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mercoledì 11 maggio 2022

Indagine e riflessioni sul termine Hallec, una parola che già nell'antica Mesopotamia era riferita ai pesci, 2° parte Hal > Hajó “Pesce” – “Nave”. Articolo di © Zoltán Ludwig Kruse

Indagine e riflessioni sul termine Hallec, una parola che già nell'antica Mesopotamia era riferita ai pesci, 2° parte

Hal > Hajó  “Pesce” – “Nave”

Articolo di © Zoltán Ludwig Kruse

 


La rappresentazione iconografica del “pesce” hal, ben noto simbolo ichthys del cristianesimo, è costituito da due linee arcuate opposte in posizione orizzontale che sul lato destro si intersecano formando la coda: 

 


È praticamente l’immagine girata del šumero-gramma PEŠ presentato in apertura. La forma senza coda e ruotata di novanta gradi di questo simbolo è nota come vesica piscis (cfr. lat. vīs “forza, potere”, vesica “vescica”, vescī, vescor “nutrirsi, vivere di qc.”, s. tras. “godere”), la cosiddetta “mandorla” , che proviene dall’intersezione di due cerchi :

Nelle due linee arcuate di queste immagini di forma ogivale si manifesta la peculiarità essenziale del

“pesce” mag. hal che è l’“esser piegato/(in)curvato”, “pieghevolezza”, “flessibilità”. L’“esser piegato” si rivela sonoramente nelle forme raddolcite della voce hal che sono: haj [hɒj], héj [he:j], háj [ha:j] significanti “capello, pelo; guscio”, “buccia, guscio”, “pancia/pancetta suina”. In fonetica i fonemi raddolciti vengono chiamati palatalizzati. L’espressione è derivata da palato, più precisamente dalla volta palatale. Una consonante palatalizzata risulta “piegata”. Nella odierna scrittura magyar/(h)ungherese una consonante palatalizzata viene notata con l’ausilio del carattere y che risulta un digramma; così per: l > ly [j], g > gy [ɟ/gj/dj], n > ny [ɲ], t > ty [ʈ/tj]. Ma cosa succede in pratica? Succede che la realtà di corporea curvatura palatale ottiene una sua riflessione sonora. Cioè alla linea piegata corrisponde la consonante piegata, appunto, palatalizzata.

Sappiamo bene dalla nostra esperienza quanto siano “pieghevoli” i nostri capelli, in specie quando essi diventano lunghi e possono essere “intrecciati”. A riguardo sono di rilievo sia il geroglifico mono-consonantico egizio sia la runa antico (h)ungherese per il fonema h che mostrano la “treccia”, di cui la lettera H (hēt) dell’alfabeto fenicio e mexl/etrusco è forma semplificata, rettangolare. Ugualmente interessante pure la correlazione col segno zodiacale dei Pesci: . A mag. haj [hɒj] “capello, pelo; guscio, buccia” corrispondono le voci: vog. xòj, tur. kıl, atur. qyl, aingl. hēr, aated. hār, ted. Haar, ol. afr. haar, dan. nor. sve. hår, erz. čer’, isl. hár, fris. hier,  basc. ile, finn. hius “capello, pelo”.

Dalla base haj, forma palatalizzata di hal, deriva hajó. La voce hajó si rivela di straordinaria importanza per la storia della navigazione. Hajó costituisce in pratica la versione di comoda dizione del termine antico egizio haou di scomoda pronuncia. Con a hajó [ɒ hɒjo:] si dice “la nave”; e qui pensiamo ovviamente a quella nave arcaica di bella forma ricurva, arcuata che sin da tempi antichissimi dondolava sulle onde del Mediterraneo e oltre. 

Da haj derivano ovviamente una moltitudine di voci, fra l’altro: haj-t (1.), haj-l-ít “piega(re) qc.”, haj-t-ás “piegata/piegatura”, haj-ol “si piega”, haj-l-ó “piegante(si)”, haj-l-at, haj-l-ás “piegamento, incurvamento”, haj-l-ott “arcuato/piegato”, haj-l-ít-ott “piegato/a”, haj-l-ik “si piega, si incurva”, haj-l-ék “dimora” (cfr. jak. xaj “avvolgere, coprire”), haj-l-ék-ony “pieghevole, flessibile”, haj-l-ék-ony-ság “pieghevolezza, flessibilità”, haj-l-adoz-ik “dondola(re), oscilla(re), barcolla(re)”, haj-l-adoz-ó “dondolante, barcollante, oscillante”, haj-l-adoz-ás “(il) dondolare, barcollare, oscillare”.

Haj risulta peraltro anche la base e quindi la premessa indispensabile delle voci greche affini:  koílos “cavo, concavo” (superficie “piegata/curvata”), koiliá “pancia”, koiláda “valle”,  koilótita “avvallamento”, koíloma “cavità”; esse risultano voci ampliate che nel quadro del lessico greco non dispongono della indispensabile base koi. Il loro processo di graduale ampliamento agglutinato lo si trova, un’altra volta, in magyar: haj haj-ol haj-l-ó haj-l-ás haj-l-ott.

Connessa alle voci arcaiche  aeg. haou / mag. hajó “nave” è agr.  χαΐχι / chaḯchi “peschereccio”, vocabolo affine a (h)alieía “pesca”, derivata da hal, e χέλι/chéli “anguilla” – un pesce piuttosto enigmatico incredibilmente longevo che vive fino ad ottant‘anni.

Le antiche imbarcazioni kingir/šumere erano costruite di piante erbacee acquatiche ben pieghevoli come giunco, papiro o canna. Venivano adoperati rotoli di questi materiali leggeri e flessibili ben adatti ad essere piegati nella desiderata forma arcuata. A proposito sono interessanti le voci finn. kaisla “canna, giunco”, kaislikko “canna” in quanto nomi di materiali naturali elastici, quindi ben “pieghevoli” hajló e adatti per la costruzione di imbarcazioni rudimentali (v. Kontiki, Abora). Anche nelle epoche successive una antica “nave” hajó egizia, fenicia, achea, etrusca o persiana – costruita tutta in buon legno – mostrava una bella forma “arcuata/piegata” hajlott ben associabile a un “pesce” hal di grande dimensione. Essendo hajó semanticamente sostenuto da haj, sin. di héj, col significato “guscio, buccia” (cfr. ingl. hull, ted. Hülle “involucro, buccia”) si può dire che il guscio di noce con la sua perfetta forma arcuata sia in fondo un ammirevole prototipo di “nave” in miniatura: hajlott dió-héj “arcuato guscio di noce” – hajlott hajó-haj “arcuato guscio di nave”.

A proposito di “piegarsi” e “oscillare/dondolare” ecco alcuni esempi di applicazione che rivelano la unitarietà dell’espressione verbale:

A szélben a nád hajladozik  «Nel vento la canna si piega»;

A hajlott hajó a hullámokon hajladozik «La incurvata nave sulle onde dondola».

A hajlott hajó-test a le-fel hajló hullámokon ide-oda hajladozik

«L’arcuato corpo di nave dondola qua e là sulle onde piegantesi su e giù».

         


Il corpo di “nave” hajó è idrodinamico; in fondo esso imita il corpo affusolato e slanciato di “pesce” hal, ricoperto di scaglie “arcuate” hajlott. Questa affinità formale ottiene la sua sonora riflessione verbale nelle voci: hal > hajóHajó, di cui il diminutivo hajóka/sajka “navicella” (in mag. siculo hajk/halk vale “tronco d’albero scavato”), trova riscontri in: tur. kayık, kájďk, ciag. kajďk, kájuk, esk. kayiği/kayaği, finn. kajakki, cin. céu, it. caiàco, alb. kajak, rum. caiac, ted. Kajak, ingl. ol. spa. kayak, hind. nep. mar. jahāj (f. anagrammata di kayak), beng. punj. jahāz, maori kaipuke, lao hyya, kaz. ukr. chayka, pol. czajka, serb. slov. šajka, pers. shaiqa, mong. dzaja, manciù dsaja ecc. “navicella, chiatta, barca” e pure galea, galeone, galeotta, galeazza, galera, gen. garea, ted. Galeere, ingl. galley. Quest’ultime essendo affini alla voce gr. γαλέoς / galéos “squalo” (ted. Hai, finn. est. hai, lat. squalus, it. squalo, russ. akúla, sve. dan. haj, nor. hai, lett. haizivs) – poiché la forma di questo tipo di navi richiamava la forma di tale pesce – rivelano una chiara correlazione a mag. hal “pesce” e hajó “nave”, gálya – hajó [ga:jɒ hɒjo:] “nave galea”. Affini a galea sono anche le voci:: galla, stare a galla, galleggiare, galleggiante, galleggiamento, galleggiabilità, calafato, calafatare, calafataggio ecc.. Il galleggiamento, cioè la galleggiabilità  della galea dipendeva sempre dal buon calafataggio cioè dall’impermeabilizzazione dell’imbarcazione lignea eseguito dal mastro calafato. Nelle voci gr. charávi, lat. carabus, russ. korabl‘, bulg. korab, rum. corabie, spa. carabela, fr. caravelle ecc. rinveniamo forme ampliate di hal con liquida alternata (l / r). Alla fonte  hal > haj > hajó risalgono pure le voci ted. Holk, Hulk, ingl. hulk, fr. houlque “nave da carico”.  Constatiamo con facilità che la radice gal-/cal-, che fiorentini e senesi abituati alla gorgia toscana pronuceranno sempre [hal], per il vocabolario nautico si rivela indispensabile. L’“incurvamento” hajlás (cfr. gr. koílos “con-cavo”), che è caratteristica tipica di “pesce” hal e  “nave” hajó, si rivela poi determinante ugualmente per il significato delle voci lat. galea,  got. hilms, ingl. helm, ted. Helm, sve. hjälm, it. (h)elmo, gr. kranos. Parliamo ovviamente del copricapo ovvero del “guscio/involucro” haj/héj in cuoio o metallo di forma ben arcuata, specie il noto (h)elmo chiomato che fu noto emblema degli Achei, atto a proteggere la testa del portatore durante gli scontri.

Dalla stessa base hal > haj di cui haj-ó, deriva anche il verbo haj-t (2.) “spinge(re), muove(re); piega(re); spunta(re)”, di cui haj-t-ó “muovente, spingente, spuntante; piegante”, haj-t-ás “propulsione; piegamento; pollone”, haj-t-ó-erő “forza motrice”, haj-t-ó-mű “impianto propulsore” – Detto fra parentesi, a proposito di hajt, hajtó appare di rilievo il toponimo Haithabu, anor. Heiðabỳr (da ted. Heide, aated. heida, ol. heide, ingl. heath “erica”, “terreno selvaggio verdeggiante; paesaggio boscoso”, bỳr/bùr “fattoria”), nome di una importante colonia dei grandi costruttori di navi e navigatori Vichinghi nella Danimarca (IX sec.) – Affini a questa rete di vocaboli magyar/hungari risulta la seguente rete di voci del lessico finnico: kala “il pesce”, kalahaavi “la rete di pesca”, kalanpyynti “la pesca”, kalastaa “pescare”, kalastaja “il pescatore”, kalastus “il pescare”, kalastusalus “il peschereccio”; kulkea “muoversi, migrare, passare, partire”, kuljettaa “trasportare, spedire, promuovere”, kuljetus “il trasporto, la spedizione, il carico”, kulku “il tragitto, il percorso, il viaggio, la corsa, la circolazione”, kulkuneuvo “mezzo di circolazione, mezzo di spedizione”, kulkuväline “il veicolo, il mezzo di trasporto”; ajo, ajelu “corsa, tragitto, viaggiare, trasportare”, ajaa “viaggiare/partire, condurre, guidare, spingere, cacciare” (in est. aja(ma), ajautua “incitare, azionare, essere spinto”, ajella “girovagare”, ajokki “il veicolo”). Vengono a completare questo quadro lessicale le voci: kellua  “dondolare, fluttuare”, kelluke “il galleggiante, la boa, il gavitello”, kellunta “il corso, il nuotare, il fluttuare”, kelluva “corrente, fluttuante, galleggiante”; e huojua “dondolare, oscillare,” heilua “oscillare”, hailahta “oscillare, brandire, voltare”, heilua, heiluttaa “oscillare, muoversi (di qua e di là), dondolare, barcollare” . Esse rivelano una ovvia affinità alla dondolante, fluttuante, galleggiante, girovagante “nave”.

Per “nave” in finnico troviamo le varie voci laivahaaksi / dial. haahti, alus, pursi; mentre vene significa “barca”. Tra queste quelle che mostrano una certa somiglianza a mag. hajó sono haaksi / haahti e alus.  La voce haaksi / haahti ha la base haa- che rivela una netta coincidenza con šum.  ḫa e aeg. xa/cha “pesce”, notazioni fonetiche di hal che tralasciano la l in finale di parola. Inoltre haaksi, affine a kajakki, potrebbe costituire pure una forma contratta di haiaksi / haiahti. Mentre alus con i significati “nave, barca, veicolo, nave spaziale; sottofondo, supporto, sottovaso, sottotelaio” – con la vasta sfera di voci affini alussa “da principio, all’inizio, all’origine”, alta “da sotto/basso”, allas “bacino, avvallamento”, alla “al di sotto di”, alku “inizio, origine, fondo, fondamento”, alempi “sotto, sottostante”, aleta “sprofondare, calare, affondare, abbassarsi, inabissare” – rivela una evidente correlazione alla vastissima, già nominata,  rete di voci del lessico magyar: al- “sotto”, alj “fondo”, áll “sta ritto; mento”, alul “di sotto, in basso”, alsó “inferiore, scalo”, le “ingiù”, “liquido/fluido” (forme speculari variate di al) ecc..

In questo ambito lessicale la affinità fra le lingue (h)ungherese – finnico – estone si rivela in modo alquanto evidente. Eccone la prova che la traduzione della frase «Il pesce vivo nuota sotto l’acqua» nelle tre lingue offre: Eleven hal úszik a víz alatt. Elävä kala ui veden alla. Elav kala ujub vee all.

I tre lessici condividono evidentemente la stessa base al, contenuta in hal, kala “pesce”. La parte “bassa, sottostante, inferiore”, cioè il “fondo” alsó , fenék (> csónak “barca”) è ovviamente quella essenziale, fondamentale per il galleggiamento e lo slittamento sull’acqua del “guscio di nave” hajó-haj/héj  e quindi per la navigazione, sia fluviale sia marina. È  anche la parte che comprende la chiglia, ted. Kiel (anche toponimo), ingl. keel, russ. kil, sve. köll, spa. quilla, fr. quille, pol. kìl ecc., parte che costituisce in pratica la “inarcuata” hajlott colonna vertebrale dello scafo. Ed è soprattutto quella parte fondamentale che contiene la stiva, situata sotto il ponte, spazio destinato allo stoccaggio del carico sia commerciale che ad uso dell’equipaggio, rendendo la “nave” hajó un mezzo di trasporto utilissimo.

Altre voci affini appartenenti alla sfera nautica risalenti alla base haa/haj-hajó sono: ted. Kajüte, sve. kajuta, ol. kajuit, ukr. kayuta naut. “cabina/camerino/ alloggio” del capitano di vascello ; ted. Koje, ol. kooi, sve. koj, est. koi, dan. køje, russ. kojka naut. “cuccetta” (cfr. mag. hely – héj/haj – hajlék “luogo/posto – guscio – alloggio”), Kai naut. “banchina, molo” per l’ormeggio di navi.

Come abbiamo spiegato già in precedenza, la variazione semantica da “pesce” a “nave” in magyar/ (h)ungherese risulta realizzata coerentemente tramite la variazione fonemica hal > haj → hajó, Diversa è la situazione nelle lingue germaniche; in queste lingue la stretta affinità semantica tra “pesce” e “nave” viene espressa tramite il mezzo dell’inversione:

Fisch | Schiff, sve. fisk | skepp, ol. vis | skip, nor. fisk | skip, ingl. fish | ship  “pesce” – “nave”. 

Hajó – A hajó – Αχαΐα/Achaia – Haou Nebout

Il fatto che la voce mag. a hajó “la nave” si rivela identica al coronimo Αχαΐα/Achaia, di cui l’etnonimo Achaioi/Achei, ci fa comprendere che abbiamo a che fare con una voce arcaica di straordinaria rilevanza. Com’è noto con Achei / Achaioi (agr. Ἀχαι(ϝ)οί, Akhai(w)òi) fu denominata la antica tribù preellenica di “navigatori” in Thessalia che sotto la pressione della invasione dei Dori fu spinta nella omonima regione Achaia del Peloponneso settentrionale. Dalla voce a hajó “la nave” derivano coerentemente gli sviluppi a hajó-s “il marinaio/navigatore; marinaresco, navale/nautico”, hajó-z “naviga”, hajó-z-ó “navigante”, hajó-z-ás “navigazione/nautica”, a hajó-s-ok “i navigatori”, a hajó-val “con la nave”.

 

«Il ruolo degli Achei nello scacchiere politico del Mediterraneo orientale era di sicuro di fondamentale importanza. Si parla di loro nei documenti ittiti, dove vengono chiamati Aḫḫiyawa, ed egiziani (Ekwesh) della seconda metà II millennio a.C.. Verso il 1450 a.C., il potere acheo, tramite spedizioni militari ed imprese piratesche, riuscì ad abbattere la civiltà minoica a Creta. Inoltre, gli Achei si espansero verso le Cicladi meridionali, Rodi, Cipro e le coste dell’Asia Minore. Nel XIII secolo a.C. si aprirono la strada verso il Mar Nero con una spedizione militare contro la città di Troia.» (Wikipedia: Achei)

Qui sorge la decisiva domanda: Quale fu il mezzo indispensabile che a questa gente chiamata Achei ha permesso di compiere tali espansioni di imprese piratesche e militari? La risposta è piuttosto semplice e chiara: fu “la nave” a hajó . È proprio “con la nave” a hajó-val che loro sono riusciti a eseguirle. Pertanto l’etnonimo Aḫḫiyawa/Achei si rivela essere un “nome parlante” che parla da sé.

La coppia di toponimo-etnonimo Achea – Achaios/Achei Αχαΐα/Achaia (agr. Ἀχαι(ϝ)οί, Akhai(w)òi; ted. Achaia/Achaea, Achaier/Achäer) – corrispondente a mag. a hajó – a hajós “la nave – il navigatore (pl. a hajósok “i navigatori”) – viene completata appropriatamente dalla coppia Hellas – Helleni, alla quale in mag. corrisponde: hal-as [hɒlɒʃ] / hal-ász [hɒla:s] – hal-hon-i [hɒlhoni] “pescoso / pescatore – (abitante) del paese dei pesci”. Hellas / Eλλάς / Ellas è il nome della antica regione sita nella parte sudorientale della Thessalia, abitata, appunto, dai Helleni / Ellenni, ed è per conseguenza il nome della Grecia moderna.

In antichità le acque del mar Egeo, cioè quelle tra Hellas e Aeolia & Ionia situate sulla costa occidentale dell’Asia Minore, devono esser state assai pescose dato il senso “pescoso” della voce halas – forma aggettivale della parola-seme originaria hal significante “pesce” – con cui la denominazione Hellas è pressoché identica. Hal e halas [hɒlɒʃ] vengono completate per coerenza dalle voci háló [ha:lo:] “rete”, hálós “munito di rete”, halász [hɒla:s] “pescatore” (in agr. ἁλιεύς / halieus), halászat [hɒla:sɒt] “pesca”.  La forma attuale greca (e italiana e francese) di Hellas è Ellas che risulta tramite la perdita della iniziale fricativa glottidale h.

Ecco a proposito un adeguato esempio di applicazione in espressione verbale unitaria:

A halhoni halászok hajóikon Hellas halas vizeiben hálóikkal halásztak. «I pescatori del paese dei pesci sulle loro navi nelle pescose acque di Hellas con le loro reti pescavano.»

A questo punto della nostra indagine dedichiamo una breve considerazione al termine egizio Haou Nebout che nella versione raccorciata  Honebu è il nome dell’Associazione Culturale cagliaritana e di questo suo sito web. Dai testi sacri dell’antico Egitto si apprende che in origine Haou Nebout fungeva da toponimo/nesonimo (nome riferito a delle isole) – in seguito poi anche da etnonimo. Prevale comunque la convinzione che in una lingua comune molto antica egeo-mediterranea (-lidia/meionia-pontica-danubiana) il termine Haou Nebout abbia espresso il significato “Popoli del Mare” (v. «Haou Nebout, i Popoli del Mare», di Widmer Berni e Antonella Chiappelli). Tale formulazione risulta, tuttavia, generalizzante poiché tralascia l’elemento chiave che è la “nave” e di conseguenza la “navigazione”. In realtà questi popoli erano esperti “navigatori” di mari e di fiumi.

Nonostante la complessità della dimensione scritturale geroglifica del termine Haou-Nebout (v. lo studio Les Haou-Nebout di Jean Vercoutter), la sua essenza consta nella sonorità. Giacché la funzione di tutte le scritture dell’umanità è in fondo quella di trasmettere la parlata sonorità verbale. In pratica la scrittura conferisce alla fugace sonorità verbale estensione e quindi continuità, spaziale e temporale, che di per sé risulta una acquisizione culturale di stragrande rilievo. Tuttavia la scrittura svolge una funzione subordinata alla sonorità verbale, destinata, appunto, a trasmettere, a tramandare il linguaggio parlato. Che la attuale resa scritturale Haou-Nebout rifletta in maniera precisa la sonorità originaria dell’antico termine è poco probabile. Presumibilmente si tratta di una sua forma approssimativa. Partendo da questa congettura la lettura del termine in chiave magyar risulta conveniente poiché assai rivelatrice. Gli ingredienti essenziali sono facilmente rilevabili: Haou / hajóhajóu (forma dialettale) “nave, imbarcazione”,  Neb-out / nép “popolo, gente” – út “via, viaggio, percorso”. Da hajó “nave”, a capo del termine, deriva hajós “navigatore, marinaio”; mentre il plurale di nép  è népek. Dalla loro combinazione risultano: hajós nép-út [hɒjo:ʃ ne:p-u:t] “percorso (del) popolo navigatore”, hajós nap-út [hɒjo:ʃ nɒp-u:t] “percorso solare navale” e hajós-népek [hɒjo:ʃ-ne:pɛk] “popoli navigatori”.

Sostegno fonosemantico a Nebout offrono le voci: aeg. neb  “ognuno/a, tutti/e” (ted. “jeder, jede, alle”) sinonimo di “gente, popolo”; nub  “dorato” (ted. “golden”) in chiara correlazione con šum. nap, nab “stella”, “brillare, apparire” (Labat s. no. 129 e 366), mag. nap “Sole, giorno” sonoramente connessa alle variazioni nép “popolo, gente”, név “nome” e nem “genere, stirpe” (di cui nem-z “procrea(re)”, nem-z-et “nazione”, nép-es “popoloso” – nem-es “nobile” – nev-es “rinomato, famoso”).

Ovviamente questi messaggi pertinenti che la lettura del termine Haou Nebout in chiave magyar ci permette vengono ad arricchire le ampie e dettagliate conoscenze già a nostra disposizione. Essi sono preziosi poiché offrono un appoggio sostanziale, concreto, utile alla comprensione del termine antico Haou Nebout:  “nave/imbarcazione” – “Sole” – “popolo/stirpe/nome” – “percorso/viaggio”.   

Un pensiero ancora sull’isola, “dimora” hajlék di esseri viventi: minerali, vegetali, animali, umani e pure di spiriti. Riflettendoci rinveniamo che tra “nave” e “isola” consiste una certa comunanza: tutte e due sono corpi circondati di “acqua” víz. La “nave” hajó, ovvia replica di “pesce” hal, è una elaborata “corteccia” haj/héj che galleggia e nuota realmente. Mentre l’isola, quella di contenuta dimensione come la Bisentina e la Martana del lago (di) Bolsena o quella di Giglio dell’arcipelago tirrenico, appare all’osservatore come una gigantesca nave che sembra galleggiare, ma non nuotare. In questo contesto sono interessanti pure le poco appariscenti “isolette galleggianti” di canna tortora degli indio Uras nel lago Titicaca che galleggiano come delle zattere sulla superficie lacustre.

 

La Barca/Nave Solare

 

Com’è noto la religione egizia fu essenzialmente solare essendo intimamente connessa al veicolo nautico di nave. La famosa “barca solare di Cheope” con la sua imponente lunghezza di 44 m e larghezza di 6 m, tutt’altro che barca, dimostra essere una vera nave. Una nave risultante dall’ assemblaggio di 1224 pezzi che venivano praticamente cuciti con del cordame intrecciato Secondo la credenza degli antichi egizi il dio Sole Ra viaggiava di giorno sopra una nave/barca chiamata Mandet attraversando il cielo diurno da oriente a occidente in dodici ore. Il viaggio nel mondo sotterraneo dell’ovest attraverso le acque del cielo inferiore dell’Amduat (cfr. mag. Odaát “là-oltre”), che durava anch’esso dodici ore, avveniva invece con la nave Mesketet.

Rinvenire la intrinseca correlazione esistente tra l’astro Sole e la nave/barca (www.venetostoria.com  v. «significato e origine della barca solare»), in tempi antichi per tutti quanti cosa familiare, è affare facile. Occorre però superare l’informazione offerta dai dizionari etimologici tradizionali relativa all’origine della voce nave secondo la quale:

«Nave è dal latino navis, di origine indoeuropea e antichissima, da una forma originaria nau, ampiamente attestata». 

Oltre a questa informazione ingannevole si trova la chiara fonte d’origine costituita dall’arcaica parola-seme šum. nap/nab “stella, Sole” (MUL, val. fon. nap, nab, Labat s. no. 129), akk. nābaṭu “brillare” – alla quale coincide perfettamente mag. nap “Sole/stella; giorno” – di cui sanskr. nabhah “labaro celeste, il Sole”, nábhi “mozzo/centro,  Sole”, pers. naf ombelico”, finn. napaombelico, centro, mozzo”, ted. Nabe, Nabel “mozzo”, “ombelico“, Napf “gamella”, Noppe “nodo”, ol. naaf, ingl. nave, sve. nav “mozzo, centro”, apruss. nabis “ombelico, mozzo” ecc. (nab > anb > amb > omb > umb). Com’è noto, la definizione di corso e di posizione di una nave in antichità veniva ottenuta con l’aiuto dei splendenti astri/umbi/centri celesti: “Sole” nap, Luna, “stelle” e costellazioni (v. “il disco di Nebra”). Quindi dicendo navigare si esprime in fondo tuttora qualcosa come “soleggiare/stelleggiare”, nel senso di orientarsi al “Sole” nap, alla Luna e alle “stelle” (http://www.ilpuntosulmistero.it/epifania-sonoro-messaggio-di-zoltan-ludwig-kruse/ ).

Per comprendere la relazione che persiste tra MUL e nap/nab (presenti nel s. no. 129 di Labat) sono utili alcuni esempi di applicazione: mag. múl-ik “passa, decorre, trascorre, transita”, múl-ó “che passa, decorre, trascorre, transita; transitante, transitorio”, mul-and-ó “effimero”, mul-and-ó-ság “fugacità, transitorietà”. A múló nap “il transitante / passante Sole/giorno”. Múl-ik a nap “Trascorre il Sole/giorno”. E quindi: Múl-nak a nap-ok “Trascorrono i giorni”. Múl-ik az idő “Trascorre il tempo” (v. Effemeridi).

Nap – Út  “Sole – Percorso / Percorso Solare”

Soffermandoci ancora per un attimo sulle due parole-seme arcaiche nap e út ecco alcuni nomi magyar/(h)ungari appropriati per il dio astro Sole nap/nab: Út-Ur-a “Signore del Percorso” diurno-notturno, Öt-Ur-a “Signore del Cinque”, Öt-ös Ut-as / Ut-az-ó (cfr. Odisseo) “Viaggiatore Cinque”. Nella sua rappresentazione simbolica di brillante umbo/centro che avanza nello spazio celeste vorticando esso è ammirabile sul “Gioco reale di Ur” (http://www.heredia.it/2020/12/06/il-gioco-reale-di-ur/). Voci equivalenti a mag. út “via, viaggio, percorso, strada” sono: sanscr. itā (“via, percorso, marcia”), iti (“andamento, corso”), est. tee, finn. tie (“via, strada, sentiero”), chin. dào/tao, giapp. do, alb. udhē; risultano lievemente allargate: gr. odós (affine a mag. utas “viaggiatore”),  lat. iter (“viaggio, marcia, gita, tragitto”), uter (“tubo”), it. iter, itinerario, itinerante, utero ecc.. tutte quante risalenti  a šum. ᵈ UTU (Labat s. no. 381), val. fon. ud, ut, tú, par, pir, “Sole, dio Šamaš” e ITI, ITU (Labat s. no. 52) “mese”, “luna nuova”, “mensilmente” (a proposito cfr. il sistema di parole-seme: mag. út “via/viaggio/percorso” – öt “cinque” – át “attraverso” – itt “qui” – ott “lì” – ide “qua” – oda “là” – idő “tempo”). In tutta questa schiera di voci l’efficacia della realtà d’articolazione della dentale t che evoca l’attacco con cui inizia ogni percorso di viaggio, sia celeste che terrestre, è facilmente constatabile.  

Nap – Út “Percorso Solare” è chiara fonte d’origine del termine naut-ica: nap-út > nav-út > naut. Il termine allargato Argo-nauta risulta a sua volta dalla combinazione di Öreg/Örök con Nap-Út “Vecchio/eterno Solare-Percorso” (cfr. Uruk/Erech la “vecchia/eterna” città di Ki.En.Gi/Šumer; Urga antico nome di Ulan-Bator, capitale della Mongolia). Öreg svi. da őr “guardiano, vigilante” e  úr “Signore, sovrano” (coincide con šum. URI2 la città di Ur, URU3 “proteggere, vigilare” e aeg. iri “guardiano, protettore”, iri-aa “guardiano della porta”) e contenente erő “forza, potere”, ricorre in gr. archi “arci-, principale, primo, capo”, di cui archaíos “vecchio/antico”, archikós “primordiale”, archaikós “arcaico”, archaiología “archeologia” cioè “lo studio delle cose vecchie/antiche”. A proposito ecco un adeguato reperto archeologico sonoro:

Öreg őrök örök erők erős urai «Vechi guardiani (sono) potenti sovrani di eterne forze”.

Il “Sole” nap/nab dispensatrice di luce e di vita è onnipresente. Il raggiante umbo nap/nab “Sole” è la premessa fondamentale per l’esistenza della vita sul pianeta Terra e quindi, insieme ai sistemi di soli, di costellazioni, pure per l’esistenza di navis/nave, vene (nap/nab  > naf  > nav/nau), per l’esistenza di popoli navigatori e di navigazione, di nautica. Ed ecco la differenziazione semantica di nap che si realizza tramite il creativo gioco fonemico:

nap | pan > fény  “Sole/giorno” - “luce”, fennfenni/fenti “in alto – di sopra”, vén “stravecchia/o”, van “esiste, persiste, c’è”, vonvonó “traina(re) – trainante; archetto”, vonzvonzó – vonzás “attira(re) – attraente – attrazione”. Fenni è l’adeguato nome latino di “Lapponia”, il paese del sole di mezzanotte e dell’aurora boreale situato nell’“alto” nord; a mag. fenni “di sopra” (lat. “supernus”, ingl. “above, on high”, russ. “neverxú”, belar. “navjérsje”, ted. “obenseiend”, fr. “au-dessus” ecc.) corrisponde la voce  gr. páno. A vén nap-fény fenn van «La stravecchia luce solare in alto persiste».

                                               

A proposito di vene “barca”

La voce finn. vene “barca, imbarcazione” risulta assonante e affine a lat. veniō/venire, it. venire, fr. venir, gr. baíno [vjeno], rum. veni, alb. vjen, venire/giungere, arrivare al  traguardo, “recarsi, muoversi, spostarsi da un luogo all’altro”; in senso generico “venire-andare”, ovvero “viaggio, transito”, essendo ciò finalità e destinazione del veicolo acquatico “barca”. Queste voci risalgono a šum. DU, GIN (Labat s. no. 206) “andare, muoversi, andarsene”, MÈN “sorta di tamburo” (verosimilmente uno tubolare utilizzato durante le marce) con cui coincidono mag. gyön/jönmén “viene – va” / “venire – andare” (cfr. finn. juna “treno”). La voce affine lat. it. vena sta a significare “vaso sanguigno, arteria, arteria radiale (ted. Pulsader)” più precisamente “la via di circolazione / transito del sangue dalla periferia al cuore”. È facile rinvenire la relazione di gioco di permutazione e variazione che consiste tra le voci: nave – vena > vene. Il loro denominatore comune semantico è, appunto, il “transitare / trasportare / spostarsi / recarsi /  viaggiare da un luogo all’altro”. Interessante a riguardo in finnico la combinazione: vene – tie “barca – strada/percorso” (vene-tie per met. neve-tie > nev-it > nav-ut / nau-ut) che risulta assonante e semanticamente affine al coronimo e al poleonimo Venetiae/Veneto & Venezia.

Il concetto di venire è intimamente connesso all’appellativo sardo Jana/Djana/Ba-jana (cfr. mag. be-jön ő, jó nő, jó anya “indentro-viene / raggiunge lei”, “buona donna”, “buona madre”; http://www.ilpuntosulmistero.it/sardegna-il-segreto-delle-domus-de-janas/ ), alla dea etr. Uni, rom. Iuno/Juno, Giunone associata con Hera, dea protettrice dei navigatori; e ovviamente a Yoni it. va-gina (šum. BA.GIN; mag. be-gyön/djön/jön “indentro-viene”) di cui gineco-, genesi, generare, genitrice, origine, ori-gin (cfr. mag. elő-gyön/jön “inavanti/infuori-viene”). Pertanto Venus / (mag. Fényes “splendente, lucente”, Pinás “munita di vulva”) Venere può essere letta anche: Venèrevenire, ovvero giungere all’orgasmo / raggiungere l’orgasmo. 

Venezia, conosciuta come “la Serenissima”, è città ricca d’oro, di “splendente” oro. Lo dimostra tra l’altro anche il Gran Teatro La Fenice il cui interno splende di lustro dorato. L’uccello di fuoco Fenice (in aeg. Bennu / gr. Phoînix / lat. Phoenix) con il piumaggio dal colore “splendido” mag. fényes, il collo color d’oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, le ali in parte d’oro e in parte di porpora – i stessi colori della Bandiera della città di Venezia munita di leone alato con libro aperto – è rappresentato solitamente con l’emblema del disco solare. Rinascendo dalle proprie ceneri, come il Sole risorge dalle tenebre, la Fenice vince.

A nap-út vén út «Il percorso solare è stravecchio percorso».

A vén út fény-út, vonó - vonzó nap-fény-út

«Lo stravecchio percorso è percorso di luce, trainante - attraente percorso di luce solare».

Alla voce finn. vene corrisponde mag. csónak “barca”, da fen “affilare, sdrusciare; far scivolare, slittare”, fen-ék fon-do” lat. fun-dus, variazione vocalica alta di fon-ák “retro, rovescio” in quanto il lato di “fondo” risulta il “retro/rovescio” di quello di sopra; quindi: fen / fon > csón; ovvia l’affinità con ingl. scoon “lasciar scivolare pietre sull’acqua” / “scivolare lungo una superficie come una nave sull’acqua”. La voce mag. csónak [ʧo:nɒk] “barca” trova riscontri in: pol. czólno, ted. Tsinackel, tur. černik, russ. čeln, čelnok, slav. člomek, člunak, ecc..

La stessa base csón- di csón-ak è riscontrabile in forme variate in una moltitudine di voci affini tra le quali: it. canoa, gondola, dan. ol. nor. kano, ingl. canoe, finn. kanootti, fra. canoë, spa. kanoe, ted. Kanu, Kahn, Gondel, lit. kanoe, pol., serb., sloven., kanu, russ. kanoè; finn. kuunari, est. kuunar, gr. skoúna, isl. skounorta, it. scuna, scuner, schooner, lett. šoneris, russ. šchuna, sve. skonert, skonare, serb. škuna, pol. szkuner; it. giunca, da mal. djung “nave grande”, pers. ciung, dsung, ingl. junk, fr. jonque, russ. pol. džonka, sve. djonk, ted. Dschunke/Dschonke ecc.. Fonte d’origine di tutte queste voci è šum. GAN, val. fon. gan, kan (Labat s. n. 143) “giara”, l’archetipo del “contenitore” (vuoto, lat. “vanus”, it. “vano”, “vaso, vascello”; v. le barche rudimentali di pelle / di corteccia & i nomi volgari di vagina: fr. con, spa. coño, port. cona, ingl. cunt, cec. kunda ecc.).

La base fen (csón-ak fen-ék “fondo di barca”), nella variazione pin, la ritroviamo invece in voci come per esempio: it pinaccia, fr. pinasse, ingl. pinnace, ol. pinas, ted. Pinasse, spa. pinaza ecc..

Com’è evincibile, le voci finn. est. vene, veneh “barca” rivelano una netta correlazione alla rete di voci mag.: fen “sdruscia(re), far scivolare”, fen-ék “fondo”, fen-ek-es “munito/a di fondo”, csón-ak “barca”, csón-ak-ás “barcaiolo”, von “traina(re), tira(re)”, von-z “attira(re)”, von-z-ó-erő “forza di attrazione”, von-ó “trainante, trascinante; archetto”, von-ul “migra(re), passa(re), transita(re)”, von-ul-ás “migrazione, transito”, von-at “treno” (cfr. finn. juna), von-al “linea, tratto, percorso”, von-ás “tratto, lineamento”, von-at-koz-ás “relazione, rapporto”, von-tat “traina(re)”, von-tat-ó “trainante”, von-tat-ás “traino” ecc..

A hajós halászok jó halat halásznak «I navigatori/marinai pescatori (del) buon pesce pescano».

A halból majd egy jó halászlevet főznek «Dal pesce poi cucinano una buona zuppa del pescatore».

E con la contemplazione di questi sovrastanti reperti archeologici audiovisivi concludiamo la nostra escursione nel mondo del “pesce” e della “nave”, di ampie risonanze, che quel frammento di anfora poco appariscente nel museo di Bolsena con iscrizione dipinta in rosso recante la scritta hallec nella mia memoria ha suscitato.

 

 

 

 

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