lunedì 3 maggio 2010
Sea People - Popoli del mare II - dal mesolitico al neolitico
Proseguono le vicende che cercano di inquadrare l'epopea dei popoli del mare.
Dal Mesolitico al Neolitico
Circa 12.000 anni fa, la gigantesca massa d'acqua intrappolata nell'ultima glaciazione iniziò ad invadere i territori e sommergerli progressivamente. In quel tempo la Manica non era ancora formata, il Golfo Persico era un mare chiuso, l'Australia era collegata alla nuova Guinea, il Sahara era verde e popolato. L'uomo paleolitico che per migliaia di anni aveva vissuto da raccoglitore e cacciatore di grossa selvaggina come orsi, bisonti e mammut, superò il rischio dell'estinzione ma dovette improvvisamente cambiare le proprie abitudini. Il grande cacciatore sprofonda in una buia era di carestia, dove deve accontentarsi di cibarsi di ciò che raccoglie e di piccole prede come lepri e anatre. Molti trovarono la sopravvivenza sul mare, in caverne dove la monotonia alimentare si evidenziava in enormi cataste di conchiglie vuote. I mesolitici costruirono dei ripari anche lungo fiumi, laghi o paludi, e con pali sommari crearono strutture circolari ricoperte di rami. L'arma più evoluta era l'arco, e le punte in selce e ossidiana utilizzate sono dei veri e propri marchi di questa cultura. Nascono villaggi con capanne intonacate d'argilla, ma quello che è curioso è che all'interno dei recinti dei villaggi vi sono pecore, capre, maiali, bovini e cani da guardia. L'agricoltura è matura: si coltivano, fra i cereali, tre varietà di grano e uno di orzo. Fagioli, lenticchie, piselli e altre leguminose restituiscono l'azoto ai terreni là dove le culture cerealicole li avevano depauperati. Fino all'esplosione neolitica l'uomo aveva vissuto una dimensione animistica dove tutto era vivo e possedeva uno spirito. Le azioni si svolgevano come in un rituale, nel tentativo perpetuo di placare e scongiurare le forze della natura. Ben diversa è la quotidianità all'interno dei villaggi neolitici in cui fervono le attività: le donne iniziano a tessere su rudimentali telai e gli uomini, con asce di pietra levigata tipiche di questa età, abbattono gli alberi e creano terreno fertile. Utilizzano utensili variegati, come falci di selce col manico d'osso e zappe per la semina. Si sviluppa e si perfeziona la consuetudine di impastare e modellare l'argilla; il pane inizia a gonfiarsi nei forni, e negli otri ribolle il succo d'uva.
Il fenomeno neolitico appare realizzarsi prima in un'area del Medio Oriente che abbraccia sia le coste Libano-palestinesi che l'alta Mesopotamia, per manifestarsi in seguito in Anatolia, e verso il VI Millennio troviamo i primi insediamenti europei in Grecia e Bulgaria. Le prime testimonianze dell'area assiro palestinese ci fanno sprofondare oltre il 9000 a.C. dove incontriamo il mitico sito di Gerico. Non ci sono segni di una transizione, come sarebbe giusto aspettarsi, ma i traguardi delle coltivazioni e dell'allevamento sembrano già raggiunti sin dal primo apparire dell'uomo neolitico. In nessun luogo risultano elementi che svelino fasi Protoneolitiche. L'introduzione dell'agricoltura segnò una delle più grandi rivoluzioni nella storia dell'uomo ma non sappiamo dove e quando per la prima volta gli uomini fecero crescere il grano e si nutrirono di pane. Il salto evolutivo più grandioso che l'umanità ha dimostrato ci lascia nel buio più totale. Gerico è uno fra i siti più antichi che l'archeologia ci ha restituito: una sorta di avamposto temporale del processo neolitico. L'imponenza delle sue fortificazioni è al di fuori del tempo. Ci troviamo nel IX Millennio a.C. e questo miracoloso insediamento fortificato che poteva contenere oltre 2000 persone, non avrebbe determinato però un propagarsi di questa civiltà. L'elemento innescante per questo salto evolutivo consiste semplicemente nel fatto che Gerico, nella fossa del Giordano, era l'unico lembo di terra fertile esposto ad attacchi di predoni, per difendersi dai quali fu costruita una muraglia di pietra che ancora oggi misura oltre 1,5 km di circonferenza e 3,6 m di altezza, con una torre ad ovest alta 9 m munita di una scala interna di 22 gradini e un fossato esterno largo 8 m, tagliato nella roccia per un'altezza di 2,7 m. La città occupava una superficie di 4 ettari. Un abisso separa quindi questa realtà da quella delle caverne e dei campi base che appartengono al mesolitico, dove sono invece appena percepibili timidi progressi verso il processo neolitico. È evidente l'esigenza di una solida autorità e di una gerarchia ben organizzata per portare a termine tali costruzioni. Scriveva Braudel che nessuno poteva immaginare che all'alba della preistoria esisteva una città con più di 2000 abitanti con fossati, fortificazioni, cisterne, torri e silos per cereali, ossia i segni di una evidente coesione urbana. Seguirà nei secoli successivi una multicentrica comparsa di genti neolitiche dalle diverse culture, che dimostrano un unico credo religioso, posto sotto il culto della Dea Madre.
Alla luce delle prove archeologiche, la seconda area coinvolta è l'Anatolia. Si tratta di popoli diversi ma che presentano anch'essi una piena conoscenza delle tecniche di produzione. Sono d'accordo con il professor Renfrew che per primo ha proposto la natura indoeuropea delle culture neolitiche dell'VIII millennio in Anatolia, comprendendo Catal Hoyuk, la più antica città di cui ci sia rimasta testimonianza. Un nuovo popolo portatore di una civiltà sconosciuta, emigrato chissà da dove si era insediato in Anatolia edificando la prima città del mondo con più di 1000 case a due piani. Tessuti, recipienti di legno, vasi di creta, specchi di ossidiana e dipinti su pareti intonacate in santuari appaiono per la prima volta. Le case erano edificate con mattoni di fango e paglia ben modellati, essiccati al sole. Tutte le superfici sia interne che esterne erano intonacate ogni anno con un denso strato di argilla bianca. L'agglomerato urbano si presentava senza strade, con la possibilità di accedere all'interno solo attraverso aperture dal tetto che servivano anche da sfogo per i fumi. A Cayonu due strutture con la cosiddetta pianta a griglia presentano una sorta di sistema di aria condizionata, con condutture poste in file parallele sui pavimenti per facilitare la circolazione di aria fresca e impedire il ristagno dell'umidità in inverno, nonché la formazione di muffa nel grano immagazzinato. Ed è sempre a Cayonu che troviamo un edificio che ci riporta a Gerico: il cosiddetto “edificio dei teschi”, che custodiva in due delle sue tre stanze oltre 90 crani misteriosamente carbonizzati. Esistono inoltre testimonianze del primo processo di metallurgia in assoluto del piombo e del rame, sia allo stato nativo sia ricavato per fusione. Catal Hoyuk si trovava lungo un fiume che solcava una fertile pianura ricoperta alcuni millenni prima da un gigantesco lago salato. Un'oasi di fertilità che mi costringerebbe ad una lunga nota per il grande numero di prodotti coltivati e per l'allevamento, con pascoli abbondanti e campi da frumento. A sud le boscose montagne del Tauro fornivano legna in quantità ed era il territorio del leopardo dell'Anatolia e di orsi, daini rossi e caprioli. A nord le aree paludose erano frequentate da gazzelle, leoni e uri, si spremeva l'olio e probabilmente si produceva birra. Lo studio delle alterazioni dentarie della popolazione ha dimostrato che sicuramente usufruivano della dieta migliore e più variegata di tutti i siti neolitici dell'epoca. Ma la più importante fonte di risorse della città è il commercio. Gli abitanti di Catal Hoyuk vivevano in un mondo di prodotti non originari della pianura di Konya, infatti il legno da costruzione, come quercia e ginepro, bisognava importarlo dalle montagne. Il legno di abete veniva dal Tauro, l'alabastro dalla zona di Kayseri, il marmo dall'Anatolia occidentale. Bisognava insomma importare ogni singola pietra per poter fabbricare utensili, a cominciare dalla selce da trasformare in lame. Non mancano conchiglie mediterranee di vario tipo, alcune arrivano addirittura dal Mar Rosso, il piombo arriva da miniere della Cilicia, e altri tipi di pietra dall’Anatolia centrale. Il quadro generale è quello di un sistema commerciale altamente organizzato, nel quale le distanze e i costi non costituivano un ostacolo. Stupefacente appare il percorso del ossidiana perché le concentrazioni non sono inversamente proporzionali alla distanza dal luogo di origine. È fondamentale sottolineare che stiamo parlando di un sistema commerciale che presuppone una organizzazione politico economica che solo l'urbanizzazione può produrre. I neolitici appaiono sfruttare meccanismi propri di una realtà urbana che cronologicamente non gli apparterrebbe. È d'obbligo riflettere su come i neolitici potessero percorrere enormi distanze lungo territori sconosciuti infestati d'ogni tipo di belve feroci, o attraversare le immense foreste che ricoprivano i territori della glaciazione, o valicare catene montuose senza conoscerne i passi. Come potevano conoscere la direzione? La via di terra era difficile in quel mondo così ostile e incognito. Non esistono i sentieri di questa migrazione, neppure la minima traccia. Ma la possibilità di non lasciare traccia esiste: è il mare. La propagazione all'entroterra avviene sempre percorrendo i grandi bacini fluviali. Ad allontanare le pianure Mesopotamiche come centro di irradiazione della cultura neolitica, vi è il fatto che l'allevamento di bovini, che a Catal Hoyuk rappresentano incredibilmente il 90% del consumo di carne, ed è presente anche in siti della Grecia o dei Balcani in data anteriore al 6000 a.C., si riscontra in Mesopotamia solamente dopo il 5000 a.C. Il toro riveste un'importanza particolare ed è sempre presente nei numerosi santuari di Catal Hoyuk. Questa religione appare per la prima volta associata ad un Dio Toro e sembra precedere la diffusione nel Bronzo di divinità come il Dio delle tempeste ittita, il Baal fenicio, quello di Ugarit, lo Zeus di Dodona di cui il toro ci appare come la forza generatrice, la violenza della tempesta, il valore guerriero. Un rituale che passando attraverso la Creta minoica giunge sino all’Iberia, la quale conserva ancora oggi evidenti tracce di riti cerimoniali arcaici.
Nell'immagine la navicella di Chiaramonti.
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