mercoledì 7 novembre 2012
Spiriti, streghe e diavolo nelle tradizioni della Sardegna antica.
I racconti nella notte dei tempi
di Melqart Re
Nella Sardegna preistorica esisteva già il diavolo. Era uno spauracchio spiritico che veniva direttamente dagli inferi, un luogo che gli abitanti delle montagne conoscevano bene.
Mammuthone, Mammunt, Mommoth, o forse Ammuntha erano i suoi molteplici nomi.
Durante la Notte, momento temporale associato alla morte, il Diavolo appariva nelle strette gole dei monti, nel canyon granitico de Su Gorroppu (inaccessibile gola tra i monti di Orgosolo, Urzulei e Oliena).
Un giovane ragazzo sardo fu spinto dalle donne della sua famiglia a trascorrere la notte tra quelle spaventose e gigantesche pietre.
Quelle streghe, con fare aspro e deciso, lo sfidarono a trascorrere una notte con il diavolo. Ne andava del suo onore: se avesse avuto paura, sarebbe tornato al villaggio, e loro, lo avrebbero denudato davanti ai paesani e riempito di botte.
Anche le donne della sua famiglia, sorelle e cugine, potevano contrattare con Ammuntha: in cambio di ricchezza, amore e gloria, dovevano cedergli il loro corpo e anche l'anima.
Nelle tradizioni popolari (che forse iniziarono da allora) sulla stregoneria femminile, il re degli inferi si accoppia abitualmente con le streghe. Lo fa con rituali ai quali tutti gli iniziati devono assistere, per poi imitarli.
La gravidanza e il parto erano pericolosi per gestante e neonato, e i riti dell'accoppiamento rivestivano un enorme valore, ne andava di mezzo la continuazione della specie. Per renderli magici, le sciamane e i sacerdoti dei culti, inventavano le psico-magie più fantasiose.
La notte è sempre lo sfondo preferito per il racconto delle storie tradizionali. Cantate e narrate con enfasi davanti ai fuochi, alle forredde e alle lolle dei cortili. Sono sempre le donne che raccontano: indaffarate di giorno e dolcissime cantastorie la notte.
Le donne e i bambini hanno una memoria vivida, e sono in grado di memorizzare molti più dati di un maschio adulto. L'oscurità della notte è la costante, è il velo sensoriale che impedisce alla realtà del quotidiano di emergere, disturbando la fantasia e l'ascolto. Il racconto tradizionale rimane vivido nei secoli, e quel sottile filo che unisce le narratrici del passato e quelle del presente garantisce la trasmissione dei saperi.
Immagine di: ilprincipedipisa4
di Melqart Re
Nella Sardegna preistorica esisteva già il diavolo. Era uno spauracchio spiritico che veniva direttamente dagli inferi, un luogo che gli abitanti delle montagne conoscevano bene.
Mammuthone, Mammunt, Mommoth, o forse Ammuntha erano i suoi molteplici nomi.
Durante la Notte, momento temporale associato alla morte, il Diavolo appariva nelle strette gole dei monti, nel canyon granitico de Su Gorroppu (inaccessibile gola tra i monti di Orgosolo, Urzulei e Oliena).
Un giovane ragazzo sardo fu spinto dalle donne della sua famiglia a trascorrere la notte tra quelle spaventose e gigantesche pietre.
Quelle streghe, con fare aspro e deciso, lo sfidarono a trascorrere una notte con il diavolo. Ne andava del suo onore: se avesse avuto paura, sarebbe tornato al villaggio, e loro, lo avrebbero denudato davanti ai paesani e riempito di botte.
Anche le donne della sua famiglia, sorelle e cugine, potevano contrattare con Ammuntha: in cambio di ricchezza, amore e gloria, dovevano cedergli il loro corpo e anche l'anima.
Nelle tradizioni popolari (che forse iniziarono da allora) sulla stregoneria femminile, il re degli inferi si accoppia abitualmente con le streghe. Lo fa con rituali ai quali tutti gli iniziati devono assistere, per poi imitarli.
La gravidanza e il parto erano pericolosi per gestante e neonato, e i riti dell'accoppiamento rivestivano un enorme valore, ne andava di mezzo la continuazione della specie. Per renderli magici, le sciamane e i sacerdoti dei culti, inventavano le psico-magie più fantasiose.
La notte è sempre lo sfondo preferito per il racconto delle storie tradizionali. Cantate e narrate con enfasi davanti ai fuochi, alle forredde e alle lolle dei cortili. Sono sempre le donne che raccontano: indaffarate di giorno e dolcissime cantastorie la notte.
Le donne e i bambini hanno una memoria vivida, e sono in grado di memorizzare molti più dati di un maschio adulto. L'oscurità della notte è la costante, è il velo sensoriale che impedisce alla realtà del quotidiano di emergere, disturbando la fantasia e l'ascolto. Il racconto tradizionale rimane vivido nei secoli, e quel sottile filo che unisce le narratrici del passato e quelle del presente garantisce la trasmissione dei saperi.
Immagine di: ilprincipedipisa4
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