Archeologia. Nuragici e fenici: un’interessante questione di globalizzazione
di merci, uomini e idee.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano.
Fin dall’alba dei tempi, ogni popolo vive, più o meno pacificamente, in un
continuo intreccio con altre genti. La Sardegna antica, quella di epoca
nuragica, è lo specchio di queste continue modifiche culturali e identitarie
poiché la frequentazione dell’isola da parte di mercanti alla ricerca di
metalli condiziona il modo di vivere dei sardi fino al punto di trasferire le
nuove conoscenze sia nell’ambito dell’organizzazione urbanistica sia per le
questioni religiose e funerarie. Il piano urbanistico mostra la volontà di
attrezzare luoghi costieri e villaggi dell’interno con tutto ciò che serve per
immagazzinare risorse, trasportarle rapidamente e scambiarle in sicurezza. L’analisi
dell’articolato mondo nuragico non può, dunque, prescindere dall’apporto di
tutto quel complesso di novità introdotte dai
mercanti che trasferivano le conoscenze
da una sponda all’altra del Mare Mediterraneo.
I mercanti navali, e il collegato sistema logistico strutturato negli approdi, funzionava,
allora come oggi, grazie all’instancabile lavoro di spedizionieri,
amministratori, ambasciatori, segretari d’ufficio, artigiani che lavoravano i
prodotti, facchini, specialisti in varie attività legate alla nautica, militari
e intermediari. Tutti questi movimenti di uomini
e merci hanno lasciato tracce indelebili, e il compito degli archeologi è
quello di individuare i segni dei traffici, capirne i motivi e proporre una
teoria che interpreti al meglio, ossia con minori errori possibile, l’effettivo
svolgimento di quelle operazioni commerciali.
I più importanti approdi sardi,
tutti controllati dai potenti clan nuragici, sono quelli di Villasimius, Cagliari,
Nora, Bithia/Chia, Sulki/Sant’Antioco, Golfo di Oristano con Neapolis a sud,
Othoca al centro e Tharros a nord, Sant’Imbenia/Alghero, Olbia e altri, tutti
caratterizzati da facilità di approdo, protezione dai venti dominanti, possibilità
di penetrare verso l’interno attraverso comodi sentieri e presenza di acqua
potabile.
Fra i luoghi che mostrano i segni più forti del passaggio
da una società orientata all’organizzazione interna, quella fra il secolo XVII
e il secolo XI a.C., caratterizzata da Nuraghi e Tombe di Giganti, verso una
società aperta all’esterno, quella con piano urbanistico che agevola i mercati,
abbiamo Mont’e Prama e Sant’Imbenia, per i quali non affido a questo scritto l’approfondimento
che sarebbe necessario. Nel sito del Sinis, la presenza di decine di statue in pietra
di guerrieri nuragici a tutto tondo, sistemate in un centro funerario posto in
una importante arteria di passaggio dal golfo verso l’interno, testimonia la
volontà delle potenti famiglie nuragiche che controllavano il Sinis di
autocelebrarsi e mostrare la capacità artistica degli artigiani locali messi al
servizio del mondo religioso e funerario. Imponenti statue che monumentalizzano
un’area cimiteriale caratterizzata da sepolture singole di giovani atleti o,
comunque, guerrieri addestrati.
L’assenza di tombe di bambini, e la presenza di una sola donna (pure se dubbia),
può implicare la presenza di uno specifico spazio di sepoltura per essi oppure
l’assenza di rituali funebri specifici, oltre che per i non appartenenti al
gruppo. Una delle prime conclusioni è che la necropoli sembra destinata alle famiglie
che amministrano il territorio. Sono statue che manifestano l’ideologia di un
gruppo di potere nuragico nel pieno possesso del proprio territorio,
strategicamente centrale e collegato alle risorse metallifere del Monte Ferru, al
mare, al Campidano e al fiume Tirso, il principale dell’isola. La situazione
percepibile per Sant’Imbenia è simile per ciò che riguarda l’interesse a
intensificare gli scambi, soprattutto di metalli e vino, ma non mostra segni
tangibili di necropoli monumentalizzate.
La situazione della Sardegna nel momento di
passaggio dal Bronzo al Ferro, caratterizzata da fenomeni simili a quelli
descritti di Mont’e Prama e Sant’Imbenia, pur se con tracce meno significative,
suggerisce una visione che mette in primo piano gli interessi economici dei
gruppi nuragici che mirano ad ampliare il proprio raggio di traffici
mediterranei, allargando le linee di commercio partecipando a quelle già
tracciate dai mercanti navali che operavano in quel periodo. Lo scambio di
tecnologie percepibile dalle campagne di scavo, ad esempio il miglioramento
delle ceramiche e l’ossessiva rappresentazione simbolica della vita dell’epoca attraverso
i bronzetti e le navicelle, favorirono una evoluzione della società sarda con
una spiccata condivisione di ideologie religiose e organizzative, e il
conseguente passaggio dalle architetture maestose dei vivi (nuraghi e templi) e
dei morti (tombe di giganti) a più pratici centri commerciali dove i rituali religiosi
si concretizzavano in sepolture singole con corredo e in edifici con vani sacralizzati
attraverso l’utilizzo dell’acqua e del fuoco per i riti di purificazione,
iniziazione e guarigione.
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