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domenica 2 agosto 2020

Archeologia della Sardegna. L’architettura funeraria dell’Età del Bronzo: le Tombe di Giganti. Articolo di Pierluigi Montalbano

Archeologia della Sardegna. L’architettura funeraria dell’Età del Bronzo: le Tombe di Giganti.

Articolo di Pierluigi Montalbano


L’importanza cultuale delle Tombe di Giganti, luoghi nei quali si esprimeva una religiosità legata al culto dei defunti deposti fra le braccia della Madre Terra, è evidente per tutta l’Età del Bronzo in tutti gli angoli della Sardegna. Sono monumenti funerari realizzati in pietra nel corso del II Millennio a.C. e utilizzati come sepolture collettive che differiscono profondamente dalle Domus de Janas utilizzate in precedenza.  Come i nuraghi, queste particolari costruzioni megalitiche non hanno nulla di simile nell’Europa continentale. Presenti in tutta l’isola, questi sepolcri presentano una pianta rettangolare con abside posteriore, e sono edificati sovrapponendo grandi blocchi di pietra. La camera funeraria può superare i 20 metri di lunghezza e 2 di altezza, ed era completamente ricoperta da un tumulo di terra. Differentemente dal corpo funerario, che arriva ad anticipare i primi nuraghi a corridoio del XVIII a.C., la parte frontale della struttura, la facciata, è realizzata all’inizio dell’epoca delle torri nuragiche, intorno al XV a.C.. Essa ha davanti a sé un temenos a esedra, ossia uno spiazzo a semicerchio realizzato con pietre di varia dimensione conficcate a scalare nel terreno partendo dalla imponente lastra centrale, la stele d’ingresso, alta a volte sino a 4 metri d’altezza e sotto la quale si apriva un piccolo portello. 

L’impianto dell’esedra potrebbe simboleggiare un “abbraccio alla comunità” o, più semplicemente, la raffigurazione delle corna bovine. Nei secoli, questo tipo di edificio, pur con qualche eccezione, mantenne inalterata la pianta a protome taurina con l’interno a nave capovolta. Qualche studioso ipotizza che la forma evochi il ventre materno, in un rituale di seppellimento che avrebbe condotto a una rigenerazione dell’individuo, a una rinascita, come avveniva i millenni precedenti nelle Domus de Janas. Una tipologia più antica mostra un prospetto a dolmen, con il corridoio funerario coperto da grandi lastre piatte che formano il soffitto. Progressivamente, le pareti interne sono posizionate ad aggetto ottenendo un profilo tronco-ogivale, al pari dei nuraghi del Bronzo Recente. La facciata può essere di due tipologie principali: a filari di pietre sovrapposte oppure formata da grandi lastre infilate verticalmente nel terreno. La versione finale di queste sepolture vede la regolarizzazione isodoma dei conci, come nei pozzi sacri e in qualche nuraghe evoluto, rendendo esteticamente piacevole il prospetto del monumento. La tumulazione collettiva, senza possibilità di distinguere il corredo funerario, quando presente, suggerisce che le genti del villaggio rendevano omaggio ai defunti senza distinzione di rango, perché davanti alla morte tutti i membri della comunità erano uguali. Ciò potrebbe testimoniare una società egualitaria anche in vita, ma non abbiamo sufficienti strumenti e indizi per poterlo dimostrare. Quando nella tomba non c’era più spazio, si provvedeva a un riordino degli scheletri e all’utilizzo del sepolcro anche come ossario. In quell’epoca il Dio toro (riferito al sole e alla forza) e la Dea madre natura (assimilata alla luna, all’acqua e con capacità di generare la vita) formavano la coppia divina per antonomasia, e costituivano il pantheon principale delle divinità sarde.  In questi templi, Toro e Ventre Materno erano uniti indissolubilmente e quando nella comunità avveniva un decesso, il luogo più agognato per la sepoltura era proprio l’area sacra nella quale era eretto il tempio della comunità, quello che noi oggi chiamiamo Tomba di Giganti. Era il luogo più desiderato per compiere il viaggio verso l’aldilà. Ancora oggi, d’altronde, i personaggi più importanti agognano essere seppelliti nelle cripte delle chiese. Un’altra delle funzioni primarie di questi templi era di segnalare in maniera inequivocabile il possesso di un territorio, di una vallata, di una giara, da parte di una comunità che aveva messo radici in quell’area. Nelle vicinanze dell’ingresso venivano poste una o più pietre conficcate verticalmente (betili e menhir) simboleggianti verosimilmente gli dei che vegliavano sui defunti. Una digressione non peregrina: sotto la crosta terrestre scorrono energie telluriche e forze magnetiche che fanno del nostro pianeta un organismo vivente. L’uomo, creatura generata dalla Madre Terra, può interagire con queste energie ed assorbirle inconsciamente. Alcuni studi hanno rilevato che queste forze sono più intense in certi luoghi che non in altri, e non è un caso che alcune Tombe di Giganti furono costruite proprio su questi siti. Un’altra considerazione: è un caso che molte architetture non venivano edificate sopra la natura ma nel suo interno come in un abbraccio vitale e benefico? I luoghi erano scelti con sistemi a volte cruenti come nel caso dei romani che, dopo aver fatto pascolare alcuni capi di bestiame in un campo, li uccidevano per controllarne il fegato dal quale, come è noto, tiravano fuori una interpretazione. Altre volte, si sceglieva in base al riposo degli animali perché questi, si riteneva, erano in stretto legame con la natura, più dell’uomo. Qualche volta entravano in scena persone con capacità sensoriali che percepivano queste energie: i druidi e i santoni del villaggio. I templi, già intrisi di forze naturali, si arricchivano a loro volta dell’energia degli abitanti che lì si recavano a pregare. Spesso vi era anche la vicinanza di una fonte d’acqua, elemento fondamentale per i rituali.


nell'immagine: S'Ena e Thomes di Dorgali. 

Immagine di http://www.cuoredellasardegna.it/notizie/notizia/SEna-e-Thomes-la-tomba-dei-giganti-di-Dorgali/


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