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mercoledì 6 febbraio 2013

Nuragici





Nuragici,
di Maurizio Feo


Noi li chiamiamo così, un nome inventato, come quello dei 'Villanoviani', come quello degli Ittiti e molti altri nomi moderni per popoli antichi. Spesso, poi, ci fidiamo troppo dei nomi che la Storia ci ha tramandato, sbagliando: infatti, i nomi 'esoetnici' sono errati e fuorvianti, anche se in qualche modo coevi dei popoli che descrivono. La regola generale, infatti, è che i nomi endoetnici (che una data popolazione usa per se stessa) sono sempre immancabilmente differenti da quelli esoetnici, attribuitele dai confinanti: si pensi a Niemcy, Germans, Alemanes, Tedeschi, e Tysch ed alla rispettiva differenza con Deutch.
Loro sicuramente chiamavano se stessi in modo diverso, con un nome a noi ignoto[1]. Forse, come diversissimi gruppi umani hanno fatto in passato (mostrando una ripetitiva e comune propensione all’autocelebrazione), usavano un’espressione come “uomini liberi”, oppure “uomini eletti”. Comunque, un nome a noi ignoto.
In uno studio genetico ormai non più recentissimo (1998), L. L. Cavalli Sforza descrive un albero filogenetico in cui la Sardegna si separa dalle altre popolazioni già alla seconda divisione[2]. Questo implica già le grandi differenze che descriveremo meglio. La data di separazione sembra essere 16.000 anni fa[3] (e non è in disaccordo sostanziale con quella archeologica al radiocarbonio, riportata più sotto: 9.500 anni fa). Si tratta di un’isola, la Sardegna, di circa 23.800 km2 (Quindi non "la più grande di tutte le isole", come sosteneva Erodoto [I,170,1], bensì la seconda, dopo la Sicilia. Comunque un'area ragguardevole: insieme alla Corsica, la superficie diviene quasi grande come quella della prima Mesopotamia, carica di molti destini), 

che dista circa 200 km sia dalle coste italiane che da quelle africane. È molto vicina alla Corsica, ma le due popolazioni isolane sono diverse dal punto di vista etnico e dal punto di vista delle vicende storiche in cui si sono formate.

Ma proprio la posizione geografica della Corsica può avere avuto un ruolo importante nel corso del primo popolamento della Sardegna, in quanto, grazie alla posizione dell’arcipelago toscano, dalla penisola si può anche tuttora “navigare a vista”.


Chi furono i primi abitanti della Sardegna? 
Non furono quelli che chiamiamo “Nuragici”, probabilmente i primi abitanti furono uomini pre-neolitici. Questo già costituisce un’eccezione, nel Mediterraneo, nel quale l’occupazione permanente di isole – seppure possibile, per quanto attiene alle capacità marinare[4] – non fu diffusamente praticata per via delle scarse attrattività e possibilità di sussistenza offerte, salvo che per Sardegna, Corsica, Cipro e, forse, Maiorca[5]. Parliamo di un periodo nel quale si valuta il numero globale degli abitanti di tutta l’Europa (allo stato di cacciatori raccoglitori) essere compreso tra i valori di 200.000 e 700.000 unità, prevalentemente raccolti nelle zone meridionali, essendo le settentrionali ancora piuttosto fredde. 
Si calcola che la transizione Neolitica attraverso l’Europa sia durata circa 4000 anni (con termine presunto attorno al 4.500 a.C.). La diffusione degli agricoltori fu molto lenta, eppure non uniforme; certamente favorì un incremento della popolazione, anche se non precisamente quantizzabile. Pur trattandosi di studi che vanno presi con beneficio d’inventario (in fin dei conti sono ipotesi ricostruttive), le cifre globali fornite sono sorprendentemente basse, per la popolazione Europea: poco più di 2 milioni d’individui nel 3.000 a.C.; circa 5 milioni nel 2.000 a.C.; circa10 milioni nel 1.000, con un incremento che parla di attività agricola sempre crescente[6].
Si deve ammettere che le stime sulle comunità di cacciatori sono più difficili da effettuare, per via dell’estrema scarsità di resti archeologici: il cacciatore è nomade, si sposta spesso e non costruisce ripari cospicui né duraturi. Talvolta, anzi, costruisce abitazioni temporanee multiple per le diverse stagioni dell’anno. Questo fatto è fuorviante e può condurre a soprastime, se i siti non sono stati studiati a sufficienza e correttamente interpretati. Malgrado ciò, rifacendosi agli avanzi di cacciagione rinvenuti, si è risaliti ad una densità di popolazione globale Inglese di circa 0,02 – 0,07 abitanti per kmq nel Paleolitico superiore[7]
Pensate a che cosa accadrebbe anche oggi, se si cercasse di risalire al numero degli abitanti della Sardegna, partendo dall'edilizia! Tra seconde case dei sardi stessi, case di turisti, alberghi, residence, pensioni ed uffici, forse si concluderebbe che la popolazione consista in 14 milioni, invece che un milione e seicentomila ... E' evidente che il computo "all'indietro" è viziato dall'inizio: è molto strano che sia quello più usato.
Nella zona centro-settentrionale dell’isola sarda i più antichi insediamenti umani risalgono a circa 10.000 anni fa (precisamente: 9.120 ± 380)[8]
Questa, si noti, è la datazione più antica di popolamento accertato, in un’isola mediterranea[9].
Non è certamente opportuno qui discutere in dettaglio i monumenti più caratteristici e numerosi dell’isola: i Nuraghi, che mostrano alcuni richiami architettonici con strutture analoghe rinvenute in altre isole del mediterraneo o zone costiere di esso[10]. Ma non si può non citarli.
Si ritiene oggi che i nuraghi siano stati edificati non prima del 1500 - 1600 a.C.[11] e poi per un periodo che alcuni portano fino all’Età del Ferro, mentre altri lo vorrebbero fare proseguire più oltre. Anche sul numero totale dei nuraghi esiste qualche divergenza: si suppone che essi fossero 6.000 – 7.000, distribuiti inegualmente su tutta la vasta superficie isolana, seppure con densità variabili[12]. Se si sovrappongono le cartine mostranti la bontà del suolo e la densità attuale dei nuraghi, si può facilmente osservare come esista una significativa corrispondenza tra la massima concentrazione e la migliore qualità del suolo: la Sardegna vi appare grossolanamente distinta in due zone: una occidentale globalmente più ricca e l’altra orientale, generalmente più povera. Come regola generale, tale osservazione – se da una parte non esclude affatto l’edificazione di nuraghi in terreni poco fertili – spinge a credere che non sia giusto ipotizzare un’alta concentrazione di nuraghi in quelle zone che, probabilmente, non la ebbero mai. Questa è obiezione sufficiente a certi numeri in eccesso.
Sembra credibile che da ciascun nuraghe se ne potesse vedere ad occhio nudo almeno un altro, per cui non è affatto improbabile che una delle diverse funzioni del nuraghe fosse la comunicazione rapidaattraverso il territorio[13]. La questione della funzione del nuraghe resta aperta comunque, come anche molte altre: sicuramente non furono inizialmente costruiti per la comunicazione..
Circa il numero totale della popolazione “Nuragica” molti saggi sono stati tentati e diverse sono le opinioni.


I villaggi.
Sappiamo che esistono alcuni villaggi realmente Nuragici ed altri che – pur trovandosi intorno o presso i nuraghi – sono, senz’altro, posteriori ai nuraghi stessi e non devono quindi essere inclusi nel computo. Il numero d’abitanti ipotizzato per ciascun villaggio varia da 50 a 300 persone. Se dovessimo ipotizzare che tutti i Nuraghi conosciuti facessero capo ad un villaggio e che tutti i nuraghi ed i villaggi fossero stati contemporanei, otterremo un’ipotetica popolazione totale variabile da 300.000 a 1.200.000 unità, il che è sicuramente irrealistico ed eccessivo per l’epoca e per la sede, anche a confronto con quanto detto per le restanti zone dell’Europa studiate…
Ora, noi sappiamo con certezza che alcuni nuraghi non avevano un proprio villaggio satellite, essendo essi stessi edificati forse per assolvere alcune particolari funzioni specifiche di controllo del territorio e di comunicazione con la sede più importante e “centrale”. Quest’ultima – invece sì – facente capo ad un villaggio.
Una situazione del genere si riscontra (ad esempio) nel territorio di Orosei ed è relativa al grande nuraghe “centrale” più importante (Nuraghe Sa Linnarta - Osana), sito su un altopiano lavico declinante verso il mare con ampia vista sulla costa e non lontano dal passo (Iann ‘e Pruna) che conduce verso la valle del rio Berchida e poi Capo Comino e Siniscola. La zona è costiutita da altopiani argillosi (detti “Golleis”), poco permeabili e – seppure non certo infertili – più adatti al pascolo che alle colture; essi tendono a trasformarsi in acquitrini in seguito a pioggia abbondante.
Dal sito del Linnarta si possono facilmente vedere ad occhio nudo gli altri nuraghi minori della zona, in particolare il Rampinu (sul bordo dell’altopiano, poco più a sud), il Panatta (sulle pendici impervie di pietra bianca del Monte Tuttavista, ma già al di là del fiume Cedrino[14]) e almeno la zona in cui si trovano il nuraghe Gulunie (detto anche Osala, perché sito sulla scogliera a picco sull’omonima spiaggia. Dal Linnarta si gode ottima visibilità che si estende anche sulla costa settentrionale, Marina Grande, Foce del Cedrino, Santa Maria, Fuile ‘e Mare, ed il territorio interno retrostante) ed il nuraghe ‘e Portu (anch’esso prospiciente il mare). In questo caso quindi, avremmo (anche ammettendo che detti cinque nuraghi – molto differenti tra loro per tipologie e per dimensioni – siano stati coevi ed usati contemporaneamente) un solo villaggio (di circa 200, forse anche 300 persone), a fronte di cinque nuraghi.
(Ritorneremo a questo corsivo in seguito).
Pertanto, già sappiamo di dovere ridurre di molto le nostre precedenti stime ipotetiche.
Se poi consideriamo che tutti i nuraghi in genere, oltre a non essere coevi, non sono stati tutti in funzione contemporaneamente (e molto probabilmente possedevano scopi e funzioni differenti, come morfologia, dimensioni e localizzazioni lasciano facilmente ipotizzare, seppure non in modo conclusivo), possiamo legittimamente abbattere ulteriormente le cifre, fino ad un più realistico totale di 50.000 – 200.000 persone, includenti uomini, donne, vecchi e bambini…
Ma esistono i già citati studi che si basano sulla presunta densità di popolazione di popolazioni di cacciatori-raccoglitori e dell’incremento dovuto all’inizio dell’allevamento e della coltivazione[15], che parlano di una densità stimata variabile da 1 a 5 abitanti per kmq.  Per quanto concerne la Germania, ad esempio, la media riscontrata è di solo 2 abitanti per km2, in zone definite come molto adatte all’agricoltura. (Aldenhoven Platte, periodo della Cultura della ceramica lineare, Bandkeramik).  Applicando questa media eccezionalmente alta a tutta l’estensione dell’Europa si ottengono numeri che sono evidentemente errati e smentiti dagli scavi, perché il resto dell’Europa non presentava affatto condizioni altrettanto favorevoli all’agricoltura ed all’allevamento.
Anche la Sardegna, per le sue scarse precipitazioni, per il forte stress termico-idrico estivo e per le sue caratteristiche orografiche, va esclusa dalle zone considerate favorevoli ad un raggiungimento di densità così elevate in quell’epoca.
Alcune obiezioni possono essere legittimamente mosse a quest’ultima affermazione: sembra accertato che in passato le precipitazioni sull’isola fossero più abbondanti  e meglio distribuite nel tempo di quanto non siano oggi, realizzandosi così un clima più umido.  Questo può senz’altro essere vero, anche grazie alla presenza di foreste molto più estese. Si sa che le grosse concentrazioni di piante arboree contribuiscono molto al clima ed alle precipitazioni, producendo da sé nuvole sopra se stesse, di cui si servono per la propria esistenza e sopravvivenza. Ma va da sé che – una volta ridotte le grandi distese di piante arboree – la questione sicuramente è destinata a cambiare. Il ritrovamento di grandi asce di pietra in siti Corsi e Sardi del Neolitico Medio (Bonu Ighinu) suggeriscono il progressivo abbattimento di foreste e strumenti per la macina indicano l’agricoltura cerealicola come l’obiettivo finale dell’opera[16].
Resta comunque il fatto che le caratteristiche di bontà del suolo e l’orografia generale non facilitano la coltivazione e non permettono colture come quelle della Mitteleuropa. Malgrado ciò, i ritrovamenti di resti di maiale, di pecora e capra, oltre che prolagus, testimoniano la presenza crescente di pastori ed allevatori, tra i cacciatori[17].
Il Bronzo.
Nel periodo del Bronzo iniziale, la popolazione umana non era molto numerosa in Europa.
In Inghilterra si ipotizzano 0,5 abitanti/Kmq, equivalenti a 20,000 -100.000 (Brothwell 1972, 79); in Polonia e Germania, circa 0,86 ab/Kmq, il che per la Pomerania equivarrebbe a 30.000 (Ostoja-Zagòrski, 1982),  e per la zona del Lausitz (79.443 Km2) a 97.000-195.000 (Buck, 1997).
La  zona nord Italiana delle Terramare conterebbe da 18.000 (Bronzo Medio 2) a 29.000 (BM 3), fino a 31.000 nel Bronzo Tardo.
In genere si concede che la densità sia andata aumentando rapidamente tra il Bronzo Antico ed il Bronzo finale. In certe regioni (Slovacchia), nella parte iniziale del Bronzo Finale si sarebbe passati da una densità di 0,43 a 1,16 /Kmq[18].
Anche utilizzando medie  di 2 ab/Kmq (sicuramente errate per eccesso, se applicate alla Sardegna, secondo quanto detto sopra) si otterrebbe, per la Sardegna “nuragica” una  cifra totale di soli 48.000 abitanti, che – pur essendo solamente indicativo – appare comunque molto più realistico di altri numeri proposti in precedenza altrove.
Questo numero, per quanto ridotto, rappresenterebbe egualmente un notevole incremento rispetto alla popolazione sarda precedente: infatti, si calcola in 700 - 1800 individui il numero complessivo d’esseri umani precedentemente presenti in Sardegna, nel periodo del tardo Paleolitico[19]. Anzi, alcuni pensano che alcuni gruppi di visitatori del paleolitico fossero così poco numerosi da essersi estinti senza lasciare alcun esito di sé nel genoma attuale sardo. L’incremento sarebbe dovuto al successo economico, sociale, alimentare, sanitario ed in ultima analisi demografico globale dei “Nuragici” (Sardi del Bronzo Medio). Il rilevante miglioramento da essi ottenuto nelle loro condizioni di vita ha definitivamente scongiurato l’estinzione della popolazione.
Già nel Tardo Neolitico (S. Michele di Ozieri) le tracce archeobotaniche seppure scarse, vedono densità e localizzazione degli insediamenti deporre a favore della soluzione agricola: molti villaggi, con capanne di rami intrecciati, argilla, peli d’animale, sterco e fango (“wattle and daub”, una tecnica ancora in uso ai tempi di Sheakspeare); pestelli, mortai e macinelli, vasi e vari recipienti per conservare derrate, e falci confermano la tesi[20]. È questo il periodo in cui si ritiene inizi a formarsi una gerarchia sociale, differenziandosi così la popolazione da quella non stratificata ed ugualitaria del Neolitico Antico e Medio[21].
Controllo.
Si tratta, però, come si vede, di numeri oggettivamente esigui, per un territorio così vasto. Ecco, allora, che controllo visivo del territorio non può in alcun modo significare, in queste condizioni, anche controllo militare in senso stretto. Stiamo senz’altro parlando – ricordiamolo – d’epoche in cui i grandi numeri non erano mai grandi nel senso attuale del termine[22].
Alcuni esempi di “grandi numeri” errati.
•Contrariamente a quanto riferito da Erodoto nel II libro delle Storie e dalla Bibbia le grandi piramidi di Giza non furono costruite da schiavi ma da uomini liberi. La sorprendente scoperta è dovuta all’individuazione di un’altra necropoli nelle immediate vicinanze delle tombe dei faraoni destinata ad ospitare coloro che avevano lavorato all'edificazione delle piramidi. Il fatto che “queste tombe siano costruite accanto alle piramidi dei re (tra quella di Cheope e quella di Chefren) indica che queste persone non potevano essere in alcun modo degli schiavi”, ha spiegato Zahi Hawass, il sovrintendente capo delle Antichità egiziane. Le prime sepolture d’operai vennero scoperte negli anni ‘90. Nel sito portato alla luce ora sono state ritrovate delle iscrizioni in cui gli operai si definiscono “amici di Cheope”, un ulteriore elemento per Hawass per avvalorare l'ipotesi che non si trattasse di schiavi. L’altra grande novità è che gli operai erano 10.000, un decimo di quelli indicati da Erodoto. Alla stima si è giunti grazie al ritrovamento del resoconto della fornitura giornaliera di cibo per i lavoratori: i contadini del delta del Nilo, in cambio dell'esenzione dalle tasse, inviavano ogni giorno 21 bufali e 23 pecore al campo.

•Si deve considerare che nel 2300 a.C. l’esercito del temutissimo Sargon d’Akkad rappresentava per dimensioni il massimo sforzo possibile ad una nazione, tanto da potere essere utilizzato solo per brevi periodi all’anno[23]. Contava solo 5.400 uomini! E rimase comunque un’eccezione mostruosa, in un mondo in cui la regola era e restò fatta di eserciti molto, molto più piccoli, ancora per lunghi secoli… Fino all’età del Ferro ed alle armate di 100.000 uomini dei Faraoni.

•C’erano davvero 1184 navi greche dinnanzi a Troia, come sostiene Omero? Oppure 102.000 uomini a bordo, come asserisce Tucidide circa 400 anni dopo?
E’ improbabile. Gli Ittiti avevano 47.500 uomini alla battaglia di Qadesh nel 1274 a.C. (si tratta di uno dei più grandi eserciti menzionati nell’Età del Bronzo dai testi storici). Per le forze navali, si dice che Ugarit avesse molte più di 150 navi nel 1187[24]. Conseguentemente, la flotta greca in Aulide poteva anche contare alcune centinaia di navi, ma non 100.000 uomini. Una stima più realistica valuta tale numero attorno a 15.000[25]. Un numero per cui circa 300 navi sono sufficienti.

Comparativamente, quindi, i riferiti numeri ridotti qui proposti per la popolazione globale sull’isola sarda, non devono stupire più di tanto: pur costituendo un’ipotesi, essi sono giustificati da assunti ragionevoli. E – cosa importante – non escludono affatto quello che da più parti si desidera affermare: la navigazione, i commerci, le capacità belliche ed altro ancora: riportano solamente i numeri a valori più credibili per l’epoca.
Questo potrebbe anche spiegare perché – anche a fronte di prove archeologiche (indirette, ma credibili)[26] dell’esistenza di una navigazione definita “Nuragica” (ma in realtà risalente al Bronzo Tardo! I costruttori di nuraghi erano invece del Bronzo Medio, almeno, se non precedenti) – i Fenici siano egualmente riusciti, nell’800 – 900 a.C. circa a colonizzare le coste della Sardegna, stabilendo fondaci per la propria più efficiente navigazione commerciale, probabilmente un’iniziativa internazionale, aperta al reclutamento multietnico degli equipaggi. Ciò non è naturalmente in alcuna contraddizione con la grande vetustà della navigazione nel Mediterraneo Occidentale ed anche in Sardegna, che risale ancora a prima del commercio dell’ossidiana sarda[27]
Naturalmente, la cosa sembra del tutto impossibile a chi ipotizzi numeri molto più grandi di guerrieri nuragici armati fino ai denti e detentori di una flotta estremamente aggressiva e padrona del Mediterraneo[28].
Il numero di 48.000 abitanti – qui ipotizzato per un breve periodo del Nuragico e certo destinato a cambiare crescendo nel tempo – può essere sicuramente discusso e analizzato più a fondo. Considerando che – nelle società del Bronzo – il numero di maschi in età da guerra (18-49) è circa il 20% del totale, questo numero ipotetico permetterebbe fino a 9.600 “guerrieri sardi”, che non sono affatto pochi, per l’epoca.

Vedere – per sola ipotesi – un bel mattino 9.600 marinai armati e organizzati sbarcare di sorpresa da numerose navi (circa 190, in questo caso) sulle coste del proprio paese, non avrebbe costituito una bella esperienza proprio per nessuno. Nella realtà, gli storici ipotizzano, come massimo possibile, ondate di 5000 uomini in 100 navi[29]Sembrerebbe che proprio questo abbiano fatto, solo per un breve periodo della Storia, i cosiddetti “Popoli del Mare”, ai quali qualcuno vorrebbe – impropriamente – imparentare i nuragici. E comunque, i cosiddetti Popoli del Mare (come spiegato altrove) non erano 'popoli' e non erano 'del mare': sicuramente non erano né pirati, né marinai guerrieri.


Ma si tratterebbe comunque di attività che non sono durate affatto alcune decine di secoli, bensì tra dieci e cinquanta anni e che non garantivano – ad un singolo popolo – un pieno possesso di un mare esteso come il Mediterraneo, anche se potevano renderne certamente impercorribili alcune rotte. L’attività piratesca è stata attribuita anche ai Sardi, ma in un periodo di molto successivo a questo: cioè 1500 anni dopo[30]. 

Quindi, se da una parte non si vuole certo negare l’esistenza del “guerriero nuragico”, dall’altro si ritiene necessario dare le giuste dimensioni a sopravalutazioni circa la “talassocrazia” nuragica e si può ritenere in ogni modo escluso che i “Nuragici” (Sardi del Bronzo Medio) vivessero esclusivamente di pirateria, pur in un mondo in cui tutti la praticavano, saltuariamente. Infine, l’equazione Nuragici = Shardana è errata e antistorica[31]

Un’altra obiezione che si potrebbe muovere a quanto sopra, consiste nel dichiarare impossibile che una popolazione così piccola abbia costruito così tanti nuraghi. Alcune considerazioni demoliscono tale critica, che – pur sembrando lecita – è frutto d’errore metodologico[32]
Quasi tutti i nuraghi superstiti sono monotorre, ad un vano singolo, con un diametro esterno attorno alla decina di metri. I ‘Nuraghi’ sono questi, non i Santu Antine, Losa, Su Nuraxi, Arrubiu e Lugherras che costituiscono le eccezioni. La maggior parte dei Nuraghi sorge in zone che mettono facilmente a disposizione i metri cubi di pietre necessarie entro una distanza media di 300 metri. La maggior parte delle torri sta in posizione tale da consentire il trasporto su pendenze molto moderate o assenti: spesso anzi si dispone di una comoda discesa. Le torri sui cocuzzoli isolati esistono, ma sono, ancora una volta, l’eccezione. Il peso specifico medio del materiale, rispetto alla gamma di materiali utilizzati per le torri varia tra 2 a 3 tonnellate / metro cubo. La curva di distribuzione delle frequenze (delle dimensioni) è simile per tutti i Nuraghi e risponde a precise necessità statiche e alle possibilità reali di trasporto e sollevamento dei conci.
Pertanto si possono affermare alcuni principi:

1 - Il nuraghe si può costruire in tempi brevi: segnatamente mesi, certamente non anni.
2 - La costruzione del nuraghe non richiede un numero elevato di persone. Solamente decine, non centinaia di costruttori.
3 - La popolazione sarda che edificò l'elevato numero di nuraghi (6.000 - 8.000) che noi osserviamo oggi poteva anche essere numericamente perfettamente in linea e compatibile con i numeri rilevati altrove e sopra citati, per il medesimo periodo pre storico del Bronzo Antico e Medio.
4 – Se ipotizziamo 8.000 nuraghi (per le ragioni suddette, circa la loro distribuzione non omogenea, difficilmente furono molti di più) ed un periodo d’edificazione di 800 anni (1800 – 1000 a C)[33], si ottiene una media di 10 Nuraghi l’anno, che appare possibile anche per una popolazione ridottissima di numero[34].  Ciò toglie validità alla critica  erroneamente impostata sul rapporto persone/nuraghi.

Breve riassunto storico.
Le successive vicende dell’isola sono un po’ meno importanti, ai fini di una definizione di ciò che descriviamo come “nuragico”, ma vale la pena di riassumere brevemente i fatti essenziali.
La colonizzazione fenicia ebbe modo di proseguire, dopo qualche alterna fortuna di cui possediamo memoria, ad opera di una colonia fenicia in Tunisia: Cartagine (che non si estese a tutta l’isola, arrestandosi al Tirso). In seguito all’instaurarsi del predominio romano nel Mediterraneo, caduta Cartagine, la Sardegna fu romanizzata in modo completo (anche se la presenza romana nell’interno sarà stata certamente più “morbida” che non nei siti che oggi chiameremmo strategici), cosa attestata dal fatto che le varie versioni della Lingua Sarda sono in realtà tutte romanze. Se una parte della Sardegna potesse vantarsi a ragione di non essere mai stata conquistata e di avere conservato il proprio precedente idioma, avremmo oggi almeno un dialetto sardo non romanzo[35]. Già dal 1941 la Sardegna è stata oggetto di studi su differenziazione linguistica e differenziazione dei cognomi. I dialetti dell’isola sono risultati essere tutti romanzi, ma contenenti termini che provengono da un substrato pre-indoeuropeo, d’origine sconosciuta[36]. Al momento sembrerebbe legittimo pensare che la prima lingua indoeuropea mai parlata in Sardegna sia stata quella Latina: ma vi sono autorevoli opinioni contrarie[37]. Si dovrebbe supporre pertanto che gli immigrati Neolitici parlassero anch’essi una lingua non indoeuropea, come i Paleolitici, oppure (ma meno probabilmente) che fossero così poco numerosi da non potere imporre la propria lingua indoeuropea.
Vandali, Bizantini e Saraceni seguirono alla caduta dell’Impero Romano. Una qualche forma di “dominazione” araba (più che altro scorrerie costiere) continuò fino al X secolo.
Quindi l’isola si trovò soggetta al controllo di Pisa, seguito da quello di Catalogna ed Aragona ed infine fu sotto il Regno di Savoia. Queste ultime dominazioni hanno lasciato proprie colonie in zone limitate dell’isola, in cui sono anche oggi presenti le loro tracce linguistiche. Un’area di lingua Catalana nel nord-ovest ha centro in Alghero; una di lingua ligure-piemontese nel sud-ovest è identificabile in S. Pietro e S. Antioco; nel nord-est esiste una colonia toscana.

Un po’ di genetica.
Le tracce genetiche che tutti questi invasori hanno lasciato, sono però limitate, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare. Si realizza cioè un quadro composito – sì – di popolazione, ma non così evidente come quello che ci si attenderebbe da un flusso genico imponente, caratteristico di un apporto abbondante di geni da parte di colonizzatori che si mescolano o addirittura si sostituiscono alla popolazione originale: anzi, tutto il contrario[38]
La causa più importante, a giustificazione della considerevole differenza tra i Sardi e le altre popolazioni (europee o africane) è la “deriva genetica”, perché numerosi geni presentano frequenze molto differenti dalle medie di diverse regioni europee o africane[39]. Un tipo particolare di deriva genetica è dato dal fenomeno detto “collo di bottiglia”, che si ha quando il numero d’individui facenti parte di una popolazione viene ridotto drasticamente da forze atipiche nella selezione naturale (caccia, persecuzioni, guerre). Solitamente comporta una critica riduzione della variabilità genetica, e tende ad eliminare alcuni alleli[40] totalmente, ma soprattutto a far sì che altri, rari, vengano rappresentati stranamente in eccesso rispetto al normale nel pool genetico.
Alcuni esempi possono essere utili[41].
In Sardegna si riscontra:
1) la più bassa frequenza del gene RH negativo (il 20%), rispetto alle altre regioni del Mediterraneo. 2) Si ha anche la più elevata frequenza mondiale del gene MNS*M (78%).
3) Il gene HLA*18 presenta la frequenza più elevata nel mondo.
4) In Sardegna esiste inoltre un’alta frequenza di una particolare variante molecolare della Beta Talassemia39), che ovunque altrove è rara.

Esistono molti altri esempi, che dimostrano come la popolazione Sarda (di ieri, ma anche d’oggi) sia una popolazione diversa geneticamente. 
Forse anche il tipico “occhio sardo” ne è una prova a livello fenotipico (esteriore): in breve potrebbe essere il risultato di quella che Cavalli-Sforza definì “selezione  sessuale” di un tratto fisico che è particolarmente gradito in un gruppo umano.
A chi assomigliano di più – dunque – i Sardi d’oggi?
Studi genetici, che risalgono già al 1975[42] e che sono stati man mano aggiornati nel tempo, dimostrano che i nordafricani non hanno contribuito in modo rilevante al pool genetico sardo. Italia e Grecia sono probabilmente state le sedi d’origine dei primi occupanti, che risalgono al Neolitico o pre-neolitico.  E’ vero che gli uomini neolitici provenivano in ultima analisi dal Medio Oriente e dall’attuale Turchia, ma è altrettanto probabile che il loro genotipo si sia diluito con quello delle popolazioni mesolitiche locali, nell’attraversamento lento della Grecia e dell’Italia meridionale.
Affinità sono state reperite con i Baschi, come è noto. Ma le interpretazioni che alcuni linguisti hanno desunto da questo sono state esagerate e vanno considerate strumentali.
I moderni Libanesi sono i più diretti discendenti dei Fenici, di cui troviamo oggi il piccolo apporto – oltre che in molti punti del Mediterraneo – prevalentemente nel sud dell’Isola Sarda[43].
È interessante notare che non sono ancora state studiate le somiglianze genetiche che qualche autore ha rilevato tra Sardegna ed alcune zone del Caucaso (zona ancora poco studiata dal punto di vista genetico)[44].

Riassumendo quanto sopra, i protosardi del tardo paleolitico con idioma non indoeuropeo furono così poco numerosi che su di essi ha agito in modo considerevole la deriva genetica (insisto sul fatto che la Deriva vada ben conosciuta e studiata dai non addetti alla Genetica, prima che essi s'azzardino a parlarne o ad esprimere proprie valutazioni in merito: essa risponde a leggi precise ed obbligate, ineludibili come sono la Gravità nella Fisica, la Nascita e la Morte nella Biologia); gli immigrati del Neolitico (anche loro non indoeuropeo parlanti) apportarono senz’altro nuovi geni, ma erano con ogni probabilità poco numerosi anch’essi, per cui anche su di loro ha agito la deriva. Su ambedue (più certamente sui secondi) dobbiamo tenere presente anche il cosiddetto “effetto dei fondatori”[45].
Solo più tardi, proprio con il piccolo miracolo economico e demografico dei “nuragici”, cui non fu estraneo, forse, il fenomeno genetico del “lussureggiamento degli ibridi” si giunge a quella densità di popolazione sufficiente a fermare la deriva genetica e mantenere le frequenze geniche pressappoco ai livelli attuali.
La durata della vita.
Per la Sardegna abbiamo troppo pochi dati. La Paleopatologia ci ha mostrato la presenza di numerose malattie, anche gravi[46]. L’iperostosi porotica[47] è stata messa in realzione alla Malaria. Parallelamente, ci ha mostrato l’efficacia di una nascente medicina naturale.
La vita media doveva essere molto breve, nel periodo Nuragico, con ogni probabilità alquanto inferiore ai 40 anni. Le cause di morte erano molto differenti da quelle d’oggi, ma anche molto più numerose (Elevatissima doveva essere la mortalità infantile). Per comprendere quanto il quadro eziopatologico si sia modificato da allora, basti pensare soltanto alla catena del freddo ed agli antibiotici, (ma anche aitraumatismi della strada e alle malattie degenerative).
Disponiamo di circa 113 iscrizioni etrusche di epoca tarda (200 - 50 a.C.) in cui le date di durata della vita sono espresse in cifre (sarebbero 130, ma si debbono escludere quelle nelle quali le cifre non sono certe in quanto danneggiate). Provengono quasi tutte da Tarquinia e da Volterra, le due uniche città in cui si sia per qualche motivo affermata l'usanza di indicare l'età del defunto sull'epitaffio. Quelle in cui l'età è indicata in lettere non sono abbastanza sicure - date le incertezze d'interpretazione delle stesse. Se ne deduce che - per gli Etruschi di quell'epoca - la durata media della vita era di 40, 88 anni (41,09 per i maschi e 40,37 per le femmine).
Il confronto con altri paesi è confortante: Africa settentrionale: 45,37; Spagna: 36,2; La città Gallo Romana di Bordeaux: 35,7; (questi valori non tengono conto della mortalità infantile, che probabilmente imporrebbe una riduzione ad un sesto). Questi valori ci sorprendono comunque ed esprimono la grande vitalità del popolo Etrusco anche se ormai giunto nei pressi del declino, specialmente se li paragoniamo alla “spettanza” di vita verso il 1800 in Europa che era 30 anni (oggi è circa 65).
In Italia, nel 1900 era di 44,2 e di 44,8 per le donne. Nel 1950 rispettivamente di 53,7 e di 56 anni. Adesso, come si vede, la spettanza di vita è più lunga nel sesso femminile, rispetto al maschile.
Certamente questi dati si riferiscono ad epoche molto differenti da quelle che noi prendiamo a cuore ed in esame, ma ci fanno almeno capire quanto inaspettatamente possano modificarsi le situazioni biologiche rispetto alla linearità della nostra logica...

Al momento, la popolazione sarda attuale – pur portando ancora in sé ben riconoscibili quei geni che la imparentano in modo indissolubile con i suoi antenati dell’età del Bronzo (e quelli del Paleolitico) – è tuttavia esposta ad un fenomeno di amalgama globale, che tende a cancellare tutto ciò che è retaggio dei tempi antichi: tradizioni, lingua, ricordi e genoma. E’ un fenomeno planetario: se ne può prendere coscienza, ma è di fatto inarrestabile. Un buon esempio di ciò è la scomparsa dei linguaggi.
Oggi sopravvivono circa 6.000 lingue delle circa 15.000 che si parlavano ancora solo 500 anni fa. Anche se le prime a sparire saranno i circa mille dialetti aborigeni, che il governo australiano ha recentemente deciso di difendere introducendone lo studio nelle scuole, il futuro di molte altre lingue appare nero: se ne prevede la scomparsa entro la fine del secolo.
Torniamo al nostro corsivo precedente: il gruppo di parlate  che si estende nella media valle del Cedrino, fino al versante settentrionale del Gennargentu, comprende il “gruppo di Fonni” del Wagner ed il “gruppo B” di W. Bellodi. Include i dialetti di Oliena, Orgosolo, Mamoiada, Fonni, Ovodda, Lodine, Gavoi, Ollolai, Olzai. Anche se la zona linguistica è oggi un po’ frammentata, essa è contraddistinta da quel tratto fonetico descritto come “colpo di glottide”. L’area geografica comprende zone al livello del mare o quasi (Oliena) ed altre a circa 1000 metri al di sopra di esso (Fonni, Ollolai). Comprende, insomma zone basse in cui fare svernare le greggi e zone alte adatte ai pascoli estivi: un territorio che nell’antichità avrebbe potuto permettere la vita di una Tribù, una Federazione di Clan, una “Civitas Barbarie”, che avrebbe potuto effettuare la transumanza all’interno del proprio territorio, senza creare problemi all’amministrazione imperiale romana. Non c’interessa qui seguire i destini di questa entità fino alla sua frammentazione negli anni bizantini: Zabarda ed Ospitone e le lettere di Gregorio Magno. C’interessa invece sottolineare che se ne ipotizza da parte di alcuni l’unità etnico-linguistica antichissima, fino dai tempi del Paleolitico Superiore[48]. La varietà Centro-Orientale del Sardo (Baronia: Siniscola, Orosei, Galtellì, Irgoli, Loculi, Onifai, Dorgali; Circondario di Bitti: Urzulei, Lodè, Lula, Onanì, Bitti, Orune; Nuorese: Nuoro, Oliena, Orgosolo, Lollove, orotelli, Oniferi, Orani, Sarule, Ottana; Barbagia di Ollolai: Mamoiada, Gavoi Ollolai, Olzai, Ovodda, Lodine Fonni) costituirebbe oggi ciò che resta di una lingua parlata probabilmente dagli Illesi fin dalla loro più antica formazione. Che poi fossero definiti in seguito “Luquidonenses” dall’esistenza di un “Portus Luquidonis”, tanto da meritarsi oggi il termine di variante “Logudorese” del Sardo, poco importa.

La Sardegna – secondo un’ipotesi espressa con garbo persuasivo da W. Bellodi – si sarebbe formata da tre antichi gruppi etnici distinti, i quali, anche grazie ad isolamento e ad atteggiamento isolano conservativo e resistenziale, avrebbero dato origine agli attuali Gallurese, Logudorese e Campidanese. Le differenze esistenti tra paesi estremamente vicini (Siniscola-Torpé-Posada) e le similitudini tra paesi più lontani (Orosei-Siniscola-paesi dell’altopiano di Bitti) sarebbero spiegabili proprio con i movimenti  di transumanza all’interno del territorio di una popolazione indigena che possedeva una particolare abitudine fonatoria/articolatoria, tanto radicata da mantenersi nel tempo. Dalla Baronia di Orosei, percorrendo la strada di Lula attraverso la valle del Rio Sòlogo, si giunge all’altopiano di Bitti; Da Siniscola, attraverso il valico di S. Anna, si raggiunge il medesimo altopiano dalla parte di Lodé.
La presenza d’alcune sontuose regge nuragiche – per quanto orrendamente offese dagli scavi clandestini e dal tempo – quali il sopraccitato Nuraghe Osana ed i suoi satelliti, lasciano immaginare ancora oggi quale potesse essere l’estensione del territorio di un’antica comunità sarda.
Queste considerazioni riassuntive, potranno essere in definitiva più o meno comprensibili e forse poco condivisibili da parte di alcuni, ma è quanto di più verosimile si può dire allo stato attuale sull’entità della popolazione protosarda. Una popolazione che non ha certo bisogno d’invenzioni o di pura fantasia per entrare di diritto nella Storia dell’Uomo e del Mediterraneo in particolare, con l’avere fondato la Prima Grande Civiltà del Mediterraneo Occidentale, alla quale molto devono tutte le successive[49]...

E’ una popolazione di cui obiettivamente sappiamo ancora pochissimo.
Con un nome di nostra invenzione li definiamo “Nuragici”, ispirandoci al nome che noi oggi diamo ai resti delle loro Torri monumentali per le quali – con ogni probabilità – essi avevano un loro nome comune diverso, di cui forse non conosceremo mai il suono, che esso sia indoeuropeo, oppure no.

Erano certamente pastori ed allevatori, pacifici e laboriosi. Certamente sapevano combattere e difendersi e la storia ce ne restituisce prove indubbie. 
Furono - soprattutto - una popolazione fatta di persone, come te e me, con le stesse paure, le medesime necessità e debolezze, le stesse aspirazioni: ma furono tosti e capaci, tanto che il loro DNA esiste ancora: e questo non puoi dirlo per gli Etruschi, che furono più recenti, più fortunati per la terra fertile che ebbero in dono dal caso, più famosi perché già in periodo storico. 
Essi ebbero un sicuro successo biologico e antropologico, il che depone per il grande successo della loro Cultura, che è stata definita la prima grande Civiltà del Mediterraneo Occidentale, non a torto.
Il loro bagaglio culturale non si esaurisce nel fatto edilizio, Nuraghe e Tomba dei Giganti: esso è anzi un bagaglio complesso, multiforme, che comprende  tutte le svariate cognizioni di cui si giovò la Tirrenia Antica successiva: g
li Etruschi ed i Romani specialmente.

Note:
[1] Esistono numerose ipotesi, tutte indimostrate. Le più diffuse si basano sull’omofonia tra il termine “Sardegna” e Sardw, Sandon e Sandaliotin. Qui, il termine è riferito ai veri costruttori dei nuraghi e quindi ad alcune generazioni di sardi del Bronzo Medio solamente.
[2] Dopo avere eliminato molte popolazioni poco studiate, l’analisi dell’albero filogenetico è stata condotta su 26 popolazioni, con un 26,4 % di dati mancanti ed un numero medio di geni pari ad 88.
[3] Non è possibile riportare qui i metodi analitici genetici ed i calcoli che portano a questa data: un’ottima esposizione si trova in: “Storia e Geografia dei Geni Umani”,  pp 45 – 180 - L.C. Sforza, Ed. Adelphi – 1997.
[4] La Navigazione Antica sarà argomento di un prossimo articolo.
[5] 4Cherry, J.: “The first colonization of  the mediterranean islands: a review of recent research”. Journal of Mediterranean Archaeology, 3 (2):145-221 - 1990. 4Vedi anche più oltre.
[6] Mc Evedy, C. e Jones, R. “Atlas of World Population History” – 1978 – Penguin Books, New York.
[7] Clark, J.G.D. “Starr Carr: A case study in Bioarchaeology”- 1972 – Menlo Park, Calif., Vol X, pp. 1-42.
[8] Spoor, C.F. e Sondaar, P.Y. (1986) Human fossils from the endemic island fauna of Sardinia, in “Journal of Human Evolution”, 15, pp 399-408.
[9] Si trascurano volutamente qui i ritrovamenti precedenti ancora controversi, oppure non riguardanti con certezza la presenza di H. Sapiens Sapiens (Sondaar 1995 e 1998; Arca 1982; Bonifay 1994; Martini 1992; Hofmeijer e Sondaar 1992 e 1993).
[10] Ed anche fuori di esso: i Broch scozzesi (Torri dell’Età del Ferro) ad esempio, per i quali esiste la stessa diatriba circa la funzione d’uso, la tecnica di costruzione, etc. La più antica torre mai costruita appartenne probabilmente alle mura di Gerico (8.000 a.C.). La somiglianza tra le varie torri è un semplicefenomeno di convergenza (per esempio: due orecchie ed un naso determinano sempre occhiali con due lenti, che si appoggiano su naso ed orecchie, anche tra popolazioni che non si sono culturalmente influenzate).
[11] Ma la questione è ancora aperta: è stato recentemente proposto di spostare tale data al 1.800 a.C. secondo i ritrovamenti di Santadi (G. Tanda). Manca propone date anche più antiche.
[12] Naturalmente, esistono ipotesi con cifre due, tre, persino dieci volte multiple di queste. 
[13] Con fumo, fuoco (utile di notte), oppure segnali con panni (colorati e no) o riflessione dei raggi solari su superfici lisce riflettenti, ad esempio di bronzo.
[14] Anche un occhio inesperto non può fare a meno di notare l’estrema feracità dell’altopiano lavico da una parte, contrapposto alla scarsa e più lenta accoglienza che il Monte Tuttavista offre alla colonizzazione vegetale. Sicuramente osservazioni del genere erano molto più facili per coloro la cui vita dipendeva da esse.
[15] Ammerman, A.J. e Cavalli Sforza, L.L. “La Transizione Neolitica e la Genetica di Popolazioni in Europa” – 1986 – Boringhieri, Torino.
[16] Lanfranchi,F. 1990 – “L’alimentatio des hommes prehistoriques.Preparation et consommation de quelques especes vegetales”. Archeologia Corsa 12-13 (1987-88):46-53.
[17] 4Levine, M 1983. La fauna di Filiestru (Trincea D). In Trump, D.H., La grotta di Filiestru a Bonu Ighinu, Mara (SS): 109-31. Quaderni 13. Dessì Sassari.4Vigne, J.D. 1988. Les Mammiferes Post-Glaciares de Corse,Etude Archeozoologique. Gallia Prehistoire Supplement 26. C.N.R.S., Paris.
[18] A.F. Harding “Europeans Societies in the Bronze Age” – 2000 – Cambridge Univ. Press.
[19] Numeri che rispondono alla definizione di “collo di bottiglia” e per i quali l’estinzione è una possibilità reale.
[20] Lewthwaite, J. 1983 Neolithic societies and their Landscape 6000-2000 b.C. 146-83 Edimburgh Univ Press. – 1984a Animals and Archaeology 3: Early Herders and their flocks: 25-37. BAR Internat Series 202. Brit. Archaeol Reports, Oxford. – 1984b Progress in Mediterranean Studies Univ of Bradford.
[21] Lewthwaite, J. 1984 c Pastore Padrone: the social dimensions of pastoralism in prenuragic Sardegna.,The Deya Conference of Prehistory. Early settlements in the Western Mediterranean Islands and their peripheral Areas: 251-63 BAR International Series  229 Brit. Archaeol. Reports, Oxford.
[22] Una certa retorica isolana d’oggi, invece, ricorda le esagerazioni Erodotee delle “Storie”: per esempio, il prosciugamento dei fiumi quando i cavalli dell’esercito persiano s’abbeveravano. Le statue di Monte Prama non sono “giganti”: sono in dimensione quasi naturale, così come il “monte” è una collina….
[23] Disattendere i confini nazionali rappresentava un rischio molto minore e certo di quanto non fossero invece l’abbandono del lavoro dei campi, l’allevamento e l’interruzione degli altri mestieri artigianali.
[24] Texts from Ugarit pertaining to seafaring, in: Seagoing ships and seamanship in the bronze age levant, S. Wachsman , Texas A&M University Press, 1998.
[25] Barry Strauss, La guerra di Troia, Ed Laterza, 2009, Bari.
[26] Si tratta della presenza accertata, su coste spagnole ad esempio, di ceramica “nuragica” d’uso quotidiano e senza valore (quindi non oggetto di scambio commerciale), ma realizzata con impasto di terre locali. Un altro motivo logico per credere ad una navigazione “nuragica” risiede nel fatto che la distribuzione geografica stessa del Megalitismo ne dimostra la chiara vocazione marinara.
[27] Di ciò si parlerà più dettagliatamente in un prossimo articolo, tutto dedicato alla navigazione.
[28] Costoro ricorrono agli espedienti più vari: c’è chi scotomizza del tutto il problema, negando l’esistenza dei Fenici, e chi li sostituisce con gli indomiti e numerosissimi Shardana, talvolta identificati con i Nuragici, talaltra no; talvolta provenienti da Est, talvolta “nati” in Sardegna e poi destinati a viaggiare avanti ed indietro per il Mediterraneo.
[29] S. Peczynski: “The Sea People and their  migration”, Rutgers Univerity - 2009.
[30] Secondo Strabone, Pirati Sardi ed Etruschi corsero per il Tirreno: “Esistono quattro popolazioni sulle montagne sarde: Paratoi, Sossinatoi, Akonites e Balaroi. Vivono in grotte. Pur disponendo di alcuni terreni che producono grano, essi non lo raccolgono con cura. Preferiscono razziare le terre degli agricoltori. E non solo quelli dell’isola, ma anche quelli di Pisa”. (Strabone 225/5.2.7) Si tratta di una testimonianza molto posteriore all’epoca nuragica: I secolo a.C.
[31] Come si dirà in dettaglio in un prossimo articolo sui Popoli del Mare.
[32] Si tralascia la trattazione dell’errore di metodo: ma basta – ad esempio – chiedersi quanti risulterebbero gli abitanti della Sardegna oggi, a partire dal numero di abitazioni esistenti sull’isola.
[33] Si segnala che è anche stata – forse provocatoriamente – proposta una datazione d’inizio del Nuragico nel 2.700 a.C.: G. Manca, Convegno del 12 Gennaio 2008 “Il Paesaggio Nuragico”, Santa Cristina Paulilatino (OR).
[34] Riducendo il periodo o aumentando il numero dei nuraghi, si vedrà che le cose non cambiano di molto: si può giungere a 30 nuraghi/anno (10.000 nur/600 aa), senza sfidare  l’impossibile.
[35] Concetto convincentemente sostenuto da M. Pittau in varie sue opere.
[36] Wagner, M.L. (1941), Historische lautlehre des Sardischen, Max Niemeyer, Halle (Saale). Johannes Hubschnid, Sardische Studien (Bern 1953), Mediterrane Substrate (Bern 1960), Paläosardische Ortsnamen(«Atti VII Congresso Int. di Scienze Onomastiche», II, 2ª, pgg. 145-180, Firenze 1963), Thesaurus Praeromanicus, I-II (Bern 1963, 1965).
[37] M. Pittau:  “La Lingua Sardiana o dei Protosardi” (Cagliari 2001, E. Gasperini Editore) e “I toponimi della Sardegna – Significato e origine”, II (EDES, Editrice Democratica Sarda, Sassari).

[38] Uno dei più credibili motivi (di riduzione del flusso genico) è la presenza ormai nota agli stessi invasori, perché di vecchia data, della Malaria. Anche altre malattie, quali la peste in più riprese, hanno contribuito: gli invasori arrivavano sull’isola perché costrettivi, come i condannati ad metalla (di fatto una condanna a morte) o all’esilio, oppure erano militari; se sopravvivevano ripartivano quanto prima possibile, oppure morivano, prima di potersi riprodurre e lasciare il proprio patrimonio genetico sull’isola.Dobbiamo prendere in considerazione anche l'interazione che si ha sempre, tra individui con sistemi immunitari simili, quando questi vengono a contatto dopo essere vissuti in ambienti differenti e separati per un tempo sufficiente a sviluppare resistenze differenti.
L'infezione - o l'esposizione a germi che per un gruppo sono innocui e di cui numerosi componenti sono portatori sani - riesce ad uccidere moltissimi individui del gruppo che non ha mai avuto l'opportunità di sviluppare difese. E senza alcuna necessità di scontri armati.
Tra l'altro, questo fenomeno potrebbe essere uno dei più credibili motivi per cui il Prolago si è estinto (per esposizione a germi portati dalle popolazioni di lepri e conigli introdotti in età storica dai Romani).

[39] La Deriva Genetica è l’effetto del caso (esempio del lancio della moneta) sul pool genetico di una popolazione ed è tanto più evidente quanto più piccola è la popolazione. In media, le monete danno testa o croce con eguale probabilità. Però pochi lanci consecutivi con poca probabilità daranno un numero eguale di teste e croci. I numeri non saranno probabilmente uguali neanche per un numero di lanci consecutivi molto alto, ma la discrepanza nel numero sarà molto piccola (in termini percentuali). Per esempio: dieci lanci danno almeno 70% teste circa una volte ogni sei tentativi, ma la probabilità di cento lanci consecutivi che danno almeno il 70% di testa è solo una su 25.000 circa.
[40] L’allele (per occhi azzurri, neri, castani, marroni) è ogni variante di sequenza di un gene. Il genotipo di un individuo, relativamente ad un gene, è il corredo d’alleli che egli si trova a possedere.
[41] Per la terminologia di base ed una trattazione più ampia e completa, vedi “Sardegna Antica”, n° 18.
[42] Piazza, A. Sgaramella-Zonta, L. Gluckman, P. Cavalli-Sforza, L.L. (1975) Fifth histocompatibility workshop gene-frequency data phylogenetic analysis, in “Tissue Antigens”, 5, pp. 445-63.
[43] P. Zalloua e R. Hosri: “Phoenician Footprints in the Mediterranean Basin”- 2009 – Studio genetico in collaborazione con il Genographic Project della National Geographic  Society ed IBM.
[44] Piazza, A. Cappello, N. Olivetti, E. e Rendine, S. (1988), The Basques in Europe: a genetic analysis, in “Munibe (Antropologia-Arqueologia)” 6, pp. 168-76.
[45] È l'effetto dovuto all'instaurazione di una nuova popolazione da parte di un piccolo numero di individui, che portano con sé solo una piccola parte della variabilità genetica della popolazione originale. La nuova popolazione può quindi differenziarsi dalla popolazione originale sia geneticamente, sia fenotipicamente e in particolare può avvenire la fissazione di alleli rari, portati da uno o più individui, con l’effetto di far permanere determinati alleli nella popolazione. In casi estremi si pensa che l'effetto fondatore possa portare alla speciazione e alla successiva evoluzione di nuove specie. La nuova popolazione è spesso molto piccola, e quindi mostra 1) una maggiore sensibilità alla deriva genetica, 2) un aumento degli accoppiamenti fra consanguinei, e 3) una scarsa variabilità genetica. È stato descritto per la prima volta da Ernst Mayr in “L’evoluzione delle specie animali” nel 1963.
[46] Da Germanà: Ena e muros: 18 soggetti con iperostosi porotica (ispessimento della teca cranica da malattia anemizzante, forse malaria). Tafoni galluresi: osteodistrofie (rachitismo); osteopatie (artrosi); sepsi (periodontopatie) e carie. S’Iscia e sas Piras: 9 uomini, tre donne e due bambini, scarnificati prima della loro deposizione in domu.  Livelli staturali maggiori (compatibilmente con la data più tarda), migliori condizioni igienico sanitarie; malattie più rare (artrosi senile).
[47] Un ispessimento delle ossa, molto visibile anche a livello del cranio, dovuta ad una reazione del midollo emopoietico in seguito ad uno stato di anemia.
[48] M. Contini: “Etude de Geographie Phonetique et de Phonetique Instrumentale du Sarde” Torino, 1987; e W. Bellodi: “Problemi di Linguistica Sarda” – IRIS ed 2009 – Oliena (NU).
[49] Probabilmente, in termini si organizzazione sociale, di cognizioni tecniche edilizie, agricole e marinare, di valori morali e religiosi; possibilmente anche in altri campi in via di studio.

Nell'immagine: bronzetti al Museo di Cagliari.

9 commenti:

  1. Pubblichi articoli di proprio tutti!
    A qualcuno magari piaceranno...
    Comunque quei bronzetti sardi - per un articolo sui nuragici - sono una chiara provocazione: non ti perdono.

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  2. Signor Maurizio Feo
    Scrive Rolando Berretta da Cagliari. Consideri che Pierluigi ha, sempre, presentato i Bronzetti come le foto degli antenati …. (Credo che sia giusto sentire le diverse opinioni; anche io non troverei, mai, spazio) Vengo al commento; molto marginale al suo articolo. Si parla di comunicazioni tra nuraghi (sua nota 13). Polibio non sarebbe d’accordo. Segnalare era possibile previ accordi. Comunicare è cosa diversa. Quando lessi Polibio mi resi conto che aveva inventato le telecomunicazioni. Lui spiega come si dovevano far vedere, al corrispondente, le singole lettere dell’alfabeto. Questo implicava che ambedue i terminali possedessero una scrittura e che gli operatori fossero istruiti ed addestrati. Mi creda: segnalare è diverso da comunicare.

    Bell’articolo. Lo rileggerò con attenzione. Sono d’accordo per la lingua latina. Sono partito dal Rudino Ennio; un Sardo che è andato a insegnarlo ai… Romani. (prossimo pezzo)

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    1. Rolando:
      1) naturalmente hai compreso che il 'battibecco era scherzoso, anche se basato sui nostri rispettivi diversissimi punti di vista circa i bronzetti sardi (che per me non devono essere definiti Nuragici): non credo che Pierluigi ed io ci accapiglieremmo per questo (anche perché abbiamo pochi capelli e ci sono cari). Ci scherziamo su, ormai.
      2) Sono perfettamente d'accordo sul fatto che l'atto di segnalare sia molto differente da quello di comunicare.Il segnale è una 'lettera', la comunicazione richiede il possesso di un 'alfabeto' e l'esistenza di una 'grammatica' ed una 'sintassi'. Ma ho troppo rispetto per lo stato avanzato di civilizzazione dei 'Nuragici' per pensare che non comunicassero. Naturalmente, è solo un'ipotesi...

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    2. Caro Maurizio, questa mattina ho inserito un commento in un blog, ma quando è apparso ho notato che avevi fatto le stesse mie osservazioni. Purtroppo da quelle parti non sono gradito e mi hanno cancellato gli interventi (logici, equilibrati e inerenti l'oggetto della conversazione) ho dedotto che non hanno argomentazioni serie o basate sul metodo scientifico per rispondere. Riguardavano un bronzetto che qualcuno vorrebbe cronologicamente attestare nella facies Monte Claro. I nostri studi (mio e tuo) conducono a una visione differente nelle conclusioni, ma sono divergenze sottili, legate alla retorica e non alla sostanza. In quel caso, invece, la proposta è priva di qualunque fondamento archeologico, comparativo, storico, ideologico e logico.

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    3. Scrivono: Montalbano è bannato da questo blog di default. è pregato di non inviare commenti. Ahahahahah...divertentissimo, lo prendo come complimento.

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  3. Caro Rolando, se riuscirai a convincermi che Quinto Ennio fu artefice della "bottega linguistica" latina a Cagliari ti preparerò personalmente un vassoio di pardule.

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  4. Pierluigi peccato! Credo che il vassoio dovrai portarlo ad Antonio Pischedda (noto Tonino); Preside in pensione che, con la lingua latina, ha un amore particolare. Molti anni fà esaminò la lamina di Falena e l’elogio funebre di Lucio Cornelio Scipione (siamo verso il 230 aC) e la lingua dei Falisci. In Sardegna si scriveva in latino mentre a Roma… gli rassomigliava. Il povero Polibio ne sa qualcosa quando si trattò di tradurre i testi dei Trattati.
    Il tutto è riportato nel libro : LA SARDEGNA NELLE MIRE DEI CARTAGINESI che si può scaricare da Internet; in formato PDF. Il pezzo forte è suo. Io posso fare un copia e incolla e aggiugere qualche nota storica per dare maggiore risalto alla faccenda. Matteo Madao, nel 1792 segnala diversi reperti e una lapide a Cagliari che attestano che Ennio era di Cagliari; anche qui non è farina del mio sacco.
    Io posso segnalare, da continentale, che i Sardi non hanno i tempi del Futuro nei loro dialetti. I Romani lo avrebbero portato sicuramente. Il Futuro, ho letto, è stata l’ultima conquista grammaticale. Prova, in dialetto, a dire DOMANI ANDRO’…. e vedrai che giro di parole ti esce fuori. Per dire che in Sardegna c’è un Latino arcaico. Da –lettore- sono rimasto colpito da una frase che pronunciò Filippo di Macedonia (LIVIO) di fronte a Tito Flaminio e alle varie delegazioni..
    Disse: - MERAM LIBERTATEM – la troppa libertà fa male….. e ho letto la nota del traduttore.
    Meram non è latino; si è aggrappato a –merum- al vino schietto, sincero ma non è stato convincente. Come dire che qualche termine sardo è stato esportato a Roma

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