mercoledì 19 maggio 2010
L'atto finale, Levantini ed Etruschi
Levantini ed Etruschi
Un documento straordinario che riguarda l'inizio del XIV a.C. è in grado di svelarci la situazione costiera mediorientale. Si tratta del resoconto del rocambolesco viaggio di Wen Amon, inviato a Biblos dal sommo sacerdote tebano di Amon Ra a procurarsi il legname per costruire una nuova cerimoniale barca divina. L'Egitto non sembra più la potenza di un tempo, infatti, provvisto delle credenziali necessarie, Wen Amon si imbarca su un legno siriano ed è costretto ad una sosta nel porto di Dor, controllato dai Tjekker e solo dopo oltre quattro mesi raggiunge Biblos. In qualità di personaggio non gradito, trascorre una quarantena in porto e solo dopo un mese, per intercessione, viene introdotto al cospetto del principe Sakar Baal (Tjekker Baal). Presentate le proprie credenziali avanza la richiesta di legname adducendo che allo stesso modo avevano fatto gli antenati del principe e che ciò rappresentava una tradizione. Sakar Baal si dimostra disponibile ma esige un cospicuo e immediato pagamento. Wen Amon ammette di non poter pagare poiché nel porto è stato derubato, ma il principe replica dicendo di farsi spedire dell'altro denaro dall’Egitto mentre si prepara il legname. Il pagamento arriva dopo alcune settimane e tutto sembra andare per il meglio, ma una flotta di Tjekker si presenta in porto e in un incontro con il principe pone il veto sull'operazione del legname. Sakar Baal è obbligato a non consegnare il legname e Wen Amon riesce a sfuggire a stento rientrando in Egitto dopo che una tempesta lo fa approdare a Cipro. Questo episodio indica la stretta parentela, se non il totale controllo, che esisteva fra i Tjekker e Sakar Amon. I popoli del Mare dominavano tutta la fascia costiera mediorientale perché, oltre ai filistei e ai Tjekker, più a nord sono attestate le presenze di Shardana e Dani, a cui si deve la fondazione nell'odierna Turchia della città di Adana. Ciò è attestato dall'Onomastico di Amenomope. Prima della sovrapposizione violenta dei popoli del mare, Tiro era solo una modesta gregaria delle più importanti città cananee Biblos e Sidone, e fino ad allora aveva esercitato con l'Egitto un fruttuoso commercio di cedri del Libano, anche se si trattava di una navigazione costiera e utilizzava soprattutto grandi zattere. Eccetto le navi dei Keftiou, solo i micenei utilizzavano imbarcazioni con chiglia profonda, adatte alla navigazione in alto mare. Ciò chiarisce che coloro che chiamiamo Fenici, sino all'inserimento dei popoli del mare, non possedevano ancora nessuna delle qualità di audaci navigatori per come li conosceremo in seguito. Il curatore del museo archeologico di Beirut, Baramki, il cui parere è riportato nel libro "l'avventura dei Fenici" di Herm, afferma: "i protofenici cananei, erano un popolo dotato di tutte le qualità necessarie ad una conquista marinara e commerciale del Mediterraneo. Buoni mercanti ed organizzatori, possedevano la temerarietà degli antenati beduini e disponevano anche di una forza religiosa. Mancava loro quel fondo di sapere nautico e tecnico senza il quale non è possibile la navigazione d'alto mare. Ne disponevano invece i misteriosi invasori che aggredirono verso il 1200 a.C. i paesi del vicino oriente, ossia i popoli del mare. Devastatori di parti del Libano, si associarono in seguito ai cananei per lasciarsene, infine, assorbire. Dal processo di fusione, nel quale i primi portarono le loro capacità marinaresche, sorse la razza fenicia, per usare l'espressione di Baramki. Da quel secolo in avanti, nelle letterature dei paesi vicini si parla sempre meno delle singole città libanesi, e si intende con Tiri o Sidonei, un gruppo ben delineato: i cosiddetti fenici. Sono gli innesti provenienti dalle isole del Grande Verde che innescano quella rivoluzione che condurrà all'alfabeto: una profonda trasformazione sconvolse quel mondo che aveva a cardine della società gli scribi, veri sacerdoti locali la cui casta rappresentava il meccanismo fondamentale del potere. Il cuneiforme richiedeva lunghi anni di studi e di sacrifici ma il traguardo era un ruolo di grande prestigio. Quale scriba avrebbe mai divulgato ciò che avrebbe rappresentato la rovina della propria casta e l'annullamento di propri privilegi? L'alfabeto quindi deve essere giunto dall'esterno. Garbini individua iscrizioni filistee talmente precoci da considerarle le prime forme di scrittura. I primi segni alfabetici scoperti a Biblos non derivano dal cuneiforme utilizzato in Mesopotamia, né può l'alfabeto fenicio essere messo in rapporto con le 30 lettere consonantiche ugaritiche, sempre cuneiformi. E' inammissibile che i Fenici provenissero dal deserto arabico o dagli aridi entroterra mediorientali poiché essi rimasero padroni di una sottile linea di territorio costiero. Anche i filistei si erano dimostrati dominatori del mare, ma solo di una limitata area costiera pianeggiante, dove esercitavano la supremazia grazie ai carri da battaglia. Erano gente di mare e di pianura, una caratteristica evidenziata anche dai micenei che certo avevano ben esigui spazi dove utilizzare i loro carri. Erodoto, Strabone, Plinio e Giustino affermano che i Fenici non erano autoctoni di quella regione in precedenza chiamata terra di Canaan. Giustino scrive che giunsero "ad Syriam stagnum" dopo aver abbandonato la patria a causa di terremoti. La cultura fenicia avvierà da questa epoca una lenta ma continua colonizzazione le cui tappe testimoniano del X a.C. per Cipro e del IX a.C. per la Sardegna, per Cartagine e per il resto del Mediterraneo. Ma l'espansione fenicia così pianificata non spiega agli studiosi l'età di fondazione delle città di Cadice in Andalusia e di Lixus nelle coste del Marocco, che la tradizione colloca intorno al 1100 a.C. attribuendole ai Tiri. Chi erano quindi coloro che gli antichi chiamavano Tiri? Esiste nella tradizione un legame che sfugge agli storici fra la prima espansione dei Fenici e il ritorno degli Eraclidi. Questi avvenimenti coincidono ai tempi della fondazione sulle coste atlantiche di Lixus e Cadice, dove i più antichi templi conosciuti dedicati ad Ercole avvalorano la tesi di una colonizazione da parte di genti che consideravano Eracle la loro guida spirituale. Così era per i Dori e per i popoli del mare che, insediatisi nell'antica terra di Canaan, furono chiamati Tiri dagli antichi e Fenici da noi oggi, infatti Eracle-Melkart è il supremo Dio di Tiro. La fondazione di Utica risultava quindi una tappa intermedia del viaggio che portava oltre le colonne d'Ercole. Strabone (Geografia, 1.3.2) afferma che gli insediamenti della Libia si trovano a metà strada tra la Fenicia e lo Stretto di Gibilterra. Ecco dunque svelarsi la rotta dei Fenici verso occidente: sentirono l'inevitabile necessità di stabilire un percorso che da Tiro li portasse attraverso la tappa di Utica verso Cadice e Lixus. A quell'epoca esisteva però un'altra potenza sulla scena: la città di Tartesso, in grado di mantenere contatti, attraverso rotte sempre più segrete, con ciò che restava dell'Haou-Nebout, come dimostrano i beni di lusso tipici delle isole del Grande Verde che verranno importati ai tempi di Salomone. Garbini afferma che le prime frequentazioni mediterranee attribuite ai Fenici sono in realtà filistee. Lo studioso sostiene che nell'XI a.C. i filistei approdarono in Sardegna alla ricerca del ferro. Uno dei siti, Macompsisa (luogo del signore), l'attuale Macomer, rivestiva un'importanza particolare dal momento che si tratta di un'area dell'entroterra, generalmente non raggiunto dagli insediamenti cosiddetti Fenici. La funzione di un centro commerciale nella zona di Macomer, che aveva nel porto di Bosa il suo naturale complemento, è rivelato dalla toponomastica, non soltanto nel nome di Monteferro ma anche in quello della cittadina di Bortigali formato su un'antica radice mediterranea che significa ferro. Era dunque la ricerca del ferro che portava i filistei in Sardegna, quel ferro che consentiva la loro supremazia militare in Palestina. Raccolto nella zona di Macomer, il minerale veniva imbarcato a Bosa, il sito portuale sul fiume Temo che sfocia sulla costa occidentale. La presenza filistea in Sardegna è stata definitivamente provata dal ritrovamento nel 1997 a Neapolis di un sarcofago antropomorfo di terracotta esattamente come quelli di Beth-Shean, che contenevano le spoglie dei filistei di alto rango. Garbini afferma inoltre che anche il toponimo sardo "Gadara" è filisteo derivando dalla radice GDR, ossia muro. La zona in cui è collocata Gadara è stata abitata fin da tempi molto antichi. Qui si trova, qualche chilometro a sud di Orosei, il villaggio nuragico di Serra Orrios, caratterizzato dalla presenza di due piccoli templi del tipo a megaron. Nella stessa area è stata trovata ceramica micenea nonché lingotti di rame dalla caratteristica forma a pelle di bue. Se i filistei dalla Palestina andavano a cercare il ferro in Sardegna, tralasciando la Toscana, la spiegazione è una sola: ignoravano l'esistenza delle miniere toscane e laziali. L'aspetto più interessante della questione è che tali miniere erano ignote anche agli stessi abitanti del posto.
La civiltà etrusca assume i suoi caratteri definitivi solo nel IX a.C., quando i cosiddetti Villanoviani si scoprono ricchi di miniere e, abbandonati i loro villaggi nell'Italia centrale, danno vita ai primi nuclei delle loro città costiere.
L'anno 900 a.C. segna convenzionalmente l'inizio del Ferro in Italia e contemporaneamente della civiltà etrusca, che con il passaggio dal protovillanoviano al Villanoviano subisce un processo di profonda trasformazione. Può essere interessante chiedersi come mai i villanoviani, dopo aver dormito per diversi secoli sopra le loro ignorate ricchezze, si siano improvvisamente risvegliati abili scopritori e sfruttatori dei metalli, grazie ai quali furono poi ben presto in grado di conquistare militarmente in buona parte dell'Italia. A partire dal IX a.C. nelle tombe etrusche più ricche si trovano oggetti votivi in bronzo, e modellini di navi sarde deposti accanto a cadaveri di donne di alto rango: si trattava evidentemente delle spose di origine sarda di signorotti locali, che avevano sancito con il matrimonio accordi politici e economici con la classe dirigente dell'isola. Non sappiamo come gli etruschi scoprirono l'esistenza delle miniere e il modo di sfruttarle, certo è che, appena saputo della scoperta, dalla Sardegna arrivò qualcuno, naturalmente con una nave, che in qualche modo voleva partecipare all'impresa, ed è impensabile che in tutto ciò i filistei di Gadara non avessero alcuna parte. È probabile che all'inizio vi fosse un accordo a tre, tra etruschi, sardi e filistei. Si misero d'accordo per interdire il Tirreno a tutti gli estranei, vale a dire ai greci e agli orientali, fra i quali primeggiavano allora gli aramei di Damasco. Tutto ciò è evidente dal fatto che sulle coste tirreniche dell'Italia centrale fino all'inizio dell'VIII a.C. non c'è traccia né di greci, né di aramei, né di Fenici. Nel 775 a.C. qualcosa cambiò: gli etruschi aprirono un porto franco nell'isola di Pitecusa (l'attuale Ischia), dove si concentrarono i mercanti (greci, aramei e fenici) che volevano scambiare le loro merci con quelle degli etruschi. Nel gioco politico a tre, qualcosa andò male per i filistei, che a quel punto uscirono di scena, lasciando agli etruschi il predominio del Tirreno, dove in precedenza essi si muovevano liberamente. Nacque così quella talassocrazia etrusca testimoniataci da Tito Livio quando scrive: "La potenza degli etruschi, prima del dominio romano, si estendeva largamente sulla terra sul mare. Quanto furono potenti lo dimostrano i nomi del mare superiore e di quello inferiore, dai quali l'Italia è circondata come un'isola, dato che le genti italiche il primo lo hanno chiamato Mare Etrusco, e il secondo mare Adriatico, dal nome della colonia etrusca di Adria; i greci chiamano quei mari Tirreno e Adriatico".
Il dominio dei popoli del mare era quindi totale all'interno del bacino del Mediterraneo, eccetto che per l'Egitto. Giochi politici e alleanze trasversali come quella fra sardi, etruschi e filistei, dominavano la scena dei nostri mari. Provenienti dall'Oceano e diretti alla colonizzazione del bacino mediterraneo, a fini strategici dovevano assicurarsi dei capisaldi all'imbocco dello Stretto di Gibilterra, e furono così fondate Lixus e Cadice. La questione se siano stati filistei o Tiri diventa non fondamentale, poiché comunque si trattava di popoli del mare, di Pelasgi, che si identificavano nel culto di Eracle. Nei secoli in cui Cadice coniò monete, sino alla piena età romana, Eracle rappresentò l'esclusiva immagine riportata.
Nella foto in alto le perline di pasta vitrea, scavate e assemblate da Giovanni Ugas
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento