martedì 27 maggio 2014
Archeologia. Le mura dei Pelasgi, una tecnica architettonica millenaria.
Archeologia. Le
mura dei Pelasgi, una tecnica architettonica millenaria.
di
Roberto Mortari
Esaminando
le mura difensive poligonali di Cosa, Alatri, Segni, Cori, Alba Fucens, si è
osservato che le lunghezze dei lati dei poligoni sono multiple di un valore
comune, pari a 1,536 cm, mentre le ampiezze degli angoli sono multiple di 1,5°.
Stessi valori sono stati riscontrati ad Atene e,nel Mare Egeo, sull'isola di
Milo. Da altre osservazioni a Pyrgi e Orbetello sono emerse due date entro le
quali questa tecnica costruttiva veniva applicata. Tutte le mura poligonali mostrano,
nella faccia a vista, blocchi di pietra con un numero di lati che può variare
da tre a più di dieci e con angoli che possono essere anche concavi.
Le
mura di difesa di molte città sono chiamate anche ciclopiche, a indicare le grandi
dimensioni, ma possono essere chiamate anche megalitiche e pelasgiche. Giuseppe
Lugli nel 1946 scriveva a questo proposito: “Ė dimostrato ormai che i Pelasgi
non hanno nulla a che vedere con le grandi fortificazioni poligonali e che esse
non sono così antiche come si credeva un tempo. Il raffronto con le mura di
Tirinto e Micene è puramente tecnico e non presenta alcun legame storico ed
etnico; le mura più rozze risalgono sul nostro territorio al VI a.C., mentre
quelle più accuratamente tagliate si possono datare alla metà e fine del IV
a.C.
Bisogna
precisare che non tutte le mura megalitiche sono poligonali, mentre non tutte
le mura poligonali sono megalitiche. Giuseppe Lugli nel 1967 ha distinto in cinque
classi le tecniche costruttive: opus siliceum, quadratum, caementicium,
incertum e reticulatum. Nell’ambito dell’opus siliceum riconosce quattro
maniere:
1) blocchi grezzi, accatastati così come vengono dalla cava (esempi
sono Atina e Amelia).
2) blocchi
sgrossati, con zeppe negli interstizi. La faccia a vista viene resa il più
possibile piana (esempi a Roselle e Norba).
3) sgrossatura
raffinata sulla faccia esterna, fino a raggiungere una superficie piana, e
spianatura delle superfici a contatto con gli altri blocchi. Il lavoro era
svolto sul posto con scalpello e squadra per misurare gli angoli (esempi a
Cosa, Orbetello, Pyrgi, Alatri, Alba Fucens, Norba e molti altri siti).
4) imitazione
dell’opera quadrata, senza raggiungere la perfezione per risparmiare lavoro.
Nell’ambito dell’opera quadrata abbiamo tre maniere: etrusca, greca e romana,
secondo unità di misura differenti. perfettamente orizzontali ma di altezza
diversa e con una alternanza di posizioni fra pietre, ad esempio alternati di
testa e di taglio.
Se
osserviamo attentamente l’incastro delle pietre poligonali, dobbiamo notare che
non è sufficiente, come suggerisce il Lugli, determinare l’apertura degli
angoli, ma occorre determinare in alcuni casi anche l’ampiezza dei lati. Inoltre,
per la precisione dei giunti, occorre che il valore di un angolo o di un lato sia
stabilito con una misura precisa che possiamo confrontare con il digitus romano
di 1,85 cm, o con l’analoga unità etrusca di 1,68 cm, come appare sui blocchi squadrati
utilizzati per le tombe a dado del VI a.C. della necropoli di Cerveteri in
località La Banditaccia e per un tumulo del VI a.C., della necropoli del
secondo Melone del Sodo presso Cortona.
L'uniformità,
la precisione e la diffusione geografica della tecnica utilizzata per erigere
mura poligonali è il filo di Arianna che ci può fare risalire a quella grande
civiltà che per qualche migliaio di anni, nella preistoria, ha dominato il
bacino del Mediterraneo disseminandolo di proprie roccaforti e di cui purtroppo
si è persa l'identificazione.
Se dunque
facciamo corrispondere questa misteriosa civiltà con la tecnica dei muri con
elementi poligonali, possiamo immaginarne il declino nel III Millennio a.C. D'altra
parte non conosciamo ancora il momento del suo inizio, che dovrebbe
corrispondere non alla prima apparizione dell'opera poligonale ma almeno al
primo utilizzo dell'opera megalitica sgrossata.
Come
fare per identificare questa civiltà? Un modo è di scavare nella letteratura
antica. Vi sono molte strade che conducono a un unico nome: i Pelasgi che orbitavano
intorno al Mar Egeo. Ma chi erano questi Pelasgi?
Secondo
Virgilio essi furono i primi abitatori della nostra penisola e per Strabone
furono i fondatori di Caere, di cui abbiamo parlato a proposito di Pyrgi. Per
Erodoto erano gli abitanti della Grecia prima dell'arrivo dei popoli di lingua
ellenica,quando la regione si chiamava “Pelasgia”;successivamente,nel periodo classico,essi
abitavano Lemno. Stranamente però una loro più precisa ubicazione è diversa per
autori diversi. Nell'Odissea sono chiamati anche i “popoli di Creta”,
intendendo ovviamente coloro che abitavano quest'isola prima dell'arrivo degli
Achei, mentre nell'Iliade sono ubicati tra Tracia ed Ellesponto, ma poi la loro
capitale viene considerata Larissa in Tessaglia, mentre nell'Epiro, a Dodona,
si trovava un tempio dedicato allo Zeus pelasgico. Per Tucidide l’origine di
Atene è pelasgica.
Per
giustificare tali diversità possiamo supporre che la civiltà che si serviva dei
muri poligonali per difendere le proprie città abbia avuto un periodo di grande
compattezza ed unità. Poi verso il 3000 o 2500 a.C. -solo per dare delle date
indicative –questa unità si è persa, e ampie regioni si sono rese autonome: la
Tessaglia, la Tracia, Creta e altre ancora. Tutti erano Pelasgi ma non c'era
più il senso di una patria o un governo comune. Così, chi li voleva
identificare si riferiva a popolazioni che forse rispecchiavano maggiormente il
carattere antico dei Pelasgi o che l'autore, direttamente o indirettamente,
conosceva meglio. È probabile che con la denominazione “popoli del mare” ci si
riferisse a popoli che discendevano dai Pelasgi e che ne conservavano ancora le
antiche abilità marinare.
I
Pelasgi erano sicuramente valenti marinai, ed è facile pensare che abbiano
dominato tutto il Mediterraneo per millenni. In considerazione dello stato di
avanzato progresso tecnico di questo popolo, essi potrebbero avere inventato, oltre
alla metallurgia del bronzo, anche l’arte della navigazione. Il ragionamento si
basa su alcuni punti di forza.
Il
mare Mediterraneo è l'ambiente ideale per fare sbocciare la navigazione. E più
in particolare lo è il mare Egeo, dove diverse isole sono in vista dal
continente, come avvieneper Egina, Angistri, Poros, Idra, Dokos, Spetses
intorno alle coste dell'Argolide. Raggiungere queste isole poteva essere il
modo di difendersi da aggressioni di altri popoli senza bisogno di erigere mura
difensive.
Quindi,
forse non è del tutto casuale che la prima evidenza di un commercio marittimo
venga proprio dall'Argolide e precisamente dalla grotta di Franchthi, che si
affaccia sul golfo di Nauplia. In questa grotta, che è stata frequentata
dall'uomo fin dal Mesolitico, è stata trovata ossidiana lavorata in uno strato
datato intorno all'8500 a.C.. Le analisi petrografiche hanno dimostrato che
questa ossidiana è provenuta dall'isola di Milo, che è distante 150 km. Negli
stessi strati sono state trovati anche resti di pesci di grande taglia, che
indicano una pesca d'altura.
Infine,
potrebbe essere non del tutto casuale anche il fatto che nell'entroterra che si
affaccia sullo stesso golfo di Nauplia vi è la massima concentrazione di
importanti città fortificate con mura megalitiche: in un raggio di appena 10 km
troviamo Nauplia, Micene, Tirinto e Argo.
Tucidide
ci fornisce un dettaglio interessante: i Pelasgi si distinguevano per il fatto
che costruivano le loro città che si trovavano in prossimità del mare con le
mura fondate sulla spiaggia stessa. Questo dettaglio corrisponde a quanto è
stato ricostruito per Pyrgi e forse anche per Orbetello.
Questa
civiltà delle città fortificate con mura megalitiche, che possiamo senza timori
chiamare pelasgica, potrà continuare a svelare i suoi segreti se si svilupperà
la volontà che ciò avvenga. In particolare l'archeologia subacquea potrebbe
attivarsi per acquisire nuovi dati circa l'età delle prime mura poligonali.
Dato che, a quanto pare, Orbetello è stata fondata al livello del mare durante
lo stazionamento che il mare ha avuto a -4 m e questo ha permesso di attribuire
a tale evento un'età di almeno 7360 anni circa, si potrebbe fare un piccolo
passo verso la precisazione dell'inizio della civiltà pelasgica se si trovasse
in qualche punto del Mediterraneo una analoga fortificazione fondata su un
terreno alla quota del precedente stazionamento marino, cioè a -9 m, a
condizione che l'area indagata possa essere considerata stabile. Magari
potrebbe essere utile tener conto di quanto riferisce ancora Tucidide, secondo
il quale i Pelasgi, per favorire i propri traffici, si erano insediati in
corrispondenza degli istmi.
Viene
proposto infine che l'unità di misura riscontrata per le opere poligonali
dell'Italia centrale e di Atene e Milo sia chiamata “dito pelasgico”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento