sabato 29 dicembre 2012
La trappola nuragica: un caso esemplare di archeologia sperimentale
La trappola nuragica: un caso esemplare di archeologia sperimentale
di Desi Satta.
(Avviso i lettori meno attenti che lo spirito di questo articolo è ironico…ma non troppo)
L’archeologia sperimentale è una disciplina affascinante, sebbene difficile, ostica, perché richiede doti non comuni di cultura archeologica ma anche un profondo bagaglio culturale interdisciplinare e la capacità di confrontarsi con ambiti esterni all’archeologia propriamente detta.
Nell’ambito dell’archeologia sperimentale orientata al periodo nuragico, con riferimento al Bronzo Medio (d’ora in poi BM), un problema particolarmente arduo riguarda l’orientazione delle torri nuragiche, che proprio in quel periodo furono edificate in gran copia determinando un cambiamento drastico, in senso antropico, del panorama Sardo.
Che esse siano astronomicamente orientate, è fuori di ogni ragionevole dubbio, come ha dimostrato il saggio di un illuminato archeoastronomo sardo, purtroppo vessato dalla spietata baronia accademica.
Si pone pertanto l’importante domanda: attraverso quali conoscenze e catene operative, i sardi del BM poterono ottenere questo eclatante risultato? Nelle brevi righe che seguono, esporrò la mia teoria in merito, corredandola dei risultati di un’attività di archeologia sperimentale durata un quindicennio.
Con questa dimostrerò, incontrovertibilmente, da una parte che il Prof. Rota ha interpretato correttamente l’orientazione a sud/sud-est delle torri, dall’altra proporrò una catena operativa, sperimentalmente verificata, al fine di prospettare una possibile spiegazione delle modalità attraverso le quali il popolo nuragico riuscì nello sforzo titanico di orientare tutte le torri in modo da far corrispondere l’ingresso con la direzione opposta al vento di maestrale.
Costruzione delle torri
Rispetto al problema dell’orientazione, quello della costruzione risulta banale. Come ho fatto più volte notare, la teoria del Caos insegna come una torre nuragica sia il risultato dell’ingestione improvvisa di un gallone di Cannonau buono da parte di ciascun componente delle piccole tribù del BM. Sbronzi come cosacchi, anziché vederci doppio, i nuragici, sotto l’influsso della gradevole bevanda, edificarono l’ottuplo, ricoprendo il suolo sardo con torri di cui non sapevano che fare, tant’è che fin da allora cominciarono a chiedersi a che cappero potessero servire. Il vino non migliorò le cose, come ancora oggi avviene, e dei poco illuminati autori, per il solo fatto di ingurgitare spropositate quantità di alcolici, continuano a menare il torrone con questa storia assurda della destinazione d’uso dei nuraghi.
Orientamento delle torri
I nuragici impiegarono secoli a capire quale costellazione si trovasse dalla parte opposta a quella da cui spira il maestrale. Furono anni e anni di studi, intensi e defatiganti, osservazioni puntigliose che portarono molti sull’orlo della depressione nervosa, finché la soluzione apparve nel cielo, fulgida come la costellazione del Sirbone. Se questa sorgeva dalla parte opposta a quella da cui spira il maestrale, verso di essa dovevano essere orientate le torri. A quel punto, individuata la direzione corretta, si pose l’annoso problema: come fare a ruotare le 8000 torri, così che l’ingresso guardasse il sorgere del Sirbone?
La Trappola Nuragica
Eccoci arrivati al dunque. Una volta costruite, le torri dovevano essere orientate facendola ruotare attorno all’asse e, per questo, ci volevano dei personaggi sufficientemente idioti da fare tutta quella faticaccia, per di più gratis e possibilmente senza vino, poiché al volgere del XII secolo a.C. la Peronospera, importata dagli Sherdanu a seguito della scoperta dell’America, faceva strage di viti e riduceva al lumicino le scorte di Cannonau. Che fare? Come spesso accade, l’onere ricadde sui più saggi, coloro che coltivavano le preziose viti e, nei momenti liberi, operavano a favore della comunità osservando le stelle e chiedendosi quale costellazione fosse la più adatta a fungere da faro per l’orientazione delle poderose strutture di pietra. Essi, da tempo immemore, erano raccolti nella setta che aveva la carota come animale totemico e, proprio per questo, ne portavano sempre una con sé. Poiché in tempi di carestia era invalsa l’abitudine di rubare le carote per aggiungerle alla minestra di lenticchie, gli adepti svilupparono una carota OGM particolarmente adatta a essere introdotta nel corpo, così che fosse più difficile da trafugare. Essa, a parte le ragguardevoli dimensioni, spuntava dal terreno con la rossa e invitante radice rivolta verso l’alto (per questo venne chiamata “Gayrota”) e rendeva particolarmente agevole strapparla direttamente con la parte del corpo preposta anche alla conservazione.
La consuetudine di tenere con sé le carote, rese gli adepti della setta particolarmente adatti a ruotare le torri. Essi, infatti, usavano i preziosi ortaggi, che sporgevano per circa una decina di centimetri (erano lunghi circa 25 cm in tutto) per ancorarsi tenacemente al terreno mentre con un complicato sistema di corde e carrucole, imbragavano le strutture di pietra e le facevano ruotare a forza di braccia fino a che l’ingresso non fosse orientato verso il sorgere del Sirbone.
Sfortunatamente, l’eruzione di Santorini oscurò il cielo e provocò un gigantesco Tsunami che, un millennio dopo, diede modo a Platone di raccontare la favola di Atlantide. A causa di questi sconvolgimenti le preziose Gayrote scomparvero. I Nuragici, consci che non sarebbero più riusciti a orientare le torri, smisero di edificarle, ed era ora, perché c’era ormai troppa gente che si domandava per quale accidente di motivo ce ne fossero così tante.
Nel periodo di transizione, verso al fine del XII secolo, la foia costruttiva era al termine e gli adepti scarseggiavano (come le gayrote, difficili da coltivare poiché sparivano immediatamente non appena facevano spuntare il nasino dalla terra).
I nuragici svilupparono allora la ben nota Trappola Nuragica, il cui ricordo è testimoniato da Senofonte nella sua Anabasi e da Esiodo, ripresa da Tucidide, Tacito, Apollodoro, Cirillo e Dante, senza dimenticare l’opera perduta di Ipazia, De Carota. Questa trappola, era diretta alla cattura degli adepti necessari alla rotazione delle torri.
Fonte: http://exxworks.wordpress.com/
Nell'immagine il Nuraghe Piscu di Suelli.
di Desi Satta.
(Avviso i lettori meno attenti che lo spirito di questo articolo è ironico…ma non troppo)
L’archeologia sperimentale è una disciplina affascinante, sebbene difficile, ostica, perché richiede doti non comuni di cultura archeologica ma anche un profondo bagaglio culturale interdisciplinare e la capacità di confrontarsi con ambiti esterni all’archeologia propriamente detta.
Nell’ambito dell’archeologia sperimentale orientata al periodo nuragico, con riferimento al Bronzo Medio (d’ora in poi BM), un problema particolarmente arduo riguarda l’orientazione delle torri nuragiche, che proprio in quel periodo furono edificate in gran copia determinando un cambiamento drastico, in senso antropico, del panorama Sardo.
Che esse siano astronomicamente orientate, è fuori di ogni ragionevole dubbio, come ha dimostrato il saggio di un illuminato archeoastronomo sardo, purtroppo vessato dalla spietata baronia accademica.
Si pone pertanto l’importante domanda: attraverso quali conoscenze e catene operative, i sardi del BM poterono ottenere questo eclatante risultato? Nelle brevi righe che seguono, esporrò la mia teoria in merito, corredandola dei risultati di un’attività di archeologia sperimentale durata un quindicennio.
Con questa dimostrerò, incontrovertibilmente, da una parte che il Prof. Rota ha interpretato correttamente l’orientazione a sud/sud-est delle torri, dall’altra proporrò una catena operativa, sperimentalmente verificata, al fine di prospettare una possibile spiegazione delle modalità attraverso le quali il popolo nuragico riuscì nello sforzo titanico di orientare tutte le torri in modo da far corrispondere l’ingresso con la direzione opposta al vento di maestrale.
Costruzione delle torri
Rispetto al problema dell’orientazione, quello della costruzione risulta banale. Come ho fatto più volte notare, la teoria del Caos insegna come una torre nuragica sia il risultato dell’ingestione improvvisa di un gallone di Cannonau buono da parte di ciascun componente delle piccole tribù del BM. Sbronzi come cosacchi, anziché vederci doppio, i nuragici, sotto l’influsso della gradevole bevanda, edificarono l’ottuplo, ricoprendo il suolo sardo con torri di cui non sapevano che fare, tant’è che fin da allora cominciarono a chiedersi a che cappero potessero servire. Il vino non migliorò le cose, come ancora oggi avviene, e dei poco illuminati autori, per il solo fatto di ingurgitare spropositate quantità di alcolici, continuano a menare il torrone con questa storia assurda della destinazione d’uso dei nuraghi.
Orientamento delle torri
I nuragici impiegarono secoli a capire quale costellazione si trovasse dalla parte opposta a quella da cui spira il maestrale. Furono anni e anni di studi, intensi e defatiganti, osservazioni puntigliose che portarono molti sull’orlo della depressione nervosa, finché la soluzione apparve nel cielo, fulgida come la costellazione del Sirbone. Se questa sorgeva dalla parte opposta a quella da cui spira il maestrale, verso di essa dovevano essere orientate le torri. A quel punto, individuata la direzione corretta, si pose l’annoso problema: come fare a ruotare le 8000 torri, così che l’ingresso guardasse il sorgere del Sirbone?
La Trappola Nuragica
Eccoci arrivati al dunque. Una volta costruite, le torri dovevano essere orientate facendola ruotare attorno all’asse e, per questo, ci volevano dei personaggi sufficientemente idioti da fare tutta quella faticaccia, per di più gratis e possibilmente senza vino, poiché al volgere del XII secolo a.C. la Peronospera, importata dagli Sherdanu a seguito della scoperta dell’America, faceva strage di viti e riduceva al lumicino le scorte di Cannonau. Che fare? Come spesso accade, l’onere ricadde sui più saggi, coloro che coltivavano le preziose viti e, nei momenti liberi, operavano a favore della comunità osservando le stelle e chiedendosi quale costellazione fosse la più adatta a fungere da faro per l’orientazione delle poderose strutture di pietra. Essi, da tempo immemore, erano raccolti nella setta che aveva la carota come animale totemico e, proprio per questo, ne portavano sempre una con sé. Poiché in tempi di carestia era invalsa l’abitudine di rubare le carote per aggiungerle alla minestra di lenticchie, gli adepti svilupparono una carota OGM particolarmente adatta a essere introdotta nel corpo, così che fosse più difficile da trafugare. Essa, a parte le ragguardevoli dimensioni, spuntava dal terreno con la rossa e invitante radice rivolta verso l’alto (per questo venne chiamata “Gayrota”) e rendeva particolarmente agevole strapparla direttamente con la parte del corpo preposta anche alla conservazione.
La consuetudine di tenere con sé le carote, rese gli adepti della setta particolarmente adatti a ruotare le torri. Essi, infatti, usavano i preziosi ortaggi, che sporgevano per circa una decina di centimetri (erano lunghi circa 25 cm in tutto) per ancorarsi tenacemente al terreno mentre con un complicato sistema di corde e carrucole, imbragavano le strutture di pietra e le facevano ruotare a forza di braccia fino a che l’ingresso non fosse orientato verso il sorgere del Sirbone.
Sfortunatamente, l’eruzione di Santorini oscurò il cielo e provocò un gigantesco Tsunami che, un millennio dopo, diede modo a Platone di raccontare la favola di Atlantide. A causa di questi sconvolgimenti le preziose Gayrote scomparvero. I Nuragici, consci che non sarebbero più riusciti a orientare le torri, smisero di edificarle, ed era ora, perché c’era ormai troppa gente che si domandava per quale accidente di motivo ce ne fossero così tante.
Nel periodo di transizione, verso al fine del XII secolo, la foia costruttiva era al termine e gli adepti scarseggiavano (come le gayrote, difficili da coltivare poiché sparivano immediatamente non appena facevano spuntare il nasino dalla terra).
I nuragici svilupparono allora la ben nota Trappola Nuragica, il cui ricordo è testimoniato da Senofonte nella sua Anabasi e da Esiodo, ripresa da Tucidide, Tacito, Apollodoro, Cirillo e Dante, senza dimenticare l’opera perduta di Ipazia, De Carota. Questa trappola, era diretta alla cattura degli adepti necessari alla rotazione delle torri.
Fonte: http://exxworks.wordpress.com/
Nell'immagine il Nuraghe Piscu di Suelli.
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