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sabato 16 luglio 2016

Archeologia in Sardegna. Il mistero del nuraghe: il vaso sacro di Santu Antine.

 Archeochicca n° 4 – Il mistero del nuraghe: il vaso sacro di Santu Antine.
di Sergio Murli

Raccontiamo in questo articolo un oggetto straordinario e finora unico che dopo millenni si è concesso agli sguardi di innumerevoli visitatori, in maggioranza Sardi, ma che ha interessato consistenti schiere dal Continente, studiosi e turisti stranieri.
Per presentare degnamente questa “archeochicca”, è necessario partire da lontano e tracciare il territorio sardo, tanto da indicare, su una mappa, il luogo, carico di storia infinita e di infiniti tesori che si trova nella parte centro settentrionale della Sardegna, precisamente nel territorio compreso fra i comuni di Torralba, Giave e Bonorva e situato in una delle realtà  paesaggistiche più rare della protostoria europea: la “Valle dei Nuraghi” del Logudoro-Meilogu.
Il nome deriva dalla presenza di un numero veramente eccezionale, oltre 50, di edifici detti appunto nuraghi, pertinenti a quel periodo così fascinoso della millenaria storia dell’Isola, la Civiltà Nuragica.
Tra i monumenti presenti, uno in particolare attirò, per le dimensioni veramente ragguardevoli, l’interesse dei viaggiatori dell’Ottocento e degli studiosi di archeologia.
Si tratta del nuraghe Santu Antine (San Costantino) sito nel territorio di Torralba che costituisce allo stesso tempo la sintesi e l’apogeo dell’architettura protostorica sarda e più in generale del
Mediterraneo occidentale, culla e rifugio segreti per tanto tempo del nostro reperto.
I ripetuti interventi di scavo e di restauro effettuati nel secolo scorso avevano fatto ipotizzare che questo monumento avesse ormai svelato completamente agli studiosi i suoi segreti.
Nell’estate del 2006 durante i torridi giorni di caldo che caratterizzarono i mesi di luglio e di agosto, nell’ambito di un progetto di restauro conservativo del monumento, in una delle torri laterali dell’edificio, venne individuato e scavato un pozzo fino a quel momento ignoto.
Si tratta di una struttura in muratura ipogea, cioè costruita sotto il livello di calpestio, larga circa 1,50 metri e profonda 5,40, con chiusura a cupola nella parte superiore.
Lo scavo e la pulizia del pozzo, anche per ragioni di sicurezza hanno richiesto molto tempo e molta fatica, perché all’interno poteva entrare e lavorare esclusivamente una persona e per breve periodo.
Ma la fatica fu ripagata allorché, dopo metri di detriti si raggiunse il fondo costituito dalla roccia naturale e appoggiato sulla roccia si rinvenne un vaso quasi integro, privo di una porzione che risultò subito tolta intenzionalmente. 
La sorpresa fu grande anche da parte del nostro buon amico Franco Campus, valido e stimato archeologo e responsabile scientifico degli scavi, che, pur avendo pubblicato pochi anni prima un volume di oltre 800 pagine sulla ceramica di età nuragica, mai prima d’ora aveva visto un recipiente così singolare e unico, autentica chicca, degna del posto d’onore nel Museo che ora la ospita. 
Soprattutto quella straordinaria presenza è servita per capire molte cose, sul monumento e ovviamente sul pozzo stesso. Era evidente infatti che in un momento particolare della sua lunga frequentazione questa torre del nuraghe subì, una sorta di cambio di destinazione d’uso, cioè venne sacralizzata.
Il vaso, le cui misure sono altezza 19 cm, diametro all’orlo 6,4 cm e alla base 6,8 cm,  è, come detto, di una tipologia finora non documentata fra i reperti nuragici, ma l’opulenza tipica della pancia rimanda al vasellame dell’ultima età del Bronzo – colore bruno più o meno intenso, consistenza solida e ricchezza di manici in ogni dove, con diversi elementi, quali il finto versatoio e l’ansa a ponte, presenti in recipienti inquadrabili cronologicamente fra la fine dell’età del Bronzo – appunto - e gli inizi dell’età del Ferro (X sec. a.C.), i manici, in particolare, e le modalità con cui sono stati realizzati sembrano imitare recipienti metallici.
Ci troviamo anche qui, come in altri siti, davanti ad una tipologia di passaggio dai contenitori di bronzo a quelli di ceramica con una fase, appunto questa, del vaso di finto metallo?
Tutti questi elementi indicano chiaramente che si tratta di un recipiente utilizzato per scopi cultuali, come sembra ribadire un foro praticato in prossimità del fondo, forse per far defluire qualche sostanza particolare, vino, latte, sangue? al termine di un rituale di consacrazione.
 Ma la pratica di danneggiare il recipiente in modo tale da renderne impossibile l’uso dopo la morte del proprietario, per esempio spezzare il manico di un kantaros o addirittura fabbricarne già con un manico in meno – vedi la civiltà etrusca e buona parte delle popolazioni mediterranee – potrebbe anche far ipotizzare che l’ultimo utilizzo sia stato funerario; altresì riteniamo poco praticabile la strada che la rottura intenzionale indicasse la trasformazione della torre del nuraghe in luogo sacralizzato: alla divinità, solitamente superba, venivano offerti primizie e tesori preziosi e integri. Comunque le ipotesi per ora sono molteplici…
Appare chiaro comunque che, dopo la deposizione di tale vaso in fondo al pozzo, nessuno vi poté più entrare e quello spazio divenne una sorta di sancta sanctorum.
Attualmente la nostra chicca, dopo aver fatto bella mostra di sé in una recente rassegna di materiali presentata a Sassari, è visibile nel Museo Archeologico della Valle dei Nuraghi del Logudoro-Meilogu di Torralba, del quale è stato risistemato il percorso espositivo e che per la comodità di ognuno è aperto tutto l’anno (tel. 079847010. Ore 9-18 da settembre a marzo e 9-20 da marzo a settembre). Tra l'altro sappiamo che è servito da ottime strade e facilmente raggiungibile.
Nelle vetrine è possibile vedere non solo questo straordinario testimone di una ritualità ancora tutta da scoprire ma anche centinaia di oggetti ceramici, di bronzo e di pietra che ci raccontano una parte della millenaria storia di questo gigante dell’architettura di tutti i tempi: il Nuraghe Santu Antine. 
Ringraziamo il dottor Franco Campus che con squisita sensibilità ci ha rapidamente fornito il materiale occorrente, elementi e indizi, e che con il suo apporto appassionato ci ha mostrato un mondo affascinante del quale tutti, e in particolare i Sardi, devono sentirsi orgogliosi. 

Fonte:  http://www.cittamese.it/cultura/684-archeochicca-iv-il-mistero-del-nuraghe


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