Archeochicca n° 4 – Il mistero del nuraghe: il
vaso sacro di Santu Antine.
di Sergio Murli
Raccontiamo in questo articolo
un oggetto straordinario e finora unico che dopo millenni si è concesso agli
sguardi di innumerevoli visitatori, in maggioranza Sardi, ma che ha interessato
consistenti schiere dal Continente, studiosi e turisti stranieri.
Per presentare degnamente questa “archeochicca”, è necessario partire da
lontano e tracciare il territorio sardo, tanto da indicare, su una mappa, il
luogo, carico di storia infinita e di infiniti tesori che si trova nella parte
centro settentrionale della Sardegna, precisamente nel territorio compreso fra
i comuni di Torralba, Giave e Bonorva e situato in una delle realtà
paesaggistiche più rare della protostoria europea: la “Valle dei Nuraghi”
del Logudoro-Meilogu.
Il nome deriva dalla presenza di un numero veramente eccezionale, oltre 50, di
edifici detti appunto nuraghi, pertinenti a quel periodo così fascinoso della
millenaria storia dell’Isola, la Civiltà Nuragica.
Tra i monumenti presenti, uno
in particolare attirò, per le dimensioni veramente ragguardevoli, l’interesse
dei viaggiatori dell’Ottocento e degli studiosi di archeologia.
Si tratta del nuraghe Santu
Antine (San Costantino) sito nel territorio di Torralba che costituisce allo
stesso tempo la sintesi e l’apogeo dell’architettura protostorica sarda e più
in generale del
Mediterraneo occidentale, culla e rifugio segreti per tanto
tempo del nostro reperto.
I ripetuti interventi di scavo
e di restauro effettuati nel secolo scorso avevano fatto ipotizzare che questo
monumento avesse ormai svelato completamente agli studiosi i suoi segreti.
Nell’estate del 2006 durante i
torridi giorni di caldo che caratterizzarono i mesi di luglio e di agosto,
nell’ambito di un progetto di restauro conservativo del monumento, in una delle
torri laterali dell’edificio, venne individuato e scavato un pozzo fino a quel
momento ignoto.
Si tratta di una struttura in
muratura ipogea, cioè costruita sotto il livello di calpestio, larga circa 1,50
metri e profonda 5,40, con chiusura a cupola nella parte superiore.
Lo scavo e la pulizia del
pozzo, anche per ragioni di sicurezza hanno richiesto molto tempo e molta
fatica, perché all’interno poteva entrare e lavorare esclusivamente una persona
e per breve periodo.
Ma la fatica fu ripagata
allorché, dopo metri di detriti si raggiunse il fondo costituito dalla roccia
naturale e appoggiato sulla roccia si rinvenne un vaso quasi integro, privo di
una porzione che risultò subito tolta intenzionalmente.
La sorpresa fu grande anche da
parte del nostro buon amico Franco Campus, valido e stimato archeologo e
responsabile scientifico degli scavi, che, pur avendo pubblicato pochi anni
prima un volume di oltre 800 pagine sulla ceramica di età nuragica, mai prima
d’ora aveva visto un recipiente così singolare e unico, autentica chicca, degna
del posto d’onore nel Museo che ora la ospita.
Soprattutto quella
straordinaria presenza è servita per capire molte cose, sul monumento e
ovviamente sul pozzo stesso. Era evidente infatti che in un momento particolare
della sua lunga frequentazione questa torre del nuraghe subì, una sorta di
cambio di destinazione d’uso, cioè venne sacralizzata.
Il vaso, le cui misure sono
altezza 19 cm, diametro all’orlo 6,4 cm e alla base 6,8 cm, è, come
detto, di una tipologia finora non documentata fra i reperti nuragici, ma
l’opulenza tipica della pancia rimanda al vasellame dell’ultima età del Bronzo
– colore bruno più o meno intenso, consistenza solida e ricchezza di manici in
ogni dove, con diversi elementi, quali il finto versatoio e l’ansa a ponte,
presenti in recipienti inquadrabili cronologicamente fra la fine dell’età del
Bronzo – appunto - e gli inizi dell’età del Ferro (X sec. a.C.), i manici, in
particolare, e le modalità con cui sono stati realizzati sembrano imitare
recipienti metallici.
Ci troviamo anche qui, come in altri siti, davanti ad una tipologia di
passaggio dai contenitori di bronzo a quelli di ceramica con una fase, appunto
questa, del vaso di finto metallo?
Tutti questi elementi indicano chiaramente che si tratta di un recipiente
utilizzato per scopi cultuali, come sembra ribadire un foro praticato in
prossimità del fondo, forse per far defluire qualche sostanza particolare,
vino, latte, sangue? al termine di un rituale di consacrazione.
Ma la pratica di
danneggiare il recipiente in modo tale da renderne impossibile l’uso dopo la
morte del proprietario, per esempio spezzare il manico di un kantaros o
addirittura fabbricarne già con un manico in meno – vedi la civiltà etrusca e
buona parte delle popolazioni mediterranee – potrebbe anche far ipotizzare che
l’ultimo utilizzo sia stato funerario; altresì riteniamo poco praticabile la
strada che la rottura intenzionale indicasse la trasformazione della torre del
nuraghe in luogo sacralizzato: alla divinità, solitamente superba, venivano
offerti primizie e tesori preziosi e integri. Comunque le ipotesi per ora sono
molteplici…
Appare chiaro comunque che,
dopo la deposizione di tale vaso in fondo al pozzo, nessuno vi poté più entrare
e quello spazio divenne una sorta di sancta sanctorum.
Attualmente la nostra chicca,
dopo aver fatto bella mostra di sé in una recente rassegna di materiali
presentata a Sassari, è visibile nel Museo Archeologico della Valle dei Nuraghi
del Logudoro-Meilogu di Torralba, del quale è stato risistemato il percorso
espositivo e che per la comodità di ognuno è aperto tutto l’anno (tel.
079847010. Ore 9-18 da settembre a marzo e 9-20 da marzo a settembre). Tra
l'altro sappiamo che è servito da ottime strade e facilmente raggiungibile.
Nelle vetrine è possibile
vedere non solo questo straordinario testimone di una ritualità ancora tutta da
scoprire ma anche centinaia di oggetti ceramici, di bronzo e di pietra che ci
raccontano una parte della millenaria storia di questo gigante
dell’architettura di tutti i tempi: il Nuraghe Santu Antine.
Ringraziamo il dottor Franco
Campus che con squisita sensibilità ci ha rapidamente fornito il materiale
occorrente, elementi e indizi, e che con il suo apporto appassionato ci ha
mostrato un mondo affascinante del quale tutti, e in particolare i Sardi,
devono sentirsi orgogliosi.
Fonte: http://www.cittamese.it/cultura/684-archeochicca-iv-il-mistero-del-nuraghe
Nessun commento:
Posta un commento