giovedì 14 luglio 2016
...quelli che aspettano il convegno di oggi a Cagliari sulla navigazione commerciale nella preistoria
...quelli che aspettano il convegno di oggi sulla navigazione commerciale nella preistoria
di Pierluigi Montalbano
Questa sera, Giovedì 14 Luglio, dalle ore 18.15, con ingresso libero, si svolgerà una serata dedicata alla navigazione antica nel Mediterraneo. L'appuntamento è all'Auditorium Tiscali, località Sa illetta, km 2.300 della S.S. 195 per Pula. Il convegno, condotto da 4 relatori, avrà come tema le tecniche costruttive e le rotte navali delle barche sarde di 3000 anni fa.
Link dell'evento: https://www.facebook.com/events/1139720882738002/
Le
più antiche notizie storiche riguardanti la navigazione commerciale risalgono al 2650 a.C. e appaiono in testi egiziani della IV dinastia. Uno di
essi parla di quaranta navi inviate in Libano per approvvigionarsi del legno di
cedro, ricercato per la costruzione di tetti e per la realizzazione delle parti
nobili degli scafi. Naturalmente, più di quanto accade oggi, la
navigazione antica dipendeva dall’andamento delle stagioni e dal regime dei
venti e delle correnti. Inoltre, la durata del viaggio non era prevedibile,
poiché le antiche navi, capaci di risalire il vento solo con difficili manovre
e un’andatura a zig-zag, navigavano preferibilmente con il vento in poppa ed
erano spesso costrette a cambiamenti di direzione o a lunghe soste. A complicare
la situazione si aggiungevano i problemi di orientamento, basati
sui movimenti del sole o sulle costellazioni. Le nostre principali fonti di
documentazione sulle antiche imbarcazioni sono i monumenti figurati, le notizie
degli storici e degli scrittori antichi, quelle dei documenti epigrafici e,
negli anni più recenti, i ritrovamenti archeologici subacquei. Erano diffuse
piroghe ricavate dallo svuotamento di grossi tronchi d’albero, barche formate
da un’armatura di legno sulla quale erano tese delle pelli cucite tra loro,
zattere costituite da
due piroghe unite da tronchi o formate da una piattaforma
di legno tenuta a galla da otri di pelle animale gonfi d’aria (antenate dei
nostri gommoni), barche di canne o di papiro, come è attestato in Egitto dove,
a partire dal Regno Antico (I-VIII Dinastia 2920-2150 a.C.), si iniziarono a
costruire anche navi di legno, delle quali è giunto a noi un noto esemplare
integro, la nave del faraone Cheope o Khufu (2551-2528 a.C.).
Ecco
una breve nota sul suo ritrovamento:
Nel
1952, ai piedi della piramide del faraone Cheope, durante un lavoro di
asportazione di un cumulo di sabbia gli archeologi portavano alla luce una
pavimentazione di grandi lastre di pietra squadrate. Si trattava in realtà
della copertura di una fossa sigillata. L’esplorazione effettuata con una
macchina fotografica introdotta attraverso un foro rivelava il contenuto: una
grande imbarcazione smontata in numerose parti, remi, grandi tavole, porte,
colonne, elementi diversi, il tutto ricoperto da stoffe ormai degradate e resti
di tappeti. Il legno però si presentava conservato bene grazie al fatto che
l’ambiente era rimasto isolato perfettamente per 4600 anni. Il lavoro di
recupero del reperto era affidato al capo conservatore delle antichità Ahmad
Moustafa. La fossa era lunga 31,2 m, larga 2,6 m e profonda 3,5 m, e conteneva
l’imbarcazione che giaceva smontata in 407 elementi disposti su 30 strati.
Rimessi insieme, si poté constatare che gli elementi componenti tutta la
struttura erano 1224, i più grandi dei quali in cedro del Libano, mentre i più
piccoli, quali cavicchi e perni, erano di gelso. L’imbarcazione, oggi
musealizzata, è lunga 43,4 m, larga 5,9 m e ha un dislocamento di circa 40
tonnellate. Il tavolame dello scafo, spesso 13-14 cm, è assemblato parzialmente
con legamenti passanti attraverso lo spessore dalla parte interna e in parte
con elementi che, perfezionati, troveremo nella tecnica del tenone e della
mortasa delle navi greche e romane. La carena è piatta, senza chiglia, fatto,
questo, comune anche nelle costruzioni più antiche non solo egiziane, con 12
elementi interni classificabili come corbe ma non portanti. Una batteria di 6
coppie di rematori vogava con remi di lunghezza variabile da 6,8 m a 7,8 m,
utilizzati sia come derive sia come timoni.
Lo
studio delle navi egiziane ha evidenziato il metodo di costruzione per mezzo di
legature con fibre vegetali (navi cucite): lo scafo era a fasciame autoportante.
In altre parole, le tavole potevano essere montate preventivamente anche senza
il supporto dello scheletro interno (tecnica detta shell first, ossia prima il
fasciame), grazie alla presenza di incastri (le mortase) realizzati nei giunti
tra l’una e l’altra tavola (i comenti), nei quali venivano inserite delle
linguette di legno (i tenoni).
Le
scoperte dell’archeologia subacquea hanno evidenziato che la tecnica a fasciame
portante era in uso anche nel XIV a.C. La nave di Ulu Burun, Turchia, del 1350
a.C., dimostra che era possibile realizzare questo schema di costruzione anche
senza le legature, semplicemente vincolando i tenoni, inseriti all’interno
delle mortase del fasciame, con spinotti di legno. Lo stesso tipo di nave, con
lievi modifiche, era usato indifferentemente per il commercio o la guerra.
Le
navi da trasporto hanno una forma tondeggiante e utilizzano la vela quadra per
la navigazione; quelle da guerra mantengono una forma allungata, con la prua
munita di rostro e si muovono sia a remi sia a vela. Le navi da trasporto sono
denominate onerarie, e trasportavano merci di varia natura: generi alimentari,
liquidi come vino, olio, o semiliquidi come le conserve di pesce e di frutta,
contenuti in anfore impilate nelle stive.
Il
vasellame da cucina e da mensa costituiva il carico supplementare delle
spedizioni, insieme a suppellettili pregiate e opere d’arte, trasportate in
imballaggi di paglia avvolti da tessuti pesanti, per attutire i colpi ed
evitare danneggiamenti nel corso della navigazione.
Dei
contenitori utilizzati nell’antichità per il trasporto marittimo, solo le
anfore e i recipienti in terracotta sono giunti fino ai giorni nostri. Sacchi,
botti e tutti i contenitori costituiti da materiale deperibile sono andati
perduti. Alcune eccezioni sono rappresentate dal ritrovamento di resti di cesti
in vimini. Il commercio marittimo conobbe anche navi specializzate per
particolari merci quali i marmi lavorati e semilavorati, navi cisterna per il
trasporto del vino dentro grandi vasi di terracotta, detti dolia, capaci di
contenere fino a 3000 litri di vino.
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