sabato 30 ottobre 2010
Cronologia dei giganti di Monte Prama 2° e ultima parte
Un dato, purtroppo solo soggettivo, è suggerito dalla persistenza della simbologia utilizzata dai nuragici. Abbiamo già visto che la pietra, oltre il toro e la Dea Madre, è divinizzata fin dalle epoche precedenti, sia in ambito funerario che pubblico. Il passaggio all’età del Bronzo accentua questo simbolismo, e le costruzioni ciclopiche sono ancora lì, a disposizione degli archeologi per essere studiate, interpretate e, si spera, capite.
Nuraghe, tombe dei giganti e pozzi, pur senza indagare sulle rispettive funzionalità, sono un’evidente segno della volontà, da parte delle comunità nuragiche, di regalare maestosità, prestigio e magnificenza ai simboli legati alla pietra. Pur peccando di scarsa scientificità, si potrebbe avanzare l’ipotesi che le tombe dei giganti siano un concentrato di divinità: il culto degli antenati, il simbolo taurino e la rappresentazione dell’utero, espressi con la pietra. Ma anche i pozzi e i nuraghe, con la l’indubbia manifestazione di perizia tecnica messa in mostra dai nuragici, racchiudono la volontà di esprimere sacralità con la pietra.
Visto che nei frammenti di Monte Prama non vi sono pozzi o tombe miniaturizzati, è preferibile soffermarci sul simbolismo espresso dai nuraghe. Possiamo segnalare il parere di autorevoli studiosi che vedono in questi edifici la divinizzazione degli antenati, o la costruzione di strutture legate al sole, alla luna o, ancora, luoghi nei quali la comunità si identifica. Le imponenti torri nuragiche sono forti indicatori di protezione, sotto la quale le comunità che le avevano edificate si riunivano per governare, celebrare riti civili e religiosi, ringraziare gli dei e prepararsi al futuro. Non è importante decidere in questa sede se quelle comunità erano prevalentemente pacifiche o bellicose, il nostro interesse deve focalizzarsi solo sulla cronologia.
Il simbolismo, ossia la divinizzazione della torre in pietra, è stato mantenuto per un migliaio di anni con varie modifiche interessanti. Quella che colpisce più da vicino questo studio è la miniaturizzazione, avvenuta a partire dal X a.C., e la creazione di grandi capanne con sedili, fornite di altari, vasche, nicchie e betili. Il nucleo di questa indagine è fissare, con ragionevole certezza, il periodo di costruzione delle statue giganti, e occorre perciò stabilire anzitutto quando si decise di realizzare piccole torri simboliche e trasportarle all’interno delle capanne delle riunioni.
Abbiamo visto che queste capanne furono edificate all’esterno dei nuraghe, sopra strutture più antiche, ma si volle mantenere intatto il simbolismo miniaturizzando le torri, disponendole al centro delle nuove costruzioni e inserendole in basamenti circolari, quasi a voler mantenere integro l’ombrello protettivo sotto il quale prendere le decisioni sulla sorte della comunità. Questo simbolismo è proprio ciò che è stato portato alla luce a Monte Prama. I nuragici realizzarono, oltre le statue giganti, delle piccole torri nelle quali fu racchiusa ideologicamente la divinità, idoli in pietra intorno ai quali l’assemblea si riuniva, dedicava le offerte ed eseguiva riti e cerimoniali a noi solo parzialmente conosciuti. Gli archeologi hanno, inoltre, individuato resti di volatili, piccoli canali per far defluire i liquidi, altari, vasche e residui derivanti da fuochi.
Due importanti luoghi di culto sono stati scavati a Villanovafranca e Sorradile. Gli archeologi hanno portato alla luce due altari nei quali è evidente la volontà di unire la piccola torre e la vasca, unendo il fuoco e l’acqua nel rito rappresentato sulla pietra. Sono manufatti particolari che riunivano i simboli e i cerimoniali, civili e religiosi, cari alle popolazioni nuragiche. La peculiarità di queste vasche, rispetto a quelle utilizzate in passato, è quella di essere state inserite all’interno di nuraghe. Testimoniano senza dubbio alcuno, l’utilizzo dei nuraghe come luoghi di culto. Possiamo cronologicamente inquadrare la miniaturizzazione delle torri verso la fine del X a.C. e la costruzione di queste vasche nel IX a.C.
Visto che i piccoli nuraghe restaurati a Li Punti non fanno parte integrante di vasche e non sono stati ritrovati all’interno di nuraghe, possiamo affermare con ragionevole certezza che furono scolpiti fra la seconda metà del X e la prima metà del IX a.C.
La miniaturizzazione divenne un elemento costante a partire da quel periodo, infatti proprio dalla fine del IX a.C. la bronzistica figurata ci ha regalato una miniera di informazioni sulla civiltà nuragica. Usi, costumi, tradizioni, religiosità, animali, barche e oggetti vari sono rappresentati nei minimi particolari dalle esperte mani di maestri fonditori del bronzo che utilizzarono una tecnica ancora oggi difficoltosa e costosissima: la fusione a cera persa.
Il forte simbolismo ereditato dagli antenati diviene la chiave di volta per capire il mondo nuragico. Acqua, fuoco, pietra (terra) e divinità (cielo) sono racchiusi nei manufatti nuragici che si possono oggi ammirare nei musei di tutto il mondo.
Anche le piccole barche bronzee suggeriscono questa simbologia e furono concepite proprio per unire un nuovo elemento, la marineria, a quelli già cari ai sardi. I rapporti con i popoli oltremare erano maturi e non a caso proprio nelle coste etrusche e in vari altri approdi sono state ritrovate navicelle ancora intatte, in contesti funerari del Ferro, a dimostrare che la miniaturizzazione fu l’elemento principe della nuova società.
I giganti di Monte Prama furono rappresentati da una civiltà che cambiava e fondeva la propria cultura con gli apporti dei nuovi arrivati. Mantenne l’identità precedente e si arricchì delle esperienze dei navigatori, senza con ciò voler affermare che i nuovi arrivati erano estranei al mondo sardo. Le società che si affacciano sul mare sono da sempre pronte a cogliere ogni innovazione arrivi dall’esterno, e la Sardegna, essendo un’isola con posizione strategica impareggiabile e risorse minerarie abbondanti, fu il centro di raccolta e smistamento di tutto ciò che transitava fra le sponde del Mediterraneo.
Le immagini, di Sara Montalbano, sono realizzate al centro di restauro di Li Punti
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