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sabato 25 febbraio 2017

Archeologia. Tartesso, l'Eldorado dell'antichità, una città che tutti gli studiosi cercano invano. Riflessioni di Mario Cabriolu

Archeologia. Tartesso, l'Eldorado dell'antichità, una città che tutti gli studiosi cercano invano.
di Mario Cabriolu

Sono in molti a sostenere che Tartesso non fosse il nome di una città (quindi di un abitato con limiti ben definiti), ma un territorio ampio. Alcune tra le più antiche attestazioni del nome, infatti, non fanno esplicito riferimento ad una città. A questo proposito è ancora l'Ora Maritima di Avieno l'opera da cui si attinge maggiormente per ricercare una qualche rispondenza geografica con i territori del basso Guadalquivir.
Antonelli, nella sua analisi stratigrafica del testo avieneo, nota come, nel nucleo arcaico (VI a.C.) su cui è basata l'opera:
"la fonte di Avieno non menziona alcun centro abitato con funzione eponima, che si qualifichi come autentico nucleo economico e commerciale del territorio"(1); e più oltre: "Il fiume, e non una città, si rivela perciò elemento caratterizzante del paesaggio". L'autore prosegue affermando che "Al nome di Tartesso sono inoltre collegati altri elementi paesaggistici, tutti in ogni caso privi di qualsiasi riferimento ad una realtà urbana centrale ed eponima e dunque presumibilmente risalenti ad antiche informazioni sul territorio"(2), si tratta dello stretto tartessico, delle rive tartessiche, del golfo tartessico, del monte tartessico, dell'isola dominata dai tartessi e del
confine dei tartessi. Antonelli è completamente impegnato ad evidenziare il fatto che le testimonianze più antiche su Tartesso sembrano non far riferimento ad una città e trascura un'altro aspetto, di non minor rilievo: fra i 6 elementi elencati, 4 sono relativi ad ambiente costiero o marino (stretto, rive, golfo, isola), 1 all'interno (monte), 1 è generico (confine). A questi si aggiunge il fiume, di cui parlano anche tante altre fonti antiche, che pare essere l'elemento maggiormente caratterizzante quel territorio…un territorio di cui si conoscono soprattutto gli ambiti costieri.


Polibio, nel II a.C., affermava che dalla foce dell'Arno a quella del Rodano, si navigava per cinque giorni continui lungo il paese abitato dai Liguri, da cui tutto quel tratto di mare si chiamava ligustico.
Nell'Ora Maritima di Avieno così è descritto tale fiume:
"Dopo aver attraversato il lago Ligustino, il fiume Tartesso, nel punto in cui getta le sue acque in quelle del mare aperto, abbraccia da ogni parte un'isola. Esso non scorre in un alveo semplice, non è unico il letto con cui solca la terra: tre sono i bracci che spinge nei campi ..."(3)

La successione è la seguente:
il lago Ligustino (sconosciuto dagli antichi in terra Andalusa), un'isola circondata dal fiume in prossimità della foce (mai registrata da alcun viaggiatore dell'antichità), il mare aperto.
Gli elementi individuati sono tutti prossimi alla costa.
Strabone così parla dell'area dell'attuale Guadalquivir in Geografia III,2.11: “Sembra che gli antichi chiamassero il Betis Tartesso, e Gadeira, con tutte le isole vicine, Erytheia. Per questo si suppone che Stesicoro cantasse così a proposito del bovaro di Gerione, dicendo che era nato più o meno di fronte all'inclita Erytheia presso le sorgenti eterne del fiume Tartesso, che hanno radici d'argento nel cavo di una roccia. Poiché il fiume ha due sorgenti, si dice che anticamente, nella terra di mezzo, esistesse una città che si chiamava, come il fiume, Tartesso, mentre la regione si chiamava Tartesside, occupata al giorno d'oggi dai Turduli. Invece Eratostene dice che la regione contigua a Calpe si chiamava Tartesside e che Erytheia si chiamava isola fortunata. A lui però si oppone Artemidoro, dicendo che tale affermazione è falsa”.
Della testimonianza di Stesicoro vogliamo sottolineare il fatto che la sua isola Erytheia si troverebbe di fronte alle sorgenti del fiume Tartesso; è come dire che l'isola è vicina alle sorgenti del fiume: ancora una volta si parla di un fiume nei pressi di un ambiente prettamente marino.
In Pseudo Scimno abbiamo un'altra importante testimonianza :
"Anch'egli conosce l'esistenza di un fiume che trasporta metallo prezioso a Tartesso. In questo caso tuttavia il corso d'acqua proviene genericamente dalla Celtica, e non da un monte dell'argento, e trascina soltanto schegge di stagno, oltre a oro e rame"(4)
La Celtica è la regione Europea a nord dei Pirenei e nessun fiume discende da quelle regioni verso il sud-ovest della Spagna.
Infine:
"Un passo di Aristotele afferma che dalla catena dei Pirenei scenderebbero a valle, su versanti opposti, tanto l'Istro (l'attuale Danubio), quanto il Tartesso."(5)
Gravi indecisioni e incertezze sono espresse da tutti coloro che, dovendo fare i conti con tali testimonianze, continuano a cercare la città in Andalusia: il fiume Tartesso per tutti era il Betis (l'odierno Guadalquivir); qualcuno propone l'Anas (od. Guadiana), per la sua maggiore vicinanza con le regioni minerarie più importanti di quell'area.
Entrambi i fiumi:
non avevano sorgenti in territorio celtico, non formavano dei laghi lungo il percorso con delle isole all'interno, non avevano, di fronte alla sorgente, una qualunque isola Eritheia, non avevano un letto che si suddivideva in più rami e le loro acque non potevano trasportare indistintamente stagno, argento, oro, rame...
Perché poi qualcuno avrebbe dovuto ritenere importante riferire l'esistenza di due sorgenti a proposito del fiume Tartesso?
Tutte le altre informazioni sono rilevanti da un punto di vista geografico, quest'ultima sembra quasi stupida: o si vuole intendere che il fiume aveva due affluenti principali (notizia che presupporrebbe una dettagliata conoscenza anche dell'entroterra, la qual cosa non può esser vera, data la scarsa conoscenza del più noto ambito costiero) oppure si tratterebbe della solita notizia priva di fondamento riportata per esaltare il mito.
È possibile che tale notizia abbia invece una precisa corrispondenza geografica, e lo vedremo meglio più avanti.
Gli studiosi delle origini etniche dei popoli di una certa regione si affidano normalmente alla toponomastica. Fra tutti, i nomi che hanno maggiore persistenza sono proprio quelli dei fiumi.
Entrambi i nomi antichi dei due fiumi iberici, l'Anas e il Betis, sono di origine indigena: perché il nome originario di uno di essi (Tartesso) sarebbe scomparso?

Il fiume Tartesso di cui non parla invece il vecchio testamento, sembra generare qualche complicazione anche in chi vuole la corrispondenza Tartesso=Tharros, in Sardegna: non esiste un fiume le cui rive vadano a lambirne le mura e non è mai esistito.
Restano valide però le osservazioni di Antonelli e di tutti gli altri studiosi i quali ritengono che nelle attestazioni più antiche del nome, Tartesso facesse riferimento ad un territorio più che ad una città.
Nell'area del golfo Tartessico sardo, l'attuale golfo di Oristano(6), sfocia il fiume più importante dell'isola, il Tirso, il Thyrsos degli autori classici (che coincide nella successione consonantica con la Tharshish biblica) che ha le sue sorgenti nel Gennargentu.
La complicazione è dovuta all'assenza di giacimenti di stagno in terra sarda o per lo meno nelle regioni attraversate dal Tirso. Come poteva quindi tale fiume trasportare il nobile metallo fin dentro le mura della città?
Riteniamo di poter proporre per tale problema una soluzione, originale, rivoluzionaria, ma quasi ovvia se trasliamo il mito in questione dall'attuale Atlantico al Mediterraneo occidentale.
Tale problema è strettamente legato ad un altro degli enigmi riproposti da Frau e ai quali lo stesso autore ha dato una risposta: le Cassiteridi. Si tratta delle mitiche isole dello stagno (cassiteros=stagno) ricordate da molti autori classici e localizzate abitualmente al di là delle Colonne d'Ercole, in pieno Atlantico.
Alcuni le tramandano come isole dal quale proveniva lo stagno (coinciderebbero con la Britannia), altri come le isole attraverso le quali veniva trasportato via mare lo stagno estratto dalla Britannia. Con quest'ultimo significato le Cassiteridi non erano altro che dei ponti, delle tappe obbligate lungo il trasporto via mare di stagno e argento nordico.
I geografi greci, nelle loro descrizioni delle terre e dei mari conosciuti, ci hanno tramandato alcune informazioni talmente discordanti dalla realtà che ancora oggi suscitano dibattiti e differenti interpretazioni. Si tratta di alcuni errori(7) tanto macroscopici che sono diventati emblematici:
1) si riteneva che l'Oceano fosse un grosso fiume le cui correnti scorrevano attorno a tutta la terra: così a più riprese è detto nell'Iliade, nell'Odissea e nella Teogonia di Esiodo.
2) il controverso lago Tritonide della Libya ad esempio, controverso proprio per l'attributo "lago" tramandato dai greci, coincide con l'attuale piccola Sirte…mare quindi e non lago.
3) la palude (o lago) Meotide, l'attuale mar d'Azov, è un'ulteriore esempio.
4) rientra nell'elenco anche il lago Ligustino di Avieno, sicuramente coincidente col mar Ligure.
I naviganti sapevano perfettamente di volta in volta in quali "acque" si trovavano: le acque poco profonde e calme del mare Tritonio furono interpretate dai fruitori della notizia come acque lacustri; le correnti dell'Oceano, divennero le acque del fiume Oceano.
I mercanti greci, di fronte alla distesa del mare che circondava le coste occidentali sicule, potevano scegliere fra tre direzioni possibili :
1) l'attraversamento del canale di Sicilia verso il Promontorio Ermeo, l'attuale capo Bon tunisino, visibile dal promontorio Lilibeo.
2) la navigazione "a vista" verso nord-est(8), lungo la costa siciliana.
3) la navigazione verso ovest/nord-ovest, verso l'ignoto.
I naviganti che sapevano di quell'isola in mezzo al mare occidentale, sapevano anche che per arrivarci, bisognava prendere la giusta corrente, aspettare quei venti di levante che come un dio avrebbero spinto le navi direttamente a Tartesso. Quella corrente per i naviganti era come uno stretto sentiero: sbagliare direzione era estremamente rischioso.
"La corrente del Tartesso ti trasporta fino all'isola, dove si divide in due rami che la circondano, e nell'isola c'è la città di Tartesso"…forse è proprio così che i primi naviganti descrivevano la traversata e quella corrente divenne, nella penna degli antichi geografi, così come per l'Oceano, quella di un fiume, il fiume Tartesso.
Quel fiume, con partenza da Tartesso, seguiva due distinte rotte, una verso nord, verso le coste Celtiche, una verso sud, verso la Libya o la Sicilia. Cambiando riferimenti quel fiume era la corrente, dotata di partenza e arrivo, e quindi di due distinte sorgenti, sulle opposte coste continentali.
Tartesso era il braccio di mare che metteva in comunicazione le coste dell'attuale Provenza con le coste nord Africane da una parte e le coste della Magna Grecia dall'altra attraverso la catena di isole Sardo-Corsa.
Il fiume Tartesso, i cui flutti trasportavano il minerale fin dentro le mura della città, coinciderebbe allora con quella via dello stagno non meglio specificata che aveva alcune tappe intermedie nelle Cassiteriti. Quella via è stata da tempo riconosciuta come importante rotta dei commerci nel Mediterraneo occidentale.
Lo stagno proveniente dalla Britannia o dall'attuale centro Europa raggiungeva in vario modo quel tratto di costa e da lì veniva messo a disposizione dei mercanti che battevano le vie di collegamento con i principali centri di smistamento verso le ricche popolazioni dell'oriente. Abbiamo a tal proposito una singolare testimonianza da parte di Strabone nella Geografia, Libro III,2.9, dove, descrivendo le ricchezze minerarie dell'Iberia, e in particolare della Turdetania, dice: "lo stagno, secondo Posidonio, non si trova in superficie, come ripetono gli storici, e viene perciò estratto nelle miniere; si produce tra i barbari che abitano oltre i Lusitani e nelle isole Cassiteridi; viene anche portato fino a Massalia dalle isole della Britannia".
Oltre allo stagno abbiamo documentati i traffici dall'area Baltica a tutto il mondo occidentale di allora di un'altra preziosissima sostanza: l'ambra. Una delle vie commerciali più battute era quella che attraverso l'Europa centrale giungeva fino al Rodano e da lì a sud verso le coste mediterranee: abbiamo visto in precedenza come Erodoto sapesse di un unico mercato per lo stagno e l'ambra provenienti dall'occidente.
Sulle Cassiteridi poi, oltre all’intuizione di Frau che nella Molibodes nesos, l'isola del piombo di Tolomeo, l'antica isola di S.Antioco, vede una delle isole dello stagno(9), ricordiamo quanto abbiamo già detto prima e cioè di come quelle isole fossero intese quali ponti, lungo la rotta commerciale dei metalli in occidente.
Riportiamo la testimonianza del Pais (fine XIX sec.): "Presso alla punta più a nord ovest della Sardegna giace una curva isoletta che anticamente era detta Herculis insula. Se si pone mente alla sua posizione, se si considera che i suoi due buoni approdi servono di rifugio anche oggi alle navi che vengono dalle coste della Francia, si troverà alquanto probabile che ivi fosse un'antica stazione marittima fenicia"(10).
L'Isola in questione è quella dell'Asinara, notissima sin dall'antichità proprio per la sua posizione lungo le rotte nord-sud e viceversa. Quest'isola, insieme a quella di Mal di Ventre, insieme alle isole di S. Pietro e S.Antioco poteva costituire l'insieme delle Cassiteridi: in questo contesto Tharros aveva una posizione fenomenale, di importanza strategica primaria.
Dovremmo a questo punto trovare testimonianze dell'esistenza della "rotta" a prescindere dai traffici greci o fenici e trovare la prova di scali commerciali Tartessi (Sardi) nell'attuale Francia meridionale risalenti al periodo precedente lo sviluppo delle colonie elleniche.
Ecateo di Mileto, il geografo del VI-V a.C. nella sua Periegesi, opera geografica della quale ci sono pervenuti solo pochi frammenti, ricorda, nei pressi di Massalia, la città celtica Nyrax. Il genitivo aveva la forma Nyracos, radice Nyrac-, che si legge Nurac, con la "u" alla francese. Ecateo la segnala come città celtica ma ciò non costituisce una particolare difficoltà per associarla ai vari Nura, Nurra, Nora, Norace presenti in Sardegna(11).
Quella città era sicuramente uno degli empori tartessici in terra Celtica, una delle stazioni navali da cui le merci provenienti dall'Europa centrale prendevano il mare verso l'Isola e da lì verso i ricchi mercati orientali.
Un'altra sbalorditiva testimonianza è presente nell'Ora Maritima di Avieno. Là dove descrive la costa Mediterranea a oriente rispetto ai Pirenei dice :
"Tutti questi luoghi si trovano nelle vicinanze dei flutti e delle correnti marine. Il territorio nell'interno, invece, era un tempo completamente in possesso dei selvaggi Cereti ed Ausocereti: oggi costoro appartengono entrambi alla gente degli Iberi [ulteriore conferma della presenza di Iberi al di qua dei Pirenei n.d.a.]. Il popolo dei Sordi, infine, abitava in contrade sperdute, fra tane d'animali(12), in un paese che, dalle boscose vette dei Pirenei, si estendeva fino al mare interno: essi avevano ampio potere sulla terra e sulle acque. Ai confini del territorio dei Sordi, sul limitare dei Pirenei, si dice che un tempo sorgesse una ricca città, dove spesso gli abitanti di Massalia venivano a scambiare le loro merci. Dopo la catena dei Pirenei si aprono le spiagge del litorale Cinetico, che il fiume Roscino solca per un bel tratto. Questa regione è territorio dei Sordiceni, come ho detto"(13).
Antonelli non dice nulla su questi Sordi che avevano potere sulla terra e sulle acque nei pressi dei Pirenei.
Lo stesso popolo è ricordato anche da Plinio col nome di Sordoni. I due nomi, Sordi e Sordoni, a meno della prima vocale, ricalcano i due nomi con cui gli autori classici facevano riferimento alle genti e alle cose dell'isola: Sardi e Sardoni.
Non crediamo si tratti di un'altra fantasia o di un'altro strafalcione interpretativo avieneo: l'autore latino tramanda un'informazione attendibile e antica sulla presenza di Sardi nel continente europeo, fatto comprovato dalla contemporanea citazione in quei pressi di un litorale Cinetico.
Vediamo ora alcuni documenti che attestano, alcuni in maniera inequivocabile, un legame fra la seconda isola del Mediterraneo e la mitica Tartesso.
La prima testimonianza è meno diretta delle seguenti perché non lega con precisione Tartesso alla Sardegna ma la pone lontana dall'Atlantico e vicina alla Corsica. Si tratta del famoso racconto di Erodoto delle esplorazioni Focee in occidente e del re di Tartesso Argantonio. Frau ha commentato il passo in maniera magistrale tanto che non ci sentiamo di aggiungere nulla.
Sallustio e Pausania ci hanno raccontato di come il condottiero iberico Norace avrebbe fondato Nora, la città più antica della Sardegna, dandole il proprio nome. Più tardi Solino completa la notizia dichiarando Tartesso madrepatria di Norace.
È difficile interpretare questo passo anche perché in esso vi è una delle più antiche attestazioni del nome dell'edificio che è sinonimo di Sardegna, il Nuraghe. La notizia potrebbe rientrare fra le tante favole di fondazione proposte da autori classici, se non costituisse un'anomalia proprio da questo punto di vista.
I greci, imitati in questo dai latini, costruivano i miti sulla civilizzazione dei popoli o sulla fondazione di città, per dimostrare la legittimità, da parte loro, della sottomissione o dell'aspirazione alla conquista di quel dato popolo o città : è il caso della Sardegna, civilizzata da Aristeo, edificata da Dedalo, conquistata da Iolao…
Nel caso di Nora la notizia ci viene riferita da Pausania che sembra riprenderla da Sallustio il quale si rifà forse a Timeo, autore del IV-III a.C
Tartesso è quella località/città dell'occidente che non deve niente all'azione civilizzatrice ellenica; è una sorta di isola ricca e felice che fa quasi ombra alla grandezza ellenica, tanto che il mitico re Argantonio si è permesso il lusso di finanziare la ristrutturazione delle mura della città di Focea e di offrire nuova terra per concedere una nuova patria per i Focei in fuga.
Perché un greco, dopo aver costruito a tavolino la storiella dell'arrivo in Sardegna di Aristeo e di Dedalo al suo seguito, come portatori di civiltà (avrebbero insegnato agli abitanti locali la coltivazione dell'ulivo e l'edificazione dei Nuraghi), avrebbe dovuto inventarsi la fondazione della prima città in terra sarda da parte di un condottiero iberico-tartessico?
La notizia a ben vedere potrebbe non essere una pura invenzione e potrebbe addirittura far riferimento al mito di fondazione tramandato dai cittadini della città sarda. Che Tartesso fosse in Iberia come abbiamo già visto era ormai più che una convinzione per gli autori latini che interpretavano gli antichi miti a loro modo.
Quest'ultima ipotesi è sostenuta anche da un'altra prova concreta, la più concreta mai trovata dell'esistenza storica di Tartesso. Il documento più antico, per altro molto controverso, che parlerebbe della nota località è stato ritrovato in Sardegna, nelle campagne di Pula, vicino a Nora. Si tratta della famosa iscrizione in caratteri fenici ritrovata nel XIX secolo e da allora oggetto di studi da parte di moltissimi esperti che hanno fornito diverse traduzioni anche molto discordanti fra loro, indice questo di grosse difficoltà interpretative.
La prima riga però per la maggior parte degli studiosi dovrebbe leggersi b-TRShSh = in T(a)rsh(i)sh, ovvero "in Tartesso".
È la prova che Nora in antichità avrebbe avuto anche il nome di Tartesso; è la prova che la Sardegna ha avuto la sua Tartesso, probabilmente l'unica mai esistita.
Tutto questo sembra non lasciar molto spazio ad altre possibilità: è Nora la mitica Tartesso? Teniamo presente che Sallustio e Pausania sanno di Norace che giunge a Nora dall'Iberia. Frau ci ha ricordato che per gli antichi il termine iberia in origine era sinonimo di "occidente" e solo con la definizione precisa della geografia dell'ovest ha coinciso con l'attuale penisola Iberica. È possibile quindi che Norace arrivasse dall'occidente...da quale ?
Anche la scomparsa del nome Tartesso nell'area di Pula deve farci riflettere: appartenendo probabilmente il nome TRShSh al sostrato mediterraneo è difficile che qualcuno si fosse preso la briga di cambiarlo in Nora nome altrettanto antico e altrettanto indigeno.
Della città non si sa più nulla dalla fine del VI a.C. Nella Spagna sud occidentale i Punici non arrivarono se non a cavallo delle prime due guerre che li videro contrapposti ai romani; in Sardegna i Punici combatterono, subirono delle sconfitte e presumibilmente ebbero la meglio alla fine, proprio a cavallo fra VI e V a.C.
Se i Punici avessero sconfitto gli eserciti di Tartesso e distrutto o, nella migliore delle ipotesi, occupato la città, difficilmente riedificandola le avrebbero assegnato un nome tanto sardo che più sardo non si può. Le avrebbero lasciato lo stesso nome oppure, data l'enorme fantasia di cui erano solitamente dotati, le avrebbero affibbiato il solito nome di "Città Nuova". Tale circostanza diventerà un'abitudine solo qualche secolo dopo.
È possibile che i Punici, consapevoli dell'importanza della conquista effettuata e volendo comunque onorare una città che aveva contribuito all'ascesa della propria madre Tiro abbiano optato per un nome che fosse una dedica alla Tiro Fenicia. Il Fara descrivendo l'entroterra di Tharros dice: "S.Marco di Sinis: si estende tutta in pianura sul versante occidentale, si incunea fra i monti Menomeni ed il corso del fiume Tramatza per giungere sino ai confini del Montiferru. Vi si erano un tempo insediati i Celsitani, popolazione menzionata da Tolomeo, e scomparve l'antica città nota allo stesso come Tharros e nella "Storia di Sant'Efisio" ed in altri antichissimi documenti come "Tiro". Questo passaggio del Fara è utilizzato dal Wagner per evidenziare la radice comune del sardo Tharros e dell'ebraico Zar con cui era nota l'antica Tiro. È possibile allora che fosse Tharros e non Nora l'antica Tartesso?
Esiste un'altra iscrizione, molto simile a quella di Nora, però su un frammento ceramico: il coccio di Orani. Anche in esso si legge b-TRShSh, stavolta però il reperto è stato ritrovato nel centro-nord Sardegna.
Un'ulteriore prova sembra fissare definitivamente nell'ambito del golfo di Oristano, e quindi verso Tharros, la mitica Tartesso. Abbiamo detto della non persistenza del toponimo in area Andalusa: non solo non esiste Tartesso, ma nessun altro toponimo sembra ricordare quello della mitica località. Lo stesso invece non può dirsi per la Sardegna, dove invece esiste ancora oggi una fondamentale testimonianza, il nome del fiume più importante dell'isola, il Tirso.
Tutte le fonti più antiche parlano di uno stretto legame fra Tartesso e i metalli pregiati. La seconda isola del Mediterraneo è ed era famosa per le sue ricche vene d'argento. La Spagna può però vantare giacimenti di stagno e d'oro, praticamente assenti nell'isola. La corretta definizione di quel fiume Tartesso degli antichi, che trasportava ora l'uno ora l'altro metallo fin dentro le mura delle città, risolverà a favore della Sardegna, e in particolare di Tharros, anche questa questione.
Se la Tharshish biblica era la Tartesso dei greci, in quel luogo l'archeologia deve documentare l'esistenza di una civiltà particolarmente evoluta a partire dal II millennio a.C. (il libro della Genesi, dove già si parla di Tarshish, è stato composto presumibilmente a metà del II millennio a.C.) fino alla metà del I millennio a.C. (l'ultima citazione biblica di Tarshish è presente nel libro di Giona, datato tradizionalmente al V a.C.).
È superfluo far notare che l'unica grande civiltà dell'occidente che si è sviluppata ininterrottamente in quell'arco di tempo è quella nuragica. In quel luogo l'archeologia deve anche testimoniare i legami tra fenici e il regno del re Argantonio, a partire da epoche sufficientemente remote.
Questo avviene nell'estremo occidente sicuramente per la Sardegna, dove l'archeologia ufficiale cerca di postdatare i ritrovamenti, forse al fine di evitare di dichiarare l'esistenza di colonie fenicie in terra sarda anteriori l'VIII a.C.
L'esatto contrario avviene nella penisola iberica dove gli sforzi sono tutti rivolti a retrodatare i ritrovamenti fenici proprio per arrivare a quell'VIII a.C., appena sufficiente per considerare in qualche modo attendibili i riferimenti a quelle terre nei racconti degli antichi.
Le visite alla città da parte di navigatori greci e le relative notizie cessano intorno al 500 a.C. Questo fatto è stato giustificato per diversi decenni, da parte dei sostenitori di una Tartesso spagnola, come dovuto alla chiusura dello stretto di Gibilterra operata da Cartagine, che avrebbe impedito, proprio in quegli anni, la navigazione oltre lo stretto a tutti i mercanti non punici.
Venuta a cadere tale teoria, automaticamente si è riproposto il problema Tartesso e del perché della sua decadenza e conseguente scomparsa. La Tartesso sarda, e non fenicia, a cavallo del 500 a.C. ha dovuto sicuramente affrontare una delle sue più dure battaglie o forse ha deciso per la sottomissione senza spargimento di sangue in cambio di una vita dignitosa. Intorno al 500 a.C. le cronache di viaggio non parlano più di Tartesso che da quel momento in poi entra nella sfera del mito. Sempre intorno al 500 a.C. Cartagine dichiara di avere il controllo sull'isola di Sardegna, più verosimilmente limitato ad una parte delle aree costiere. Non si hanno prove documentali e neppure archeologiche, ma possiamo presumere che negli scontri fra Sardi e Punici le città dell'isola non si siano schierate tutte dalla stessa parte.
È probabile che alcune abbiano deciso, non tanto di schierarsi con Cartagine, quanto di accettare pacificamente l'ingerenza punica nei propri affari, in cambio della protezione nei confronti di altre città sarde avversarie sia in campo politico che commerciale.
Si vuole qui affermare l'esistenza in Sardegna, nel VI a.C. (con origini già diversi secoli prima), di più Regni aventi ciascuno a capo una o più città guida. La "fondazione" di Nora nel IX a.C. da parte di Tharros, in un territorio esterno a quello d'influenza politica della città, sarebbe allora la risposta all'azione ostruzionistica nei confronti dei traffici navali Tartessi verso e dal sud della Sardegna operata dai Sulcitani.
La fondazione della colonia indica anche un vuoto di potere in quell'area del meridione dell'isola, che doveva essere parte del regno che gravitava intorno al Golfo di Cagliari.
I Sulcitani erano un popolo nuragico che aveva rapporti ancora non del tutto chiariti con gli Etruschi: è infatti attestato in Etruria il gentilizio Silketenas che ricorda troppo da vicino quello dei Sulcitani tanto che Pittau ne propone una possibile corrispondenza.
I Sulcitani potrebbero quindi aver deciso di mantenersi neutrali, almeno nello scontro decisivo fra Punici e Sardi delle città. Tharros potrebbe invece essere stata costretta alla resa, che comportò la perdita di una serie di privilegi fra i quali l'autonomia politica.
La ricerca archeologia nell'area della città, precisamente nella collina conosciuta come Murru Mannu, ha constatato l'assenza di distruzioni in periodo fenicio-punico.
Cartagine, pur essendo figlia di Tiro, non era né un alleato commerciale né assunse un atteggiamento di riguardo nei confronti di una terra che aveva forse contribuito alla fondazione della stessa Tiro, sicuramente ai suoi progressi nel campo della nautica. Cartagine doveva conquistare la Sardegna o almeno il controllo dei suoi mari e portare così a termine il progetto di dominio di una parte del Mediterraneo occidentale, che consentì alla città fenicia di rendere inaccessibili ampi tratti di costa nordafricana e le principali isole di questo specchio di mare. Insieme a ciò Cartagine promosse una campagna di disinformazione, durata oltre due secoli, volta a condizionare gli avversari politici e commerciali.
I punici nascosero ad arte non solo le rotte verso alcune ricche terre, ma anche l'esistenza stessa di alcune di esse; oppure fecero circolare informazioni fuorvianti relative a viaggi fantastici, tanto che non solo i romani si sono inventati una Lixus nelle coste atlantiche marocchine, ma ancora oggi stiamo vanamente ricercando la mitica Cerne là dove non è mai esistita.
La Sardegna, che mai era apparsa esplicitamente nelle carte geografiche prima di allora, ma che veniva indicata in vario modo dato l'alone mitico che avvolgeva le sue città e i suoi abitanti, divenne l'isola Sarda e nulla più per oltre 2 secoli.
Se oggi non ci bastano gli innumerevoli resti che l'archeologia ufficiale ha difficoltà anche a censire, le tante meraviglie architettoniche che tali erano anche per i maestri ellenici (è questo un caso unico nel Mediterraneo occidentale), le iscrizioni nuragiche…
Cerchiamo di rileggere con attenzione i pochi testi degli antichi che sono arrivati fino a noi e che contengono importanti riferimenti alla nostra isola ancora non del tutto decifrati.
Uno fra tutti è la famosa Geografia Tolemaica dove, oltre a moltissimi nomi di località che sembrano confermare la coesistenza nell'isola di due etnìe principali, una Indoeuropea, l'altra Cananea, preesistenti la presunta età delle colonie fenicie, sono riportati i nomi dei popoli principali presenti allora in Sardegna che dobbiamo leggere con maggior attenzione e rispetto della fonte.
Fra gli altri, vogliamo qui ricordare due nomi, nella forma riportata nei codici ritenuti più antichi, più vicini all'originale Tolemaico: Kunusitani e Keltini (o Kelsitani).
I primi, e lo dice Pais, ricordano i Cineti (o Cinesi) di Erodoto; noi con minor timore di alterare un dogma per gli accademici, diciamo che i due nomi coincidono. Erodoto li chiama Kyneti o Kynesi (con la y che si pronunzia come l'u francese o lombardo) e la differenza fra i due nomi è rappresentata dal suffisso etnico -itani presente nel codice Tolemaico. Tale popolo è secondo Erodoto quello che abita le regioni più occidentali conosciute dell'Europa. Vedete allora quanto erano così vicine alla Sardegna quelle estreme regioni Europee a metà del I millennio a.C.?
Il secondo nome è altrettanto sorprendente perché, a meno del solito suffisso etnico -itani, di cui è in parte depurata la prima versione, si tratta inequivocabilmente di Celti, il popolo che in Erodoto è appena più ad est rispetto ai Cineti. Proprio così, come ha intuito Frau, come riferisce Ecateo, come conferma l'archeologia, un popolo conosciuto come dei Celti, forse i discendenti di coloro che lasciarono quel nome più a settentrione nel continente europeo (dove i locali lo adottarono come loro secondo nome) abitava in Sardegna, distinto dagli altri del luogo, ancora i primi secoli d.C. In tanti diranno: i Celti della Sardegna sono arrivati come deportati in età romana. Ed è qui che si manifesta tutta l'importanza dell'informazione Tolemaica: nessun popolo del continente europeo era conosciuto col nome di Celti già da diversi secoli (pare che ad es. i Galli usassero chiamarsi Celti fra loro, ma non è chiaro allora il significato da loro attribuito al nome). Possiamo andare oltre e affermare che questo è l'unico documento che lega un popolo di definita appartenenza geografica al nome Celti.
Le conseguenze e implicazioni di questo fatto sono tutte da capire e da studiare. Torniamo un attimo ai Cunusitani (i Cineti di Erodoto) e ricordiamo quanto già proposto in altro luogo e cioè la corrispondenza del nome Ichnusa dato dai greci all'isola di Sardegna e il nome di questo popolo: come era loro abitudine, i greci ellenizzarono un nome che non capivano, usando un termine greco foneticamente vicino a quello indigeno:
Ichnusa (orma del piede) in luogo di Cunusi (o Cnusi o qualcosa del genere).
Quel popolo che Erodoto riferisce due volte nelle sue Storie, che non colloca nella penisola Iberica perché non ne conosce l'esistenza, che doveva rivestire una qualche importanza anche per il solo fatto di essere citato, che al solito scompare più tardi nella penisola Iberica, per il semplice motivo di non esserci mai stato, aveva indotto altri greci a denominare una porzione dell'isola sarda col loro nome.
Per capire di quale parte si trattasse dovremmo tradurre meglio quella parte della geografia tolemaica e interpretare meglio i dati archeologici sulle presenze greche nell'isola appena prima delle guerre sardo-puniche. Tutti i dati presentati, per quanto incompleti, portano a concludere che la Sardegna prepunica era, nelle cronache di viaggio degli esploratori greci e fenici, molto più dell'isola a forma di orma di piede, della terra di conquista per lo spagnolo Norace, per il libico Sardo, per i Lidi dell'Anatolia, per i greci al seguito di Iolao, Dedalo, Aristeo, per i fuggiaschi Iliesi dalla disfatta di Troia…
La Sardegna era quella terra dell'occidente dove si realizzò, più che in ogni altro luogo dell'antichità, con la sola eccezione di un'altra grande isola del Mediterraneo, Creta, il punto d'incontro fra occidente e oriente, fra civiltà del levante, cultura ellenica, cultura celtica e la trascurata cultura dell'africa nord-occidentale.
L'archeologia racconta bene quest'incontro registrando il ritrovamento sia di elementi tipici delle diverse culture, nello stesso contesto, sia prodotti di sintesi che nella loro originalità raccontano non l'isolamento e l'arretratezza delle genti isolane, né un atteggiamento di puro assoggettamento alle novità culturali portate dai nuovi venuti.
La Sardegna fu la terra dove si confrontarono e forse si fusero lingue, religioni, costumi il cui risultato fu una cultura dai caratteri propri che a sua volta fu in qualche modo capace anche di condizionare le stesse culture dominanti che ebbero a che fare con essa. L’isola fu protagonista in quell'estremo occidente conosciuto e una delle sue regioni era abitata da antichi dominatori dei mari e di un vasto regno, dai vicini di casa dei Cineti e dei Celti: Tartesso era la Tharros Sarda


Note:
1 L.Antonelli, Il periplo nascosto, Padova 1998, p.52
2 L.Antonelli, Il periplo nascosto, op. cit., pp.52-53
3 L.Antonelli, Il periplo nascosto, op. cit., p. 129
4 L.Antonelli, Il periplo nascosto, op. cit., p. 99
5 L.Antonelli, Il periplo nascosto, op. cit., p. 100
6 La configurazione del Golfo di Oristano sembra ricalcare perfettamente la descrizione avienea del golfo Tartessico, chiuso dai due opposti promontori : la Rocca di Gerione e il promontorio del Tempio sarebbero il capo S.Marco e il capo Frasca. Per ulteriore conferma riportiamo la breve descrizione effettuata dal Fara, intorno al 158 : "Sede della diocesi era l'antica città di Tirrha o Thurra menzionata da Tolomeo, proprio sul promontorio di San Marco che, proteso sul mare per lunghissimo tratto forma e racchiude, insieme ad un altro promontorio detto Frasca, il vastissimo golfo di Oristano, in grado di accogliere flotte di qualsiasi entità" nella traduzione di M.T.Laneri tratta da I.F.Farae, Opera 1 In Sardiniae Corographiam, ed. Gallizzi, Sassari 1992, p.191.
7 Forse sarebbe meglio dire che l'errore è stato commesso dai vari interpreti delle notizie. I naviganti sapevano perfettamente in quali "acque" navigavano.
8 Non stupisca la rotta verso nord-est lungo la costa settentrionale della Sicilia; basta osservare rapidamente le carte tolemaiche della Sicilia e vedere che quella era allora il presunto orientamento di quella costa.
9 S. Frau, Le Colonne d'Ercole, op. cit., p. 102
10 E. Pais, Sardegna prima del dominio romano, Roma 1881
11 Sui celti è utile riferire quanto ha detto D. Harden, uno dei maggiori esperti in materia: "A proposito del loro vero nome, i Greci lo scrivevano Keltoi, come lo appresero direttamente dalla pronuncia locale. Eccezion fatta per l'uso di questo nome per un gruppo tribale in Spagna, come già si è detto, sembra che altrove sia stato usato a includere tribù di nomi differenti; questa evidenza è però basata su fonti più recenti di Erodoto. Il nome "Celti" non fu mai applicato dagli antichi scrittori alle genti della Britannia e dell'Irlanda, per quanto se ne sa, e non c'è nessuna prova che le genti del luogo usassero questo nome per designare se stesse. Ciò non esclude però, che alcuni isolani fossero Celti, ma in questo caso ci si deve basare su prove differenti. Nella maggioranza delle loro applicazioni moderne, le parole "Celta" e "Celtico" entrarono nell'uso, come risultato del sorgere del movimento romantico, dalla metà del XVIII secolo. (…) Circa un quarto di secolo dopo la morte di Erodoto, l'Italia settentrionale fu invasa da barbari che vi giungevano attraverso i passi alpini. Questi invasori erano i Celti, come è dimostrato dai loro nomi e dalle descrizioni, ma i Romani li chiamarono Galli da cui derivarono i nomi di "Gallia Cisalpina" e "Transalpina". Polibio, che scrisse più di due secoli dopo, si riferisce a questi invasori col nome di Galati, parola che fu poi largamente usata dagli scrittori greci. D'altra parte Diodoro Siculo, Cesare, Strabone e Pausania riconobbero che Galli e Galati erano gli equivalenti di Keltoi-Celti; Cesare chiarisce inoltre che i Galli del suo tempo si davano il nome di Celti…".
12 La questione ci porterebbe abbastanza fuori tema, anche se solo apparentemente; facciamo rilevare che anche in tal caso la semplice citazione dei Celti da parte di Erodoto come di popolo fra i più occidentali dell'Europa (secondi solo ai Cinesi-Cineti), ha condizionato tutti gli autori successivi che hanno parlato sempre e comunque di Celti anche in totale assenza e di precisi caratteri etnici, di lingua, di costumi e anche quando lo stesso nome di Celti non era conosciuto dalle popolazioni a cui veniva attribuito! Le città Celtiche del sud dell'attuale Francia erano semplicemente non-elleniche.
13 Facciamo notare quanto contrasti la descrizione delle dimore dei Sordi (tane di animali) col fatto che più avanti li si definisca dominatori della terra e delle acque. Questo fatto ci ricorda il modo di vivere dei Sardi delle montagne così come riferito da Strabone. Il Motzo nel 1926 dimostrò il fraintendimento degli autori greci che tradussero i termini sardi Nora e Nurax, per loro sconosciuti, con i verbi greci nyreo, nyrizo, nyro, nytto che indicano tutti l'atto di scavare. Anche i Sardi vivevano in dimore chiamate Nura, Nora e simili?


fonte: http://www.sardolog.com/perso/tartesso/fiume.htm
Immagini da internet.

5 commenti:

  1. Tutto può essere, chissà, tranne una cosa. Il Tirso non nasce dal Gennargentu, ma dall'altopiano di Buddusò, come il Coghinas. Dal Gennargentu trae origine il Flumendosa.

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  2. Giusto, diciamo che il Tirso nasce nei pressi di Romanzesu, fra Bitti e Buddusò.

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  3. Oggi le sorgenti del Tirso sono collocate a Buddusò ma due suoi affluenti l'araxisi e il taloro sono in gennargentu, l'araxisi proprio su una cima... insomma basta cambiare l'ordine degli affluenti e il tirso ha le sorgenti in gennargentu..
    Piuttosto altre cose non mi convincono se Mario gradisce se possiamo parlare in privato

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  4. E certo, basta cambiare l'ordine degli affluenti... Solo che così non sarebbe più il Tirso, ma il Taloro o quell'altro, avrebbe un percorso assai più breve e non sarebbe il fiume più lungo della Sardegna. Sarebbe cioè tutta un'altra cosa.

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  5. Romanzesu, in comune di Bitti, non è distante, ma le sorgenti vengono situate in agro di Buddusò, a pochi passi dal bellissimo e poco pubblicizzato nuraghe Loelle. Comunque, da Romanzesu a Loelle è la stessa grande foresta di sughere, lo stesso magnifico ambiente, stessa altitudine, intorno agli 800 mt.

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