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venerdì 16 novembre 2012

Il sistema nuragico di Frea (Sant'Andrea Frius)

IL SISTEMA NURAGICO DI FREA
l’antica e vasta area sacra
di Aldo Casu



La parte occidentale, dell’attuale territorio comunale di Sant’Andrea Frius, è un’enclave naturalmente delimitata a est dal rio Coxinas (o Coghinas), a nord dal rio Bascuri, a nord-ovest dal rio Cirras (che sono nomi di tratti diversi di un unico torrente) e a sud-ovest dalle colline de Su Capucciu e di monte Uda. (vedi Tav. 1).


Questa osservazione è confermata dal significato etimologico del nome del fiume che la delimita a nord-ovest. “Cirras ”, infatti, è riconducibile al termine latino “cernere”, ha di conseguenza il significato di “fiume che separa ”, ed essendo, questo, il nome di un tratto del “rio Bascùri “, che scorre a nord-est, è evidente che questo unico fiume sia un “limes”.


Inoltre il significato di “Miorì “, nome di un tratto del “rio Coxìnas “ (o Coghinas) che scorre a sud-est, poiché deriva dal latino “medius rivus”, è “fiume che sta in mezzo “ e può essere inteso sia come “fiume che divide “ (in quanto tratto del rio Coxìnas ) ma anche come (tratto di) “fiume che scorre all’interno “.
Ciò che, però, fuga ogni dubbio su questa enclave attorno a Sant’Andrea Frius, e che ha la forma di un quadrilatero irregolare, è la disposizione in esso dei siti nuragici che vi sono ubicati secondo parametri sorprendentemente razionali che non possono essere casuali.
Su tre dei quattro angoli di questo territorio , infatti, esistono ancora testimonianze di quella civiltà: nell’angolo sud il “nuràxi Mannu “ (vedi tavola 2, sito 2, seguendo la numerazione fatta nel Cens. Arch. Com.); nell’angolo ovest il “nuràx’’e Mònt’’i Uda “ (vedi tav. 2, sito7);
nell’angolo nord “su Cùccur’’e nuràx’’i Agusu “ (vedi tavola 2, sito 16) per cui è logico pensare che anche nell’angolo nord-est (Cùccur’’i Abrànti, sito 30) ne sia esistito uno.



Il nuraghe, a corridoio (?) complesso, nell’angolo sud (sito 2), costruito tra il XVI e il XIV sec. a.C., deve l’appellativo di “Mannu” (nel significato del termine latino “magnus”) non tanto alle sue dimensioni quanto alla sua posizione altamente strategica. Esso, infatti, controlla nel punto più stretto (vedi foto 1, 2 e 3) la gola in cui scorre il rio Coxìnas, quella che il Taramelli ha indicato come “la via naturale che, dal piano abitato dai Patulcensi Campani, conduce alle valli del medio Flumendosa, l’attuale Gerrei” e quella in cui, in epoca punica, passerà la “grande via Cagliari-S. Andrea Frius-Mandas-Isili con la diramazione a S. Andrea Frius per S, Nicolò Gerrei-Ballao” di cui ha scritto il Barreca.


Della grande importanza della gola controllata dal nuràxi Mannu è rimasta traccia nel nome di una zona sulla riva opposta: il toponimo “Carduéru “, infatti, è un’alterazione formale del latino “cardo verus” che si può tradurre come “porta principale”.
Quello di Monte Uda (sito 7), nuraghe a tholos forse complesso, costruito tra il XVI ed il IX sec. a.C., invece, è un formidabile punto di vedetta in quanto da esso si domina a 360° un vastissimo territorio e, nelle giornate più limpide, si può vedere anche la Sella del Diavolo.


Il Cuccur’’e Nuràx’’i Agusu (sito 16) nell’angolo nord, classificato a tholos (?) e complesso e datato XIII-XI sec. a.C., merita un discorso a parte che farò in un altro articolo; qui mi limito ad osservare che si trova lungo la strada nota agli anziani come “sa bìa de Màndasa”, di cui si è detto sopra e a proporne alcune vedute (vedi foto 4, 5 e 6).


Nel quarto angolo dell’enclave, “Cùccur’’e Arbanti “ (sito 30), non sono rimaste tracce di una qualche costruzione nuragica ma che vi si esistita è confermata dal fatto che nel sito ?3 è esistito un piccolo nuraghe, dal quale si controllavano i canaloni a nord della “Tanca pèrda de sàbi “ ed era, chiaramente, pertinenza di quello esistito nel sito 30.


Lungo il confine sud-occidentale, tra il Mannu e quello di Monte Uda, esistono altri tre nuraghi: quello di “Pédru Niéddu “ (sito 4, vedi foto 7) e quello di “Guntrùxiusu “ (sito 6, vedi foto 8) (che controllano dall’alto i canaloni che attraversano le colline fin quasi ad arrivare al loro versante opposto) e quello di “Pèdra Nièdda “ (sito 3, vedi foto 9) che si trova, invece, molto più in basso rispetto agli altri due.


Lungo il confine orientale, segnato dal corso del “rio Coxìnas “ sono esistiti:
nel sito 25 “Sa cas’èccia”, un piccolo nuraghe (vedi foto 10) da cui si controllavano i canaloni di “s’Utturu Mannu “ e di “Moìzusu “ (vedi foto 11);
nel sito 23 “su Nuràxi “ (vedi foto 12) che, con la “torre capanna “ esistita nel sito 26 (vedi foto 13) e il piccolo nuraghe, costruito con una tecnica altamente sofisticata, esistito nel sito 29 (vedi foto 14), costituiva quello che i vecchi chiamavano “su trébini “ (= il treppiede) che controllava l’altra grande via naturale d’accesso all’enclave, da nord-est, e cioè il canalone in cui scorre il “rio Frùm’’i asìbi “(vedi foto 15), che non è altro che il nome dello stesso fiume che, a valle, ha i nomi di “Miorì “, “Bacch’’e Procèddusu “ e “Coxìnasa “.


L’esistenza di questo sofisticato “treppiede nuragico” a N.E. dell’enclave è in netto contrasto con il “vuoto” che si osserva a Sud dell’enclave dove, tra i siti 2 e 25, le vie naturali di accesso all’area in cui si trova l’attuale abitato, nello specifico il canale “de s’Aruttixèdda “ (vedi foto 16), la strada che dal Coxìnas risale verso il paese e l’area detta “Bacch’’e procèddusu “ (vedi foto 17 e 18), nel censimento risultano non controllate.


In realtà il canalone de “S’aruttixèdda “ era controllato da un piccolo nuraghe ubicato nel sito ?1 (vedi tavola 2), di cui non è rimasta traccia ma che è indicato nel vecchio foglio catastale comunale come “nuràghe Antine “ e che, tra l’altro, faceva da collegamento tra il “nuràxi Mannu “ e quello esistito nel sito 1 di cui si parlerà più avanti.


Allo stesso modo le aree di “Coxìnas “ e di “Bacch’’e procèddusu “ erano controllate dal sito ?2 dove non è rimasta alcuna traccia di una qualche costruzione nuragica ma è logico che vi sia esistita per i seguenti motivi:
• Il nome della zona, “Sa fogàia “, è un esplicito riferimento alla frequente accensione di fuochi probabilmente per segnalare un pericolo incombente;


• Il primo termine, “Bàccu “, del toponimo ha il significato di “varco” (e nella stessa forma lo si ritrova anche lungo il confine settentrionale dell’enclave) mentre il secondo termine “procèddusu “ è probabilmente uno di quei termini dispregiativi che i Romani usavano per indicare i Sardi, specie quelli più ostili;
• Infine, senza una postazione in questo sito che facesse da collegamento visivo tra il già citato sito 1 e il sito 25, “sa Cas’èccia “, la funzione di controllo svolta da quest’ultima sarebbe stata priva di efficienza pratica.


Lungo il confine settentrionale dell’enclave, segnato dal “rio Bascùri “, oltre al già citato “Cùccur’’i Arbànti “ (sito 30), da cui si controllava il corso del “rio Bascùri “ a est (vedi foto 19) e a ovest (vedi foto 20), e il suo avamposto nel sito ?3, un’altra postazione di controllo deve essere esistita nel sito ?4 in prossimità, cioè, del “Bacch’’e Bascùri “, il “varco” in cui la via che seguiva il corso del fiume deviava da esso per dirigersi verso l’attuale abitato, e il “Cùccur’’e nurùx’’i Agusu “ di cui si è detto che merita un articolo a parte.


Lungo il confine a Nord-Ovest, segnato dal “Rio Cìrras “, forse per la più agevole morfologia del territorio, non si individuano tracce di postazioni di controllo ma solo i resti di un villaggio nuragico (datati XIII-XI sec. a.C.) nel sito 8, località “Nì’’e Mènga “ (vedi tavola 2 e foto 21) e un probabile ma molto incerto sito nuragico nel punto ?7 (vedi tavola 2).
All’interno di questa enclave, naturalmente delimitata e meticolosamente controllata dalle postazioni nuragiche specie lungo i confini orientale e sud-occidentale, si osserva una non certo casuale simmetria nello sviluppo delle strade (vedi tavola 3) che conducono all’abitato o, se si vuole, da esso si dirigono nelle diverse direzioni, e l’esistenza di diversi piccoli corsi d’acqua (vedi tavola 4) che, a loro volta, delimitano un’area più piccola con al centro l’attuale paese di Sant’Andrea Frius.


Le strade, come si sa, sono nate dagli antichi “mòris “ (derivato dal termine latino “mos – moris” che significa “usanza, consuetudine”) dove era consuetudine, appunto, il passaggio si degli animali che delle persone e che, col tempo, divennero dei passaggi obbligati e per questo, come le vie naturali di accesso all’enclave, erano anche esse controllate da nuraghi.


• Dal nuraghe complesso (?), datato XVI-XII sec. a.C., di cui è rimasta traccia nel sito 1, detto “Brùnch’’e s’Ollàstu “ (vedi tavola 3 e foto 22) si controllavano sia la strada per Cagliari che quella detta de “Sa Frìsa “ ed era a contatto visivo con i nuraghi esistiti nei siti ?1 e ?2 di cui si è già detto e con quello esistito nel sito 5;
• Il nuraghe esistito nel sito 5, in località “Tuèrra “ (vedi foto 23 e 24) apparentemente in una posizione anomala in quanto posto in un vallone e con una visione limitata a due sole direzioni, a Sud-Est il sito 1 e a Nord-Ovest il sito 13, controllava la strada che è la continuazione del canalone controllato dal nuraghe “Pédru Niéddu “ (sito 4);


• Dal sito 13, “Gelantini “, dove sono state rinvenute tracce della Cultura di Monteclaro (metà III millennio a.C.) e incerte tracce di un nuraghe con annesso villaggio datate XII-X sec. a.C., si controllava “Bìa s’Unguttóssu “, l’omonima “Bìa Gebentì “ e la “Bìa de S’aruxixèdda “ e da questo sito si aveva contatto visivo oltre che con i siti 1 e 5, anche con i siti 7, ?6 e 16;
• Dal sito ?6, “Tànch’’e Tobìasa “, si controllavano la vecchia strada per Senorbì e quella detta di “Pabeddóri “ e si aveva contatto visivo con i siti 7, 13, ?5, 22 e 16;
• Dal sito ?5, “Còr’’e su Tùmbu “, si controllavano le strade dette di “Praùmusu “ e di “Pèdrixèddasa “ e si aveva contatto visivo con i siti 7, ?6, 16, ?4 e 22;


• Dal sito 22, “Dòm’’e s’Órcu “, nuraghe a corridoio datato XVI-XIII sec. a.C. (vedi foto 25), si controllava la vecchia strada per San Basilio e si aveva contatto visivo con i siti 7, ?6, ?5, 16, ?4, 30 e 23.


Per quanto riguarda il rapporto con i corsi d’acqua si osserva che mentre i siti nuragici che si trovano lungo i confini fluviali sono all’interno dell’enclave, quelli che si trovano lungo i corsi d’acqua all’interno dell’enclave (vedi tavola 4) sono in posizione esterna rispetto all’area centrale che essi delimitano e, più in particolare, i siti ?2, 5, ?5, 16, ?4 e 23 si trovano proprio là dove le strade, che da essi si controllano, attraversano questi, anche se piccoli, corsi d’acqua.


Considerando nell’insieme questi 22 siti descritti, si osserva, inoltre, il ripetersi tra di essi di distanze lineari talmente similari tra loro da non poter essere dovute alla morfologia del territorio o al caso, bensì ad un vero e proprio “progetto” studiato e calcolato.




Tanto per dimostrare questa particolarità possiamo citare le seguenti:
• Dal sito 2 al sito 16 si misura una distanza lineare di ca. m. 5.150 che è molto simile a quella che si misura dal sito 7 al sito 25 che è di ca. 5.250 m.;
• La distanza lineare che si misura dal sito 2 al sito 7 è di 4.275 m. ca. ed è molto simile a quella che lo stesso sito 7 dista dal sito 16 e, cioè, ca. 4.225 m.;
(NB: una distanza simile compresa, cioè, tra i 4.125 e i 4.275 m., si misura ben sette volte tra i nuraghi nei siti suddetti e altri nuraghi esterni all’enclave: il nur. Nuragiassus (in territorio di Donori) p.e. dista ca. 4.150 m. dal sito 7 e ca 4.200 m. dal sito 2 che, a sua volta, dista 4.150 m. ca. dal nur. Dòmu s’Órcu (al confine tra Donori e barrali); dal sito 16 si misura una distanza di 4.150 m. ca. al sito 6 e una di 4.125 m. ca. al nur. Pérdu Mòlas in agro di San Basilio).
• Il sito 2, inoltre, dista dal sito 25 ca. 2.775 m., dal sito 6 ca. 2.725 m. e dalla Piazza Roma, al centro di Sant’Andrea, ca. 2.800 m. che, a sua volta dista ca 2.700 m. dal sito 30;
• Il sito 3 è praticamente equidistante dal sito 2 (2.225 m.), dal sito 7 (2.150 m.) e dal già citato nur. Dòmu S’Órcu, al confine tra Donori e Barrali, (2.350 m.) che, a sua volta, dista 2.350 m. ca. dal sito 6 e 2.375 m. ca. dal sito 7.
• Da Piazza Roma, infine, i siti 5, ?6 e ?2 distano rispettivamente 975, 1.000 e 1.025 m., il sito 1 ne dista 1.300 m. ca. e i siti 13, 22, 23, 25 e ?5 distano rispettivamente 1.400, 1.550, 1.500, 1.500 e 1.500 m. ca..
È evidente, quindi, che il sistema nuragico esistito in questa enclave era imperniato sulla più
volte citata Piazza Roma, al centro dell’attuale abitato di Sant’Andrea Frius, che, di certo non a caso, in sardo si chiama “Praz’’e Funtanèddasa “ e, cioè, “Piazza delle fontanelle”.
Ma prima di continuare nel cercare di capire perché l’area in cui sorge l’attuale paese fosse così importante da richiedere la costruzione di un così meticoloso sistema di controllo e di difesa è necessario fare una ulteriore precisazione per quanto riguarda l’utilizzo del sorprendente parametro delle “equidistanze” nella disposizione delle postazioni nuragiche sia per il controllo delle vie naturali di accesso al territorio lungo i suoi confini, sia nel contesto strade/corsi d’acqua al suo interno.
Da quanto esposto risulta evidente che la misurazione e il ripetersi di distanze lineari (spesso talmente similari tra loro da potersi parlare giustamente di “equidistanze”!) tra i diversi siti nuragici che costituivano il “sistema” di cui si sta trattando, è uno dei parametri utilizzati nell’antropizzazione di questo piccolo territorio e viene spontaneo chiedersi se l’utilizzo in questa enclave sia casuale o se, invece, sia un particolare poco noto di tutto il mondo nuragico.
Da uno studio (inedito) fatto a metà degli anni ’90 sulla carta si sono misurate 191 distanze lineari da 13 nuraghi noti (tra cui il “Nuraghe “ di Dolianova, il nuraghe “Nuragiassus “ di Donori, il nuraghe “Simieri “ tra Senorbì e Suelli, il “Nuraghe“ di Nuraminis e quello di Samatzai) ad altri nuraghi, che vanno da un minimo di 1.575 ad un massimo di 13.725 m..
Considerato che, nelle giornate particolarmente limpide, dal Monte Uda si può vedere chiaramente la Sella del Diavolo nel golfo di Cagliari lontana più di 30 km, le distanze prese in esame non sono certo esagerate e tenuto conto che p.e.:
• dal “Nuraghe” di Dolianova si misurano, tra le altre, 2 distanze lineari dell’ordine di 9.000 m., 3 di 10.000 m. e 2 dell’ordine di 11.000 m.;
• dal Monte Uda, tra le altre, 3 dell’ordine degli 11.000 m. e 3 dell’ordine dei 12.000 m.;
• dal “Nuràx’’i Agusu “ 4 dell’ordine dei 4.000 m., 5 dell’ordine dei 10.000 m. e 4 dell’ordine dei 13.000 m.;
• dal nuraghe “Simieri “, tra le altre, 4 dell’ordine dei 5.000 m., 4 dell’ordine dei 6.000 m., 4 dell’ordine degli 8.000 m. e 4 dell’ordine dei 9.000 m.;
• dal “Nuraghe “ di Nuraminis tra le altre si misurano 3 distanze dell’ordine dei 7.000 m.;
• dal “Nuraghe “ di Samatzai tra le atre 3 dell’ordine dei 3.000 m., 2 dell’ordine degli 8.000 m. e altrettante dell’ordine dei 9.000, dei 10.000 e dei 12.000 m. e così via…
si arriva alla conclusione che alla base delle famose triangolazioni tra i nuraghi vi è la seguente regola: qualunque sia la distanza lineare che separa due siti nuragici, la stessa distanza, o una ad essa molto similare, si misurerà anche dal primo o dal secondo ad un terzo sito nuragico.
Tornando al sistema esistito nella parte occidentale del territorio di Sant’Andrea Frius, il nome più antico che si conosce dell’enclave, giunto fino a noi attraverso la leggenda di una vasta e ricca città antica, è “FREA” (da cui derivano “Frias “ e “Frius”) un coronimo di origine greca (da φρεαρ – ατος = “pozzo” e, per estensione, “luogo ricco d’acqua”) che fa esplicito riferimento all’acqua sorgiva che sgorgava abbondante nell’area dell’attuale abitato, in “Praz’’e Funtanèddasa” e nell’area ad essa adiacente, ma anche nel rione oggi ancora noto col nome di “Funtàna crobètta “, dove gli anziani raccontano che c’erano ben sette falde acquifere diverse.
L’abbondanza di acque sorgive perenni che, come ha scritto il Lamarmora “…mancano negli altri villaggi della Trexenta…”, però, sebbene molto importante, da sola non è sufficiente a giustificare la costruzione di un così complesso sistema di controllo del territorio. L’importanza religiosa dell’area, che si evince dal nome del rione suddetto di “Funtàna crobètta “ (nome identico a quello del pozzo sacro di Ballao), dall’accenno del Tramelli
all’esistenza in questo paese di altri “pozzi sacri” e da quanto riferito dal Pettazzoni, ancora
sull’esistenza anche in Sant’Andrea Frius di altri santuari nuragici come quello di Santa
Vittoria di Serri, dall’etimologia del nome de “Sa gòr’’e Cobèu “ o “Colèo” (vedi tavola 4) dal verbo latino “colere” (= onorare, venerare), e l’attribuzione di qualità terapeutiche alle acque sorgive, testimoniata dagli “ex voto” di “Lìnna Pertùnta “ che, come ha scritto la dott.sa Donatella Salvi, “… (documentano)… il perdurare del culto per un lungo arco di tempo…” come confermano il Barreca (indicando in questo paese uno dei 22 luoghi di culto fenicio-punici della Sardegna) e il Taramelli (che riferisce dell’esistenza in esso di costruzioni religiose romane) sono certo all’origine della costruzione del “sistema nuragico di Frea”. Probabilmente, però, la più arcaica e primaria motivazione della realizzazione di un così complesso lavoro, si ritrova nell’etimologia di due toponimi di cui uno interno all’enclave e uno esterno ad esso, nella parte orientale del territorio comunale.
Quello interno all’enclave è “Pabeddóri “ (che ancora nell’’800 era “Paledóris “), quello nella parte orientale, esterno all’enclave, è “Pillònadòrisi “; il primo è composto dai termini “palae” e “abdoris” e ha il significato letterale di “adoratori di palae “, il secondo, invece è composto dai termini “pilonis” e “abdoris” e ha il significato letterale di “adoratori di menhirs”.
L’etimologia del secondo toponimo trova conferma in un altro toponimo ad esso contiguo, “Perdas Fittas” mentre, per capire cosa fossero quelle antiche “palae” (con cui oggi si intendono “tavole, in legno o pietra, scolpite o lavorate a sbalzo), ci viene in aiuto l’Angius che, nel Dizionario del Casalis, su questo paese tra l’altro ha scritto: “…Osservaronsi nelle pietre delle figure scolpite, ma per la loro smisurata grandezza non si poterono levare…”.
Considerando che non si è tramandato nessun seppur labile riferimento all’esistenza di grandi statue in questa enclave e, tanto meno, nell’area in cui sorge l’attuale abitato, si può dedurre che a “non poter essere levate per la loro smisurata grandezza” fossero le pietre e poiché proprio nell’enclave, e non al di fuori di esso, ancora oggi si possono osservare estesi “pianori rocciosi ricchi di fossili” (Echinidi irregolari, ostriche, conchiglie di vario genere, Briozoi ecc.) non è illogico pensare che proprio questi fossero le “palae” che venivano venerate all’interno dell’enclave.
Sta di fatto che i due toponimi suddetti ci informano che nell’enclave controllato e difeso dal sistema nuragico viveva un’etnia che aveva un grado di sviluppo cultural-religioso, e probabilmente anche sociale, diverso da quello delle genti che abitavano nelle montagne.
Purtroppo in questo territorio non si sono mai fatte campagne di scavi, sia la classificazione dei resti delle costruzioni nuragiche in esso esistenti, sia la loro datazione si sono fatte in base a quanto osservabile e ai frammenti fittili reperibili in superficie, e pertanto nulla si sa di questa etnia, probabilmente alloctona, che adorava le “figure scolpite nella pietra”, che ha costruito il sistema, utilizzando parametri sorprendentemente razionali, e che, forse, nel disporre le sue postazioni di controllo e di difesa del territorio, ha anche cercato di riprodurre una di quelle figure scolpite nella pietra che, per gli uomini di quel tempo non potevano essere altro che opera di qualche divinità e, quindi, erano sacre e rendevano sacri il luogo in cui esse si trovavano e tutto ciò che vi era intorno, acque sorgive comprese.

BIBLIOGRAFIA

Angius/Casalis: “Dizionario geografico storico (…) degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” – 1833/1856;
Barreca:“La Sardegna fenicia e punica” – Chiarella Editore – Sassari 1979;
Barreca:"Insediamenti fenicio-punici” – Carta 37 in “Atlante Storico Sardo”;
Lamarmora:“Itinerario di viaggio in Sardegna” – 1815;
Pettazzoni:“La religione primitiva in Sardegna” – Delfino Editore – Sassari 1993;
Relli (a cura di) “Sant’Andrea Frius – Dal Neolitico alla Rifondazione” – Nuove Grafiche – Ortacesus 2006;
Salvi: “La continuità del culto. La stipe votiva di Sant'Andrea Frius” in “L’AFRICA ROMANA”
Atti del VII convegno di studi – a cura di A. Mastino – Sassari 1989;
Taramelli;“Scavi e scoperte nell’antichità” – 1920/1939.

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