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giovedì 2 agosto 2012

L'impero di Cartagine.



L’impero cartaginese
di Pierluigi Montalbano.



Aristotele, nel IV a.C., studiò la costituzione di Cartagine e scrisse che gli interessi commerciali dei territori oltremare erano curati da corrispondenti subordinati all’amministrazione centrale. In Sardegna, la popolazione era culturalmente formata da genti nuragiche nelle quali, già da secoli, si erano integrati piccoli gruppi familiari di mercanti levantini (e di altri lidi) che scelsero di diventare sardi. In Sicilia, verso la metà del VI a.C., si sviluppò un fiorente mercato misto, formato da greci e cartaginesi. La parte occidentale dell’isola era in mano al potente impero di Cartagine, soprattutto le città di Mozia (Marsala), Palermo e Solunto. I greci controllavano la parte occidentale e fra i due imperi commerciali, soprattutto lungo la linea di confine, gli scontri furono frequenti. Stabilizzata la situazione in Sicilia, Cartagine , attratta dalle ricchezze minerarie e agricole della Sardegna, tentò un’impresa militare per la conquista dei porti sardi e nel 540 a.C. inviò una flotta al comando dell’ammiraglio Malco, desideroso di divenire una sorta di regnante locale. L’esercito cartaginese fu massacrato dai sardi e l’aspirante governatore Malco, al suo ritorno nella capitale nord-africana, fu esiliato. Ma i soldati, accogliendo a malincuore questa decisione, mandarono ambasciatori a Cartagine perché ottenessero il perdono per la sconfitta (così racconta lo storico Giustino nel 200 d.C.). Frattanto Cartalone, figlio di Malco, mentre rientrava da Tiro, dove era stato mandato dai Cartaginesi ad offrire ad Ercole la decima del bottino che aveva preso suo padre nella guerra in Sicilia, fu chiamato nell'accampamento del genitore, si presentò solo alcuni giorni dopo aver ottenuto dal popolo l'autorizzazione. Giunse ornato di porpora e con le bende sacerdotali. Il padre, chiamatolo in disparte, lo apostrofò dicendo: "O uomo esecrabile, come hai osato entrare in questo accampamento triste e pieno di pianto addobbato di porpora e oro? Perché hai mostrato di disprezzare, con superbia, non voglio dire tuo padre, ma certamente il comandante dei tuoi concittadini? Pertanto poiché in tuo padre riconosci un esule, anch'io nei tuoi confronti mi considererò più come tuo comandante che come padre e lascerò in te un esempio perché nessuno d'ora in poi si faccia scherno delle dolorose sofferenze di un genitore". E comandò che fosse inchiodato, così com'era ornato, su d’una croce altissima in vista della città. Giustino aggiunge che dopo pochi giorni Malco, aiutato nell'impresa dai sopravvissuti delle guerre in Sicilia e Sardegna, conquistò Cartagine e convocato il popolo in assemblea, lamentandosi dell'oltraggio dell'esilio, impose alla città le proprie leggi e uccise i 10 senatori che decisero di esiliarlo. Suo figlio
Qualche anno dopo, Cartagine si alleò con gli etruschi di Caere (Cerveteri) per cacciare via i greci focesi di Massalia (Marsiglia) e Alalia (Corsica) che disturbavano i commerci nel Tirreno. La coalizione, formata da 60 navi africane e 60 navi etrusche, affrontò nei pressi delle Bocche di Bonifacio una flotta di 60 navi greche. Fu una battaglia navale cruenta che si concluse con l’affondamento dell’intera flotta di ciascun contendente. I greci scompaiono per sempre dal panorama tirrenico, ma anche gli etruschi escono fortemente indeboliti. I sopravvissuti della battaglia navale si rifugiano nei villaggi sardi della costa nord-orientale e, si mescolano con i locali. Ciò è testimoniato dalla scomparsa, dopo un secolo di floride attività commerciali, dei materiali greci da Olbia.
Una decina di anni dopo, l’esercito cartaginese tenta una nuova conquista dell’isola. A capo delle truppe si trovano Asdrubale e Amilcare, figli del generale Magone che nel 560 a.C. conquistò parte della penisola iberica. Contrariamente a quanto riportato dalle fonti di parte (Polibio 160 a.C.), i cartaginesi non riuscirono a fiaccare la resistenza delle città costiere sarde, infatti, come traspare dalle iscrizioni dedicatorie del Tempio di Antas, nelle quali gli offerenti si dicono cittadini di Sulki e Karaly, è evidente che Cartagine, sconfitta negli scontri determinanti, scese a patti con i capi sardi e si limitò ad accordarsi per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie (inutilizzate nella fase nuragica precedente) e a collaborare nella gestione delle potenzialità agricole, saldamente in mano alle comunità nuragiche del Campidano. Un indizio della nuova politica economica fu l’abbandono dei territori non adatti allo sfruttamento agricolo a vantaggio di un’occupazione capillare delle pianure favorevoli alle colture cerealicole. Si nota la presenza di numerosi poderi che vanno a costituire la spina dorsale dell’economia isolana. I nuovi insediamenti agricoli si sviluppano particolarmente dove erano attivi, in età più antica, i ricchi cantoni nuragici. La politica di sfruttamento minerario fu caratterizzata dalla rivitalizzazione dei luoghi di culto nuragici. Furono edificati il Tempio di Antas, nel cuore del bacino argentifero sardo, e il tempio di Matzanni, accanto ai tre pozzi sacri nuragici e all’unico giacimento di stagno nativo dell’isola.

Nell'immagine: il Pozzo Matzanni di Vallermosa fotografato da Matteo Honnorat.

6 commenti:

  1. così la racconta Giustino...
    non significa molto. Potresti citare questo passaggio ?? con i numeretti ???? grazie. Rolando Berretta

    ...Cartagine , attratta dalle ricchezze minerarie e agricole della Sardegna, tentò un’impresa militare per la conquista dei porti sardi e nel 540 a.C. inviò una flotta al comando dell’ammiraglio Malco, desideroso di divenire una sorta di regnante locale. L’esercito cartaginese fu massacrato dai sardi e l’aspirante governatore fu crocefisso dai suoi stessi soldati al ritorno nella capitale nord-africana (così racconta lo storico Giustino nel 200 d.C.).

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  2. questo scrive Giustino a proposito di Malco:
    Liber XVIII/7
    Itaque adversis tanto scelere numinibus, cum in Sicilia diu feliciter dimicassent, translato in Sardiniam bello amissa maiore exercitus parte gravi proelio victi sunt; propter quod ducem suum Malchum cuius auspiciis et Siciliae partem domuerant et adversus Afros magnas res gesserant, cum parte exercitus, quae superfuerat, exulare iusserunt. Quam rem aegre ferentes milites legatos Karthaginem mittunt, qui redi¬tum primo veniamque infelicis militiae petant, tum denuntient, quod precibus nequeant, armis se conse¬cuturos. Cum et preces et minae Iegatorum spretae essent, interiectis diebus conscensis navibus armati ad urbem veniunt, ubi deos hominesque testati, non se expugnatum, sed reciperatum patriam venire, osten¬surosque civibus suis non virtutem sibì priore bello, sed fortunam defuisse, prohibitis commeatibus obsessaque urbe in summam desperationem Karthagi¬nienses adduxerunt. Interea Karthalo, Malchi exulum ducis filius, cum praeter castra patris a Tyro, quo decimam Herculis ferre ex praeda Siciliensi, quam pater eius ceperat, a Karthagininsibus missus fuerat, rever¬teretur arcessitusque a patre esset, prius se publicae religionis officia executurum quam privatae pieta¬tis respondit. Quam rem etsi indigne ferret pater, non tamen vim adferre religioni ausus est. lnteriectis deinde diebus Karthalo petito commeatu a po¬pulo cum reversus ad patrem esset ornatusque purpura et infulis sacerdotii omnium se oculis ingereret, tum in secretum abducto pater ait: aususne es, nefandissimum caput, ista purpura et auro ornatus in conspectum tot miserorum civium venire et maesta ac lugentia castra circumfluentibus quietae felicitatis insignibus velut exultabundus intrare? Nusquamne te aliis iactare potuisti? Nullus locus aptior quam sordes patris et exilii infelicis aerumnae fuerunt? Quid, quod paulo ante vocatus, non dico patrem, ducem certe civium tuorum superbe sprevisti? Quid porro tu in purpura ista coronisque aliud quam victoriarum mea¬rum titulos geris? Quoniam igitur tu in patre nihil nisi exulis nomen agnoscis, ego quoque imperatorem me magis quam patrem iudicabo statuamque in te exemplum, ne quis posthac infelicibus miseriis patris inludat. Atque ita eum cum ornatu suo in altissimam crucem in conspectu urbis suffigi iussit. Post paucos deinde dies Karthaginem capit evocatoque populo ad contionem exilii iniuriam queritur, belli ne¬cessitatern excusat, contentumque victoria sua punitis auctoribus miserorum civium iniuriosi exilii omnibus se veniam dare dicit. Atque ita decem senac¬toribus interfectis urbem legibus suis reddidit. Nec multo post ipse adfectati regni accusatus duplicis, et in filio et in patria, parricidii poenas dedit. Huic Mago imperator successit, cuius industria et opes Karthaginiensium et imperii fìnes et bellicae gloriae laudes creverunt.

    Grazie Rolando berretta

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  3. Pierluigi
    questo, riportato, è l'unico Malco ricordato nell'epitome di Giustino.
    Come hai stabilito l'anno? dove leggi che fu crocifisso dai suoi soldati ?

    Diciamola a modo mio....
    potresti citare l'autore DEL PEZZO che ti ha ispirato? E' FONDAMENTALE!

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  4. e questa è la traduzione del professor Antonio Pischedda della III Età di Quartu sant'Elena.

    “Pertanto i Cartaginesi con gli dei così tanto contrari, dopo aver combattuto vittoriosamente in Sicilia, trasferita la guerra in Sardegna, dopo aver perso gran parte dell'esercito, furono vinti in una pesante battaglia; a causa di ciò mandarono in esilio con la parte dell'esercito sopravvissuta, il loro comandante Malco con la cui guida avevano domato parte della Sicilia e avevano compiuto gloriose imprese contro gli Africani. Ma i soldati, accogliendo a malincuore questa decisione, mandarono ambasciatori a Cartagine perché ottenessero innanzitutto il perdono per le sfortunate vicende dell'esercito e il loro rientro in patria e facessero intendere d'essere decisi di voler conseguire con le armi ciò che si fosse visto negare con le preghiere. Dopo alcuni giorni, i soldati, vedendosi respinte le scuse e le minacce da parte degli ambasciatori, preso posto sulle navi, raggiunsero la città. Quivi chiamarono a testimoni gli dei e gli uomini sulla loro intenzione di non volere espugnare la patria, ma di recuperarla e di voler fare intendere ai loro concittadini come nella precedente guerra fosse mancato loro non il valore, ma la fortuna. Assediata la città, dopo averne impedito i rifornimenti, spinsero i Cartaginesi nella più grande disperazione. Frattanto Cartalone, figlio di Malco comandante degli esuli, mentre rientrava da Tiro, dove era stato mandato dai Cartaginesi ad offrire ad Ercole la decima del bottino che aveva preso suo padre nella guerra in Sicilia, mentre passava nei pressi dell'accampamento del genitore, chiamato da costui, rispose che sarebbe tornato in seguito, preferendo attendere, in primo luogo, ai doveri religiosi, e, in un secondo tempo, ai doveri di devozione nei confronti del genitore. Benché il padre mal sopportasse questa risposta, si guardò bene dal mancare di rispetto alla religione.Trascorsi alcuni giorni, dopo aver ottenuto dal popolo l'autorizzazione, Cartalone tornò dal padre presentandosi agli occhi di tutti ornato di porpora e con le bende sacerdotali. Il padre, allora, chiamatolo in disparte, lo apostrofò dicendo: "O uomo esecrabile, come hai osato entrare in questo accampamento triste e pieno di pianto e venire al cospetto di tanti infelici concittadini addobbato di porpora e oro e presentarti con le insegne traboccanti di serena felicità? Non potevi glorificarti con altri in altro luogo? Perché, quando, poco tempo fa, dopo averti chiamato, hai mostrato di disprezzare, con superbia, non voglio dire tuo padre, ma certamente il comandante dei tuoi concittadini? Oltretutto cos'altro ostenti con questa porpora e le corone, se non i riconoscimenti delle mie vittorie? Pertanto poiché in tuo padre non riconosci altra condizione se non quella di esule, anch'io nei tuoi confronti mi considererò più come tuo comandante che come padre e lascerò in te un esempio perché nessuno d'ora in poi si faccia scherno delle dolorose sofferenze di un genitore". E comandò che fosse inchiodato, così com'era ornato, su d’una croce altissima in vista della città. Dopo pochi giorni Malco conquistò Cartagine e convocato il popolo in assemblea, lamentandosi dell'oltraggio dell'esilio, si scusò per essere stato costretto a prendere le armi contro la patria e promise che, soddisfatto per la vittoria, dopo aver punito i responsabili dell'ingiurioso esilio decretato contro sventurati cittadini, avrebbe concesso il perdono a tutti. E così, uccisi (i)DIECI SENATORI, impose alla città le proprie leggi. Egli stesso, pertanto, dopo molto tempo per l’accusa d’aver aspirato al regno, non dovette pagare il fio del duplice delitto nei confronti del figlio e della patria.

    Grazie. Aspetto. Rolando Berretta

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  5. L'affermazione che non ti convince è:
    "L’esercito cartaginese fu massacrato dai sardi e l’aspirante governatore fu crocefisso dai suoi stessi soldati al ritorno nella capitale nord-africana (così racconta lo storico Giustino nel 200 d.C.)".
    Premesso che Giustino scrive 700 anni dopo i fatti, l'unica differenza è che Malco non viene crocifisso dai suoi soldati ma è spedito in esilio. Non è di grande importanza...il succo del discorso, ossia la parte che più mi interessa, è che i cartaginesi subirono una pesante sconfitta dall'esercito sardo.

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  6. In ogni caso, dietro il tuo prezioso suggerimento, ho apportato le modifiche al testo, in osservanza del testo di Giustino.

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