giovedì 31 agosto 2017
Archeologia, riti iniziatici e culti. La discesa dell'Anima sulla Terra, l'intelletto, il corpo e i riti dell'immortalità. Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Archeologia, riti iniziatici e culti. La discesa dell'Anima sulla Terra, l'intelletto, il corpo e i riti dell'immortalità.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
L’anima, nella sua discesa verso la Terra, percorre
molti gradini nel suo procedere verso la vita materiale e deve risalire di
grado in grado per riconquistare lo stato originario. Molti autori antichi
hanno affermato che l’anima, in origine atto intellettuale puro, prima di
unirsi a un corpo associa vari elementi. Aristide Quintiliano, citando Platone,
ha descritto la discesa delle anime spiegando l’affinità tra corpo umano e
musica e dicendo che il suono degli strumenti a corda e a fiato agisce direttamente
su nervi e arterie con il “soffio del logos” e il “soffio dell’anima”. L’anima,
finché risiede nella zona più pura del cosmo, non ha unione con il corpo e non
subisce alcuna alterazione. Quando scende e fa esperienza dei luoghi terrestri,
le sopravviene la dimenticanza della realtà superiore ed è attirata verso il
basso facendosi invadere da impulsi irrazionali, lasciandosi trasportare verso
le cose più materiali e diventando incapace di portarsi in unità con il tutto.
Platone, nel Fedone, dice che l’anima, poco prima della discesa, viene sospinta
verso il corpo trepidante di ebbrezza, alludendo al liquido che l’impregna e
l’appesantisce e poi la trascina giù. Questo pensiero è
rappresentato
simbolicamente dal cratere astrale del libero intelletto, situato nella regione
compresa fra Cancro e Leone. Secondo la dottrina ortodossa, questo liquido è il
nettare degli Dei nella sua parte più alta, mentre nella parte bassa è la
bevanda delle anime, ciò che gli antichi chiamano Fiume Lete. Il corpo è la
prima sostanza animica ma è il residuo peggiore delle cose divine. La
differenza fra corpi terrestri e corpi sublimi, quelli del cielo e degli astri,
è che questi ultimi sono situati in alto e hanno avuto come sorte
l’immortalità, mentre l’anima umana è confinata nel corpo e si pensa che muoia
quando è rinchiusa nei limiti di questo soggiorno mortale. Quando il corpo
morirà, l’anima uscirà dalla condizione corporea e ritornerà alla luce della
vita eterna, ricostituita nella sua integrità. Anche Plutarco, Proclo,
Porfirio, Giamblico e Plotino scrivono le stesse cose. Nel Timeo di Platone si
legge che l’anima immortale proviene dal Dio primo, un’anima seconda si
costituisce per opera degli Dei cosmici per giungere alle Divinità che pongono
nel corpo le diverse facoltà: il pensiero nella testa, il fuoco vitale nel
cuore, il desiderio sessuale nel fegato. I greci affermano che l’anima umana è
una parte di quella universale, e che fra gli esseri viventi esiste un legame
di parentela, essendo nati dalla stessa progenie. Stobeo, Numenio, Anassagora e
Plutarco scrivono che la distinzione fra Nous e Psychè, ossia fra intelletto e
anima, è evidente: il Nous è un’essenza indivisibile; l’anima fa da tramite fra
l’essenza indivisibile e la sostanza corporea; le apparenze materiali
riguardano i corpi divisibili. Il celebre paragone del carro, utilizzato spesso
da Platone, vede l’auriga che conduce (l’intelligenza) mentre i due cavalli
simboleggiano le facoltà inferiori (anima e corpo). L’intelletto deve
provvedere alla perfezione di anima e corpo, ma fino a quando l’intelletto
rimane in un’anima vincolata a un corpo, sarà inferiore rispetto al suo stato
originario. Il cammino inverso che l’anima compie dopo la morte, dopo aver
abbandonato il corpo, ci viene descritto da Plutarco. Egli spiega come vi siano
due morti: una separa l’anima dal corpo e l’altra separa l’intelletto
dall’anima, ed è molto più lunga. Per quanto riguarda la forma, Quintiliano
descrive le anime che perdono la forma sferica mentre discendono e ne assumono
una analoga al corpo umano. Seneca, per quanto riguarda l’ascensione
dell’anima, scrive: “Non c’è ragione, o
donna, perché tu debba accorrere al sepolcro di tuo figlio. Là giacciono le
parti inferiori e più soggette ai patimenti, le ossa e le ceneri. Egli si è
involato senza lasciar nulla sulla Terra, integro e completo è partito. Dopo
essere rimasto un po’ di tempo sopra noi, quanto è bastato per purificarsi e
scrollarsi di dosso le imperfezioni, egli si è levato in alto, correndo a
unirsi agli spiriti beati, accolto dalla Sacra Assemblea di coloro che seppero
distaccarsi dalle brame della vita e si resero liberi, accogliendo la morte
come un bene”. La vita è considerata una corsa, e la morte corrisponde alla
mèta attorno alla quale si gira per tornare al punto di partenza. Omero crede
nell’immortalità dell’anima. Nel canto XI dell’Odissea, Ulisse vede nell’Ade le
anime degli eroi morti nella guerra di Troia, e il loro stato non è quello di
felicità. Si rivolge ai morti ritenendoli in grado di ascoltare le preghiere, e
invoca: “O divino Menelao, o divino
Patroclo, o divino Eumeo”. Omero è convinto che gli uomini illustri, ad
esempio Achille, possano dopo la morte proteggere gli altri uomini, quindi
attribuisce agli Dei non soltanto l’intelletto ma anche le altre facoltà
dell’anima che implicano tendenze e sentimenti: thymòs e phrenès, elementi
estranei che aveva aggregato a sé prima della sua discesa. Sant’Agostino
attribuisce esplicitamente ai greci la credenza nella palingenesi, ossia la
rinascita o resurrezione, con anima e corpo che si riuniranno. Secondo
Teopompo, citato da Plutarco, i Magi insegnavano che sarebbe giunto un tempo in
cui gli uomini avrebbero posseduto un corpo immortale, e questa resurrezione
dei corpi per opera di Dio è attribuita anche a Eraclito. Plutarco, mostra di
non accettare ciò che si diceva di Romolo, ossia che immediatamente dopo la
morte fosse stato assunto fra gli Dei
anche corporalmente poiché ogni uomo è soggetto alla morte invincibile, e solo
l’immagine della vita resta ancora vivente, poiché solo essa viene dagli Dei e
lassù risale quando si è sbarazzata del corpo divenendo purissima, incorporea e
santa. Sono le anime virtuose, e non i corpi, ad ascendere al cielo, giungendo
nelle dimore degli Dei. I riti funerari implicano la credenza della
resurrezione del corpo: chiudere la bocca significa arrestare l’azione dell’esterno;
lavare il corpo significa farlo ascendere puro; profumarlo vuol dire farlo
partecipare alla vita immortale; seppellirlo significa restituirlo alla sua
integrità. I riti iniziatici rendono l’uomo perfetto, e il fuoco sacro purifica
le anime degli iniziati così come il fuoco della pira funeraria purifica il
corpo. Proclo, intervenendo sul Timeo, contempla il grande prodigio che per
mezzo del fuoco divino fa sparire i difetti innati. Per mezzo delle iniziazioni
l’anima risale al punto dal quale è partita al principio, e ogni iniziazione fa
sperimentare le fasi stesse della morte. I riti di Eleusi preparano una discesa
agli inferi perché sono costituiti a immagine di questo viaggio, la qual cosa
conferma la credenza che gli iniziati attraversassero nei Misteri l’esperienza
di una morte. Nel Fedro, Platone, scrive che l’iniziato è paragonato a chi è
liberato dal corpo e dalle sue influenze, e la morte è paragonata a una
iniziazione. Bisogna purificarsi in punto di morte come quando si è iniziati ai
Misteri, affrancare l’anima da ogni malvagia passione, calmarne gli eccessi,
bandirne l’invidia, l’odio e la collera, per possedere la saggezza quando si
esce dal corpo. Porfirio parla di due morti, quella naturale e quella
iniziatica. Nella prima il corpo perde il contatto con l’anima, nella seconda è
l’anima che si svincola dal corpo. Seneca racconta che gli spiriti grandi
aspirano a staccarsi dal corpo, sopportando a stento questa vita angusta,
volteggiano sempre nelle altezze, avvezzi a considerare dall’alto le cose
umane.
Immagine di http://www.oltre.online
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