Indagine e riflessioni sul termine Hallec, una parola che già nell'antica Mesopotamia era riferita ai pesci 1° parte
Articolo di ©
Zoltán Ludwig Kruse
Anni
fa visitai il bel Museo Territoriale del Lago di Bolsena. Davanti a una delle
varie vetrine un reperto poco appariscente ha attirato la mia attenzione.
Esso recava la seguente didascalia:
«Frammento di anfora con
iscrizione dipinta in rosso relativa al contenuto hallec = “salsa di pesce”, ricavato nell’area archeologica di
Poggio Moscini, Bolsena / Volsinii; I sec. a.C. – I sec. d.C. ».
Rimasi sorpreso di ritrovare nel termine hallec
relativo al significato “salsa di pesce” le due parole-seme magyar/(h)ungheresi
hal e lé / lötty – peraltro corrispondenti a finn. kala e liemi/litku
– significanti “pesce” e “sugo, succo, salsa, brodo” / “fluido”, invece dei vocaboli piscis, sucus/liquidus
o ichthýs, chymós/ygró che in fondo sarebbe stato da aspettarselo
poiché sono quelli propri dei lessici latino e greco. Questa
circostanza enigmatica ebbe un effetto stuzzicante su di me inducendomi a
indagare a fondo sull’etimologia del termine
hallec.
Fin dall'inizio della mia indagine mi resi conto che il messaggio originario di
hallec era piuttosto importante, anzi, fondamentale. Poiché mag. hal
risulta identica sia a kingir/šumero KU6, val. fon. ḫa “pesce” (Labat, s. no.
589); mul KU6 “costellazione Piscis austrinus”; KU6-LÚ-U17-LU, akk. kulīlu/kulullu,
“uomo pesce”; sia a egizio xa/cha (ḫa e xa/cha
risultano notazioni fonetiche di hal che tralasciano la
l in finale di parola, peraltro molto debole, appena udibile nella
pronuncia); sia a mayathan (la lingua maya parlata sulla penisola Yucatan) kay,
variazione di hal; sia a cusco-quechua challwa,
forma allargata di hal; e ugualmente a erz./mord. kal,
finn., est., karel., votj. kala, han. xul (hul),
man. xūl, mari/yazyk kol, vog. kol,
khul, aymara chalwa, inuktitut (l’inuit della Canada
orientale) iqaluk, n.sami/lapp. guolli, arm. juk
(juk | kuj < kul), viet. ca, cecen. čara,
komi čeri ecc.. In greco ritroviamo chéli per “anguilla”,
voce che nelle lingue germaniche perde la iniziale fricativa glottidale h:
ted. Aal, sve. ål, ol. aal, ingl. eel;
in svedese hal è aggettivo significante “liscio, scivoloso,
sdrucciolevole” che sono chiaramente connotati del “pesce”. Inoltre in albanese
ricorre hál/ë significante “lisca, spina”, cioè la parte ossea
del “pesce”, avendo quindi un valore semantico secondario di “pesce”; con peshk
hálës si dice “pesce liscoso”.
Ebbene,
la situazione che abbiamo di fronte è che il significato generico “pesce”
veniva espresso già nell’antica Mesopotamia, nell’antico Egitto, nelle Americhe
e nell’Eurasia con lo stesso nome hal e variazioni. – Qui
conviene notare che la fricativa glottidale h in posizione iniziale in
magyar/ hungherese, come peraltro anche in molte altre lingue, è sempre sonora;
la pronunzia della voce hal è quindi: [hɒl]. La h (acca) viene
trascurata solo in italiano e francese non avendo alcun vero valore
fonologico. – Insomma, vuol dire che
abbiamo a che fare con un Uretymon cioè un “etimo originario” utilizzato
universalmente con una continuità plurimillenaria. Sulla portata di questo
dato di fatto conviene rifletterci bene.
Nel
corso delle mie ricerche ho individuato che halec costituisce il nome
di un genere di pesci estinti. I suoi fossili sono stati ritrovati, tra
l’altro, in Inghilterra, Repubblica Ceca, Croazia, Libano ecc.. Il termine
ampliato halecidae denomina pesci la cui forma assomiglia all’aringa
/ ted. Hering, ol. haring, ingl. harring;
mated. herinc, aated. hāring, hering, wgerm. *hǣrenga-/*harenga-, nome documentato sin dal 9. sec.. Secondo il Wikzionary
tedesco «La parola westgermanica fu mutuata in latino nella forma haringus
nel 6. sec.». Orbene, non è tanto difficile rinvenire che hering
sia in fondo una variazione di halec: halẽc/halenc/haleng/hareng
– hering con scambio di liquide (l > r; hal > har) e
nasalizzazione della parte -ec: -ẽc/enc/eng rispettivamente -ic:
-ĩc/inc/ing. Her-ing/har-ingus/ar-inga (Clupea harengus)
risulta quindi una variazione nasalizzata con liquida alternata di hal-ec,
ovvero: halec > harẽc / harenc / hareng / haringus. In questa sfera
appartengono anche le voci alice, alaccia, alosa,
dal lat. hallēc e gr. halykón, ted. Aaal,
gr. héli “anguilla”, ted. Hai, finn., est. hai,
lat. squalus, russ. akúla, sve. dan. haj,
nor. hai “squalo”. Interessante notare qui il processo di
differenziazione semantica del significato generico “pesce ” che l’etimo
originario hal esprime.
Un termine affine a halec
e halecidae frequentemente utilizzato in ambito ittico è alieutica.
Esso è considerato proveniente dal greco antico ἁλιευτική (τέχνη) / halieutiké (techné) significante “arte, pratica della pesca”, a sua volta
derivato dal sostantivo ἁλιεύς halieus
“pescatore”. Questa etimologia è però debole giacché nel lessico del greco
antico l’etimo originario hal, premessa indispensabile della
forma agglutinata hal-ieus, manca. Pertanto hal-ieus, una variante alterata di mag. hal-ász
[hɒla:s] “pescatore”, sarà stato mutuato dal lessico della comune lingua
antica europea (egeo-pontico-danubiana) di tipologia agglutinante che disponeva
di una consistente rete di parole-seme. Circa la coincidenza di una notevole
quantità di voci dell’antico greco, in particolare quelle di provenienza
minoica–micenea, e del (h)ungherese sono rilevanti le ricerche del prof. Péter
Révész dell’Università di Nebraska (youtube: «Origins of the Ancient Minoans |
DNA» & «Decifrazione rivoluzionaria della lineare A e dei geroglifici
cretesi»). Quanto sia ampia la sfera di vocaboli derivati dall’etimo originario
hal avremo ancora modo di constatare nel corso di questo mio
studio.
Indagando
ancora ho scoperto, poi, che la “salsa di pesce”, sul frammento di anfora
segnato con hallec, nell’antica cultura romana era conosciuta sotto la
denominazione di garum. Il garum era una salsa liquida di
interiora di “pesce” e pesce salato che gli antichi Romani aggiungevano di
solito come condimento a molti primi piatti e secondi piatti. Venivano
consumati: Salsamenta, Liquamen, Muria e, appunto, Hallec – ricorrente anche nelle forme Allec
/ Hallex / Allex / Halles – che erano praticamente variazioni di garum.
(gar-um > har-um > hal-um).
Com’è noto il concetto di “pesce”
nelle lingue romanze, germaniche, anglosassone e altre ancora, viene espresso
con vocaboli assonanti come: lat. piscis, it. pesce, fr. poisson,
spa. pez, port. peixe, rum. pește, ted. Fisch, ingl. fish, ol. vis,
dan., nor., sve. fisk, alb. peshk ecc., tutti quanti
evidentemente correlati ai vocaboli: mag. víz, finn., est. vesi,
ted. Wasser, asass. watar, aated. waʒʒar, itt. vadar,
ingl., ol. water, russ., cro., bulg., cec., slov., pol. voda/woda,
irl. uisce, scoz. uisge ecc. significanti “acqua”, risalenti a šum. BIZ (Deimel Šum.-Akk.
Glossar no. 36) ted. “Wasser-Tropfen” / “goccia d’acqua”. E, giustamente, in basco bizi vuol dire “vita”.
Cosicché è quasi impossibile parlare di pesce/fish/vis senza menzionare
l’“acqua” víz, l’ambiente umido in cui il pesce vive,
prolifica e muore. Inoltre è difficile parlare di “acqua” senza ricordare la piscia
raccolta nella vescica e scaricata dagli organi di minzione che
contemporaneamente sono anche gli organi sessuali di riproduzzione che, guarda
caso, sanno di pesce; e quindi di amplesso, di fertilità e di parto,
cioè di “fuoriuscita” (jön ki “viene fuori”) del nascituro, figlia o
figlio. “Figlio” in francese
si dice, appropriatamente, “fils” [fis] (ass. a ol. vis
“pesce”), voce che risale
a šum. PEŠ (Labat, s. no. 346), val. fon. biš,
piš, piša. Il segno arcaico con cui esso veniva notato mostra
un “pesce pieno di uova” in posizione abituale, orizzontale:
E nonostante non risulti
raffigurato in maniera esplicita, è ovvio che questo pesce pieno di
uova, cioè di “vita” (basc. bizi), si trovi dentro all’“acqua” víz,
suo habitat naturale; sulla terra ferma sarebbe un pesce morto.
Comparativamente il segno arcaico con cui veniva notato šum. KU6 , v. fon. ḫa significante “pesce”, rappresenta il pesce
guizzare al di sopra delle onde marine in un bel salto arcuato; verosimilmente
si tratta di un delfino, re dei pesci marini di cui parlerò più avanti:
Possiamo
constatare che in kingir/šumero sia KU6, ḫa / hal
“pesce” sia PEŠ “figlio/fils” [fis], che persiste nei vocaboli
europei fish/vis/Fisch/fisk/peshk/pesce/pește, vengono notati con lo
stesso ideogramma/pittogramma del pesce, non uguali, però molto simili.
L’intima connessione tra hal e peš si rivela,
quindi, nel comune segno di scrittura šumerogramma. Per giunta notiamo un’altra
significante correlazione che è quella tra KU6,
ḫa / hal “pesce” ( ♓
) e Ú ḪAL (Labat s. no. 2) “udire/ascoltare”,
“segreto”. L’aspetto di “fuoriuscita” del pesce dal suo ambiente di vita, che è
l’acqua, all’aria, ambiente di vita dell’uomo, è molto interessante in quanto
rivela una certa connessione agli antidiluviani “uomini-pesce” AB.GAL, in akk. apkallu,
di cui riferirò in seguito.
Il “pesce” hal ha
rappresentato fin dagli albori dell’umanità un’importante e variabile fonte di
alimentazione. La presenza di pesce facilmente pescabile è uno dei motivi
principali per cui i primi insediamenti umani sono nati nelle immediate
vicinanze di mari, laghi o corsi d’acqua.
Due millenni
fa l’immagine simbolica del “pesce” iniziò ad essere utilizzata dalle prime
comunità cristiane per identificare la propria religione. Ciò avveniva sulla
base della corrispondenza col vocabolo agr. ἰχθύς (ichthys), le cui
cinque lettere formano l’acronimo: Ἰησοῦς
Χριστός Θεοῦ Ὑιός Σωτήρ (Iēsoùs Christòs Theoù
Yiòs Sōtèr) che significa letteralmente “Gesù Cristo figlio
di Dio salvatore” e che rappresenta praticamente la sintesi della dottrina
cristiana. Essendo poi il pesce un animale che vive sott’acqua senza
annegare, esso simboleggiava il Cristo che può entrare nella morte restando
vivo. Come sapiamo tra gli apostoli di Gesù Andrea
fu il primo. Andrea assieme al fratello Simone, abitanti della città di Betsaida
“casa del pescatore” sulla riva del lago di Galilea / Genesaret, erano
pescatori. La tradizione tramanda che il maestro stesso lo avesse chiamato ad
essere suo discepolo invitandolo ad essere per lui ἁλιεὺς ἀνθρώπων / hal-ieus anthropon
“pescatore di uomini” ovvero “pescatore di anime”.
La
circostanza che il “pesce” hal risulta documentato già nel
lessico kingir/šumero con KU6 / ḫa ci induce, anzi, ci obbliga a
indagare nell’area culturale mesopotamica. E la ricerca ci porta direttamente
al dio En.Ki, l’ingegnoso dio del pantheon kingir/šumero inventore della
cultura e della moltitudine di tecniche al quale nei suoi templi venivano offerti
soprattutto sacrifici di pesci. I suoi nomi En.Ki & E.A significano:
“Signore-Terra” & “Casa-Acqua” ovvero “Signore della Terra” residente nella
sua “Dimora di Acqua”. En.Ki / E.A è quindi “Signore della Terra” con tutte le
acque che essa nei suoi vari bacini contiene. Sui primi sigilli cilindrici
šumeri En.Ki / E.A è raffigurato difatti come un dio troneggiante nella sua E
“residenza” (cfr. mag. hely [hɛj] “luogo”, szent-ély [sɛnt-e:j]
“coro” arch.) rettangolare di A “acqua”; dalle sue spalle “fuoriescono”
e sgorgano i due grandi fiumi Tigri & Eufrate in cui si scorgono dei
“pesci” ḫa / hal nuotare verso l’alto. En.Ki / E.A è il dio
civilizzatore per eccellenza nell’epoca antidiluviana della tradizione mitica
kingir/šumera.
Da
Sovrano della città-stato meridionale di Eridu En.Ki risiedeva nella sua
residenza E.En.gur / E.Ap.su, sinonimi, questi, che indicavano la base liquida
d’acqua dolce sulla quale galleggiava la Terra. Grazie all’apertura
dell’accesso all’acqua dolce tramite lo scavo di pozzi che rendeva
possibile l’irrigazione artificiale nella “Terra tra i due fiumi”, En.Ki
introduce sulla terra le tecniche agricole.
AB.GAL
Connessi
ad En.Ki / E.A sono gli “uomini-pesce” / i “saggi” AB.GAL, akk. apkallu,
sette di numero, esseri semidivini dell’era antidiluviana, metà uomini e metà
pesci, che risultano suoi protetti e assistenti. Gli apkallu sono
inviati dal dio En.Ki per insegnare agli uomini i Me ovvero la
scrittura, le arti, i mestieri e
praticamente la cultura e gli stessi
princìpi della civiltà. I significati della parola-seme me
(Labat, s. no. 532) sono: “rito, prescrizione”, “decisione”; per giunta Deimel
indica: «l’immagine arcaica del segno è “bocca con la lingua cacciata fuori”;
significato di base “lingua, parlare, chiamare, denominare” ecc.» Nonostante
Jean Bottéro, uno dei massimi assiriologi francesi, a riguardo abbia espresso il
parere vincolante secondo cui: «…il concetto del me, per noi oscuro e
difficile da capire per il fatto che non corrisponde più a nessuna delle nostre
categorie semantiche, esprime un modo di pensare piuttosto lontano dal nostro e
non è affatto direttamente riducibile ai nostri parametri» (Mesopotamia La
Scrittura, la Mentalità e gli Dèi, pag. 262; Einaudi), il lessico
magyar/(h)ungherese contiene una parola-seme che si rivela corrispondente a
šum. me. Si tratta di mű (pl. művek),
polisemica, significante “opera”, “creazione”, “impianto”, “meccanismo”,
“lavoro”, “artefatto, artificiale” ecc., origine di una ampia serie di derivati
tra cui: művész “artista, artefice”, művészet “arte, artificio”, művel
“opera(re), prepara(re), combina(re), esercita(re)”, művelő “educante,
educativo, educatore/-trice”, művelet “operazione”, művelt
“educato, colto, istruito”, műveltség, művelődés “educazione, cultura,
ammaestramento, formazione, creanza”, működés “funzionamento,
azionamento, attività”, műt (med.) “opera(re)”, műtő “sala
operatoria”, műtét “operazione, intervento” (chirurgica/o) ecc.. Ed ecco
ancora alcune combinazioni d’interesse: jár-mű “veicolo, vettura” (jár
“cammina, gira, si muove ecc.” equivalente a šum. GÍR, L. s. no. 10,
“via, strada, percorso”), vízi-jár-mű “veicolo acquatico”, erő-mű
“impianto di forza” (ted. “Kraft-werk”), víz-mű “centrale idrica” (ted.
“Wasser-werk”), vízi-erő-mű “impianto di forza idrica / idrocentrale”
(ted. “Wasser-kraft-werk”).
Il
primo apkallu “saggio” che fuoriesce dall’acqua di mare, cioè dall’abisso
primordiale ZU.AB / AB.ZU, è U’anna / Oannes soprannominato Adapa.
Vista la sua etimologia: AB “padre”,
“finestra, buco/a” + ZU “sapere, conoscere, apprendere”, quindi “padre
del sapere” il quale dalle viscere della Terra sale e penetra attraverso una
“finestra” / un “buco”, l’abisso si rivela essere la primordiale fonte
di sapienza e saggezza (szó “parola”,
szó-tár “magazzino di parole” = sanscr. sutra “libro”).
Le
combinazioni NUN-GAL, AB.GAL, akk. apkallu, nei lessici di R. Labat e A.
Deimel vengono tradotti con “saggio” (Labat, s. no. 87); in esse valgono i
significati: NUN (Deimel s. no. 87) “gross werden/sein, mächtig, vornehm,
Fürst” / “diventare/essere grande”, “potente, nobile, principe”, AB (Labat, s.
no. 128) “padre”, “finestra, buco/a” e GAL (L. s. no. 343) “grande”, GÁL (L. s.
n. 80) “esistere, essere” (in questo contesto sono rivelatrici le relazioni
mag. ép hal “salvo/integro pesce”; ab-lak “finestra” [lak |
kal < gal], ép lak “integra/salva dimora”, ép luk/lyuk
“integro/a buco/a). AB.ZU abisso è quindi fonte di saggezza.
Il
nome ᵈ NUN-GAL “principe-grande” anticipato dal determinativo ᵈ/dingir
“dio, cielo” designava il dio En.Ki / E.A. Mentre ERI-DU ᵏᶦ - GA equivalente a
NUN-KI-GA (in cui GÁ vale “casa”, L. s. no. 233) designava la città di Eridu
in cui si trovava la sua “grande casa/dimora/residenza”.
Guardandoci
bene, il particolare copricapo a “testa di pesce” mag. hal-fej/fő dei
saggi AB.GAL / apkallu è ancora facilmente riconoscibile nella mitra che
oggidì portano in capo i vescovi e altri prelati cristiani nelle funzioni
solenni.
Da
“Sovrano delle acque marine e fluviali/dolci della Terra” piuttosto “pescose”
mag. hal-as, il dio En.Ki progettava e controllava la costruzione di
imbarcazioni e di “navi” mag. hajók (pl. di hajó / aeg. haou
“nave”), veicoli d’acqua importanti, con cui veniva effettuato il trasporto di
merci. Queste venivano costruite con rotoli di giunco / balsa, materiale
leggero ed elastico ben adatto ad essere piegato nella desiderata forma “arcuata” (mag. hajlott). I
ricercatori Thor Heyerdahl (nel 20. secolo) e Dominique Görlitz (nei nostri
giorni) con le loro imbarcazioni rudimentali Kon-Tiki (di balsa/giunco),
Ra (di papiro) e Tigris (di canna) rispettivamente Abora
(I, II, III, IV; di canna totora) costruite su modello mesopotamico hanno
provato che i Kingir/Šumeri erano praticamente in grado di fare lunghi viaggi
sul mare. En.Ki progettava e controllava altresì la bonifica della vasta zona
paludosa tra i due grandi fiumi Tigri ed Eufrate della Mesopotamia meridionale
insieme alla costruzione di una rete di canali d’irrigazione navigabili,
rendendola terra fertile. En.Ki fu, insomma, l’ideatore e l’organizzatore dei
grandi lavori di bonifica delle vaste
zone paludose abbinati alla costruzione dei canali di navigazione e
d’irrigazione.
Hal “pesce” & “muore” – Hely
“luogo, posto”
Orbene, a questo punto della nostra
indagine conviene apprendere che in magyar/(h)ungherese la stessa parola-seme hal
[hɒl] oltre a “pesce” significa parallelamente anche “muore”. E la situazione
si rivela ancora più complessa, poiché intorno a hal “pesce” &
“muore” risuona una vasta rete di vocaboli assonanti con significati affini;
fra l’altro: hál “dorme, giace, riposa”, hely
“luogo, posto”, éj “notte,” héj/haj “guscio”, hál-ó
“dormiente, dormitrice/-tore” e “rete”, hál-ó-zat “reticolo”, hal-ász
“pescatore”, hal-ász-at “pesca”, hall “ode”, hall-ó
“udiente, uditore/-trice”, hall-gat “tace, ascolta”, hall-gat-ó
“ascoltatore”, hall-ás “udito”, hál-a “gratitudine”, hál-ál
“ringrazia”, hál-ás “grato”, hál-a-ad-ás “ringraziamento”, hull
“cade”, hull-ó “cadente”, hull-ám “onda”, hull-a “salma,
cadavere”, hal-ó “morente”, hal-ál
“morte”, hal-ás “(il) morire”, hol-t/hal-ott “morto”, hal-and-ó
“mortale”, hal-and-ó-ság “mortalità”, hal-hat-atlan “immortale”, hal-hat-atlan-ság
“immortalità” ecc.; risultano ovvie le corrispondenze in ebr.: halél
“canto di glorificazione”, haleluja/hallelujah “lodate Dio”, hilél
“lodare”, hilul “lode, elogio”, hilula “festa di
gioia”, halveja “sepoltura/funerale”.
Quanto riguarda il significato
parallelo “muore” di mag. hal, i
vocaboli assonanti e affini che sono riuscito a trovare nei lessici
delle lingue antiche dell’area mediterranea sono: calu
mexl/etrusco significante “morto”, ben accostabile a mag. haló
“morente” e halás “(il) morire”, rispettivamente gr. xáli
[hali] “cattivo stato”, xaló [halo] “distruggere, disfare,
deteriorare, rovinare, rompere, rompersi”. Che il verbo hal
“muore” riveli una correlazione al sostantivo hely [hɛj] “luogo”, cioè il posto in cui “il morire” halás
si verifica rispettivamente la sepoltura del “morto” halott
nell’ipo-geo ricavato nella “roccia/pietra” kő/ge di tufo o
granito avviene, non ci sorprende affatto poiché è cosa naturale. Grotte e ipo-gei
sono “luoghi” (helyek) dove la “vita” (élet; lehelet
“halito”) incontra la “morte” (halál). La voce mag. hely
(f. arc. hé, hel), pressoché identica a mexl/etr. hil
“luogo”, trova larghe corrispondenze
in tur. köy “villaggio, campagna”, hal
“posizione, situazione, stato”, uig. yay “sito, regione, zona”,
per. jay “posto”, hāla “situazione, stato”; tutte
quante risalenti a šum. É (Labat s. no. 324; cfr. mag. hé) “casa,
dimora, interno”, É-KUR “mondo sotterraneo”. Inoltre etr. calu “morto”,
mag. hal “muore”, haló
“morente”, gr. xaló “distruggere, rompersi, ecc.”, sono convergenti a
una serie di vocaboli tra i quali: mansi kāl, khanty kăla, komi,
udm. kul, mordv. kulo, finn. kuole ecc. “morire”. Il
complesso di voci: mag. hal “muore”, di cui haló “morente”, halk
“piano, silenzioso”, hallga “silenzioso”, hallgat “tace;
ascolta”, hallgatag “taciturno, muto”, halandó “mortale”, halvány
“smorto, pallido, sbiadito”, mexl/etr. calu “morto”, gr. xáli
“cattivo stato”, xaló “distruggere, rovinare, rompere, rompersi” ecc. è
ovvia continuazione di šum. ḪA-LAM (Labat, s. no. 589), akk. ḫalāqu,
“aller à sa perte / andare alla propria rovina”, ḫalqu “perdu, manquant,
ruiné / perso, mancante, rovinato”, ḫalqūtu “destruction /
distruzione”. Ora, data la correlazione hal – hall “pesce;
muore” – “ode”, qui è ovviamente inevitabile pensare al cosiddetto «Libro dei
Morti», sia quello egizio il cui vero titolo è «Libro per uscire al giorno /
alla vita», sia quello tibetano Bardo Thödol tradotto con «Grande
liberazione tramite ascolto/udire», formule e testi da recitare, questi, in cui
l’“udire/ascoltare” occupa un posto centrale, e chiaramente non per puro caso.
L’“udire” mag. hallás è quel senso di percezione essenziale che
inizia a funzionare come il primo già nella fase intrauterina e, dopo il
“morire” halás, cessa a funzionare come l’ultimo nella dimensione
di vita terrena dell’essere umano. In questo contesto dobbiamo pure constatare
che, nonostante siano trascorsi cinque millenni, la relazione tra: šum. Ú ḪAL (Labat s. no. 2) “udire”, “segreto” – ḪA (L. s. no.
589) “pesce” sia rimasta costante e ricorra tuttora in mag. hal
“pesce” & “muore” (hál “dorme, giace, riposa”) – hall
“ode, sente, ascolta”; questa è una circostanza di importanza fondamentale con
ampie conseguenze.
Nella mitologia germanica/norrena Hel
/ Hellia è la celata sovrana del “regno dei morti”, del
“mondo infero” chiamato Hel-heim. Vocaboli affini a hel sono:
ted. Hölle, aisl. hel, ingl. hell “inferno/infero”, ted. hohl,
Höhle, Halle, ingl. hollow, hole, hall, “cavo”,
“grotta”, “galleria”. Che questo “infero luogo” al-hel/hely o al-világ
(lett. “basso-mondo”, ted. “Unter-welt”) sia un posto “involto, celato”
viene rivelato dalla notevole variazione héj (hely > héj
[hɛj > he:j]) significante “buccia, guscio, involucro” (cfr. ingl. hull
“copertura, guscio”, ted. Hülle “involucro, custodia,
spoglia”, Hülse “baccello,
bossolo”, ein-hüllen “avvolgere, coprire”, ver-hüllen
“coprire, velare”, Hehl “celamento”, hehlen
“nascondere, rendere invisibile”, lat. cēlāre, occulere “celare,
occultare”, occultum “occulto”, occultātiō “occultazione”).
Cosicché il rapporto di convergenza tra mag. hal “muore”, hál
“dorme, giace, riposa” ↔ hel/hely “luogo” –
mexl/etr. calu “morto” ↔ hil “luogo” si arricchisce allargandosi
con norr./germ. hel “regno dei morti”.
Interessante la sfera di voci
derivate da hely “luogo” tra le quali: hely-es “giusto” (cioè
“trovantesi al suo posto”), hely-es-el “approva(re)”, hely-es-()l-és
“approvazione”, hely-ez “piazza(re), hely-()z-et
“situazione, posizione”, hely-re “pulito, risoluto, abile”, hely-ez-és
“piazzamento”, hely-re-áll-ít “ripristina(re)”, hely-re-áll-ít-ás
“ripristino”, hely-re-hoz-hat-atlan “irreparabile, irrimediabile”, hely-re-hoz-hat-atlan-ság
“irrimediabilità” ecc..
In fin dei conti l’intima
interconnessione tra le parole-seme assonanti hal “pesce” & “muore”,
hál “dorme” e hall “ode” risulta meglio comprensibile se teniamo
presente il fatto che l’orecchio dell’embrione umano è interamente sviluppato e
attivo come primo organo di percezione già all’età di quattro mesi e mezzo,
quindi molto tempo prima del parto. Ciò vuol dire che il fragilissimo nascituro
umano, galleggiante accovacciato nel liquido amniotico, origlia la madre e l’intero ambiente circostante già
nell’“involucro” haj/héj dell’utero materno. Non vede, non annusa, non respira ancora
autonomamente, ma nel suo stato di apparente “dormienza” háló già “ode” hall.
E alla fine della sua vita vissuta, dopo l’avvento della “morte” halál,
da rigido “pesce/cadavere” hal, egli sembra “dormire” hál di
nuovo; “da morto” holtan non respira, non si muove, non pensa, non vede,
non annusa più, non sente più alcun dolore, ma, per i giorni del trapasso,
“ode” hall ancora.
A hallgatag halott háló-helyén hál
és hall
«Il muto morto sul suo posto-giaciglio riposa e ode».
Hel/hely – Lak “Locus/luogo” – “Abitazione” – Kő/KI “pietra, posto/paese”
(ipo-geo)
Il
rapporto di convergenza fono-semantica tra mag. hal “pesce; muore” ↔ hel/hely
“luogo” – mexl/etr. calu “morto” ↔
hil “luogo” – norr./germ. hel
“regno dei morti” è alquanto evidente. Come è noto nella mitologia
germanica / norrena Hel / Hellia è la sovrana del “regno dei morti”, del
“mondo infero” chiamato, appunto, Helheim; vocaboli affini a hel
sono ted. Hölle, aisl. hel, ingl. hell “inferno/infero”,
ted. hohl, Höhle, ingl. hollow, hole “vuoto”, “grotta”, “ipogeo”.
La
“abitazione” lak / lakás è quel “luogo” hely in cui l’“abitante”
lakó “dorme/riposa” hál (lak | kal > kel >
hel > hely > hál ) tranquillamente; da hál
deriva l’agg. hál-ó “da letto; dormiente”, “del sonno”, háló-szoba
“camera da letto”. Forme di variazione di mag. lak / lakás “abitazione”,
lakó “abitante” ricorrono anche nel vocabolario rumeno, per esempio: loc
“luogo”, locaș/lăcaș “luogo, alloggio”, localitate “località”, locuință
“abitazione, alloggio”, locuitor “abitante, locatario” ecc..
Come
risulta, la relazione tra hely/hel “luogo” e lak “abitazione” è
di riflessione: hel | leh < lék/lak.
La
speculare combinazione lak-hely, sin. di lakás, rende il
significato “domicilio, residenza”; mentre la variazione fonemica lak >
luk/lyuk comporta la variazione semantica “abitazione” – “buco/a”. A
“buco/a” luk/lyuk corrispondono i vocaboli ted. Loch, Leck
“buco/a”, (naut.) “buco/ perdita” e ingl. hole che, anch’essi, rivelano
la relazione speculare: Loch | hole. Assonanti e semanticamente affini a
ted. e ingl. Loch, Lache, hole, lake sono lat. locus, lacus,
cella (loc | col > cel), it. “locale, lago, cella”; e per
mezzo del gioco loc | col > cul vengono raggiunti: culla e loculo.
La sfera della parola-seme luk/lyuk
“buco/a” è alquanto ampia; ne fanno farte tra l’altro: cer. luk
“occhiello”, finn. loukka “nascondiglio”, loukku “crepa, cavità”,
rum. lac, lat. lacus, alb. liqen “lago”, liqenór
“lacuale, lacustre”, lagunë “laguna”, lat. lacuna “buco, lacuna,
avvallamento, cavità”, ted. Luke “abbaino, boccaporto”, Lücke
“lacuna”, Lagune “laguna”, Lache “pozza, pozzanghera”, russ. ljuk “apertura, buca”, tur. oyuk
“avvallamento, fessura, crepa/ccio” ecc.;
In
questo contesto è rimarchevole la voce šum. AB-LÁ (Labat, s. no. 128)
“finestra, buca/o” alla quale in magyar equivale ablak “finestra”; in
modo alquanto interessante ablak ottiene convalida dalle combinazioni: ép
lak “salva abitazione” e ép luk/lyuk “salva buca/apertura”.
L’abitazione è contraddistinta da due aperture/buche essenziali. L’una è la
“finestra” (fr. fenêtre, ted. Fenster), appunto, ablak
attraverso la quale la “luce solare / del giorno” (mag. nap-fény)
penetra nell’abitazione. L’altra è, invece, la “porta” ajtó
attraverso la quale si entra e si esce dalla abitazione. Di ajtó, che è
l’equivalente di mexl/etr. aita, ne avevo riferito nel mio studio
sull’appellativo ba-janas. Intanto teniamo presente che la “salva buca”
di ingresso e di passaggio tra i compartimenti sono parti fondamentali presenti
in tutti gli ipo-gei (“sotterranei”) e domus de janas ricavati
nella “roccia/pietra” kő/ge.
Per
facilitare la comprensione ecco alcuni esempi di applicazione in espressione
verbale unitaria:
Az
ép laknak ablaka van
“La salva/completa abitazione dispone di finestra”.
Az ép ablak
lyukon jön be (be-jön – sard. ba-jana) a fenni fényes nap-fény.
“Attraverso la salva buca di
finestra viene dentro la alta splendente solare-luce.”
A halott
lak-helye / hajléka / háló-helye a kő-lyuk.
“Del
morto domicilio / dimora / giaciglio (-suo/a) è il loculo (la culla / il buco)
di pietra”.
A halott a
kő-lyuk háló-já-ban hál.
“Il
morto nella sua pietra-buca camera dorme” /
“Il
morto giace/riposa/dorme” nella sua camera (dormitorio/loculo) di pietra.
La voce culla, connessa a lacuna,
risulta forma speculare allargata di luk: luk | cul-la. In rumeno
a culla corrisponde la voce leagăn (cul | luc > leag);
e a “culla di cultura” si dice leagăn de cultură. Orbene il lago
(di) Bolsena che nel paesaggio rappresenta una grande “buca” luk/lyuk,
cioè una culla lacuale (cul | luc > lac) ripiena di
“acqua” víz/bis/pis, è grande
“culla di cultura” millenaria.
La dea Khalì indù
Rivolgendo la nostra attenzione alla sfera culturale indù incontriamo la dea Khalì,
la tremenda dea distruttrice e creatrice rappresentata con delle armi e
una ghirlanda di teschi. Khalì “la nera” uccide e porta “morte” per
creare ed è, guarda caso, “colei che ha occhi di pesce”. Quindi Khalì è
connessa al “pesce” in quanto dispensatrice di morte e rinascita. Ascoltando
con attenzione possiamo constare che tra il teonimo Khalì e i vocaboli
mag. hal “pesce” & “muore”, hál “dorme, giace, riposa”, háló
“dormitrice/-tore”, haló “morente”, halál “morte” ecc., insieme
all’ovvia assonanza ci sia pure una corrispondenza semantica. Queste voci
riflettono indubbiamente le proprietà della dea.
Per
giunta il “pesce” hal/khal è anche un simbolo di Vishnu (cfr.
ted. Fisch, ingl. fish, ol. vis “pesce” ecc. e mag.
víz, finn. est. vesi “acqua”, bask. bizi “vita”), ted.
“der Durchdringende” / it. “il compenetrante”. Vishnu è il dio
protettore e conservatore della creazione.
«Vishnu
appare in forma di pesce al legislatore del ciclo attuale, il Manu, per
annunciarli che l’umanità sarà distrutta da un diluvio [mag. ár-víz
lett. “flutto/i-acqua” = “diluvio”] e gli fa costruire un’arca che poi lui
stesso guida, sempre in forma di pesce, durante quel cataclisma.» (Wikipedia).
La correlazione Vishnu – Fisch/vis/pesce è sonoramente autoevidente. Vishnu
dorme sulle acque o sul serpente mentre dal suo ombelico cresce a volte un
fiore di loto sul quale tronneggia Brahma.
Psh ~ Psh ~ Psh ∞
Che cos’è Psh ~ Psh ~ Psh ∞ ? È lo scrosciare elementare delle
onde che si infrangono sulla spiaggia; da sempre, di continuo. Ed è la sonorità
rinfrescante, quel guazzare delle cascatelle; quelle alle terme di
Petriolo, di Saturnia, di San Filippo o
altrove. Se vi trovate là chiudete gli occhi e origliate alla voce dell’acqua,
dolce nutrimento per le nostre anime. È facile riconoscere che le nostre parole
piscia, piscio, pisciare, pisciatoio, pisciata, piscione/-a, pitale,
pisello, passera ecc. (cfr. ted. pissen,
Pisse, ingl. piss, alb. pshurr, rum. a se pișa, pișat)
sono onomatopeiche, ovvero la imitazione del suono psh creantesi durante
lo svuotamento dell’acqua / piscia dalla vescica attraverso gli
organi genitali di minzione che sono il pisello, pisellone (pene)
rispettivamente la passera/fessura/fica (vulva; ingl. pussy, bitch).
Il vocabolo mag. pisilő [piʃilø:] (ass. a pisello) “urinatorio”
designa l’organo di minzione in generale, sia femminile che maschile, di cui
tutti noi umani siamo dotati; mentre con pisilés [piʃile:ʃ] / vizelés
viene denominato “l’atto dell’urinare”.
Al suono elementare psh
dell’acqua che sgorga è ricollegata una vasta sfera di vocaboli italiani; tra
essi: piscina, pozzo/a, pozzanghera, pesce (che può significare
anche “salma, cadavere”), pesca, pescare, pescatore, piscicoltura,
peschereccio, pescaia, pescheria, peschiera, pescosità, vescica, viscere,
viscido/a, viscidità, biscia, viscoso, viscosità ecc..
Questo cangiante suono elementare
dell’acqua sguazzante psh che, subendo la forza di gravità, sgorga
sempre verso “ingiù” le (mag. lé “liquido”), mai all’insù,
ci è molto familiare; lo sentiamo ripetute volte tutti i santi giorni. La umana
sorgente di “acqua” víz, fonte di nuova vita che sa di pesce, si
trova ben custodita tra le gambe, alla base del bacino. A
confermarlo sono voci come sanscr. bhasad “parti
del corpo nascoste, pudendum muliebre, glans penis”, picchala
“viscida/o”, bask. bizi “vita” ecc.. La sacralità di questa centrale sorgente di “acqua”
& “pesce” dell’essere umano, in specie della partoriente donna/madre
reggitrice di vita, emana dalla seguente antica rappresentazione:
Ed ecco l’informativa didascalia
che accompagna la raffigurazione:
«L’equazione del pesce con il
grembo della Dea è chiara su questa anfora ovoidale della Beozia. Rinvenuta in
una tomba, è decorata con scene di rigenerazione. In un panello la Dea, con un
pesce nel grembo, è circondata da animali, uccelli, vortici, una testa di toro,
un utero e chevron; serpenti e archi multipli emergono ai suoi lati. Nell’altra
scena questa Dea compare nell’epifania di un uccello con le ali spiegate e il
corpo di un pesce reticolato [cfr. mag. hal “pesce”, háló “rete”,
hálózott “reticolato”; hálózott hal “pesce reticolato”]. Essa è
anche circondata da segni a vortice [svastika], uccelli, spirali continue,
falci di luna, triangoli reticolati e una lepre. Sub-Geometrico/Arcaico
Iniziale. Presso Tebe, Grecia centrale; 700-675 a.C.; altezza del vaso 86,5
cm.»
Marija Gimbutas «Il Linguaggio
della Dea / Il Pesce», pag. 259, fig. 405.
Bes/Bas
Connesso
all’“acqua” BIZ/víz/pis/Wasser/water/voda, fonte di “vita” (bask. bizi),
e al “pesce” Fisch, fish, vis, pește, peshk è il semidio egizio Bes (Bas),
un satiro nano con i connotati di lingua
cacciata fuori e ben visibile “pene” pisello/bischero. In Egitto Bes/Bas
fungeva da spirito protettore delle madri partorienti e di quelle in stato di
puerpera. Secondo Wikipedia Bes è il «dio della musica, della danza e
del piacere sessuale». Bes/Bas fu
rappresentato spesso sui muri delle case di parto Mammisi nei
templi grandi. Bes/Bas è intimamente connesso alla sfera di vocaboli
magyar/ (h)ungheresi: fasz [fɒs] “pene”, picsa “passera, fessura,
fica”, basz- [bɒs] volg. “chiava(re), scopa(re), fotte(re)”, baszó
“chiavante, chiavatore”, baszás [bɒsa:ʃ] “(il) chiavare”; i vocaboli
assonanti bhāsà e bhasád ricorrenti in sanscr. esprimono
dei significati affini come
“luce, splendore” rispettivamente “parti del corpo protette, pudendum muliebre,
glans penis”.
Bastet
Bastet
è conosciuta come la gaia dea lunare egizia dell’amore e della gioia, felina
dea della sessualità, dei profumi, della bellezza e della danza. Il centro del
suo culto si trovava nella città di Bubastis “Dimora di Bastet”, situata nella parte sudorientale
del delta del Nilo. La gaia dea Bastet era rappresentata di solito con
capo di “gatta” (ingl. puss, pussy, ted. Pussi, rum. pisică,
la pelosa e morbida) e corpo femminile, sorridente e spesso con la lingua
cacciata fuori, come peraltro anche Bes. Come potente dea del desiderio,
della voglia, della foia, era associata a certi unguenti e pomate.
Effettivamente il suo nome deriva dalla parola-seme egizia bɛs col
significato di “vaso d’unguenti”; verosimilmente si trattava di unguenti
e pomate afrodisiache che favorivano lo stimolo sessuale. Di Bastet
Herodoto racconta:
«Se
viaggiate a Bubastis, la festa si svolge in questo modo: Una grande folla
viaggia in ogni barca/ nave. Alcune donne hanno dei sistri, con i quali fanno
chiasso, gli uomini suonano il flauto. L’altra gente canta e applaude. Se
passano davanti a un’altra città, guidano la loro nave/barca alla riva e si
comportano in questo modo: alcune donne agiscono come raccontato, altre
richiamano le donne di questa città e le punzecchiano, altre ancora danzano,
altre si alzano e sollevano le loro vesti in alto. Ciò si ripete davanti a ogni
città che si trova lungo il fiume. Quando, poi,
raggiungono Bubastis, celebrano la loro festa con grandi sacrifici. In
quest’occasione viene consumato più vino di quanto si consuma in tutto il resto
dell’anno.»
Ricca
di dettagli, questa rimarcabile relazione di Herodoto comprende pure una
informazione di particolare interesse per la nostra ricerca. Si tratta della
descrizione delle donne che «si alzano e sollevano le loro vesti in alto». Più
che un atto di euforia, il sollevamento della veste in antichità costituiva una
sacra usanza relativa alla fecondità, cioè al pesce/fish/vis. Si
conoscono, di fatti, raffigurazioni di Innana in cui la dea esegue il
«rituale del sollevamento della veste» esibendo il basso ventre e mettendo così
in bella mostra il pesce / la passera / fica / vulva: la
sacra fonte di “vita” basc. bizi, l’origine del mondo (v. il prestigioso quadro “l’origine du
monde” di G. Courbet).
In
conveniente e pertinente chiave di lettura magyar/ungherese il nome Bastet
nella variante Basztat [bɒstɒt] rivela in maniera alquanto chiara il
messaggio originario, volgare: “induce / stimola a fottere” o, espresso
in maniera decente, “stimola all’amplesso”.
Il
corteo navale festivo in onore della dea Bastet/Bastat correva
galleggiando ovviamente sul Nilo, il grande fiume ricchissimo di pesci
che da sempre da vita all’Egitto. Le sue acque avranno ospitato anche il
legendario Ossirinco, “quel grande pesce degli abissi” che ha
inghiottito il “pene” fasz cioè i genitali di Osiris/Osiride smembrato da Seth e
ricomposto magicamente da Isis/Iside. A questo punto ci conviene
richiamare alla memoria che l’abisso – da šum. AB.ZU “Padre del sapere
salito attraverso il buco dalle viscere della Terra” – è quella primordiale
fonte di sapienza e saggezza dalla quale in tempi antidiluviani fuoriuscirono
gli “uomini pesce” / i “saggi” AB.GAL per insegnare agli uomini i Me/mű,
ovvero la cultura e gli stessi principi della civiltà.
Ovviamente
il nome Ossirinco, gr. Ὀξύρυγχος
/ Oxýrrhynkhos, contiene il “pesce”;
lo contiene nella parte finale -co/kho che è equivalente alle
parole-seme šum. ḫa, aeg. xa/cha, mag. hal, finn., est. kala,
mayath. kay e tutte le altre menzionate in apertura.
Quindi:
Ossirin-co = Osirin/Osiris-ḫa/cha/hal/kala/kay
“Osiride-pesce” / “pesce (di) Osiride”.
Hallé – Balaton – Bolsena
Le
combinazioni hal-lé [hɒl-le],
hal-lötty [hɒl-løttj] significanti “brodo di pesce” e “zuppa
di pesce” (trad. lett. “pesce-liquido” e “pesce-brodo”) sono pressoché
identiche al termine hallec, soggetto della nostra indagine. Con
la forma lievemente ampliata hal-ász-lé [hɒl-as-le] viene
chiamata la deliziosa “zuppa del pescatore” condita con della saporita paprika
rossa e picante che in Ungheria/Magyarország viene cucinata, servita e mangiata
nelle località balneari sulla riva del lago Balaton, il cosiddetto mare
d’Ungheria, e ugualmente lungo ai grandi fiumi Duna/Danubio e Tisza/Tibisco; ma
praticamente ovunque dove si trova del buon “pesce” hal. Un fatto molto
interessante di cui finora, quanto io ne sappia, non si è ancora accorto
nessuno, è che in latino il lago Balaton a suo tempo fu chiamato lacus Pelso,
nome che rivela una evidente assonanza a Bolse di cui Bolsena è
forma ampliata. Intendo trattare e approfondire l’argomento in uno studio a
parte.
Il lago (di) Bolsena è un
gran bel lago pescoso ricco di pesci autoctoni come il luccio, la tinca, il
latterino, la scardola, il cefalo, la lasca, il coregone/lavarello che è il
pesce più pescato del lago, e l’anguilla. Al significato italiano di
“lago pescoso” o “peschiera” in mag. corrisponde l’espressione halas-tó [hɒlɒʃ-to:] (trad. lett. “pescoso
lago”; in ted. “Fisch-Teich / fisch-reicher Teich/See). Questa espressione ricorre anche in rumeno nella forma heleș-teu
essendo un chiaro prestito di mag. halas-tó poiché in rumeno “pesce” e
“lago” si dicono pește e lac invece di hal e tó. L’espressione corrispondente a “peschiera”,
ovvero “pescoso lago/stagno”, in rumeno
sarebbe veramente lac/iaz cu pești / iaz bogat de pești.
Il pesce senz’acqua, dolce o
salata, stagna o mossa, non può sopravvivere. Pertanto vale:
A hal a víz-ben él «Il pesce vive nell’acqua». Él
mint hal a vízben «Vive come il pesce nell’acqua».
A hal a víz-al-atti világ-ban /
tér-ben él
«Il pesce vive nel mondo / nello spazio sub-acqueo».
Az
álló hal holt/halott hal
«Il pesce che sta ritto (sulla pinna caudale) è pesce morto».
A
hal áll = halál
«Il pesce sta ritto = morte».
A hal él, hall, hallgat és meg is
hal «Il pesce vive, ode,
tace/ascolta e certamente muore anche».
Isola Bisentina & Monte Bisenzio/Visentium
“Acqua di lago” è la traduzione di
mag. tó-víz (lett. “lago-acqua”).
La parola-seme víz, risalente a šum BIZ “goccia” d’acqua, risuona
persistentemente nei due nomi volsini: isola Bisentina e monte Bisenzio/Visentium e pure in
quelli di Biscaia/Vizcaya (golfo) e Bisanzio (città) nonché in
tanti altri. Essi vengono pronunciati innumerevoli volte da tante persone senza
che loro abbiano però la minima idea di evocare ogni qualvolta l“acqua” e, come
scopriremo, ancora di più. Il fatto di ritrovare in magyar/(h)ungherese le
espressioni assonanti: víz-szint-en [vi:z-sint-ɛn] & a víz szent
hona [ɒ vi:z sɛnt honɒ] con i significati pertinenti: “sul livello
dell’acqua” & “la sacra dimora dell’acqua” penso meriti particolare
attenzione poiché pone in risalto la proprietà “parlante” dei nomi Bisentina
& Bisenzio/Visentium.
Il pozzo sacro, di cui la
Sardegna è ricca, in quanto “luogo” di connessione tra “pietra/roccia” e
“acqua”: kő – víz – hely, è origine di vita. All’interno del
monte Tabor nell’isola Bisentina si trova un pozzo
particolare, verosimilmente di fattura etrusca, denominato “malta”, che alla
base è intersecato perpendicolarmente da un corridoio sotterraneo lungo circa
45 m. Nel loro punto di intersezione si trova una circolare camera ipogea di
circa sei metri di diametro, all’interno
della quale si trova un altro pozzo di circa un metro e mezzo di diametro, attualmente
ripieno di terra, che scende più in basso e
che in origine entrava presumibilmente in contatto diretto con le acque
del lago. Comunque l’acqua qui la si trova in abbondanza
tutt’intorno all’isola, contenuta nel bacino lacustre. Il sacro
pozzo d’acqua, simbolo di vita e di verginità, rappresenta il principio
femminile per eccellenza. Ne da prova sonora l’affinità semantica constatabile
tra la voce pozzo/a e la ampia sfera di vocaboli assonanti: šum. BIZ
(Deimel Šum.-Akk. Glossar no. 36) “Wasser-Tropfen/ goccia d’acqua”, šum. PEŠ4 (Labat, s. no. 390) “essere
incinta”, “donna incinta”, “partorire”,
PEŠ (Labat, s. no. 346), val. fon. biš, piš, piša,
“figlio” (fr. “fils” [fis]), akk. biṣṣuru “vulva, utero”; ebr. pot
“vagina”; lat. puteus, ingl. pit, dan. pyt,
ol. put, alb. pus “pozzo, fossa”, it. foce, ted. v. Fotze “fica”
ass. a Pfütze “pozzanghera”, mag. víz “acqua” (finn., est.
vesi, ted. Wasser, ingl. water, russ., cec. voda “acqua”,
itt. vadar – cfr. lat. vīs “forza, potere”, basc. bizi
“vita”), v. picsa [piʧɒ] “fica”, vese
[vɛʃɛ] “rene”, pisi “piscia”, sanscr. bīja
[biʤa] “origine, fossa, buco/a, serbatoio”, picchala
[piʧala] “viscido/a”, pacya “diventare maturo, maturare”; rum. pizdă, russ. pizda,
alb. pidh, serb., cro. pička, cec. piča, bras. bocete,
ted. Fotze, svi. Futze, dan. fisse, sve. fitta,
finn. vittu, arm. pouc’, ingl pussy, bitch “passera,
potta, fica, fessa”. Questi nomi dell’organo genitale femminile considerate da
molti parlanti volgari e per questo motivo di solito sprezzati, evitati, non
hanno nulla di osceno poiché essendo derivati dalla voce onomatopeica
originaria BIZ/víz “acqua”, sono quelli più appropriati, quelli veri. Il
pozzo rappresenta quindi
l’umidità vitale del sacro grembo della grande “Madre Terra”. Detto in
parentesi, si rivela assai interessante l’equivalente magyar di “Madre Terra”
che è Föld-anya [Føld-ɒɲɒ], nome che a sua volta coincide con mexl/etr. Velt-una
(cfr. ted. Feld, ingl field, ol. veld, finn. pelto
“campo”, aisl. fold “terra, pascolo”, asass. folda “suolo”). Come
tragitto di congiunzione che concede accesso all’altro mondo, al profondo
“mondo infero” al-világ, il pozzo contiene un’“acqua” BIZ/víz
miracolosa di qualità purificatrice e guaritrice.
Delfino
/ Pito / Delphina
Fin
da tempi antichi il delfino, un cetaceo molto intelligente con una unica pinna dorsale, è considerato re dei
pesci marini. Suo principale organo motore è la pinna caudale. Il suo vistoso stile di nuoto è
contraddistinto da un movimento ondulatorio in cui arcuati salti al di sopra
delle onde si alternano con momenti di immersione nell’acqua. Branchi di
delfini erano e sono tuttora visti affiancare e
accompagnare le navi.
I delfini nuotano velocemente cavalcando le onde.
Come
attributo di Iside il delfino rappresenta(va) il potere del mare. Che il
delfino sia poi anche l’animale sacro di Apollo è rivelato dal nome Apollon
delphinios. Dalla prospettiva semantica del pozzo d’acqua è ben
comprensibile anche il senso del nome delfino, dal lat. delphinus,
a sua volta dal greco delphînos,
gen. di delphís “delfino”. Essendo il nome delphís pressocché
uguale a delphýs “utero”, il
“delfino” veniva associato al grembo materno, all’“utero”, fonte di vita (cfr.
mag. tele víz “piena/carica acqua”, tele pina [tɛlɛ pinɒ]
“(ri)piena passera”, tele picsa [tɛlɛ piʧɒ] “(ri)piena/
carica/matura fica”). In fin dei conti nel nome greco del-phýs ritroviamo
pure il nostro buon pesce/Fisch/fish/vis che vive nell’“acqua” víz/bis/pis.
Questa intima correlazione tra BIZ/víz/bis/pis “acqua / pozzo/a”
– pesce/Fisch/fish/pește – delfino / del-phýs – tele
picsa “piena fica” / “utero”
– PEŠ “figlio/fils” [fis] è manifesta nella raffigurazione di un
“bambino” a cavallo di un delfino ricorrente nell’iconografia etrusca su
sculture, vasi e affreschi.
Nella
raffigurazione sottostante il delfino lo vediamo invece come psychpompos / “accompagnatore” di
anime di guerrieri.
Il
vocabolo greco bios [vios], attualmente di inflazionistico utilizzo in
commercio nella sua forma abbreviata bio-, come sappiamo, significa
“vita”. Tralasciando il secondo fonema del dittongo -io-, cioè l’ o,
contenuto in v-io-s, che cosa ci rimane? Ovviamente: vis. Che la
“vita” bios [vi(o)s] vis
(cfr. lat. vīs “forza, potere”) equivalga alla sacra “acqua” BIZ,
víz, vesi, Wasser, voda, water, ecc. –
miracolosa prima materia presente nell’universo in tutti e tre stati di
aggregazione: solida, liquida e gasosa – non necessita di ulteriori
spiegazioni, poiché si spiega da sé. Molto interessante in magyar la rivelatrice correlazione tra le parole-seme: víz [vi:z] “acqua” – visz
[vis] “porta (via), trasporta(re), promuove(re)” – szív [si:v] “cuore,
aspira”, forma speculare di visz (visz | szív). La “vita”, in
basco bizi, che come l’“acqua” Wasser / water / voda viene e va,
viene vissuta.
Com’è
noto, la dea che profetava nel santuario oracolare di Delphi si chiamava
Pito o Delphina. Mentre all’oracolo di Eleusi a profetare erano
le Pizie; e lo facevano, guarda caso, una sola volta al mese! Ora,
essendo questi nomi forme lievemente variate di mag. picsa [piʧɒ] “passera/fessura/
fica” rispettivamente tele-pina [tɛlɛ pinɒ]
“piena/carica/matura/fertile vulva”, comprendiamo senza fatica che essi
richiamano la fonte di vita “acqua” víz/pis/bizi in cui vive il
prolifico e viscido pesce, nutrimento di base dell’essere umano da
sempre e antico simbolo di: vita – morte – resurrezione.
La
mitica serpe Pitonessa, Pito / Pythia / Pizia di Delphi
dimorava attorcigliata in una “grotta” (un pozzo) presso una “sorgente”.
Secondo la mitologia greca Pitone, figlio/a di Gea, è prodotto/a dal
“fango” della terra dopo il Diluvio Universale. Sostegno di affinità
fonosemantica offrono le voci ebraiche: bos “fango” ovvero la Terra
accogliente resa fertile dalle acque, fonte di fecondità e di crescità; bisa
“palude, acquitrino”, suolo impregnato di “acqua” víz/bis/pis; besa
“uovo”, principio di “vita”, basc. bizi, origine del mondo, l’uovo
universale: creazione – vita – resurrezione. In questo contesto è assai
interessante una scultura dell’India meridionale di una divinità femminile con
il serpente dell’energia creativa che fuoriesce dalla sua vulva/fica.
Questa arcaica associazione della serpentina fuoriuscita dalla fessa /
fessura viene convalidata in magyar/(h)ungherese dalla correlazione dei due
vocaboli “serpente” e “fuoriviene/-esce”, quasi identici: kígyó – kigyő / kidjő / kijön. Tale
realtà verbale permette la coesiva formulazione: A kígyó-erő a picsá-ból
győ/jön ki «La forza-serpente dalla fica esce/viene fuori».
Come dicevamo prima, il fatto che «Il pesce vive sotto la
superficie dell’acqua» A hal a víz-felszíne al-att él è
confermato quindi dallo stesso nome del “pesce” hal in cui è contenuto -al
“sotto”. Peraltro questo modello diciamo “a scatole cinesi” o a “bambole
matrioshka” non è un caso eccezionale in magyar/(h)ungherese ma uno che ricorre
abbastanza spesso. Di esempi ce ne sono tanti; eccone alcuni: vér
“sangue” che contiene ér “arteria/vena” (sostenuta da ár “flusso,
corrente”); kör “cerchio” che contiene sia kő “pietra” che őr
“guardiano, vigilante”; lép “calca(re), passa(re)” (sostenuta da láb
“piede”, lap “piatto, piastra, lastra,
superficie”) che contiene le “ingiù” e ép “salvo,
sano, integro, illeso, intatto”; di cui
la frase coerente e coesiva: Az ép láb le lép a lap-ra «Il salvo piede
ingiù calca sulla lastra / superficie»; oppure kép “immagine, pittura”
(lat. pic-tura, ingl. pic-ture; kép | pic), szép “bello/a”, nép
“popolo” che contengono ugualmente ép “salvo/a, integro/a” ecc. ecc.. Az
ép kép szép «L’integra immagine è bella». A szép kép ép «La bella
immagine è integra/salva». A nap-nép szép képe ép «La bella immagine del
popolo-Sole è salva/integra».
E
con al “sotto, basso” si apre la sfera del “mondo infero”: al-á
“sotto di”, al-j “fondo, fondale,
parte inferiore”, al-ul “in fondo, di sotto” (contr. fel-ül “di
sopra”), al-att “sotto”, (contr. fel-ett “sopra”), víz-al-att
“sotto l’acqua” (lett. “acqua-sotto”), al-só “inferiore” (contr. fel-ső
“superiore”), al-v-ó “dormiente”, al-sz-ik “dorme”, al-v-ás
“(il) dormire”, al-tat “fa addormenta(re)”, al-tat-ó “che fa
addormentare”, al-tat-ás “(il) far addormentare”, ál
“finto”, ál-om “sogno”, ál-mod-ó
“sognante”, ál-mod-ik “sogna(re),
al-ag-út “tunnel”, al-világ “infero” (lett. “basso-mondo”,
ted. “Unter-welt”), áll “sta (in piedi); mento”, ül “siede”, él
“vive(re), guida, taglio”, el “eliminare, via”, öl “grembo;
uccide” e pure alj-as “infame, vile”, alj-as-ság “bassezza,
infamia, viltà”.
Continua
con: Hal > Hajó = “Pesce” – “Nave”.
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