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lunedì 21 maggio 2012

Tiro, la città che fondò Cartagine.


Le città-stato dei levantini: Tiro
di Pierluigi Montalbano


È la città protagonista del fenomeno di colonizzazione in occidente fra IX e VIII a.C. Ubicata a sud, vicino al confine con Israele, mostra pochi resti della città arcaica perché le tracce antiche sono sotto l’attuale città. Fondata nel IV millennio a.C., oggi si presenta come una penisola ma anticamente erano vari isolotti poi riuniti da un riempimento effettuato nel X a.C. da Hiram I. L’isola controllava la terraferma grazie ad un’altra Tiro, più antica, edificata sulla sponda opposta. Alessandro Magno fece un intervento edile nel 333 a.C. in occasione dell’assedio, costruendo un ponte lungo 600 metri per attaccare via terra. Questo molo, ancora visibile, ha determinato a partire dal IV a.C. il formarsi di una barriera artificiale che ha creato la lingua di sabbia che oggi possiamo vedere, un istmo. Quando la città era sull’isola, la popolazione sentiva la necessità di un entroterra da cui attingere le risorse alimentari con cui sopravvivere. Era l’acqua potabile che creava i maggiori problemi perché doveva essere portata sull’isola dentro botti, pertanto il sovrano, Hiram I, fece costruire delle cisterne che raccoglievano l’acqua piovana per garantire una certa autonomia. Il rapporto con la terraferma era importante: sappiamo che alla Tiro isolana era collegata una Tiro 6 km più a sud chiamata Sur. L’area dell’isola era già frequentata dall’inizio del III Millennio a.C. ma non abbiamo tracce archeologiche evidenti. L’archeologa Patricia Bikai indagò negli anni Settanta con uno scavo in profondità che documentò una frequentazione dal 2900 a.C. fino al 700 a.C. ma le tracce si interrompono perché le strutture ellenistiche e romane impediscono di proseguire lo scavo nell’area. L’antica linea di costa era diversa poiché il livello del mare all’epoca era più basso di circa due metri.
I porti erano due: il più antico (a nord) è naturale ed è detto sidonio perché rivolto verso Sidone. Questo porto fu poi compreso all’interno della cinta muraria e difeso con un sistema di fortificazioni. Nel IX a.C. il re Ithobaal I fece costruire a sud un porto artificiale rivolto verso l’Egitto (porto egiziano). Gli scavi subacquei del 1930 hanno mostrato moli e frangiflutti artificiali di età ellenistica. I due porti erano collegati da un canale scavato, elemento che troviamo in vari altri casi in occidente, ad esempio a Lilibeo e Cadice.
Le antiche fortificazioni antica sono poco evidenti a causa dell’urbanizzazione, sappiamo comunque che la città, come tante altre del periodo, era fortificata a causa dei frequenti conflitti che coinvolgevano tutta l’area. Le uniche testimonianze ci provengono da alcuni bassorilievi assiri che rappresentano la città. Della Tiro del IX a.C. abbiamo l’immagine in una porta in bronzo di un palazzo a Balawatt che mostra la città nel momento del pagamento dei tributi agli assiri. Tiro è rappresentata con mura turrite sormontate da merli. Un altro rilievo, del VII a.C. proveniente dal palazzo di Khorsabad, mostra il commercio del legno con navi a remi e a vela che attraccano e scaricano il legname. Un altro rilievo mostra la fuga in barca del re di Tiro Luli durante un attacco degli assiri. Si notano anche il palazzo con le mura e la grande porta. Nella fase persiana le mura vennero ricostruite con torri e una cinta spessa 4 metri. Non abbiamo notizie dei templi ma sappiamo che Hiram I nel X a.C. promosse una riforma religiosa importante introducendo la divinità principale della città: Melqart. Sappiamo che i templi dedicati a Melqart erano presenti anche a Tharros, Cadice e Olbia. Questa divinità è legata alla figura reale, ha una radice molto simile alla parola re. Le fonti classiche parlano di questo grande tempio, edificato spianando un tempio precedente dedicato alla divinità Baal, il Dio rappresentato con la folgore.
Così come il tempio di Gerusalemme, anche quello di Tiro era preceduto da due colonne rivestite in oro e smeraldo ed era impiantato con la stessa tipologia: un vestibolo, un’antecella e una cella lunga. Si ipotizza che questo tempio si trovi nell’isola settentrionale sotto la Basilica dei Crociati perché nell’area venne individuato un altare di epoca romana, del 188 d.C. che portava una dedica ad Eracle, il Dio corrispondente al Melqart dell’antichità. Lo studio dei templi è rilevante perché la classe sacerdotale aveva un ruolo politico ed economico importante all’epoca. Un altro tempio di Melqart si trova nella terraferma. Le fonti raccontano che quando Alessandro Magno arrivò a Tiro per conquistarla chiese ai tirii di poter fare delle offerte al tempio ma gli isolani risposero che avrebbe potuto farle nel tempio della terraferma in quanto sull’isola non l’avrebbero fatto sbarcare. C’era anche un tempio di Astarte fatto edificare da Hiram I ma non sappiamo dove fosse. Un altro tempio sulla terraferma era dedicato a Baal Shamen. Ogni città aveva divinità principali e divinità secondarie, maschili e femminili. Baal in lingua semitica significa “Signore”, quindi era un Signore del cielo, del sole o con altri attributi.
Nell’area scavata nel 1974 dalla Bikai si è confermata una fiorente attività ceramica, come già si era capito dalle fonti storiche. Il mondo funerario mostra nell’isola settentrionale la necropoli di Al Bass, un ritrovamento recente, proprio di fronte all’isola. In origine era molto vicino alla costa ma oggi si trova un po’ distante, infatti le tombe attualmente si trovano scavate nella sabbia lontane dalla costa.
Le urne venivano coperte per impedire alla sabbia di penetrare all’interno e mischiarsi ai resti del defunto incinerato. Sono stati trovati vasi per i profumi, utilizzati per preparare i cadaveri. C’era il rituale della rottura dei vasi per simboleggiare la rottura con la vita. Il terreno sabbioso non è adatto alla conservazione perché è friabile (ci sono infiltrazioni dell’acqua di mare) quindi le poche tracce si perdono. In occidente, in epoca punica, questa procedura funeraria fu sostituita dall’inumazione. In oriente, invece, troviamo le due pratiche anche in contemporaneità. In questa necropoli abbiamo incinerazione con deposizione secondaria: il cadavere veniva prima bruciato nell’ustrinum e poi le ossa, dopo il raffreddamento, venivano deposte in vasi di ceramica preparati in altre fosse, nella sabbia. Questa necropoli viene utilizzata dal X al VII a.C.
L’incinerazione primaria non è molto diffusa. In questo rito funerario il cadavere, dopo essere stato lavato, profumato e preparato con unguenti, veniva bruciato su una pira funeraria disposta sopra una fossa ovale di dimensioni simili a quelle del defunto. Le ceneri si depositavano per caduta diretta all’interno della fossa e i ritrovamenti mostrano i resti dello scheletro posizionati in corrispondenza delle varie parti del corpo.
Il sistema più antico e diffuso, quello di Tiro, consiste nella incinerazione secondaria. Anche in Sardegna questa pratica era la più diffusa (ma non a Monte Sirai). Gli archeologi incaricati degli scavi a Tiro, hanno il problema di scavare le tombe nella sabbia, perché essendo friabile costringe a scavi molto grandi per portare alla luce i vasi. Urne e anfore si trovano a gruppi, e si è ipotizzato che si tratti di tombe familiari. Al di sopra c’è spesso un segno di sepoltura (stele incise o scolpite) utilizzato per segnalare la tomba ed evitare che una famiglia deponesse i resti del proprio defunto nella tomba di un’altra famiglia. Dovunque siano passati, Sicilia, Sardegna, Spagna e Africa, i fenici hanno lasciato tracce di vasi tipici, come ad esempio le brocche con orlo a fungo, ossia con il bordo che si espande; erano utilizzate per versare sostanze oleose nel rituale funerario, infatti c’è esclusivo ritrovamento in siti funerari.
Nell'immagine: Sarcofago di Hiram (Parrot, Chèhab, Moscati, 2005, modificato)

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