giovedì 31 maggio 2012
Pietre e ambiente...il connubio dei megalitici
Architettura rurale
di Pierluigi Montalbano
Scrive Braudel: “è stato il mare a creare le terre e le pietre, e l'acqua di mare ha lasciato ovunque la traccia del suo lento lavoro: al Cairo i calcari sedimentari di grana fine bianco latte permetteranno al cesello dello scultore di dare la sensazione del volume giocando su incisioni profonde solo qualche millimetro; le grandi placche di calcare corallino dei templi megalitici di Malta; la pietra di Segovia che si bagna per lavorarla più facilmente; i calcari delle enormi cave di Siracusa; le pietre d’Istria portate a Venezia; e tante rocce della Grecia, della Sicilia, della Sardegna, sono tutte nate dal mare. Se l'attenzione si sposta sulle terre che circondano il mare, si arriva a parlare, come avviene oggi, di Lago Mediterraneo, e di puntare l'attenzione su quei territori di pietra che negli anni hanno dato riparo e ristoro a chi fuggiva dal mare per evitare tempeste, malattie e guerre”.
Da uno sguardo allargato al paesaggio del Mediterraneo, restringiamo il nostro orizzonte e fermiamoci alle pietre della Sardegna. Le architetture del paesaggio rurale caratterizzano l’isola, e pur non lasciando nomi di architetti da ricordare, sono un libro aperto in cui si può leggere una storia millenaria. L'architettura rurale è il frutto di una molteplicità di relazioni che hanno strutturato nel tempo tutta l’isola: la morfologia del posto, il clima, l'economia e la tecnologia. Rossella Barletta, descrivendo l’architettura rurale salentina, afferma che muretti a secco, terrazzamenti e paiare sono costruzioni realizzate in sede locale da popolazioni che lavorano senza servirsi di professionisti, ma facendo ricorso esclusivamente a quanto appreso per tradizione orale. La tecnica deriva dalla pratica. Le stesse parole possono descrivere i muri a secco della Sardegna: sono architetture consolidate che non presentano segni rilevanti di sviluppo nel tempo, resa sicura dall'esperienza che ha contribuito a stratificare le conoscenze. Essendo collegati all'ambiente, i materiali sono quelli del luogo, pietre su pietre, senza collanti. Muretti a secco, terrazzamenti, costruzioni a forma di capanna, tombe e pozzi che costituiscono un mare di terre e pietre. Dovunque si vada, in Sardegna come in Puglia, si vedono pietre che si aggregano, si cercano, si compongono, come fossero calamite.
Questa realtà si adatta a molte terre del Mediterraneo. La casa a cono, riparo fisso o temporaneo, nata dall'ingegnosità strumentale dei contadini che utilizzavano le pietre strappate alla terra per costruire un riparo per se e per gli animali, si trova fin dall'antichità in tutti popoli del Mediterraneo. L'architettura di pietre a secco ha avuto certamente origini differenziate per quanto riguarda gli usi. Non si esclude, infatti, che le costruzioni a tholos richiamano strutture funerarie presenti in Grecia e nell'isola di Pantelleria. L'architettura a secco della Sardegna precede certamente quella della Grecia e della Turchia, ma non quella dell'Egitto e delle lontane coste occidentali del nord Europa, ma un fil rouge di pietra lega le capanne che davano riparo ai contadini della Mesopotamia nel III millennio a.C. ai nostri nuraghi a corridoio.
Come per la Puglia, sono almeno due gli elementi che contraddistinguono il paesaggio sardo: uno è di origine vegetale e riguarda la vite e l'ulivo, l'altro è di ordine morfologico e riguarda la roccia calcarea e basaltica che, in alcune aree, affiora a tal punto da non lasciare il minimo spazio al terreno coltivabile, conferendo all'ambiente un senso di diffusa aridità, e di pregnante ostilità, adatto esclusivamente ad attività legate alla pastorizia. Laddove la sedimentazione calcarea si presenta sotto forma di grigia pietraia, diventa il principale e naturale segno anagrafico, in grado di incidere sul carattere degli abitanti e sulle loro sorti economiche e sociali. Il predominio della roccia, generando un suolo povero di risorse, carente di idrografia superficiale, e un clima particolarmente caldo in estate, pur regalando squarci paesaggistici suggestivi, soprattutto in ambito costiero, è stato un ostacolo alle tradizionali forme di economia agricola. Con queste condizioni sfavorevoli, è facile immaginare come la necessità di conquistare lo spazio agricolo per impiantare attività economiche produttive sia stato il pensiero fisso dei contadini. Dovettero innescare una lotta con l'ambiente fisico che, a sua volta, influenzò il tipo di popolamento, le sue vicende storiche, il rapporto di classe, la dinamica demografica e, nel tempo, il declino della vita rurale e l'esodo migratorio dalla campagna improduttiva. Solo pensando al faticoso lavoro manuale di ciascun contadino, si capisce la resistenza alle avversità di chi decide di bonificare un terreno sassoso, livellare depressioni e formare terrazzamenti coltivabili. Ci si può facilmente rendere conto del divario economico e culturale che separa l'azienda agricola moderna dalla famiglia contadina del passato, abituata a produrre e consumare in famiglia quel poco che un terreno, per sua natura aspro e tenace, riusciva a dare. La Barletta scrive: “superata la sorpresa dinanzi a tanta presenza di pietra, l'occhio coglierà un altro significativo aspetto: in Sardegna come in Puglia l'uomo ha dato dignità storica ad un materiale freddo e muto, su cui ha riportato graficamente le impressioni del clima culturale e politico vissuto, per trasmettere e prolungare nel tempo il ricordo delle varie fasi della sua presenza”.
Investite di questa singolare funzione, le pietre identificano le vicende delle genti che hanno abitato il territorio fin dalla preistoria. Attraverso i sassi è facile individuare e seguire un percorso archeologico, megalitico, medievale e moderno, e sostare nelle principali aree da cui sono state dissepolte pietre dall’inestimabile valore documentario come i dolmen, i menhir e tutto il materiale litico crollato dalle alte torri nuragiche. Si rimane rapiti al cospetto delle maestose mura, innalzate dalle primordiali popolazioni; ripercorrere i sopravvissuti spezzoni di carrarecce; curiosare nei villaggi rupestri; scrutare le chiese romaniche e le austere torri costiere corrose dalla salsedine; incantarsi di fronte alle maestose torri nuragiche; ammirare la pazienza degli artigiani che incastonarono con millimetrica precisione le pietre dei pozzi sacri. Mediante l'osservazione dei vari “segni” delle civiltà che si avvicendavano, si possono interpretare i modi di intendere e di rappresentare la fede, la difesa, il piacere del bello, il senso della funzionalità e della praticità, il rispetto sacrale che si è rivolto all’acqua, al fuoco, alle altre risorse della natura e alla fauna. Accanto ai monumenti, bisogna annoverare quelle tipiche espressioni della civiltà contadina realizzate con pietre non lavorate: i muretti a secco. La studiosa pugliese racconta che cercare di sgombrare completamente un campo dalle scaglie di pietra, sarebbe come pretendere di esaurire la sabbia lungo un lido del mare, ma i contadini riuscìrono a sfruttarlo al meglio, talvolta guadagnando preziosi fazzoletti di terra da coltivare, altre volte ottenendo materia prima da utilizzare per varie funzioni. Per un innato senso del riuso, raccolsero le pietre divelte e le accumularono in un angolo per distribuirle ordinatamente in una geometria di muretti e terrazzamenti quale impedimento al terreno di franare e, allo stesso tempo, ostacolo insuperabile per gli animali che potrebbero distruggere le coltivazioni. Altre volte decisero di costruire dimore rurali e riuscirono a fare sgorgare l'acqua nascosta sui massi convogliandola sui campi e rinvigorendo i frutti del loro faticoso lavoro. L’arcaica architettura delle pietre a secco è costituita dai muretti di campagna e dalle tipiche abitazioni, denominate pinnettas, ancora solide e spesso affiancate da forni, aie, pozzi e altre strutture che testimoniano l'autosufficienza della famiglia rurale. Le pietre, ritenute generalmente ostacolanti, sono servite, invece, per costruire sia strutture divisorie sia forme insediative, connotative e identitarie del paesaggio secolare sardo. Attraverso le pietre, gli abili maestri artigiani risolsero l'esigenza di procurarsi un riparo stabile per sé e per gli animali, dimostrando rispetto e forte attaccamento verso la terra.
Questi esempi di architettura minore, spesso incivilmente danneggiati e oggetto di colpevole indifferenza pubblica, dovrebbero essere tutelati e valorizzati, conservandoli attraverso una costante manutenzione, ripristinandoli anziché sostituirli con mattoni prefabbricati. Il motivo non è solo sentimentale ma tecnico perché svolgono una funzione importantissima per l'habitat. La loro struttura consente alla terra di non franare a causa del dilavamento provocato dalla pioggia e, allo stesso tempo, alla vegetazione di essere protetta e difesa dall'azione del vento. Inoltre l'assenza di legante tra le pietre è causa di porosità ed evita gli eccessivi ristagni d'acqua che costituirebbero un pericolo sia per lo sviluppo delle colture adiacenti sia per la tenuta del muro stesso. Gli interstizi tra una pietra e l’altra, infatti, consentono di trattenere l'umidità accumulata nel terreno durante la stagione piovosa o originatasi dalla condensazione dell'atmosfera, e di tramutarla in riserva di acqua a cui attingono durante l'estate rispettivamente il terreno, gli arbusti spontanei e le specie animali che in essi dimorano. Spesso i filari di pietra sono disposti con le lastre inclinate verso l'interno per permettere lo scorrimento della brina nella pietraia interna di riempimento. Le radici delle piante tendono a essere rivolte verso le pareti proprio perché il terreno vicino a queste è rifornito di umidità, pertanto quando si abbattono i muretti si annullano questi delicatissimi meccanismi, necessari alla salvaguardia dell'ecosistema.
Nelle immagini:
Un muretto a secco sardo
Scorcio della muraglia megalitica di Monte Baranta
Il muro di Monte Baranta...umanizzato
Una Pajara pugliese
Le foto sono protette da copyright
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