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domenica 26 agosto 2012

Dopo i Bronzi di Riace, ripescato nel Mar Ionio un antico tesoro.

Leone in bronzo ritrovato nel mar Ionio


Il mar Ionio, al largo della Calabria regala ancora sorprese archeologiche "mozzafiato". Dopo il ritrovamento dei Bronzi di Riace quarant'anni fa, oggi il mare ha fatto riaffiorare l'effige di un leone di bronzo, una statua e un'antica nave.
A Capo Bruzzano, tra Africo e Bianco, il mare ha fatto riaffiorare l'effige di un leone in bronzo mentre, nella sua profondità, conserva una statua bloccata dagli scogli, inizialmente scambiata per un'armatura, ed un'antica nave. A ritrovare l'effige è stato un appassionato di immersioni, Leo Morabito, mentre a distanza di circa trecento metri, altri due sub, Bruno Bruzzaniti e Bartolo Priolo, hanno individuato la statua e l'antica nave.
I tre sub raccontano che nell'area del ritrovamento del leone di bronzo il fondale è tappezzato da pezzi di vasi di ceramica multicolore ed a poca distanza si intravede una statua bloccata dagli scogli. La prima ipotesi è che i reperti ritrovati appartenessero al carico di una nave affondata proprio davanti alle coste calabresi. Il luogo ed il periodo di quest'ultimo rinvenimento, avvenuto proprio pochi giorni dopo l'anniversario dei 40 anni dalla scoperta dei Bronzi di Riace, il 1972, fa sperare che ci si trovi di fronte ad una nuova ed eccezionale scoperta. Da domani mattina i carabinieri del Gruppo sommozzatori di Messina si immergeranno per capire cosa si nasconde realmente sul fondale. L'area del ritrovamento, intanto, è stata interdetta alla navigazione ed è vigilata da una motovedetta della Capitaneria di porto di Reggio Calabria. L'effige del leone è alta circa cinquanta centimetri e pesa una quindicina di chilogrammi.
I carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico di Cosenza hanno avviato un'indagine per presunte irregolarità nella procedura: il ritrovamento risalirebbe infatti al 16 agosto, ma le autorità non sono state informate nelle 24 ore successive, come impone la legge.
Anche la soprintendente ai beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi, non avrebbe ancora avuto modo di vedere i reperti e sarebbe in attesa degli esiti delle indagini.

I Bronzi di Riace
Le due sculture furono ritrovate nel mare Ionio, a 300 metri dalle coste di Riace in provincia di Reggio Calabria, nell'Agosto del 1972. Il sub Mariottini scorge sul fondale un oggetto che inizialmente non riesce a identificare, si avvicina e scopre che dal fondo melmoso esce una mano in bronzo. Mariottini segnala il fatto alla Soprintendenza e una squadra di subacquei professionisti vennero inviati sul posto. Con l'aiuto di speciali apparecchiature i sub riportarono in superficie una statua di bronzo. Proseguendo l'indagine venne poi rinvenuta una seconda statua in bronzo. L’eccezionalità del ritrovamento fu subito chiara, date le poche statue originali di quel periodo che ci sono giunte dalla Grecia. Furono trasportate a Firenze dove fu curato il restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure, uno dei più specializzati laboratori di restauro del mondo. Nel 1980 furono esposte in una mostra, che ebbe un successo enorme, e quindi trasportate nel Museo archeologico di Reggio Calabria dove sono tuttora esposte.


I bronzi di Riace raffiguravano degli imponenti corpi maschili nudi, uno apparentemente più giovane e l'altro più maturo, la loro identità è restata all'inizio celata: le ipotesi su di essa si susseguirono sino ad arrivare a sostenere una loro provenienza greca come bottino riportato a seguito della conquista romana.

Nel 1994 archeologi, restauratori e tecnici dell'Istituto Centrale del Restauro e della Soprintendenza archeologica della Calabria hanno avviato un delicato progetto di restauro al fine di scongiurare la minaccia costituita dalla presenza al loro interno di residui di terra e di sali dannosi. Lo svuotamento delle statue, primo decisivo intervento, è stato eseguito con l'ausilio di una sofisticata strumentazione che ha permesso di entrare all'interno delle statue bronzee. L'esame ha rilevato la presenza all'interno della statua B di una seconda statua in argilla.

Dopo anni di ipotesi e di ricerche i due statuari guerrieri di bronzo sembrano aver ritrovato la loro originaria identità. Un recente studio ha rivelato il ruolo del bronzista Agelada di Argo, maestro di Mirone e di Fidia.
Lo storico dell'arte Paolo Moreno ha avanzato la tesi che gli autori dei bronzi fossero Agelada di Argo e Alcamene di Lemno, tale tesi è nata dallo studio comparato della decorazione del celebre tempio di Olimpia. Il bronzo denominato A sembra mostrare notevoli somiglianze con l'Atlante del tempio di Olimpia, realizzata presumibilmente da Alcamene.
Secondo lo storico il cosiddetto bronzo B sarebbe Anfiarao, indovino del re Adrasto, costretto, secondo la leggenda, a partecipare alla spedizione dei Sette a Tebe. Il bronzo A invece sarebbe Tideo altro eroe della spedizione. I due bronzi farebbero quindi parte di un gruppo statuario dedicato a celebrare la leggenda dei Sette a Tebe accompagnati dai loro discendenti ed epigoni. Secondo i versi di Eschilo, uno dei tre grandi tragediografi greci, Tideo insulta l'indovino Anfiarao, che si rifiutava di partecipare alla spedizione contro Tebe, visto che ne prevedeva l'esito negativo. Adesso i celebri bronzi non hanno solo un nome ma anche una leggenda alle spalle, che spiega la loro postura l'espressione sui loro volti.

L’analisi stilistica e quella scientifica sui materiali e le tecniche di fusione hanno entrambe determinato la differenza sostanziale tra le due statue: sono da attribuirsi a due differenti artisti e a due epoche distinte. Quella raffigurata a sinistra viene normalmente chiamata "statua A", mentre quella a destra "statua B". L’attribuzione odierna, in base ai confronti stilistici oggi possibili, è di datare la "statua A" al 460 a.C., in periodo severo; mentre al periodo classico, e più precisamente al 430 circa a.C., viene datata la "statua B".
Si tratta di determinazioni che possono ancora essere modificate. Al momento possiamo ritenere che si tratti di due atleti o di due guerrieri, raffigurati come simbolo di vittoria.
Entrambe le statue sono raffigurate nella posizione definita a chiasmo, presentandosi con una notevole elasticità muscolare. Soprattutto la "statua A" appare di modellato più nervoso e vitale, mentre la "statua B" ha un aspetto più rilassato e calmo. Ma entrambe trasmettono una grande sensazione di potenza, dovuta soprattutto allo scatto delle braccia che si distanziano con vigore dal torso. Il braccio piegato doveva sicuramente sorreggere uno scudo, mentre l’altra mano impugnava con probabilità un’arma. La "statua B" ha la calotta cranica modellata in quel modo perché doveva sicuramente consentire la collocazione di un elmo di stile corinzio, oggi disperso.
Le statue furono forse realizzate ad Atene e rimosse per essere portate a Roma, forse destinate alla casa di qualche ricco patrizio. Ma il battello che le trasportava affondò e il prezioso carico finì sommerso dalla sabbia a circa 8 metri di profondità. Non è da escludere che all’epoca fu già fatto un tentativo di recupero, andato infruttuoso così che le statue sono rimaste incastrate nel fondale per circa duemila anni, prima che ritornassero a mostrarci tutto il loro splendore.
Ma vediamo come venivano realizzate le statue in bronzo. La tecnica può essere sintetizzata in questi passaggi. Per prima cosa si modellava la statua in argilla. Su di essa, in una seconda fase, veniva collocato uno strato di cera, dello spessore di alcuni millimetri. Terza fase, il tutto veniva ricoperto da altra argilla o terra refrattaria, per costituire un blocco solido e resistente. A questo punto, attraverso un’opportuna serie di fori, praticati nel masso finale per giungere allo strato di cera, veniva colato il bronzo portato a temperatura di fusione (circa 1000° C). Il bronzo, infilandosi in questo masso composto all’interno e all’esterno della forma scolpita da terra refrattaria, andava naturalmente a collocarsi lì dove trovava la cera, la quale, a contatto con il grande calore del bronzo fuso, si scioglieva e colava da opportuni fori ricavati inferiormente. Quando il bronzo si raffreddava aveva preso tutto il posto dove prima era la cera. A questo punto si poteva liberare la statua di tutta la terra refrattaria che la ricopriva. Appariva la statua in bronzo, che però all’interno conteneva ancora l’argilla usata per la prima modellazione. Si aveva ovviamente cura di far sì che la forma non fosse totalmente chiusa, in modo da poter liberare la statua dell’argilla interna. Nel caso dei bronzi di Riace, ad esempio, le due figure sono aperte sotto i piedi, fori che ovviamente non si vedono quando le statue sono collocate in posizione eretta, e da questi fori fu possibile, con paziente lavoro, asportare l’argilla interna. Non tutta l’argilla si riusciva ad asportare, tanto che nel caso dei bronzi di Riace recenti interventi di restauro interno, condotti con microsonde radiocomandate, hanno permesso di asportare ancora un quintale circa di argilla che era rimasto negli anfratti interni delle due statue. Se le statue non erano fuse in un unico blocco, il lavoro risultava più agevole. In questo caso le parti venivano saldate a posteriori in punti appositamente studiati per non influire nella visione dell’opera. Questa tecnica era definita fusione "a cera persa". Di fatto questa tecnica messa a punto dai greci è la stessa che si usa ancora oggi, pur nella diversità dei materiali odierni e della evoluzione tecnologica, a dimostrazione che il modello di procedura era il migliore possibile.
Tale procedimento era dettato dalla imprescindibile necessità di realizzare statue che fossero cave all’interno. Se una statua in bronzo è di piccole dimensioni, nell’ordine di alcune decine di centimetri, si può ragionevolmente realizzarle a blocco pieno. In questo caso basta predisporre solo una forma cava al negativo, che fungesse da formatura della statua. Quando però una statua in bronzo raggiunge le dimensione di uno o due metri di altezza non è più possibile di realizzarle a blocco pieno. Primo perché richiederebbe molto metallo e ne verrebbe fuori una statua dal peso incredibile; ma secondo, il motivo di maggior ostacolo, è che una statua di così grandi dimensioni, una volta colata nella forma, nella fase di raffreddamento, per effetto della differente temperatura tra interno ed esterno con conseguente divario di dilatazione e contrazione, sarebbe sollecitata a tensioni interne così forti che ne determinerebbero automaticamente la distruzione.
Le statue in bronzo erano quindi internamente vuote. Questa circostanza permetteva di risolvere anche un problema particolare: far mantenere le statue in verticale risolvendo eventuali squilibri della forma finita con l’inserzione all’interno della statua di opportuni contrappesi che ne determinavano il giusto equilibrio. Quando però le statue in bronzo venivano copiate in marmo, il problema dell’equilibrio non poteva più essere risolto con contrappesi nascosti. In questo caso si ricorreva a diversi accorgimenti, quali, il più comune, era di inserire dietro le figure tronchi e arbusti che saldassero le membra inferiori in un unico blocco. In questo modo si alterava l’immagine finale, anche se ciò non produceva un risultato estetico del tutto negativo. Ciò è possibile notarlo in tante statue greche i cui originali in bronzo non ci sono pervenuti, perché sicuramente fusi per ricavarne il bronzo per altri usi, e di cui ci rimangono solo copie in marmo di età ellenistica o romana.





2 commenti:

  1. Ma come è finita la storia del bronzo di Africo? era assolutamente un falso secondo me vero?

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  2. Sotto lo Ionio che bagna l’estremo lembo meridionale della Penisola, è stato scoperto un pezzo archeologico che appare di grande valore storico e artistico. Si tratta della testa di leone in bronzo trovata da due subacquei appassionati di immersioni. L’effigie è alta 50 cm e pesa 15 kg. I due, inoltre, hanno segnalato la presenza di altri «pezzi» di interesse archeologico. Una statua e frammenti di vasellame. Un terzo sub ha recuperato un’armatura di bronzo e rame, trovata incastrata fra gli scogli del Capo.
    Il comandante del nucleo Patrimonio artistico ha incontrato ad Africo i due archeologi dilettanti.
    «Allo stato attuale - ha detto la soprintendente ai beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi - non ho ancora avuto modo di poter visionare gli oggetti rinvenuti. Non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale circa il ritrovamento».

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