice del Museo – del Gruppo Archeologico della
Valdichiana, GAV, che ha chiamato con felice sintesi i ciottoli scavati nel
sito e le loro pratiche Litomanzia, scienza divinatorio con l’uso
delle pietre, quelle adatte e preposte, ovviamente.
Tempio del quale trovate un
disegno, fornito dall’Amministrazione comunale che ancora una volta
ringraziamo.
Questa è la chicca nella
chicca: indagare - le prove e i mezzi ora ci sono - portare in luce
strutture templari e materiali di… lavoro per poter annunciare senza smentite
che Rétina (o Castula) era un famoso santuario, noto nell’antichità, visitato
dalle genti italiche per i suoi presagi. Si trovava su un contrafforte davanti
alla Valdichiana tra Arezzo e Cortona in una magnifica posizione di controllo
dei traffici stradali e fluviali dell’intera zona. E costruito, notate bene,
sulle vestigia ben più antiche, tanto da costituire materia per studi
approfonditi sulle storie prima della storia risaputa, di queste valli.
Di che parliamo? Ma del primo insediamento etrusco dell’VIII sec. a.C. formato
da capanne che all’epoca erano innalzate, con l’ausilio di pali infissi nel
terreno tramite buchi nella roccia, interessante l’uso di pietre più piccole
per puntellare i pali. Le pareti erano formate da pannelli di terra cotta al sole,
rinforzati con canne a graticcio, mentre il tetto era protetto da frasche
poggiate su intelaiature presumibilmente di legno (qancora una volta, grazie
all'apporte dal Comune). Attorno, scavando, sono emersi ulteriori periodi con
abitazioni che presentano elementi successivi di un secolo, parliamo di un
certo tipo di bucchero, datato appunto non prima della fine del VII, inizi del
VI.
Cosa significa questo? Senza
darci arie di saccenti o di studiosi, è evidente che la vita di Castiglion
Fiorentino come sito, è un po’ più antica di tanti altri luoghi della Toscana
che magari necessitano di approfonditi studi sul terreno per retrodatare la
presenza storica in questa stupenda Regione.
Sappiamo bene di aver trascurato dati ed elementi importanti per gli studiosi
ed appassionati che volessero approfondire, ma la fretta è amica soltanto della
sintesi; lasciamo a chi vorrà ampie praterie di conoscenza.
Conclusioni. Siamo stati accolti in questo posto tranquillo con
rispetto ed attenzione, gente cordiale, negozi accoglienti; e piena
collaborazione e disponibilità da parte delle autorità cittadine incontrate:
dal Sindaco, rag. Mario Agnelli, che ci ha voluto conoscere e disponendo con
l’Assessore al Traffico per il posto auto, lasciandoci lavorare serenamente;
all’Assessore alla Cultura, avv. Massimiliano Lachi, che ci ha fatto compagnia
assieme alla dottoresa Menci, fino a guidarci in un noto ristorante e restando
con noi a parlare di problemi pratici tra una portata e l’altra.
L’impressione è stata ottima,
è evidente l’interesse per ogni motivo che possa aggiungere qualcosa alla vita
cittadina. Lontani, sia chiaro, da eventuali problematiche di schieramento.
Sappiamo che con le ultime votazioni si è verificato un ribaltone : per noi
l’archeologia non ha colore e la nostra Testata è apartitica.
Ringraziamenti. Nasce tutto dalle indicazioni illuminanti
dell’amico e Assessore cortonese alla Cultura, Dott. Albano Ricci, che ci ha
permesso di conoscere la magnifica Stella Menci, archeologa, attuale Direttrice
del Museo Civico Castiglionese, che detto per inciso non è soltanto
archeologico ma molto, molto di più: visitate, cari Lettori, Castiglion
Fiorentino in provincia di Arezzo e ne rimarrete sorpresi, sembra di vivere nel
passato del centro della Toscana; vale davvero il viaggio. Dicevamo della
Menci, ci ha accolto con passione e, pur non avendo un minuto di pausa, ha
trovato il modo di favorirci nelle nostre richieste, rapidamente attivandosi
per agevolare il nostro lavoro. Poi utile per le sue spiegazioni, il prezioso
Mario Menci, che ha permesso alle nostre misere fatiche di dare un senso
conclusivo.
Le immagini sono una gentile
concessione locale, comprese quelle già pubblicate in testi di cui si fa
menzione nell’articolo; i disegni delle ricostruzioni della capanna e del
tempio sono di Arnaldo Rossi, quello del titolo è di Sergio Murli.
Ed ora al futuro prossimo con,
speriamo in un nuova chicca, sempre se Chi sta Lassù non ritenga diversamente.
Fonte:
www.cittàmese.it, settembre 2016
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