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lunedì 29 agosto 2011

Letteratura antica: La Bibbia II

Prendiamo in esame i 4 brani scelti nella precedente introduzione.

Il passaggio del Mare di Giunchi.
L’esodo, ossia l'uscita, è la liberazione degli ebrei dalla servitù nella quale erano caduti in terra d'Egitto. Si tratta di una storia che tutti serbiamo nella memoria sin dai primi anni, e che cela un significato profondo. In apparenza è una vicenda di poco conto: la fuga di un gruppo di schiavi con le loro donne, gli animali e i fanciulli. In realtà è una sorta di battesimo (il passaggio attraverso le acque) dopo il quale gli ebrei appaiono come rinati, e fatti degni della promulgazione della legge. La vicenda è raccontata con commozione, con un'assoluta dedizione alla volontà di Dio, il quale ha fatto degli ebrei, senza loro merito, il suo popolo.
L'autore di questo brano non si preoccupa di porre in luce il valore degli ebrei, anzi si esalta proprio quando insiste sulla paura degli ebrei di fronte all'esercito del faraone, e sulla pochezza del popolo eletto, che giunge sino al punto di invocare il ritorno in Egitto, di rimproverare Mosè per ciò che ha osato: “ noi preferiamo servire gli egiziani anziché morire nel deserto. Forse non ci sono cimiteri in Egitto, perché tu ci abbia condotto morire nel deserto?”.
Dopo la descrizione della sconfitta degli inseguitori (“ non ne rimase neppure uno”) si innalza nelle pagine un cantico in onore di Dio, tra più grandi della Bibbia: “ Dio è un guerriero, la sua destra frantuma il nemico. Cavalli e carri ha gettato nel mare. Egli è mia forza e mia fortezza. Egli è stato la mia salvezza, io lo esalto, io lo glorifico”.
La tradizione indica in Mosè l'autore dell’esodo. Le vicende sono poste dagli storici nel XIII a.C., negli anni in cui Ramesse II fu faraone d'Egitto.

Le mura di Gerico.
Giosuè fu il secondo condottiero del popolo d'Israele, colui che lo condusse sino alla terra promessa, e lo guidò durante gli anni della conquista. Il libro a lui intitolato è perciò un libro di guerra e di sterminio, senza remissione, ma dominato da un'alta fede, dalla certezza che nella nuova terra Israele avrebbe innalzato alla città dei giusti, in cui si sarebbe adempiuta la legge di Dio.
Ogni città conquistata era destinata all'anatema di esecrazione, ossia all'annientamento di tutti gli esseri viventi, compresi gli animali. Si doveva realizzare nella terra promessa un nuovo deserto, in cui il popolo eletto potesse svilupparsi immune da ogni contatto con le genti infedeli. Ciò corrispondeva sia alla barbarie dei tempi sia alla certezza, che animava gli ebrei, di essere stati chiamati a instaurare il regno di Dio. Ma uno studio attento del libro di Giosuè permette di concludere che la conquista avvenne in mezzo a mille difficoltà, che spesso gli ebrei raggiunsero un accordo con i popoli che abitavano nella terra promessa, che molte volte accettarono di vivere in comune con gli infedeli.
La ferocia delle guerre descritte non corrisponde sempre alla realtà storica: era accresciuta dallo scrittore stesso, per rinsaldare la fede del popolo, rafforzare la certezza che la giustizia e la forza di Dio erano implacabili. Di continuo ritornano nel libro alcune indicazioni generiche come “in quel tempo”, “allora”. Non si tratta quindi di cronaca, ma di storia sacra. Non è una relazione precisa delle imprese compiute ma una esaltazione di Dio: le pagine da cui derivava agli ebrei la certezza che Dio combatteva per Israele.
Gerico si trovava al centro del paese di Canaan, e perciò era di importanza fondamentale per la sicurezza degli ebrei. Il primo capitolo è tutto di natura umana, poiché descrive l'invio segreto di alcuni esploratori a Gerico, e non presenta alcun aspetto miracoloso. Ma in quello che segue, ossia il capitolo VI, la conquista è tutta trasferita sul piano del miracolo. Per sei giorni, in silenzio, le truppe d'Israele, precedute dall'Arca dell'Alleanza e dalle trombe sacre, compiono il giro delle mura di Gerico. Al settimo giorno sette volte compiono il giro in silenzio, e all'ultimo lanciano altissimo il grido di guerra, e le mura si disperdono, si dissolvono dalle fondamenta.
Il libro di Giosuè presuppone l'esistenza, tra gli ebrei, di antichissime opere, di antichissimi canti tipici, come “il libro delle guerre di Dio”, che andarono perduti. Per molte ragioni non è possibile attribuire al Giosuè stesso la stesura dell'opera, come volevano le tradizioni più antiche.

Sansone e i filistei.
All'età dei patriarchi seguì, nella storia ebraica, quella dei Giudici. La terra promessa era stata divisa tra le varie tribù, l'unità degli ebrei si era frantumata tra i vari gruppi, ognuno impegnato a completare la conquista del proprio territorio, ancora in gran parte occupato dagli abitatori precedenti, e più tardi soggetto l'invasione di un altro popolo, il filisteo. Solo in caso di emergenza, sollecitate dalla necessità di unire le loro forze contro il nemico precedente, o contro l'invasore filisteo, alcune delle tribù si sottoposero alla guida di un unico capo, o come si disse allora “Giudice”, ossia il mandatario di Dio, colui che giudica, e dirimere controversie con i nemici di Israele.
Tra i Giudici la figura più nota è quella di Sansone, che operò durante il periodo in cui il popolo eletto subì maggiormente la prepotenza dei filistei. È la figura tipica dell'eroe popolare, del quale si raccontano e tramandano la nascita miracolosa, le imprese mirabolanti, le vicende d'amore, e infine la morte straordinaria in difesa del proprio popolo.
Tutta la storia di Sansone occupa nel libro dei giudici quattro capitoli, e questo tono affascinante di storia popolare, rievocata con compiacimento dallo scrittore, è tutta avvolta in un alone religioso, sebbene non manchino gli episodi bizzarri e grotteschi, cari a chi racconta, o ascolta, durante una veglia: la mascella d'asino, le volpi legate a due a due per la coda...
Il narratore si rivela nella parte finale un grande artista, perché quando le vicende si avviano alla catastrofe, alla morte di Sansone egli dimentica ogni indugio e procede rapidissimo, con una scrittura di grande efficacia. I fatti si pongono tra XI e X a.C., e la tradizione indica come autore del libro l'ultimo dei Giudici: Samuele.

David e il gigante Golia.
La forza del giovinetto David è tutta nella fede che lo anima, nella sua certezza di avanzare contro Golia in nome di Dio: “ io vengo contro di te nel nome di Dio degli eserciti…Dio che mi ha scampato dalle unghie del leone e dell'orso, mi scamperà tra le mani di questo filisteo… Dio ti ha messo in mio potere senza via di scampo”.
Con questo spirito il giovane pastore uccide lo smisurato Golia, innanzi al quale avevano tremato tutti gli uomini d'Israele. L'episodio si colloca nell'età in cui il popolo di Israele si unificò sotto il potere di un re. Samuele, ultimo dei giudici e sacerdote, consacrò re Saul, ma il signore si allontanò da Saul per i suoi peccati, e Samuele ebbe l'ordine di spargere l'olio della consacrazione su un nuovo sovrano. Il nuovo re prescelto da Dio è un fanciullo che pascola il gregge, il più piccolo dei figli di Jesse. Ma Dio non vede solo ciò che vede l'uomo: “ l'uomo infatti vede gli occhi, Dio vede il cuore”.
I due libri di Samuele sono dominati dalle figure di Saul e di David. La loro attribuzione a Samuele è dovuta al fatto che il sacerdote unse il primo re e il secondo dei re, cioè introdusse nel popolo ebraico la monarchia.
Anche per questi due libri, come per molti altri della Bibbia, si ignora il vero nome del trascrittore.


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