venerdì 6 maggio 2016
Archeologia. L’archivio delle tombe impossibili, testimoni dell'esistenza di una cultura nuragica vitale e propulsiva nei primi secoli dell’Età del Ferro
Archeologia. L’archivio delle tombe impossibili, testimoni dell'esistenza di una cultura nuragica vitale e propulsiva nei primi secoli dell’Età del Ferro
di Paolo Bernardini
La letteratura archeologica sarda, da Giovanni Spano a Giovanni Lilliu, conserva un importante nucleo di notizie che fanno riferimento all’esistenza di tombe individuali, a pozzetto, a fossa e a fossa costruita, così come a oggetti particolarmente significativi, come i bronzi figurati, provenienti da sepolcri di questo genere. Intendo valorizzare, in questo paragrafo, una ricerca lucidamente avviata da Raimondo Zucca in anni lontani (1981), a corollario di uno studio sulla statuaria nuragica a Narbolia, purtroppo mai edito e che l’autore, generosamente, mi ha esortato a riprendere. È significativo che nessuno dei luoghi che citerò siano stati interessati da ricerche ulteriori e da critici approfondimenti; giacimenti fondamentali come quelli di Antas, di Is Aruttas e di Monte Prama sono anch’essi indagati in modo parziale e preliminare. Mi pare estremamente pericoloso, partendo da una situazione obiettiva di generale “disattenzione” su queste tematiche, trasformare la lacuna della documentazione sulle necropoli del Ferro in Sardegna in un assunto storico netto e categorico: l’inesistenza di una cultura indigena viva e vitale in queste fasi storiche. L’assenza complessiva di un
panorama articolato di necropoli del Ferro diventa infatti la conseguenza storica di un rapido tracollo della società nuragica alla fine del Bronzo, di un veloce annichilimento culturale la cui agonia emerge dagli sparsi e sbrindellati documenti che riusciamo a intravedere e che sono intesi in qualche modo come disorganici e incoerenti. Dell’archivio delle “tombe impossibili” fanno parte le notizie che ho già ricordato sul nuraghe Lunghenia di Oschiri e sul nuraghe Iselle di Tertenia, ma vi appartengono anche le tombe a inumazione segnate da stele incise ricordate da Contu nella località di Lazzaretto di Alghero o i pozzetti funerari rivestiti in pietra e coperti da lastrone segnalati ad Austis e a Tula da Spano; le tombe “circolari” di Sorgono, menzionate da Lilliu, da cui deriva un bronzo figurato, un milite con stocco e scudo sulle spalle; le tombe ritrovate nell’area della chiesa parrocchiale di Lanusei, che hanno restituito numerosi i discussi pendagli a catenelle desinenti in elementi lanceolati o quella, probabilmente a fossa, di Isili, registrata ancora da Spano, che conteneva una figura maschile in bronzo, o quella, a cassone e loculi laterali, di Gestori, che richiamava a Lilliu architetture funerarie dell’agro falisco e capenate. Vi sono quelle, a fossa o a pozzo, di Nurri, da cui proviene un bronzo figurato, o i numerosi pozzetti di Guasila o le tombe “costruite” di Ussana ricordate da Taramelli. Appartengono all’archivio anche quelle tombe di antica tradizione megalitica in cui vengono registrati elementi di “contaminazione”, di transizione verso nuovi rituali con l’apparizione di oggetti di corredo inconsueti: sono le tombe di giganti a filari regolari di pietre squadrate in regione Bopitos di Laerru descritte da Taramelli, con i defunti in posizione seduta o rannicchiata, la gigantesca sepoltura di un inumato segnalata da Spano a Oniferi, forse accompagnato da un cavallo, o quella, con i resti di una biga e altri bronzi, che lo stesso studioso descrive a Terranova; il sepolcro a corridoio di Paulilatino, che conteneva panelle e una navicella in bronzo, o quello, altrettanto imponente, in località Subbulè di Urzulei, con bronzi figurati e d’uso; il monumento a filari di blocchetti regolari di marna di Motrox’e Bois di Usellus, con cremazioni e inumazioni accompagnate da vaghi in ambra e vetro fuso, spilloni crinali e bracciali di rame. Un rapido sguardo alla carta distributiva relativa ai ritrovamenti certi e alle “tombe impossibili” (vedi immagine) dimostra quanto sia urgente attivare nuove ricerche e indagini mirate; il momento è del resto quanto mai opportuno, poiché finalmente emergono, su altri fronti, chiare testimonianze dell’esistenza di una cultura nuragica vitale e propulsiva nei primi secoli dell’Età del Ferro.
Nell'immagine la localizzazione delle tombe impossibili.
Fonte: Tharros - Felix 4
di Paolo Bernardini
La letteratura archeologica sarda, da Giovanni Spano a Giovanni Lilliu, conserva un importante nucleo di notizie che fanno riferimento all’esistenza di tombe individuali, a pozzetto, a fossa e a fossa costruita, così come a oggetti particolarmente significativi, come i bronzi figurati, provenienti da sepolcri di questo genere. Intendo valorizzare, in questo paragrafo, una ricerca lucidamente avviata da Raimondo Zucca in anni lontani (1981), a corollario di uno studio sulla statuaria nuragica a Narbolia, purtroppo mai edito e che l’autore, generosamente, mi ha esortato a riprendere. È significativo che nessuno dei luoghi che citerò siano stati interessati da ricerche ulteriori e da critici approfondimenti; giacimenti fondamentali come quelli di Antas, di Is Aruttas e di Monte Prama sono anch’essi indagati in modo parziale e preliminare. Mi pare estremamente pericoloso, partendo da una situazione obiettiva di generale “disattenzione” su queste tematiche, trasformare la lacuna della documentazione sulle necropoli del Ferro in Sardegna in un assunto storico netto e categorico: l’inesistenza di una cultura indigena viva e vitale in queste fasi storiche. L’assenza complessiva di un
panorama articolato di necropoli del Ferro diventa infatti la conseguenza storica di un rapido tracollo della società nuragica alla fine del Bronzo, di un veloce annichilimento culturale la cui agonia emerge dagli sparsi e sbrindellati documenti che riusciamo a intravedere e che sono intesi in qualche modo come disorganici e incoerenti. Dell’archivio delle “tombe impossibili” fanno parte le notizie che ho già ricordato sul nuraghe Lunghenia di Oschiri e sul nuraghe Iselle di Tertenia, ma vi appartengono anche le tombe a inumazione segnate da stele incise ricordate da Contu nella località di Lazzaretto di Alghero o i pozzetti funerari rivestiti in pietra e coperti da lastrone segnalati ad Austis e a Tula da Spano; le tombe “circolari” di Sorgono, menzionate da Lilliu, da cui deriva un bronzo figurato, un milite con stocco e scudo sulle spalle; le tombe ritrovate nell’area della chiesa parrocchiale di Lanusei, che hanno restituito numerosi i discussi pendagli a catenelle desinenti in elementi lanceolati o quella, probabilmente a fossa, di Isili, registrata ancora da Spano, che conteneva una figura maschile in bronzo, o quella, a cassone e loculi laterali, di Gestori, che richiamava a Lilliu architetture funerarie dell’agro falisco e capenate. Vi sono quelle, a fossa o a pozzo, di Nurri, da cui proviene un bronzo figurato, o i numerosi pozzetti di Guasila o le tombe “costruite” di Ussana ricordate da Taramelli. Appartengono all’archivio anche quelle tombe di antica tradizione megalitica in cui vengono registrati elementi di “contaminazione”, di transizione verso nuovi rituali con l’apparizione di oggetti di corredo inconsueti: sono le tombe di giganti a filari regolari di pietre squadrate in regione Bopitos di Laerru descritte da Taramelli, con i defunti in posizione seduta o rannicchiata, la gigantesca sepoltura di un inumato segnalata da Spano a Oniferi, forse accompagnato da un cavallo, o quella, con i resti di una biga e altri bronzi, che lo stesso studioso descrive a Terranova; il sepolcro a corridoio di Paulilatino, che conteneva panelle e una navicella in bronzo, o quello, altrettanto imponente, in località Subbulè di Urzulei, con bronzi figurati e d’uso; il monumento a filari di blocchetti regolari di marna di Motrox’e Bois di Usellus, con cremazioni e inumazioni accompagnate da vaghi in ambra e vetro fuso, spilloni crinali e bracciali di rame. Un rapido sguardo alla carta distributiva relativa ai ritrovamenti certi e alle “tombe impossibili” (vedi immagine) dimostra quanto sia urgente attivare nuove ricerche e indagini mirate; il momento è del resto quanto mai opportuno, poiché finalmente emergono, su altri fronti, chiare testimonianze dell’esistenza di una cultura nuragica vitale e propulsiva nei primi secoli dell’Età del Ferro.
Nell'immagine la localizzazione delle tombe impossibili.
Fonte: Tharros - Felix 4
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