Archeologia della Sardegna: Il “Fallo” divino di Gremanu e Romanzesu
Articolo di Gustavo Bernardino
Un recente lavoro di Antonangelo Liori “Religione e sesso nella Sardegna antica” Edizioni Abbà maggio 2020, mi consente di tornare su un tema trattato in un articolo del 28/03/2018 “Una possibile interpretazione del culto dell'acqua in Sardegna ed il ruolo dei santuari di Romanzesu e S.Vittoria di Serri”; in entrambi gli elaborati infatti, tra i diversi argomenti considerati, vengono esaminati e interpretati alcuni manufatti appartenenti al periodo nuragico e intimamente connessi alla sfera del sacro. Mi riferisco in particolare al bronzetto di Ittiri “Suonatore di launeddas itifallico” ed i “Templi” di Gremanu e Romanzesu. L'autore di Desulo, nella sua opera ricca di citazioni e rimandi a testi classici, spinge il suo pensiero nei meandri della spiritualità e della sacralità che sono gli elementi fondanti che avevano ispirato e guidato il pensiero dei nostri avi nell'affrontare la costruzione dei
predetti manufatti e ammalia il lettore che si incammina nelle 143 pagine del volume. Temi delicati da trattare col massimo rispetto ed infatti la presentazione della sua opera, Liori la affida ad un esponente della Chiesa ed esperto della materia peraltro, come da lui stesso affermato, suo “caro e fraterno amico” don Roberto Caria.Del bronzetto itifallico viene fatta una lettura dettagliata che aggiunge qualche elemento a quanto scrissi nell'articolo del 2018. Per esempio le “occhiaie”, come vengono definite da Liori le cavità oculari presenti nel viso del suonatore, erano sfuggite alla mia analisi ma ora questo particolare da maggior credito a ciò che dissi nel 2018 relativamente alla ipotesi che i nuragici avessero adottato nel loro pantheon una divinità maschile omologa a quella egizia MIN “..Nel “bronzetto di Ittiri”, questo dio viene invece modellato dall'artigiano fonditore, con tre distinti elementi significativi che consentono una lettura più attenta ed esaustiva del potere attribuitogli, per cui era ritenuto il “Dio Padre” al pari della divinità ben nota in campo femminile “ Dea Madre”.
I tre elementi sono:
1) Suona
uno strumento (launeddas);
2) Ha il
seno pronunciato;
3) Ha il
fallo eretto.
Il secondo elemento mi spinge a riflettere sul perché
l'artigiano abbia sentito il bisogno di evidenziare il seno in un corpo
maschile.
Si può ipotizzare che l'elemento serve a far capire che
il “Dio Padre” ha la capacità di generare, ovvero dare la vita come la donna.
Questa infatti, attraverso il parto che avviene con la rottura del sacco
amniotico, consente al feto di nascere dall'acqua sacra portata nel grembo.
Allo stesso modo l'uomo genera la vita attraverso il
liquido seminale, quindi anche in questo caso acqua sacra. Il seno pertanto
indica la funzione generativa uguale a quella della donna; nel bronzetto appare un seno poco pronunciato non adatto
quindi all'allattamento mentre la donna ha la capacità di alimentare la
creatura mediante il latte materno.
Il terzo elemento, il fallo eretto, sta a significare
l'organo maschile al massimo della potenza, quindi nel momento in cui avviene
la comunione tra spirito e corpo che precede il getto del seme che genera la
vita.
Per quanto attiene all'ultimo elemento, la mia ipotesi è
che il suono delle ”launeddas”, forse produceva un effetto psicotico e quindi
poteva aiutare a compiere il rito dedicato al Dio”.
L'ultimo periodo del pensiero “...produceva un effetto
psicotico” secondo me è una ipotesi avvalorata dalla osservazione emersa e cioè
dalle “occhiaie” evidenziate da Liori. Le occhiaie sarebbero quindi la conseguenza
dell'effetto psicotico prodotto dal suono delle launeddas e rimarcato in
maniera molto evidente dall'artigiano fonditore che, ricordiamo, eseguiva l'opera dietro precise istruzioni del
committente che, in questo caso, possiamo immaginare come il sacerdote
responsabile del rito. Con la tesi proposta nell'articolo del 2018, avanzavo
l'idea che nel santuario di Romanzesu si svolgesse appunto un rito e
scrivevo:”...Il rito forse, era eseguito da giovani fanciulle giunte alla
soglia della fertilità, e giovani del sesso opposto, che si accoppiavano sotto
l'imperversare del ritmo frenetico delle launeddas dopo aver invocato il “Ka”
lo spirito della divinità e quindi, probabilmente, esclamando Min Ka che
risulterebbe pertanto, l'espressione più antica della nostra isola, ancora in
uso; oppure mediante l'assunzione di droghe come ipotizzato da Adriana
Belluccio in “Discussioni in Egyptology 31/1995 pag. 30,31, in cui l'autrice
cita anche fonti classiche. Questo rito, doveva essere molto probabilmente, una
interpretazione locale della ierogamia, che veniva praticata in varie parti del
Mediterraneo: Siria, Fenicia, Cipro ecc. (come spiega Luigi Cagni a pag. 150
del volume I della “Storia delle Religioni”a cura di Giovanni Filoramo), stesse
località in cui sono stati trovate copie del “Torciere” come annota Zucca a
pag.74. Tale cerimonia doveva svolgersi
presso il santuario di Romanzesu, un centro molto importante che probabilmente
era anche un seminario dove venivano preparati ed istruiti i futuri sacerdoti.
L'unica vicinanza con il rito dell'accoppiamento che probabilmente avveniva in
questo luogo, è quello descritto dallo stesso Cagni dedicato alla dea
Inanna/Istar venerata particolarmente a Uruk “..dove si ha notizia di una ben
affermata prostituzione sacra maschile e femminile..”. Il mio convincimento è
che durante il periodo in cui si è sviluppata la civiltà nuragica siano
esistiti due diversi culti dell'acqua: uno riguarda l'acqua intesa come
elemento naturale che serve per la sopravvivenza dell'uomo e quindi l'acqua
delle fonti, dei fiumi, dei laghi ecc, che alimenta il corpo e consente la vita
e pertanto considerata sacra dai nostri antenati che la ritenevano protetta
dalle divinità; un secondo culto riguarda invece un altro liquido anch'esso
ritenuto sacro, in quanto genera la vita: il liquido amniotico e quello
seminale maschile. Questo concetto sarebbe avvalorato non solo dalla differente
tipologia dei pozzi sacri (Massimo Rassu “Pozzi sacri” da Condaghes 2014),
diversi di essi infatti non sono costruiti su falde acquifere, in certi casi
l'acqua è esterna al pozzo come ad esempio a S. Vittoria di Serri, ma anche
dalla architettura templare come ad esempio Gremanu e Romanzesu. Il ragionamento è che probabilmente in questi
due santuari costruiti a forma fallica, si svolgessero dei riti che avevano a
che fare con gli equinozi ed i solstizi ed erano riferiti alle fasi della
semina e del raccolto. La prima doveva aver luogo nei suddetti santuari mentre
il raccolto trovava ospitalità a S. Vittoria di Serri e/o a S. Cristina
mediante il parto delle giovani ingravidate in quelli fallici.
Nella descrizione del “suonatore itifallico” come lo
definisce Liori, a pag. 35 leggiamo :”...Il bronzetto- ritrovato a Ittiri nel
secolo scorso- dimostra una sessualità non banale, anzi assolutamente di
raffinata complessità.
La figura alta e sinuosa, ha un non so che di androgino.
Le mammelle sono pronunciate, femminee.
E non si notano perché l'eccezionale membro ha una sua
preminenza semantica.
In testa non si comprende se ci sia un copricapo o
capelli raccolti.
Le occhiaie sono profondissime e l'atteggiamento col
quale questo personaggio tiene in bocca le launeddas ha un che di lascivo.
Uomo o donna, complessa scelta. Il corpo non è solo
sinuoso, ma flette.
E le launeddas interpretano un tempo sospeso..”.
Dopo di che, il passaggio che più avvicina il mio
ragionamento al pensiero di Liori lo troviamo nel capitolo quinto “I
pozzi-vagina” dove, a pag. 83, troviamo:” ..la caratteristica principale di tutti i pozzi- non delle fonti
sacre-è una pianta pressoché identica.
Ad indicare una unità di culto legata costantemente al
rito della fecondità e della fecondazione.
Fecondità e fecondazione che non possono essere fra loro
distinte.
Infatti la pecora non fecondata non produce agnello ne latte.
La donna non fecondata non da alla luce figli e non
perpetua la vita.
E una società non può garantire la sopravvivenza della
specie se non ha costantemente braccia giovani per lavorare.
Acqua e vita.
A Gremanu l'acqua seminale.
A santa Cristina l'acqua vaginale...”
Si tratta di argomenti complessi che richiedono maggiori
approfondimenti e queste poche righe possono solo intendersi come suggerimenti
che rimandano ad una lettura di testi specifici; ciò non toglie che la passione
per la storia antica della propria terra, possa portare semplici studiosi ad
individuare soluzioni che, pur mancando di scientificità, offrono immagini
suggestive.
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