sabato 14 settembre 2013
Archeologia della Sardegna. A Brunk'e S'Omu di Bannari: dalla pietra al bronzo.
A Brunk'e S'Omu di Bannari: dalla pietra al bronzo.
di Vitale Scanu
Gli scavi del villaggio nuragico di su Brunk’e s’Omu di Bannari (Villa Verde) ci hanno restituito anche vari oggetti in bronzo il quale, come si sa, è una lega di stagno e rame; non sono stai rinvenuti oggetti in pietra levigata, né forni di cottura delle ceramiche, né indizi di attività agricola (coltivazione di cereali), né grandi vani per l’allevamento o la tenuta di bestiame grosso. Una lettura contestuale di questi ritrovamenti ci indica perciò che pur permanendo nelle condizioni del neolitico si è entrati nel periodo dei metalli o del bronzo. Siamo circa al 1500 a.C., più di tremila anni ci separano da quei remotissimi tempi.
“L’elevato tasso di abitabilità” – così qualifica il territorio di Bannari l’archeologo Cornelio Puxeddu, riferendosi alla presenza di tanti nuraghi – è l’esito del forte richiamo offerto dall’ossidiana del monte Arci, largamente diffusa all’interno e fuori dell’isola. Tutta l’attività (estrazione, trasporto, lavorazione, commercio) indotta dalla presenza del prezioso “vetro vulcanico” è rispecchiata in quell’ingegnoso e organico sistema di nuraghi, situati strategicamente a semicerchio nelle prominenze a monitorare e vigilare con un controllo a vista tutta l’economia del comprensorio. La direzione visuale di tutti i nuraghi è centrata sulla vallata (che, grosso modo, ha la forma delle scalinate di un teatro greco), a prova che essi erano funzionali a quanto avveniva nel territorio inquadrato. Il villaggio nuragico col relativo nuraghe, per la sua posizione dominante e la sua vastità, appare quasi il coordinatore, il demiurgo dell'attività sociale di tutta la vallata. Una “maggiore abitabilità” è, contestualmente, sia causa che effetto di una più consistente attività comunitaria.
Oggetti in bronzo, dunque… Dirlo è facile. Ma come si spiega il bronzo a su Brunk’e s’Omu? Bisogna considerare che sul monte Arci non esiste né rame né stagno per confezionare il bronzo, per cui si deve necessariamente pensare ad una importazione da fuori dei reperti in bronzo, da lontano, forse da oltremare. Occorrono pertanto mezzi di trasporto via mare. Si sa che grandi quantità di stagno venivano commerciate dai Fenici, “che conoscevano ogni angolo del Mediterraneo”, come dice Aristotele. I Fenici, abilissimi navigatori e commercianti, con il bagaglio di conoscenze ereditate dalle grandi civiltà assiro-babilonesi della “mezzaluna fertile”, erano come i “vucumprà” della preistoria, veri attori di progresso e diffusori di civiltà, che andavano ad acquistare lo stagno fino alle coste delle Isole britanniche. Ovviamente, per poter spiegare la presenza del bronzo sulla nostra montagna, anche gli abitatori di su Brunk’e s’Omu sono venuti in contatto con i Fenici. A Usellus, a controprova, gli archeologi hanno trovato tracce di frequentazione fenicia in località Motrox’e Bòis. E sono stati sempre loro, quasi certamente, a traghettare in Israele le notizie sulla potenza dei “re di Tarsis (ossia l’odierna Tharros) e delle isole” di cui parla il re Davide (Salmo 72) attorno al X – IX secolo avanti Cristo.
Lo stagno è un minerale raro: in occidente, le miniere sfruttabili per grandi quantità (pensate a quanto ne occorreva per confezionare i bronzetti, le armi, gli oggetti vari e a quanto bronzo hanno rubato i predatori romani come bottino di guerra…), si trovavano quasi esclusivamente in Cornovaglia. In Sardegna, lo stagno arrivava probabilmente, per un primo tratto, via fluviale (Senna, Rodano e rive del Tirreno) e poi via mare in Sardegna. L’ossidiana del monte Arci, trovata lungo le coste della Francia meridionale, è forse la chiave di lettura di questi approvvigiona-menti, che racconta la motivazione e la storia delle navicelle nuragiche.
Anche il rame è molto raro in Sardegna. Per ottenere la fusione del rame in quantitativi utili, bisogna essere in grado di innalzare le temperature oltre i mille gradi; si deve perciò disporre di forni e fonderie evoluti, e combustibili idonei al raggiungimento e mantenimento delle temperature necessarie, elementi che, nel settore finora scoperto del nostro nuraghe, sembrano del tutto assenti. Il rame presenta caratteristiche di fragilità, che inducevano perciò alla ricerca di nuove soluzioni e alla sperimentazione di altri prodotti per avere oggetti migliori, più resistenti. Si scoprì man mano che, formando delle leghe stagno-rame si potevano avere combinazioni ottimali e oggetti molto più consistenti. Bisognava saper dosare nella miscela lo stagno e il rame liquido; si dovevano possedere elevate nozioni sulle proporzioni per ottenere le leghe, sulla lavorazione e la produzione degli stampi. Ossia, fu scoperto il bronzo. Allora, i casi sono due: o i nostri “compaesani” preistorici hanno prodotto in loco gli oggetti di bronzo ritrovati, sfruttando precise conoscenze e procedimenti già acquisiti, con forni adeguati per le varie lavorazioni ma con materiale acquistato altrove; oppure tali oggetti sono importati già confezionati da altri luoghi, mediante relazioni “commerciali” intercorse con genti lontane. Il che presuppone e implica necessariamente una diffusa attività di contatti con altri popoli mediante contrattazioni di "commercio" e di baratto.
(Foto di Milena Marcinkowska)
di Vitale Scanu
Gli scavi del villaggio nuragico di su Brunk’e s’Omu di Bannari (Villa Verde) ci hanno restituito anche vari oggetti in bronzo il quale, come si sa, è una lega di stagno e rame; non sono stai rinvenuti oggetti in pietra levigata, né forni di cottura delle ceramiche, né indizi di attività agricola (coltivazione di cereali), né grandi vani per l’allevamento o la tenuta di bestiame grosso. Una lettura contestuale di questi ritrovamenti ci indica perciò che pur permanendo nelle condizioni del neolitico si è entrati nel periodo dei metalli o del bronzo. Siamo circa al 1500 a.C., più di tremila anni ci separano da quei remotissimi tempi.
“L’elevato tasso di abitabilità” – così qualifica il territorio di Bannari l’archeologo Cornelio Puxeddu, riferendosi alla presenza di tanti nuraghi – è l’esito del forte richiamo offerto dall’ossidiana del monte Arci, largamente diffusa all’interno e fuori dell’isola. Tutta l’attività (estrazione, trasporto, lavorazione, commercio) indotta dalla presenza del prezioso “vetro vulcanico” è rispecchiata in quell’ingegnoso e organico sistema di nuraghi, situati strategicamente a semicerchio nelle prominenze a monitorare e vigilare con un controllo a vista tutta l’economia del comprensorio. La direzione visuale di tutti i nuraghi è centrata sulla vallata (che, grosso modo, ha la forma delle scalinate di un teatro greco), a prova che essi erano funzionali a quanto avveniva nel territorio inquadrato. Il villaggio nuragico col relativo nuraghe, per la sua posizione dominante e la sua vastità, appare quasi il coordinatore, il demiurgo dell'attività sociale di tutta la vallata. Una “maggiore abitabilità” è, contestualmente, sia causa che effetto di una più consistente attività comunitaria.
Oggetti in bronzo, dunque… Dirlo è facile. Ma come si spiega il bronzo a su Brunk’e s’Omu? Bisogna considerare che sul monte Arci non esiste né rame né stagno per confezionare il bronzo, per cui si deve necessariamente pensare ad una importazione da fuori dei reperti in bronzo, da lontano, forse da oltremare. Occorrono pertanto mezzi di trasporto via mare. Si sa che grandi quantità di stagno venivano commerciate dai Fenici, “che conoscevano ogni angolo del Mediterraneo”, come dice Aristotele. I Fenici, abilissimi navigatori e commercianti, con il bagaglio di conoscenze ereditate dalle grandi civiltà assiro-babilonesi della “mezzaluna fertile”, erano come i “vucumprà” della preistoria, veri attori di progresso e diffusori di civiltà, che andavano ad acquistare lo stagno fino alle coste delle Isole britanniche. Ovviamente, per poter spiegare la presenza del bronzo sulla nostra montagna, anche gli abitatori di su Brunk’e s’Omu sono venuti in contatto con i Fenici. A Usellus, a controprova, gli archeologi hanno trovato tracce di frequentazione fenicia in località Motrox’e Bòis. E sono stati sempre loro, quasi certamente, a traghettare in Israele le notizie sulla potenza dei “re di Tarsis (ossia l’odierna Tharros) e delle isole” di cui parla il re Davide (Salmo 72) attorno al X – IX secolo avanti Cristo.
Lo stagno è un minerale raro: in occidente, le miniere sfruttabili per grandi quantità (pensate a quanto ne occorreva per confezionare i bronzetti, le armi, gli oggetti vari e a quanto bronzo hanno rubato i predatori romani come bottino di guerra…), si trovavano quasi esclusivamente in Cornovaglia. In Sardegna, lo stagno arrivava probabilmente, per un primo tratto, via fluviale (Senna, Rodano e rive del Tirreno) e poi via mare in Sardegna. L’ossidiana del monte Arci, trovata lungo le coste della Francia meridionale, è forse la chiave di lettura di questi approvvigiona-menti, che racconta la motivazione e la storia delle navicelle nuragiche.
Anche il rame è molto raro in Sardegna. Per ottenere la fusione del rame in quantitativi utili, bisogna essere in grado di innalzare le temperature oltre i mille gradi; si deve perciò disporre di forni e fonderie evoluti, e combustibili idonei al raggiungimento e mantenimento delle temperature necessarie, elementi che, nel settore finora scoperto del nostro nuraghe, sembrano del tutto assenti. Il rame presenta caratteristiche di fragilità, che inducevano perciò alla ricerca di nuove soluzioni e alla sperimentazione di altri prodotti per avere oggetti migliori, più resistenti. Si scoprì man mano che, formando delle leghe stagno-rame si potevano avere combinazioni ottimali e oggetti molto più consistenti. Bisognava saper dosare nella miscela lo stagno e il rame liquido; si dovevano possedere elevate nozioni sulle proporzioni per ottenere le leghe, sulla lavorazione e la produzione degli stampi. Ossia, fu scoperto il bronzo. Allora, i casi sono due: o i nostri “compaesani” preistorici hanno prodotto in loco gli oggetti di bronzo ritrovati, sfruttando precise conoscenze e procedimenti già acquisiti, con forni adeguati per le varie lavorazioni ma con materiale acquistato altrove; oppure tali oggetti sono importati già confezionati da altri luoghi, mediante relazioni “commerciali” intercorse con genti lontane. Il che presuppone e implica necessariamente una diffusa attività di contatti con altri popoli mediante contrattazioni di "commercio" e di baratto.
(Foto di Milena Marcinkowska)
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